Categorie
democrazia libertà, informazione, pluralismo, Movimenti politici e sociali Politica Popoli e politiche Potere

Le Pussy Riot condannate, ma Putin ha perso.

Nadezhda Tolokonnikova, leader delle Pussy Riot.
Le Pussy Riot, le tre cantanti punk, diventate il simbolo del dissenso contro Putin, sono state condannate a due anni per teppismo e incitamento all’odio religioso. Mentre si svolgono proteste in tutta Europa, pubblichiamo una lettera dalla prigione

di NADEZHDA TOLOKONNIKOVA

La nostra carcerazione è servita come un chiaro e inconfutabile segno che l’intero paese è stato privato della libertà. E ciò minaccia di annichilire le forze di liberazione ed emancipazione in Russia: è questo che causa la mia rabbia, vedendo il grande nel piccolo, la tendenza nel segno, il comune nell’individuo.

Le femministe della seconda ondata dicono che il personale è politico. Così è. Il caso delle Pussy Riot ha mostrato come i guai individuali di tre persone di fronte alle accuse di teppismo possono dare vita a un movimento politico. Un singolo caso di repressione e persecuzione contro coloro che hanno il coraggio di Parlare in un paese autoritario ha scosso il mondo: attivisti, punk, pop star, membri di governo, attori ed ecologisti, femministe e maschilisti, teologi islamici e cristiani stanno pregando per le Pussy Riot. Il personale è diventato politico. Il caso delle Pussy Riot ha messo insieme forze così multidirezionali che io stento ancora a credere che non sia un sogno.

L’impossibile sta accadendo nella politica russa contemporanea: un esigente, continuo, potente e coerente impatto della società sul governo.
Sono grata a tutti coloro che hanno detto “Free Pussy Riot!”. Adesso ognuno di noi sta partecipando a un grande e importante Evento politico che il regime di Putin sta facendo sempre più fatica a controllare. Qualunque sarà l’imminente sentenza per le Pussy Riot, noi – e voi – stiamo già vincendo.

Perché abbiamo imparato a essere arrabbiati e a dirlo politicamente.

Pussy Riot è contenta che siamo stati in grado di spronare un’azione veramente collettiva, e che la vostra passione politica ha dimostrato di essere così forte da abbattere le barriere linguistiche, culturali, ambientali, di status economico e politico. Kant direbbe che non vede altre ragioni di questo Miracolo se non l’inizio della morale umana. Grazie per questo Miracolo. (traduzione a cura del collettivo Uninomade.

Share
Categorie
democrazia Leggi e diritto Salute e benessere Società e costume

L’ombra del Cupolone sul Campidoglio: la giunta Alemanno e il fondamentalismo cattolico.

Suscita polemiche l’Agenzia Comunale per le adozioni e l’affidamento, favorevole il XX Municipio.
Posizioni contrastanti soprattutto sui toni e le affermazioni del testo introduttivo al decreto comunale.
di Alessandra Loffredi-Zona.

Nei primi giorni di aprile il Consiglio del XX Municipio, non senza contrasti, esprimeva parere favorevole nei confronti della delibera comunale per l’istituzione di un’ Agenzia delle Adozioni e dell’Affidamento. Promossa dal Consigliere Capitolino Bianconi, la proposta del Consiglio Comunale ha scatenato discussioni in tutti i Municipi interessati, non tanto riguardo ai contenuti dei suoi quattro punti, quanto piuttosto alla forma e alle affermazioni contenute nella premessa che la supportava.

“Sebbene mi renda conto che le premesse contenute nel decreto possano non essere condivisibili – è opinione di Clarissa Casasanta, Consigliere del nostro Municipio – non dobbiamo permettere che spostino la nostra attenzione da quei possibili interventi, che si renderebbero così attivi sul dispositivo risolutivo, comunque a favore di una fascia debole e fortemente svantaggiata”. Molto diversa la posizione di Elisa Paris, vicepresidente della Commissione Pari Opportunità, che non dissente sulla promozione della riforma dei Consultori e il potenziamento dei Servizi Sociali del Municipio, ma che ritiene la formulazione del decreto un evidente “attacco alla legge 194” poiché “quanto contenuto nella prima parte risulta sconnesso dal deliberativo finale, apparendo più un’affermazione fortemente ideologica che un testo istituzionale”.

