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3DNews/Il vero problema? Sono i soldi finti.

Il modello neoliberista sta fallendo, affondato dalla demografia ,dal concetto di Pil e dall’abuso delle leve finanziarie

Per ogni barile di petrolio reale se ne trattano 19 virtuali che non esistono ma che ne influenzano il prezzo.

di Diego Gargia *

La politica interna italiana non è mai stata così determinante per l’andamento dei mercati finanziari. Non solo i BTP e l’S&P MIB ma anche le obbligazioni governative EMU, borse e persino mercato dei cambi seguono minuto per minuto le dichiarazioni dei politici italiani e la sorte del governo e della legislatura del nostro Paese.
I mercati finanziari hanno dimostrato negli ultimi mesi di valutare positivamente l’annuncio di un cambio di guida politica.

Poiché l’Italia ha essenzialmente un problema di debito più che di deficit, il mercato potrebbe lecitamente attendersi da un nuovo governo soluzioni per riportare il rapporto incriminato Debito/PIL verso il 100% in tempi più brevi di quanto consentito dalla sola azione sui saldi correnti. Dunque, le alternative sono operazioni in conto capitale(privatizzazioni), o un’imposta patrimoniale (che se ben fatta si potrebbe
auto-finanziare) o meglio , un prelievo temporaneo tipo TARP USA ( Troubled Asset Relief Program è un programma del governo degli statuniti per comprare titoli e azioni dalla istituzioni finanziare per sostenre e rinfonzare il settore (attuato nel 2008 a seguito della crisi subprime) finalizzato a sostenere il mercato primario del BTP (se non decolla il sostegno del fondo speciale detto’EFSF).

Una diga di questo genere alla dismissione di titoli italiani da parte degli stranieri (possessori di quasi metà dei BTP in circolazione) potrebbe essere eretta sino a passare l’emergenza: a tre anni dalla crisi, la TARP ha prodotto un piccolo utile per il contribuente USA….

Comunque, se mai si abbasserà il rischio Italia, rimane un grosso problema ben più grande del nostro. Parlo degli strumenti derivati,nati per ridurre i rischi finanziari, che a causa dell’assenza di una seria regolamentazione fanno si che minimi movimenti dei mercati vengano amplificati.
Per dare un esempio concreto vi dico che per ogni barile di petrolio estratto venduto e raffinato né esistono altri 19 virtuali che non esistono e mai esisteranno che però ne influenzano il prezzo.

Questo avviene per tutto ciò che ci circonda alimenti,merci,materie prime,azioni,obbligazioni valute e debito sovrano, potete voi immaginarvi gli effetti sulle nostre economie di queste dinamiche e comunque già qualche speculatore sta iniziando a puntare il debito della repubblica francese rompendo il teorema dei piigs.
Il modello neoliberista che ha dominato gli ultimi 30 anni, sta fallendo sempre più affondato dalla demografia ,dal concetto di Pil e da una società dei consumi, che ha saturato i propri cittadini di ogni bene e che però ora non avrà la capacità di assisterne le esigenze primarie (Welfare).

Una guerra generazionale è gia in corso tra quelli che hanno avuto tanto e non vogliono perderlo fino all’ultimo e quelli che hanno avuto poco e non avranno niente.
Dopo che anche il sommo sacerdote Greenspan’ ha ammesso davanti al congresso che non avevano piena coscienza della gravità della situazione durante gli anni del suo mandato non ci resta, dopo aver risolto il problema interno, che rivolgersi a Wall Street per guardare non ai soliti mercati ma il movimento di Occupy Ws .
Questa crisi non è la solita che si risolleverà con tagli ai costi,tassi bassi e investimenti e incentivi e le solite misure.

Una riforma del sistema capitalistico e dei mercati è obbligatoria altrimenti il sistema imploderà. Eppure basterebbe poco per far si che i mercati siano al servizio dell’economia reale e non viceversa. Ma questa è una altra storia. Oggi purtroppo la nostra prima preoccupazione resta la sopravvivenza dei nostri risparmi e di quel che resta della solidità e della reputazione del nostro paese.

* promotore finanziario, già consigliere regionale ANAF

°Rispettando le agitazioni sindacali in atto al quotidiano TERRA, questa settimana 3D uscirà solo sul web. Saremo in rete sui siti www.3dnews.it, www.ildiariodilosolo.com, www.marco-ferri.com a partire dalle 24 di oggi.

3DNews, Settimanale di Cultura, Spettacolo e Comunicazione
Inserto allegato al quotidiano Terra. Ideato e diretto da Giulio Gargia.
In redazione: Arianna L’Abbate – Webmaster: Filippo Martorana.

(Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Lavoro

L’Ocse dice che il teorema Tremonti è sbagliato. Con buona pace del governo Berlusconi.

