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“La Sinistra, invece di occuparsi della nuova aspra dialettica dello scontro Capitale-Lavoro, perde tempo all’inseguimento di governi di transizione, abbandonando a loro stessi i lavoratori.”

di Marco Ferri- 3DNews

Omar Thomas, un nero di 34 anni assunto da poco come autista dalla Hartford Distributors di Manchester, in Connecticut (USA), è entrato nello stabilimento in cui lavorava e ha ammazzato a rivoltellate otto persone, poi si è tolto la vita. Lo ha fatto perché temeva di essere licenziato.

Qualche giorno prima, Paolo Iacconi, un italiano di 51 anni, rappresentante di commercio presso la Gifas-Electric di Massarosa, in provincia di Lucca (Italia) è tornato in azienda e ha ucciso a colpi di pistola l’amministratore delegato e il responsabile delle vendite, poi si è sparato, togliendosi la vita. Era stato licenziato sei mesi fa. Era il 23 luglio di quest’anno.

Il giorno dopo, nei dintorni di Roma, un assicuratore ammazza a bastonate il suo datore di lavoro. Tornavano in macchina dopo aver visitato alcuni clienti. E’ nato un diverbio. Alla minaccia del licenziamento, è scattata la furia omicida. L’uomo è stato arrestato.

Cosa lega tra loro questi fatti? Una semplice, quanto terribile coincidenza: lo spettro della perdita del lavoro, la disoccupazione. Cosa stride tra la verità narrata dal mainstrem e la realtà delle cose? Un semplice, quanto lampante dato di fatto: governi e finanzieri parlano di segnali di ripresa dell’economia.

Una buona notizia? “Io considero fin troppo probabile che tra due anni la disoccupazione sarà ancora estremamente alta, se possibile addirittura più alta di adesso. Invece di assumersi la responsabilità di porre rimedio a questa situazione, i politici e i funzionari della Fed dichiareranno in uno stesso modo che un’ alta disoccupazione è strutturale, al di là del loro controllo.” Lo ha detto Paul Krugman, economista americano, Nobel 2008, in un articolo pubblicato su Repubblica (c .2010 New York Times News Service, traduzione di Anna Bissanti).

Allora le cose stanno così: la crisi economica globale ha distrutto i risparmi, la ripresa economica sta distruggendo il lavoro. Il Capitale vince due a zero. Se guardiamo le cose di casa nostra, possiamo vedere crescere la disoccupazione , siamo vicini a quota 9 per cento, in linea con quello che succede in Europa. Però, svettiamo a oltre il 29 per cento di disoccupazione giovanile, un gran bel record mondiale.

Senza contare, che sono stati annunciati circa tremila nuovi esuberi da Telecom Italia. Mentre Unicredit, una banca italiana tra le prime in Europa, augura buone vacanze estive 2010 agli italiani, annunciando 4.700 licenziamenti. Un sindacalista della Cisl ha detto che i licenziamenti della banca sono concepiti sul modello di pensiero di Marchionne, l’amministratore delegato della Fiat: taglio posti di lavoro, porto fuori la produzione, chiudo stabilimenti, rompo le relazioni sindacali, mando all’aria i contratti collettivi di lavoro.

Il Lavoro perde due a zero. Perché il Sindacato tarda a comprendere il cambio di passo nelle relazioni industriali. Perché la Sinistra, invece di occuparsi della nuova aspra dialettica dello scontro Capitale-Lavoro, perde tempo all’inseguimento di governi di transizione, abbandonando a loro stessi i lavoratori. Che ogni tanto, come le formiche nel loro piccolo, si incazzano. (Beh, buona giornata).

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Perché il Primo Maggio suscita disagio, sia a Destra che a Sinistra?

Primo maggio, dov’è la festa? di ILVO DIAMANTI-repubblica.it

SI E’ APERTA una stagione senza feste civili. Dove i riti della memoria, che danno senso e identità alla nostra Repubblica, vengono guardati – e trattati – con insofferenza e indifferenza, da una parte del paese.
In particolare, dalla maggioranza politica di governo. Anzitutto il 25 Aprile, che il premier ha definito “Festa della Libertà”. Non della “Liberazione”. Quasi fosse una celebrazione del suo partito. D’altronde, ha sostenuto un amministratore del PdL, ci hanno liberato gli americani, non i partigiani, che erano comunisti.
Abbiamo motivo di credere, inoltre, che anche il prossimo 2 Giugno susciterà fastidio in alcuni settori del centrodestra, in particolare nella Lega. Che vede nel tricolore e nella nazione i simboli di un passato da superare. D’altronde, le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, ormai prossime, non sembrano al centro dell’attenzione di questo governo. Anche perché parlare di Unità d’Italia, in un paese tanto diviso, appare un ossimoro.

Il Primo Maggio non si sottrae al clima del tempo. Al contrario. Non solo perché evoca le lotte del movimento operaio e sindacale. Una versione in grande della “Festa dell’Unità”, dove si canta “Bella Ciao” e sventolano le bandiere rosse. Il Primo Maggio disturba anche – e soprattutto – perché il lavoro e i lavoratori appaiono, ormai, entità inattuali. Si dovrebbe parlare, semmai, del “non lavoro”. Della disoccupazione reale e di quella implicita. Nascosta tra le pieghe dei lavoratori scoraggiati, che non risultano disoccupati solo perché, per realismo, non si “offrono” sul mercato del lavoro. E per questo non vengono calcolati nei “tassi di disoccupazione”. Ma anche dell’occupazione informale. E si dovrebbe parlare, ancora, degli imprenditori, piccoli e piccolissimi, che stentano a continuare la loro attività perché i clienti non li pagano, faticano ad accedere al credito. E non riescono a mantenere l’azienda e i dipendenti. Lavoratori e piccoli imprenditori “disperati”. Per fare parlare di sé, per essere “notiziabili”, devono darsi fuoco, sequestrare i dirigenti, appendersi alle gru. Oppure inventarsi
“l’Isola dei cassintegrati”, all’Asinara, recitando se stessi.