Che sia il fine a giustificare i mezzi, o siano piuttosto i mezzi a mascherare un diverso fine, il decreto richiede un’accurata lettura (http://femminismo-a-sud.noblogs.org/gallery/77/Delibera%20sulla%20194.pdf). Nella sua apparente sostanza, presenterebbe interventi effettivamente non innovativi, ma che piuttosto fornirebbero un ulteriore supporto ad aiuti già previsti. “Istituire un’Agenzia Comunale per le adozioni e l’affidamento, affinché la donna non si ritrovi sola nella scelta della vita, il cui compito sia quello di favorire adozioni, con procedura riservata ed urgente, per quei bambini che sono sottratti ad una decisione abortiva di qualunque tipo” recita il primo punto del decreto.

Ebbene, la Legge consente già alle donne, che pur intendendo rinunciare al bambino decidono comunque di portare a termine la loro gravidanza, di partorire assistite in ospedale, nel più assoluto anonimato, non riconoscendo poi il piccolo, che diventa evidentemente presto adottabile. Inoltre, la legge 194 prevede la possibilità di una collaborazione mediante apposite convenzioni dei Consultori familiari con le associazioni di volontariato che hanno lo scopo di assistere le maternità in difficoltà sia prima che dopo la nascita.

“Istituire un fondo per il sostegno economico di giovani ragazze madri appartenenti a qualsiasi nazionalità, finalizzato alla prima accoglienza e all’educazione primaria dei bambini, attraverso l’erogazione di somme in denaro per i primi trentasei mesi di vita” prosegue il decreto. Nel secondo punto, fa sue e amplia forme di sostegno economico già proposte da associazioni di aiuto alla vita come il CAV (collegato con il Movimento italiano per la vita), che con il suo “Progetto Gemma” prevede l’erogazione di una somma minima di 160 euro per 18 mesi tramite il CAV locale (che, ovviamente, vi aggiunge tutti gli aiuti necessari al singolo caso, nei limiti delle sue possibilità). Resta comunque evidente che un miglior sostegno alla maternità, più che contributi parziali, richiederebbe lo stanziamento di fondi per la tutela del lavoro e dei diritti delle donne. “Promuovere, in accordo con lo spirito della legge 194, la riforma dei Consultori, rafforzandone il ruolo sociale di prevenzione all’aborto e di sostegno alle famiglie, previa idonea formazione del personale pubblico”. Ecco che nel suo terzo punto il decreto si presta a diverse interpretazioni. Con la legge 405/1975 si istituivano i consultori e con una successiva modifica del 1996 si prevedeva la presenza di un consultorio familiare ogni 20mila abitanti. Ai consultori veniva riconosciuto un compito fondamentale: trasmettere alle donne la competenza e la conoscenza necessarie per essere in grado di vigilare sulla propria salute riproduttiva, dall’adolescenza alla menopausa. Occupandosi di supportare una maternità responsabile e dunque comprendendo anche le interruzioni di gravidanza, che la legge 194 aveva sottratto alla clandestinità (con una media di 350mila aborti clandestini all’anno).

Grazie ad un approccio multidisciplinare si sosteneva nella donna la sua capacità di autodeterminazione. Questo quanto previsto dalla legge, ma non sempre praticato con efficacia. Bene quindi rafforzare “il ruolo sociale” dei Consultori, ma perché limitarne l’energia alla sola “prevenzione all’aborto”? Stando ai fatti, una diffusa e praticata conoscenza dei metodi anticoncezionali rappresenta la migliore barriera per limitare i casi di aborto (ricordiamo che a ricorrevi sono moltissime minorenni). Questa “idonea formazione del personale pubblico”è forse intesa in tal senso? O piuttosto l’opera di “sostegno alle famiglie” si limiterebbe a quei casi dove si rinunci a praticare un’interruzione di gravidanza? Infine, il quarto punto del decreto, indica di “potenziare, attraverso i Servizi Sociali dei Municipi il sostegno, sia in termini economici che di assistenza alle famiglie, dei malati gravi e dei portatori di handicap più bisognosi”, passando dai temi inerenti l’interruzione di gravidanza ad altro. O forse no? Questo, stando al testo effettivo del decreto, come si vede, piuttosto sintetico. Ampia e ricca di citazioni (persino ingiustificate, dal Papa a Giuliano Ferrara, passando per Pasolini e Norberto Bobbio, non includendo però alcuna donna… ) la polemica introduzione alla proposta del consigliere Bianconi, come se allo stesso premesse maggiormente più che l’affermazione del diritto sociale alla maternità, l’affermazione della propria personale posizione in merito.