L’Ocse: per l’Italia “lunga recessione”, di Galapagos-Il Manifesto

Il giudizio dell’Ocse è da brivido: “L’Italia ha di fronte una profonda e prolungata recessione”. E facendo seguire i numeri alle parole, l’organizzazione parigina – nell’ultimo rapporto dedicato all’Italia – sostiene che quest’anno il Pil crollerà del 5,3% e il tasso di disoccupazione potrebbe salire al 10%. Cifre che peggiorano le previsioni formulate il 31 marzo quando l’Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo economico – di cui sono soci i 30 paesi più industrializzati del mondo – indicò per l’Italia una caduta del Pil del 4,3% e una disoccupazione intorno al 9,2%. Commenta l’Ocse: quello che “ha colpito della recessione italiana è la sua ampiezza”.

Che quasi sicuramente deriva dalla scarsa domanda interna e dalla eccessiva dipendenza della domanda globale in forte caduta come conseguenza della crisi.
Ugualmente negativo il giudizio sull’andamento dei conti pubblici: il deficit pubblico (rispetto al Pil) per quest’anno è prospettato al 6%, accompagnato da una crescita del debito “oltre il 115%”, “vicino al 120% entro la fine” dell’anno prossimo. Un po’ meno pessimista, invece, l’Ocse è sull’andamento del Pil nel 2010: c’è una piccola inversione rispetto alla previsione di fine marzo. Ora per il prossimo anno è prevista una crescita dello 0,4%, invece di una caduta dello 0,4%. Negli ani successivi, invece, “grazie alla relativa solidità dei bilanci delle famiglie e delle imprese, la ripresa potrebbe essere più robusta che altrove”.

Altri dati negativi rigurdano i consumi: nel 2009 accuseranno un calo del 2,4% per restare poi fermi nel 2010. Gli investimenti fissi a fine 2009 crolleranno del 16% (-20,2% per macchinari ed equipaggiamenti) per tornare a crescere di appena l’1,3% nel 2010. Particolarmente negativo anche l’andamento del commercio estero: le esportazioni scenderanno del 21,5% (-0,7% nel 2010) e le importazioni del 20,2% (-0,2% nel 2010).

A fronte di questa situazione, il governo come si comporta? “Il debito italiano è troppo alto per permettere al governo di fare di più” per sostenere la domanda interna, scrive l’Ocse, apprezzando la cautela delle autorità. Ulteriore problema legato al debito pubblico: “Circa 300 miliardi di euro del debito maturano nel 2009″ e dovranno essere rinnovati. E un ammontare simile è previsto per il 2010. Inoltre, il deficit di bilancio necessiterà di nuovi prestiti per 80 miliardi di euro”.

Per l’Ocse il governo nel varare le misure anticrisi ha avuto a disposizione un “limitato spazio di manovra” nel quale si è mosso abbastanza bene. Per il futuro, tuttavia, l’Organizzazione sostiene che “nel lungo periodo la performance economica può essere migliorata con riforme macroeconomiche e strutturali”. E ritiene utili le iniziative che vanno a sostegno dei nuovi disoccupati che mettono in luce “una certa debolezza nel sistema italiano di welfare”, molto sbilanciato nella spesa pensionistica. E sono proprio le pensioni e la sanità le due aree su cui l’intervento del governo è giudicato prioritario da parte dell’Ocse. Perplessità, invece, vengono rinnovate nei confronti delle misure di sostegno all’industria dell’auto, che “rischiano di falsare l’allocazione delle risorse”. Il settore auto – secondo gli esperti di Parigi – non riveste importanza sistemica e anche se le misure adottate hanno stimolato le vendite di auto a breve termine, è poco probabile che un tale sostegno costituisca il miglior utilizzo delle risorse pubbliche. Ma l’Ocse non dice che gli incentivi alla rottamazione in pratica si autofinanziano con le maggiori vendite. Senza contare che una caduta della produzione e delle immatricolazioni sarebbe costata moltissimo in termini di cassa integrazione e licenziamenti nell’indotto.

Per quanto riguarda il sistema bancario, si sottolinea che “le caratteristiche che hanno protetto le nostre banche sono le stesse che ora possono esporle alle conseguenze della recessione”. E avverte che “gli sforzi di ricapitalizzazione devono continuare, preferibilmente attraverso interventi privati, nazionali ed esteri, ma senza escludere il ricorso al capitale pubblico. Nel rapporto è anche scritto che l’esposizione delle banche italiane nell’Europa centrale e dell’Est supera i 140 miliardi di euro alla fine del 2008. L’esposizione italiana nei paesi in via di sviluppo, che includono quelli dell’Est Europa, nel 2007 “era inferiore a quella delle banche di Germania, Francia, Spagna e Olanda”. “In termine assoluti – si legge nel rapporto – le banche italiane sono più esposte verso Polonia, Croazia, Ungheria e Russia”. L’esposizione con la Polonia è di 35 miliardi di euro, quella con la Croazia di 22 miliardi, quella con l’Ungheria di 18 miliardi e quella con la Russia di 16 miliardi.