Lo abbiamo detto altre volte, ma vale la pena di ripetersi. C’è uno squilibrio violento fra la percezione sociale e la rappresentazione pubblica – mediatica – del lavoro e dei suoi problemi. La disoccupazione è ormai in testa alle preoccupazioni degli italiani, visto che 38% di essi la indica come l’emergenza più importante da affrontare (Rapporto “Gli Italiani e lo Stato”, Demos per Repubblica, novembre 2009). Eppure se ne parla poco, sui media. Soprattutto in tivù. Tra le notizie di prima serata del Tg1 monitorate dall’Osservatorio di Pavia (per la Fondazione Unipolis) nello scorso settembre, ai problemi legati al lavoro, alla disoccupazione, alla perdita dei risparmi era riservato il 7% sul totale delle notizie.

Per fare un confronto con le tivù pubbliche di altri paesi europei, nello stesso periodo, Ard (Germania) dedicava ai temi del lavoro e della disoccupazione il 21% delle notizie, Bbc One il 26%, France 2 il 41%. Eppure il tasso di disoccupazione in Italia continua a crescere e oggi ha raggiunto l’8,8% (dati Eurostat). Anche se il paese appare, anche in questo caso, diviso in due. Sotto il profilo territoriale: nel Sud il tasso di disoccupazione si avvicina al 20%. E sotto il profilo generazionale, visto che fra i giovani (15-24 anni) il tasso di disoccupazione sale al 28%. Il più alto d’Europa. Quasi 10 punti in più della media europea.

Ma i giovani, è noto, non esistono. Sospesi fra precarietà e dipendenza dalla famiglia. Protetti dai genitori, a cui affidano le chiavi del futuro (in cambio di quelle di casa). In modo assolutamente consapevole. Come emerge da una recente ricerca condotta da LaPolis dell’Università di Urbino per Coop Adriatica (che verrà presentata nei prossimi giorni). Una frazione minima di giovani (15-35 anni) pensa che, in futuro, riuscirà a raggiungere una posizione sociale migliore rispetto a quella dei genitori. Mentre il 56% pensa il contrario. Ancora: il 23% dei giovani è convinto che, per farsi strada nella vita, la risorsa migliore sia costituita dalla rete di relazioni e di “conoscenze familiari”. Quasi quanto l’istruzione, tradizionale fattore di mobilità sociale. E poco meno dell’esperienza di lavoro e studio in Italia e all’estero (26%). Inoltre, si sono abituati all’esperienza di lavoro temporaneo e intermittente. Ma non rassegnati. Molti di loro, anzi, inseguono il “posto fisso” (39%; ma tra i 15-17enni il 46%). Al tempo stesso si è raffreddato, fra loro, l’entusiasmo per il lavoro in proprio e la libera professione attira, oggi, il 25% di loro. Nell’insieme, il 49% dei giovani oggi si dice orientato verso un’attività autonoma o professionale. Circa 10 punti in meno di 4 anni fa.

Nello stesso periodo, parallelamente, è risalito l’interesse verso la grande impresa e il pubblico impiego. In altri termini, i giovani, sono flessibili “per forza”, non rassegnati alla precarietà. Sanno che li attende un futuro difficile. E per questo fanno affidamento alla famiglia. La considerano la risorsa mezzo per farsi strada nella vita. E, prima ancora, un rifugio e una protezione. Meccanismo fondamentale del welfare all’italiana. Pressoché ignorato dal sistema pubblico.
Così è più chiaro perché il Primo Maggio susciti disagio.

Nel centrodestra, dove è percepito, da molti, una festa comunista. Ma, anche altrove. Perfino a sinistra, dove molti la considerano un rito nostalgico. Dedicato a quando il lavoro era fonte di vita, riferimento dell’identità, motivo di orgoglio. Mentre oggi l’evento sindacale più significativo e partecipato, per celebrare il Primo Maggio, non è una manifestazione rivolta ai lavoratori. Ma il tradizionale concertone rock che si svolge in Piazza San Giovanni, a Roma. Affollata da una massa enorme di giovani. Per una volta, insieme. Per una volta, visibili. Normalmente isolati, intermittenti, frantumati, custoditi, controllati. Normalmente invisibili. Come il lavoro. (Beh, buona giornata).

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Altro che percentuali elettorali: la disoccupazione giovanile in Italia è al 28,2 per cento.

Vola a febbraio il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni), attestandosi a quota 28,2%. La disoccupazione tra i giovani cresce di 0,8 punti percentuali rispetto a gennaio e di 4 punti percentuali rispetto a febbraio 2009. Lo rende noto l’Istat nella stima provvisoria di febbraio relativa a occupati e disoccupati. I tecnici dell’Istituto sottolineano che il tasso italiano è superiore di 7,6 punti rispetto a quello relativo alla Ue-27 (20,6%). Resta stabile invece il tasso complessivo a 8,5%, con una variazione congiunturale nulla ma in crescita di 1,2 punti percentuali rispetto a febbraio 2009. Il mese scorso sono stati persi 395 mila posti di lavoro. A perdere il lavoro sono stati soprattutto gli uomini: 294 mila a fronte di 101mila donne. Beh, buona giornata.

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