“L’aborto farmacologico e chirurgico è diventato il metodo anticoncezionale più diffuso” afferma Bianconi, ma sulla base di quali dati? E sulla base di quali ricerche può sostenere con tanta determinazione che partorire un figlio per poi immediatamente privarsene possa per una donna essere meno lacerante di un tempestivo aborto? Parlando di “cultura mortifera” Bianconi indica donne “obbligate o incentivate ad abortire”, di “certezze ed evidenze della mente e del cuore censurate come espressioni di oscurantismo illiberale dalla comunità della tecno scienza (!?), dai guru in camice bianco” ignorando così, paradossalmente, il diritto all’autodeterminazione, dimenticando il riconoscimento del diritto alla maternità, omettendo i progressi della scienza medica nel campo della procreazione, non riconoscendo gli obiettori di coscienza. Perché mai confondere un progetto di sostegno comunque condivisibile con tante affannate parole?

Era prevedibile che una simile premessa scatenasse contrasti. Solo su un punto,potrebbe esserci una ricomposizione delle polemiche con Bianconi. “Con l’aborto non si è giunti ad una reale emancipazione della donna” sostiene Bianconi. Sì, è vero, non si è ancora giunti ad una reale emancipazione della donna, comunque penalizzata, discriminata, spesso svalutata, nel lavoro come nella maternità. E non saranno atteggiamenti personali estremizzati a facilitare la prosecuzione del suo percorso, ma un reale e tangibile sostegno ai suoi diritti sociali, da qualsiasi angolazione si guardi il problema. Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Leggi e diritto Popoli e politiche

“Mi chiedo, che c’entra con il messaggio Biblico evangelico l’imposizione a TUTTI, con legge dello Stato di una propria personale intima scelta etica e antropologica?”

di don Andrea Gallo

I tempi sono cattivi, o almeno mutevoli ed aspri. Il volto della Chiesa è tornato arcigno. Il Cardinale Walter Kasper ha detto che dopo la stagione conciliare la Chiesa ha ripreso ad aver paura del proprio coraggio. Abbiamo bisogno di essere in tanti a pensare e credere, a immaginare il futuro ed affrontarlo con gioia e coraggio, senza presunzioni di conquista ma senza timidezze. Un dialogo aperto e franco, nella Carità, è la strada giusta.

Il clima generale della Società e della Chiesa è oggi piuttosto depresso,scoraggiato. Abbiamo molta paura. I giovani temono l’assenza di futuro. Il Vangelo riscaldi il cuore di tutti i Cristiani e lo renda così generoso da sopportare di buon grado tutti i vicini, senza esclusioni,e da amare i lontani…Le accuse, gli insulti, le polemiche, sono sterili, altrimenti si finisce per non vedere neppure più le cose belle e talora straordinarie che pure accadono, nella Chiesa: è mirabilia Dei.

Si vuole una legge sul testamento biologico che nega i principi di libertà e dignità della Persona stabiliti dalla nostra Costituzione.
Siamo davanti ad una feroce truffa.
Mi domando: se tra cento anni i principi bioetici affermati oggi con granitica sicurezza della Chiesa, sostenuta dal centro-destra e da zelanti parlamentari cattolici del PD, UDC, saranno i medesimi, o se invece finiranno per essere rivisti, come lo sono stati i principi della morale “sociale” che sono stati condannati per secoli e che “ora” invece la Chiesa stessa riconosce : libertà di stampa, libertà di coscienza, libertà religiosa e in genere i diritti delle democrazie liberali. Sono pienamente d’accordo con il teologo Vito Mancuso (Repubblica 9-3).

I cattolici intransigenti che oggi parlano della libertà di autodeterminazione definendola “relativismo cristiano”, dovrebbero estendere l’accusa al Vaticano II il quale afferma che “l’Uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà (Gaudium et spes . 17)”
E’ del tutto chiaro che per ogni credente che la libertà non è fine a se stessa ma all’adesione al bene e al vero; ma è altrettanto chiaro che non si può dare adesione umana se non libera.
Dalla libertà che decide non è possibile esimersi, e questo non è relativismo, ma il cuore del giudizio morale.
Da cittadino ultra-ottantenne, cristiano, prete di Santa Madre Chiesa dal 1959, con Papa Giovanni felicemente sulla Cattedra di Pietro, coordinatore di Comunità degli ultimi, dei perdenti, dei sofferenti, non mi sento di cantar vittoria col Ministro Sacconi, al grido:”D’ora in poi non sarà possibile un altro caso Englaro”.
Vorrei citare a questo proposito, il Parroco di Paluzza al funerale di Eluana “Chi sono io per giudicare?”.