Non poteva, ovviamente, mancare la reiterazione della richiesta di rilancio delle liberalizzazioni, estendendo ad altri settori (come trasporti e servizi locali) quelle già compiute, per aumentare la concorrenza e migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione. L’Ocse fa un esercizio di quantificazione dei benefici delle liberalizzazioni: se l’Italia adeguasse la sua normativa nei settori non-manifatturieri alla “best practice” internazionale, ricaverebbe un aumento del 14,1% della produttività su 10 anni. Se si limitasse a raggiungere i livelli migliori della Ue il miglioramento sarebbe del 13,7%. Nella simulazione dell’Ocse, l’incremento deriverebbe da un +2,6% nel settore dell’elettricità e del gas, dal 4,9% nel retail e dal 7,4% nei servizi professionali. Sarebbero quindi “benefici elevati”, soprattutto nel caso dei servizi professionali, dove l’attuale contesto normativo è particolarmente “scadente se paragonato a quelli di altri paesi”.

Un capitolo è dedicato al federalismo fiscale, che “potrebbe essere difficile da perseguire”. “È importante che abbia un forte sostegno politico e regionale”. Secondo l’Ocse “una nuova tassa locale, in parte basata sul valore delle proprietà di case, sarebbe altamente desiderabile dal punto di vista del federalismo fiscale”. (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia Lavoro

Come “non” si sta uscendo dalla crisi finanziaria.

di CARLO CLERICETTI da repubblica.it

Dopo che si è saputo ufficiosamente che la Bank of America avrebbe avuto bisogno di altri 35 miliardi di dollari di ricapitalizzazione – dopo i 45 già ottenuti – all’apertura di Wall Street il titolo, invece di crollare come ci si sarebbe aspettati, si è impennato del 12% ed ha poi chiuso con un guadagno di oltre il 17%. Altrettanto cospicui rialzi (Citigroup 16,6%, Wells Fargo 15,6) hanno fatto segnare le altre banche che, secondo le anticipazioni dello “stress test” a cui le hanno sottoposte le autorità monetarie, avranno anch’esse bisogno di un’altra montagna di soldi per evitare il fallimento. Un altro segno del completo impazzimento del mercato? Sì, e anche no. Il motivo, per quanto paradossale, di questo andamento sta nel fatto che gli analisti ritenevano che di soldi ne servissero ancora di più, nel caso di Bank of America almeno il doppio. E dunque tutti hanno considerato la notizia una bella sorpresa.

Delle numerose follie che hanno portato alla crisi globale e di come venirne fuori hanno parlato martedì scorso quattro esperti d’eccezione, nel corso della Fixing Finance Conference organizzata dall’Abi. Il Nobel per l’economia Jo Stiglitz, Rainer Masera, banchiere di lungo corso ed ex ministro dopo essere stato molti anni ai vertici di Via Nazionale, Luigi Spaventa, uno dei più autorevoli economisti italiani e – tra l’altro – ex presidente della Consob e Giuseppe Zadra, direttore dell’associazione bancaria, che ha introdotto il dibattito.

Quella di Stiglitz, già consigliere di Bill Clinton e da anni feroce critico degli eccezzi del liberismo e della finanziarizzazione, più che un’analisi economica è stata un’orazione accusatoria. “Il sistema finanziario avrebbe dovuto gestire i rischi, invece li ha creati. Avrebbe dovuto finanziare le imprese, invece impiegava i capitali nei mutui subprime. Andava a caccia dei soldi dei più poveri con prestiti predatori. E la malattia ha contagiato anche le aziende, che impiegavano più di un terzo dei profitti nel settore finanziario invece che per svilupparsi”.

La crescita della disuguaglianza nel reddito (“oggi ce n’è più che nel ’29”) ha influito negativamente sulla domanda aggregata, resa insufficiente – e qui la tesi di Stglitz appare piuttosto sorprendente – anche dal comportamento dei paesi del Far East, che, scottati dalla crisi del ’97, hanno cominciato ad accumulare riserve sottraendo risorse allo sviluppo. Poi l’economista ha fatto a fette i vari piani di salvataggio Usa, sia i due di Hank Paulson (il segretario al Tesoro di Bush), sia quello attuale di Tim Geithner. “Finora sono stati iniettati nel sistema 7 trilioni di dollari, ma è stato confuso il salvataggio delle banche con quello dei banchieri”. Un bell’esempio, ha detto con pesante ironia, di “socialismo all’americana”, in cui lo Stato redistribuisce i soldi dai meno abbienti ai ricchi. Dalla crisi, ha concluso, si esce tornando a considerare la finanza un mezzo per finanziare gli impieghi produttivi. E basta con le banche così grandi che, se falliscono, trascinano nel disastro l’intera economia: serve una nuova legge antitrust che imponga loro una riduzione delle dimensioni.

