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Una fotografia della carta stampata a sinistra in Italia.

(fonte: blitzquotidiano.it)
Le voci della sinistra si sono moltiplicate e l’offerta in edicola è ampia e variegata. Si espande infatti la galassia di carta con risultati sorprendenti (anche se non tutti i giornali sono certificati), e con una nuova platea che si fa largo: Il Fatto è la sorpresa di quest’anno, l’Unità è in buona salute e cresce rispetto all’anno scorso, più o meno stabili Liberazione e il Manifesto così come il Riformista.

Nell’elenco ci sono anche Gli altri di Piero Sansonetti (4000 copie vendute), e Terra che rappresenta l’istanza ecologista. Il Fatto è l’ultimo arrivato, seguito – ma solo in questo – nella sua scelta di rinunciare ai finanziamenti pubblici – dal Clandestino, il quotidiano di David Parenzo e Pierluigi Diaco in edicola da qualche giorno.

Il giornale fondato da Antonio Padellaro e Marco Travaglio – considerando i dati – è il fenomeno dell’anno: nato il 23 settembre, dopo una campagna di promozione che ha attraversato tutta l’Italia, si è assestato nell’ultimo mese su una media di 65 mila copie vendute. Nei suoi primi trenta giorni di vita la media è stata di 75 mila. In più ci sono i quarantunomila abbonamenti postali e on line.

Un giornale da centomila copie: il picco con 133 mila l’8 ottobre, il giorno dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato il Lodo Alfano. Dieci redattori, venti pagine, tante firme, collaboratori autorevoli e free lance anche all’estero, Il Fatto rappresenta un nuovo pubblico e ‘pesca’ in una inedita fetta di mercato: i lettori mostrano di apprezzare il giornale con le sue scelte nette e per la riuscita integrazione con Internet.

Nel momento della sua uscita, l’idea comune era che avrebbe portato via copie ai suoi ‘fratelli’, primo fra tutti l’Unità, ma questo non è accaduto. L’Unità, firmata da Concita De Gregorio dal 25 agosto 2008, è in crescita: a ottobre l’indice positivo è del 9,8 %, 55.672 copie di media giornaliera contro le 50.716 dell’ottobre del 2008 (dati Fieg).

Il Fatto ha quindi raccolto consensi in altri e inesplorati ambiti: i suoi lettori – secondo gli analisti – sono giovani, più vicini ad Antonio Di Pietro che a Pierluigi Bersani, quelli che riempiono teatri e piazze alle presentazioni dei libri di Marco Travaglio e agli spettacoli di Sabina Guzzanti, lontani dai partiti tradizionali e contro Silvio Berlusconi. Una conferma a questa tesi arriva dai dati riguardanti gli altri giornali.

Il Manifesto, storica testata diretta da Valentino Parlato e gestita da un collettivo di giornalisti, secondo i dati forniti dal giornale, vende circa 24 mila copie giornaliere (primo semestre 2009) , senza registrare particolari fluttuazioni rispetto al 2008. Né rispetto all’uscita del Fatto: nei giorni successivi al 23 settembre ha accusato un calo temporaneo di 400-500 copie.

Stabile Liberazione, organo di Rifondazione Comunista: le vendite – spiegano al giornale – sono di circa 10 mila copie al giorno. Un nocciolo duro di lettori rimasti fedeli alla linea del direttore Dino Greco subentrato a Piero Sansonetti, rimosso dal suo incarico per volontà della segreteria di Rifondazione guidata da Paolo Ferrero.

Sansonetti, per cinque anni alla guida di Liberazione, ha dato vita a Gli Altri. Il primo numero è uscito il 12 maggio di quest’anno: la vendità è di circa 4000 copie. Il Riformista completa il puzzle: il quotidiano, fondato da Antonio Polito e ideato dall’ex consigliere politico di Massimo D’Alema, Claudio Velardi, è stabile su 12-15 mila copie vendute, secondo le cifre fornite dallo stesso giornale. Beh, buona giornata.

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La quarta crisi: la pubblicità governativa italiana tutta su Mediaset. Alla faccia del conflitto di interessi, con buona pace di Upa e Assocomunicazione.