I Cristiani non chiedano ai non credenti quello che essi non possono dare: non chiedano atti di Fede, trasformati in Legge nelle loro proprie posizioni legittime. Non chiedano di accogliere convinzioni dogmatiche nella politica,ma sappiano presentare il loro messaggio in termini antropologici tali che i non credenti possano percepire in essi la volontà e il progetto del servizio reso all’Uomo e alla Società.
Che significato abbiano, in questo quadro interpretativo, vite ridotte a pura biologia, è una irrinunciabile interrogazione.
Chi può dire, dalla Gerarchia al Parlamento, alla Scienza di avere le uniche risposte ultimative e convincenti?
Mi chiedo, che c’entra con il messaggio Biblico evangelico l’imposizione a TUTTI, con legge dello Stato di una propria personale intima scelta etica e antropologica?
Il Dio che mi hanno trasmesso e in cui ho imparato a credere, il Dio che nutre la mia difficile, ma amata speranza cristiana, sicuramente non è un Dio che sa dire soltanto NO alla libertà, alla coscienza, ad ogni forma d’autonomia personale. Non è un Dio che fa del dono gratuito della vita, una clava, un carcere.

Desidero con tutto il cuore e doverosamente verificarmi col Vescovo, con le sorelle e i fratelli davanti alla Croce nella prossima Settimana Santa. La porta di San Benedetto è aperta.
Decisamente affermo, anche con sofferenza,: non sono disponibile per nessuna “crociata”integralista.
E’ per imitare, anche se malamente, l’atteggiamento misericordioso di Cristo che rinnovo oggi il mio Battesimo Cristiano, altrimenti la mia appartenenza alla Chiesa non avrebbe senso. (Beh, buona giornata).

Don Andrea Gallo
Coordinatore Comunità San Benedetto al Porto

Genova, 28 marzo 2009

Share
Categorie
Finanza - Economia Popoli e politiche Società e costume

“I valori degradati a mezzi cambiano il linguaggio, e ci cambiano sfociando nella svalutazione – o trasvalutazione – dei valori.”

di BARBARA SPINELLI da lastampa.it

C’è sempre il sospetto, quando si parla con frequenza assillante di un bene o una virtù, che i tempi in cui se ne parla siano specialmente vuoti: che quel bene si assottigli, e in particolare il bene comune. Che le virtù si faccian rare: in particolare quelle esercitate nella sfera pubblica, presidiate da istituzioni e costituzioni durevoli ma discusse. Sono i tempi in cui con più fervore garriscono le bandiere dei valori, come ebbe a scrivere Carl Schmitt nel breve saggio del 1960 intitolato La Tirannia dei Valori (Adelphi, 2008). Salvare i valori da questi sbandieramenti è urgente, perché è pur sempre in nome di principi e valori che la stortura andrà corretta.

Tempi simili son dichiarati cinici, nichilisti. In genere son colorati di nero. Enzo Bianchi, in un testo scritto su La Stampa dopo la morte di Eluana, li chiama tempi cattivi, da cui usciamo non concordi ma più divisi (15-2-09). Tempi in cui il vociare attorno ai valori si dilata, invadendo lo spazio più intimo dell’uomo «al solo fine del potere», e distruggendo i valori stessi. Tempi in cui il sale perde il suo sapore e però diventa molto salato, corrosivo. Può accadere addirittura che s’unisca al salace, producendo strane misture di gossip, lascivia e moralismo. Negli Ultimi Giorni dell’Umanità, Karl Kraus descriveva l’eccitata vigilia della Guerra ’14-’18 come epoca di valori tanto più gridati, quanto più fatui. I giornalisti, tramutati in vati, erano ingredienti decisivi di quest’epoca enfatica, violenta e cieca.