Più tecniche le ricette di Rainer Masera, che ha fatto parte del gruppo di otto saggi presieduto dall’ex governatore francese Jacques de Larosière che ha presentato a metà marzo le sue proposte di riforma. Masera ha insistito sull’importanza che la vigilanza “micro” (cioè quella attuale sugli operatori finanziari) sia affiancata da una “macro”, cioè sui rischi sistemici, che andrebbe affidata alla Bce, mentre l’altra resterebbe alle banche centrali nazionali. L’istituto di Francoforte vorrebbe invece poteri diretti anche sui gruppi di dimensione europea, ma “i 25 maggiori gruppi possiedono i tre quarti degli asset europei”, ha osservato Masera, obiettando implicitamente che in questo modo si svuoterebbe il ruolo delle banche centrali dei vari paesi.

Da cambiare anche l’accordo “Basilea 2”, che ha stabilito le nuove regole internazionali per le banche. Rispettando quei criteri, per esempio, l’Ubs, a fronte di mezzi propri per 40 miliardi di franchi svizzeri, aveva impieghi per 1,7 trilioni. Servono inoltre una serie di provvedimenti per ridimensionare il ruolo e controllare le agenzie di rating, che hanno mostrato ancora una volta una scarsissima attendibilità. Quanto alle ultime stime del Fondo monetario sugli asset “tossici” in circolazione, Masera ha detto con franchezza che le ritiene sbagliate per eccesso. “Si parla di oltre 4 trilioni di cui 2,7 in possesso delle banche. Finora quelli emersi sono 1,2 trilioni: non mi pare credibile che ce ne siano altrettanti”. Per risolvere il problema servirebbe comunque un piano europeo simile a quello Geithner, considerando che “per molti asset è possibile una rivalutazione”.

Anche Spaventa considera determinante agire su questo fronte. “L’immissione di grandi quantità di liquidità è stata essenziale, ma non decisiva, perché la causa di fondo è il deprezzamento senza limiti di grandi quantità di titoli”. D’altronde Spaventa è un po’ il padre della “bad bank”, cioè di una società creata appositamente per liberare le banche dai titoli-zavorra, che propose con un articolo sul Financial Times ancora ai tempi dell’amministrazione Bush. L’economista ha anche messo in guardia sui rischi che i piani di salvataggio, pur necessari, stanno creando per il futuro. “In sei mesi l’attivo della Fed è salito di due volte e mezza. Si sta sostituendo indebitamento pubblico a quello privato, ma questo allontana l’obiettivo di un riequilibrio strutturale”. La riforma del sistema finanziario, in estrema sintesi, dovrà prevedere: più capitalizzazione; riduzione dell'”effetto leva”; un’attenta vigilanza di stabilità; una vigilanza estesa a tutti i soggetti, anche non-banche, visto che proprio in questo sistema finanziario ombra si sono create le condizioni a un certo punto esplose nella crisi. “Ma poi servono le istituzioni per sorvegliare le regole”, ha concluso.

L’impressione che è emersa dal dibattito rafforza quella che già alcuni avevano prima che scoppiasse la crisi. Non solo la finanza, ma tutta l’economia almeno negli ultimi due decenni ha giocato alla roulette russa, infischiandosene degli alti rischi perché intanto i guadagni – per un numero limitato di giocatori, ma quelli che contavano – erano enormi. “Ho visto con un certo sgomento – ha detto Giuseppe Zadra – adottare il sistema del fair value”. Detto alla grossa, è quello per cui ai titoli in portafoglio si attribuisce un valore stimato dallo stesso soggetto che lo detiene. “Si buttavano all’aria 600 anni di principi della contabilità”. E poi la spasmodica “ricerca di rendimenti da parte degli investitori istituzionali”, che li spingeva ad assumere rischi eccessivi. Già, investitori sempre più numerosi, in una fase storica di progressivo aumento della privatizzazione dei sistema previdenziali. Il tutto in nome dell’assunto ideologico che il mercato è sempre e comunque il sistema più efficiente e che per assioma “si autoregola”. Beh, si è visto che le cose non vanno esattamente in questo modo. (Beh, buona giornata)

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Finanza - Economia

A Obama non piace il capitalismo finanziario.

In un’intervista con il New York Times di oggi, Barack Obama ha detto: “ciò che ritengo fosse un’aberrazione, era una situazione in cui i profitti corporativi del settore finanziario costituivano una parte così consistente della nostra redditività complessiva. Questo, credo, cambierà. È importante comprendere che parte della ricchezza generata nell’ultimo decennio per i benefici delle imprese era puramente illusoria». Beh, buona giornata.

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