Gli spot sulle tv Mediaset crescono, a scapito di Rai e giornali-fonte advexpress.it

Dai dati Nielsen emerge che buona parte dei fondi di cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri dispone per la pubblicità istituzionale è stata destinata alle tv private, preferite ai canali pubblici e alla carta stampata. Non solo. Anche i big spender, si legge su ‘la Repubblica’ , stanno dirottando i loro investimenti verso le reti del Biscione, con grande soddisfazione del premier e di Publitalia .

Nemmeno la pubblicità è esclusa dal ciclone che ha investito il premier Silvio Berlusconi negli ultimi tempi. Come si apprende oggi, 17 giugno, da ‘la Repubblica’, è nata infatti una nuova polemica che riguarda proprio gli spot televisivi.

Nonostante il momento difficile per gli investimenti pubblicitari, infatti, i commercial sulle reti Mediaset continuano ad aumentare. La crescita, confermata dai dati Nielsen, è dovuta in particolare a due motivi: al fatto che i fondi per la pubblicità istituzionale di cui dispone la Presidenza del Consiglio dei Ministri vengano destinati in larga parte alle tv private e alla tendenza manifestata da molti big spender di affidare i propri budget alle reti del Biscione.

Sul fronte della pubblicità istituzionale, basta operare un confronto tra il primo trimestre del 2009 (presidenza di centrodestra) e il primo trimestre del 2008 (presidenza di centrosinistra) per rendersi conto di come gli investimenti si siano massicciamente spostati verso i canali Mediaset.

Come si legge su ‘la Repubblica’, il budget destinato alle tv private è salito nel confronto del 237%, passando da 932.000 a 3.137.000 euro, vale a dire quasi l’intera somma a disposizione, che ammonta a 3.288.000 euro. Nel dettaglio, gli investimenti su Canale 5 sono passati da 440.000 a oltre 2 milioni di euro, Italia 1 ha catalizzato una somma pari a 536.000 euro, contro i 230.000 del primo trimestre 2008, e su Rete 4 sono stati investiti nei primi tre mesi 2009 253.000 euro, ovvero molti più dei 163.000 dello scorso anno.

Questo ha comportato di conseguenza la quasi completa latitanza della pubblicità istituzionale dalla carta stampata, dove gli investimenti sono diminuiti del 98%. Beh, buona giornata.

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La quarta crisi arriva in profondità: ora tocca agli edicolanti.

Edicole/ A Roma ne sono a rischio chiusura 140. Le cause: crisi editoria, affitti salati, tasse
di Giancarlo Usai*-blitzquotidiano.it

Le edicole romane sono in crisi. E non solo per il crollo delle vendite dei giornali. Soprattutto nel centro storico, la situazione dell’ultimo anno è drammatica. Secondo le stime sindacali, in 140 edicolanti sono a rischio chiusura, con un calo del fatturato in media del 35 per cento. L’ultimo degli storici “chioschi” a terminare la sua attività è stato quello di Via del Corso, accanto alla Cassa di risparmio. Ma se non è solo la crisi dell’editoria il motivo di queste chiusure, quali sono le altre cause? Prima di tutto, gli affitti saliti alle stelle nel I municipio, con prezzi compresi tra i 600 e i 1200 euro al mese. Il centro storico è anche zona critica per le spese di occupazione del suolo pubblico, circa 115 euro a metro quadro.

Se a tutte queste uscite si sommano incassi medi sotto ai duecento euro al giorno, ecco spiegato il perché i rivenditori storici di giornali stanno rischiando di diventare un semplice ricordo del passato.

Poi, come sostiene la Fieg, ci sono problemi legati alla cattiva distribuzione delle licenze concesse dal Comune di Roma. Nei quartieri centrali c’è un esubero di almeno 350 edicole, mentre nelle nuove zone periferiche l’obiettivo di un’edicola ogni mille abitanti è lontano dall’essere realizzato. Ora, con molti edicolanti storici che saranno costretti ad abbassare la saracinesca, la richiesta dei sindacati è di trasferire ai nuovi punti vendita in periferia i titolari di licenze rimasti senza lavoro. (Beh, buona giornata).

*Scuola di Giornalismo Luiss

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