Non è diversa la crisi che viviamo, e di sicuro s’aggraverà man mano che lo sconquasso finanziario ci toccherà da vicino. Come custodire in tali condizioni il potere, quando governi e politici sono ingabbiati nella dura necessità di un precipizio che controllano a mala pena o non controllano affatto, essendosi affidati alle illusorie forze degli Stati-nazione? Possono dire, con Cocteau: «Visto che questi misteri ci oltrepassano, fingiamo di esserne gli organizzatori». È quello che fa il presidente del Consiglio in Italia: prima negando la crisi, poi accusando i media d’ingigantirla evocando tragedie, sempre usando i valori come diversivi. I valori sono già oggi e diverranno sempre più lo strumento per governare con magniloquenza e distrarre l’attenzione da sfide vere, mal comprese e mal spiegate. Prendono il posto del mistero che ci oltrepassa, s’impongono con rigide gerarchie: ci sono valori superiori, e poi più giù valori inferiori o perfino disvalori. Al disastro dell’impotenza, a una politica incapace di reinventare linee divisorie, si replica con ferree graduatorie: ogni schieramento pretende d’esser custode dei valori supremi, relegando l’avversario nelle terre dei disvalori. Facendo garrire i valori, nessun mistero ci oltrepassa: invece della crisi, si parla d’altro.

Non sono in questione solo la morte e la vita, come nel caso Englaro. I valori in blocco, cioè l’insieme di virtù e beni, vengono tramutati in espediente, in trucco che distrae. La giustizia, la libertà, l’eguaglianza, la vita, la pace, l’autonomia, il benessere dei più, la moderazione del dialogo politico non sono in sé squalificati: restano beni essenziali, per la costituzione e il cittadino. Ma nello stesso momento in cui sono adoperati a fini di potere si snaturano, trasformandosi in mezzi. Il potere, innalzato a fine, non li serve ma se ne serve per affermarsi e negare l’avversario.

I valori come assillo che finisce col distruggere quel che si vuol restaurare non sono una novità. Apparvero nell’800, in risposta a un nichilismo ritenuto letale per i valori supremi e addirittura per Dio. Oggi tornano in auge, come strumento di lotta all’avversario, deturpando parole e abolendo antiche distinzioni. Secondo Kant ad esempio, sono le cose ad avere un valore (le si fanno valere sulla base d’un prezzo, sono scambiabili) mentre le persone, se considerate fini e non mezzi, hanno una dignità che non si paga ma si rispetta. Basti pensare al termine valore-rifugio: in economia funziona, nell’etica no. Anche la Chiesa si presta a un’operazione che assolutizzando i valori li incattivisce, e non è un caso che il Concilio Vaticano II – con il suo desiderio di vedere la realtà da più punti di vista – sia considerato da tanti un impedimento. Ci sono parole di Giovanni XXIII difficilmente immaginabili oggi: «Qualcuno dice che il Papa è troppo ottimista, che non vede che il bene, che prende tutte le cose da quella parte lì, del bene: ma già, io non so distaccarmi naturalmente, a mio modo, dal nostro Signore, il quale pure non ha fatto che diffondere intorno a sé il bene, la letizia, la pace, l’incoraggiamento». L’arroganza dei valori è da anni prerogativa della destra, ma non sempre fu così. Anche quando si chiamavano virtù, c’era chi non dissociava valori e violenza. Nella Rivoluzione francese Robespierre diceva: «Il terrore è funesto, senza virtù. La virtù è impotente, senza terrore».

I valori degradati a mezzi cambiano il linguaggio, e ci cambiano sfociando nella svalutazione – o trasvalutazione – dei valori. Fin quando sono fini, essi devono costantemente confrontarsi con valori non meno possenti, se vogliono generare regole condivise da chi – pur discordando – deve pur sempre convivere. Se vogliono evitare l’antinomia, che è lo scontro fra norme egualmente primarie ma diverse. Per proteggere il fine, devono scendere a patti. Le costituzioni sono lo sforzo tenace, acribico, di conciliare leggi morali in conflitto tra loro ma egualmente preziose, da preservare una per una (per esempio l’eguaglianza e la libertà, il diritto alla vita e il diritto a dominare la propria morte). Quando invece i valori sono espedienti, possono divenire prevaricatori, visto che il fine è il potere di chi li maneggia: qui è la loro possibile tirannia. Se i valori sono un fine, i mezzi vanno adattati alla loro molteplicità. Se cessano di esserlo, lo scontro si fa feroce e il valore vincente assurge a valore non solo supremo ma unico. Forse per questo esistono pensatori e filosofi non minori che diffidano della parola valore, preferendo parlare di principi, beni o norme.

La crisi economica che traversiamo è tragica, checché ne dica il presidente del Consiglio, proprio perché il politico per padroneggiarla converte i fini in mezzi e viceversa. Perché svaluta valori o li assolutizza, capricciosamente servendosene. La crisi attualizza più che mai quel che Marx scriveva nel Manifesto: «La borghesia non salva nessun altro legame fra le singole persone che non sia il nudo interesse, il “puro rendiconto”.(…) Tutto quel che è solido evapora, tutto ciò che è sacro è sconsacrato, e alla fine l’uomo è costretto a guardare con freddo spirito le sue reali condizioni di vita e le relazioni con i suoi simili».

Il valore unico, come il pensiero unico, taglia le ali a altri valori e non preservandoli crea squilibri. Prefigura alternativamente o guerre di tutti contro tutti, o estesi conformismi. Assolutizza perfino i modi del conversare democratico. La scorsa settimana ne abbiamo avuto un esempio. Venuto da fuori, straniero al comune sentire come i persiani delle Lettere di Montesquieu o il bambino di Andersen che scopre il re nudo, un allenatore di calcio (José Mourinho, dell’Inter) ha denunciato la «grandissima manipolazione dell’opinione pubblica», la «prostituzione intellettuale» di tanti giornali, il «pensare onesto» che in Italia fatica a guardare i fatti e s’abbarbica a idee preconfezionate. Ad ascoltarlo c’era da trasecolare: Mourinho sembrava parlasse non del calcio, ma dell’Italia tutta. Subito è stato zittito in nome dei sacrosanti «toni bassi»: quest’altro valore supremo, usato come mezzo per non affrontare il merito di una questione e azzittire avversari o magistrati. Toni bassi abbandonati senza pudore, ogni volta che fa comodo al capriccio dei potenti. (beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità Leggi e diritto

Stupro della Caffarella: gli esami del DNA smentiscono una sentenza già scritta.

di LUCA LIPPERA da ilmessaggero.it

ROMA (3 marzo) – L’inchiesta sullo stupro della Caffarella si complica ulteriormente. La Procura ha ammesso che esistono «discrepanze» tra il Dna dei romeni in carcere per la violenza di San Valentino e le tracce (di saliva, sudore e liquido seminale) individuate sulla vittima. Ma la vera novità sembra un’altra: le impronte sulle carte “sim” dei cellulari rubati ai fidanzatini, tirate fuori dagli aggressori nel parco e buttate nel bosco, sarebbero inservibili in quanto «troppo frammentarie»: potrebbe dunque diventare impossibile collegarle a Alexandru Isztoika, 19 anni, e Karol Racz, gli immigrati tuttora in carcere per la feroce violenza che ha scosso la città nel giorno di San Valentino.

I difensori dei romeni, Lorenzo Lamarca, e Giancarlo Di Rosa, convinti che «in uno Stato di diritto contino le prove e non le parole», hanno presentato due istanze al Tribunale del Riesame chiedendo la liberazione degli stranieri. I vertici della Procura, ieri, hanno fatto capire chiaro e tondo che i test del Dna sono negativi per entrambi i romeni. Ma c’è di più. Gli investigatori sembrano convinti che l’esperto della Criminalpol che ha eseguito gli esami possa aver commesso in buona fede un errore. I nuovi accertamenti, fatto non consueto, non verranno eseguiti dalla Polizia Scientifica: il compito è stato affidato a un biologo esterno che già domani potrebbe confermare l’esito del collega o ribaltare tutto. Nel qual caso dovrà spiegare dove e perché vi fu un errore.

È chiaro che la negatività dei primi test peserà. Se non ora, sull’eventuale processo. Il nervosismo tra gli investigatori si avverte ed è palpabile anche il timore di aver preso, magari solo parzialmente, un abbaglio. Non a caso nei prossimi giorni, per scongiurare la possibilità (più teorica che altro, ndr) di una commistione tra il Dna di diverse persone, il fidanzatino della quindicenne seviziata alla Caffarella potrebbe essere sottoposto a un prelievo per stabilirne il profilo genetico. I ragazzi verranno comunque risentiti. Perché, si fa capire in Questura, «ci sono da chiarire alcuni punti oscuri». Quali e quante siano le ombre non è dato, tuttora, sapere.
Ma gli investigatori, dopo la “bomba” sul Dna, ieri hanno manifestato ottimismo. Il capo della Squadra Mobile, Vittorio Rizzi, ha incontrato in Procura, a piazzale Clodio, Vincenzo Barba, il pubblico ministero che coordina l’inchiesta. La Procura giudica «del tutto parziali i test non attribuibili completamente agli indagati». Quello su Racz, in realtà, sarebbe completamente negativo. Quello su Isztoika, il “biondino”, ex pastore in Transilvania, lascerebbe invece qualche margine all’accusa. Il Pm ha confermato di aver «disposto nuovi accertamenti per cancellare i dubbi» convinto che ci siano «a carico dei due elementi pesanti come macigni».

Il capo della Mobile, rispondendo a un cronista dell’Ansa, ha anche parlato del giallo dei telefonini. I cellulari personali di Isztoika e Racz, all’ora dello stupro, sabato 14 febbraio, ore 18,30 circa, non erano agganciati ai ripetitori nella zona Caffarella. Rizzi ha definito il fatto «una fantasia giornalistica». I dati effettivamente non sono nel fascicolo dell’inchiesta, fascicolo che per ora nessuno (neanche la difesa) ha visto. È il comprensibile gioco delle parti tra chi raccoglie elementi d’accusa e chi si difende. La polizia sapeva, fin dai primi giorni dopo la violenza, che gli apparecchi erano altrove. La cosa può voler dire tutto e nulla: non è detto che un rapinatore porti sempre con sé il telefonino sapendo di poter essere “tracciato”. Così gli inquirenti hanno sorvolato.

Ora ci si concentra anche sulla successione di colloqui che ha portato la vittima a indicare Isztoika, il “biondino”, come uno degli stupratori. La ragazzina fu sentita una prima volta appena uscita dall’ospedale. Erano le 00,20 del 15 febbraio. La vittima parlò subito di un «giovane coi capelli chiari». Il pomeriggio dello stesso giorno, alle 16,30, con l’aiuto di una psicologa dell’associazione “Differenza Donna”, la quindicenne cominciò a far tracciare negli uffici della Mobile un primo fotokit dell’aggressore. Quattro ore dopo riconobbe, tra quelle che le venivano mostrate dalla polizia, la foto del romeno. Il giorno dopo la Mobile e il Questore di Roma potevano annunciare gli arresti. «Bravissimi o fortunatissimi disse Rizzi alla settima foto la vittima ha detto: “Ecco, è lui!”». Ma il bosco della Caffarella forse si è tenuto qualche lupo e molti misteri.

Share
Categorie
Popoli e politiche

Terrorismo: alla nuora perché la suocera intenda.

Secondo quanto riferisce l’agenzia Ansa, le autorità yemenite hanno autorizzato il rilascio di un uomo sospettato di essere un membro di al Qaida.

Le accuse contro l’uomo, accusato di pianificare un attentato nel centro della capitale Sanaa, si sono rivelate infondate.

Lo ha riferito una fonte della sicurezza. “Si è scoperto che stava trasportando medicine. Sembra che sia stata la suocera a denunciarlo”, ha detto la fonte.

Roba da “la sai l’ultima?” Nell’era della guerra al terrorismo, delle teorie della sicurezza preventiva, dello scontro di civiltà, della guerra religiosa e chi più ne ha più ne metta, si rischia di passare guai seri per colpa della suocera.

Poi dice che c’è la crisi della coppia. Neanche il compianto Gino Bramieri, barzellettiere formidabile, ne avrebbe raccontata una così. Fin qui il risvolto comico.

Il dramma è che le forze di sicurezza alle barzellette ci credono. E che in tutto questo, qualcuno se l’è vista davvero brutta. Più brutta di quella suocera, pettegola e vendicativa.

A proposito delle fobie antiterroristiche che ci attraversano la vita da qualche tempo a questa parte, chissà se possa valere anche in questo caso l’antico detto di parlare alla nuora perché intenda la suocera.

Vale a dire: la finiamo di renderci ridicoli, e finalmente ripristiniamo un minimo di dialogo? Il che è un altro modo per dire che, in questo caso, la nuora è il buon senso. Lo capirà anche la suocera? Beh, buona giornata.

Share
Follow

Get every new post delivered to your Inbox

Join other followers: