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Popoli e politiche

L’attacco israeliano alla Freedom Flottilla: la strage di civili, il disastro diplomatico.

Così Israele affonda la sua sicurezza-http://nigro.blogautore.repubblica.it/

Sono ancora imprevedibili nei dettagli, ma saranno sicuramente devastanti per Israele le conseguenze politiche dell’attacco alle navi di pacifisti dirette verso Gaza. Da giorni si era capito che questa edizione della “Freedom Flottilla” sarebbe stata molto più difficile e delicata da gestire per il governo Netanyahu. Per un solo, grandissimo motivo: quest’anno la Freedom Flottilla ha come suo principale sponsor politico-organizzativo un potente paese membro della Nato, una nazione che è diventata un peso massimo nella geo-politica del Medio Oriente allargato: la Turchia.

La prima nave ad essere attaccata dai commandos israeliani è stata proprio la “Mavi Marmara”, un traghetto turco che sulle fiancate esponeva una enorme bandiera turca accanto a quella palestinese. Da due anni la Turchia di Recep Tayyp Erdogan ha abbandonato la tradizionale, strategica alleanza politico-militare con Israele per riavvicinarsi a Siria, Iran e alle monarchie petrolifere del Golfo Persico. Anche grazie ad alcuni passi falsi di Israele (vedi la sceneggiata della convocazione dell’ambasciatore turco a Tel Aviv da parte del viceministro Danny Ayalon), Israele è sembrata fare di tutto per facilitare la scelta strategica di Erdogan di diventare il nuovo paladino dei diritti dei palestinesi di Gaza e Cisgiordania.

A questo contribuisce il fatto che il tradizionale alleato di Israele nell’establishment istituzionale turco, la potente classe dei militari, negli ultimi mesi sta vedendo progressivamente ridimensionato il suo ruolo nell’equilibrio dei poteri con gli islamici di Erdogan.

Ahmet Davutoglu, il super-attivo ministro degli Esteri, ha già fatto convocare per una protesta l’ambasciatore israeliano. Nei giorni scorsi il ministro in persona aveva chiesto al governo Netanyahu di inventarsi una formula per gestire in maniera intelligente le richieste della flottiglia: già in passato Gerusalemme (agosto 2006) aveva permesso un avvicinamento controllato alle coste di Gaza per scaricare aiuti diretti ai palestinesi.

La scelta di attaccare navi civili in acque internazionali, il tipo di assalto condotto dai commandos, la morte ai almeno 15 pacifisti, lo schiaffo pauroso al governo turco sono tutti elementi di una crisi che il governo israeliano ha contribuito a creare e che danneggerà innanzitutto la credibilità di tutta Israele e a lungo termine indebolirà il diritto alla sicurezza e la stessa legittimità del popolo dello Stato ebraico.

Ankara ha già emesso la sua condanna col comunicato diffuso dagli Esteri: “I militari israeliani hanno usato la forza contro civili, tra cui donne, bambini e vecchi di vari Paesi che volevano portare aiuti umanitari a Gaza. Israele colpendo civili innocenti, ha ancora una volta dimostrato di ignorare del tutto la vita umana e le iniziative di pace e noi condanniamo con forza tale inumano trattamento da parte di Israele”. Sembra il linguaggio di un’organizzazione islamica radicale: sono invece le parole di quello che era l’unico, vero alleato islamico di Gerusalemme.
(Beh, buona giornata).

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Popoli e politiche

Gaza non è l’Aquila.

di Gideon Levy – «Haaretz» da megachip.info

Alyan Abu-Aun giace nella sua tenda, accanto a lui le sue stampelle. Fuma sigarette e guarda nella spazio vuoto della piccola tenda. Il figlioletto gli siede in grembo. Dieci persone sono stipate in una tenda che ha le dimensioni di una piccola stanza. È la loro casa da tre mesi. Nulla rimane della loro casa precedente, che le Forze di Difesa di Israele bombardarono durante l’Operazione Piombo Fuso. Sono profughi per la seconda volta; la madre di Abu-Aun ricorda ancora la sua casa a Sumsum, una città che una volta era vicino ad Ashkelon.

Abu-Aun, 53 anni, è stato ferito durante il tentativo di fuggire quando la sua casa nella città di Beit Lahia, nella striscia di Gaza, è stata bombardata. Da allora è in stampelle. Sua moglie ha partorito durante la guerra, e ora il bambino è con loro nella tenda fredda. La tenda è stata spazzata via durante la tempesta che ha imperversato sulla Striscia di Gaza mercoledì scorso, così che la famiglia ha dovuto ripiantarla. Ricevono l’acqua solo occasionalmente in un serbatoio, e hanno una piccola baracca di latta come bagno per 100 famiglie in questo nuovo campo di rifugiati, ‘Camp Gaza,’ a Beit Lahia quartiere di Al-Atatra.

Abu-Aun sembrava particolarmente amareggiato lo scorso fine settimana; la Croce Rossa ha negato alla sua famiglia un tenda più grande. E poi ne ha abbastanza di mangiare fagioli.

Da tre mesi, la famiglia di Abu-Aun e migliaia di altri, vivono in cinque tendopoli costruite dopo la guerra. Non hanno iniziato a portare via i resti delle loro case, per non parlare di costruirne di nuove. A migliaia vivono all’ombra delle rovine delle loro case, a migliaia nelle tende, migliaia stipati insieme ai loro parenti, decine di migliaia di persone, nuovi senzatetto, per i quali il mondo ha perso interesse. Dopo la conferenza dei paesi donatori, convocata con grande fanfara a Sharm el-Sheikh un mese e mezzo fa, che comprendeva 75 paesi e che ha deciso di stanziare 1 miliardo di dollari per la ricostruzione di Gaza, nulla è accaduto.

Gaza è sotto assedio. Non ci sono materiali da costruzione. Israele e il mondo impongono condizioni, i palestinesi non sono in grado di formare un governo di unità, come è necessario, di soldi e di calcestruzzo non se ne vedono e la famiglia di Abu-Aun continua a vivere in una tenda. Anche i 900 milioni di dollari promessi dagli Stati Uniti sono bloccati nel registratore di cassa. C’è da dubitare se verranno mai tirati fuori. Parola dell’America.

È esattamente da tre mesi che si fa tanto parlare di guerra, e Gaza è ancora una volta dimenticata. Israele non si è mai data cura del benessere delle sue vittime. Ora anche il mondo ha dimenticato. Due settimane con a malapena un razzo Qassam son bastate a portare Gaza completamente fuori dall’ordine del giorno. Se gli abitanti di Gaza non si sbrigano a riprendere il fuoco, nessuno un’altra volta si darà cura del loro benessere. Anche se non è nuovo, questo è un messaggio particolarmentee terribile e doloroso capace di innescare il prossimo ciclo di violenze. E allora sarà certo che non riceveranno aiuti, perché staranno sparando.

Qualcuno deve assumersi la responsabilità per le sorti della famiglia Abu-Aun e di altre vittime come loro. Se fossero stati feriti in un terremoto, il mondo probabilmente avrebbe aiutato loro a riprendersi già da molto. Anche Israele avrebbe rapidamente speditio convogli di aiuti da parte di ZAKA, Magen David Adom, persino dell’IDF (le Forze di Difesa di Israele, ndt). Ma la famiglia di Abu-Aun non è stata ferita da una calamità naturale, bensì da mani, carne e sangue “made in Israel” e non per la prima volta. La risposta: nessun risarcimento, nessun aiuto, nessuna riabilitazione. Israele e il mondo sono troppo preoccupati da altre faccende per ricostruire Gaza. Non hanno più parole. Gaza, ricordate?

Dalle rovine della famiglia di Abu-Aun germoglia una nuova disperazione. Sarà più amara rispetto alla precedente. Una dignitosa famiglia di otto persone è stata distrutta, fisicamente e psicologicamente, e il mondo se ne lava le mani. Non dobbiamo aspettarci che Israele compenserà le sue vittime o ricostruisca le rovine che ha causato, anche se questo sarebbe nel suo interesse, per non parlare del suo obbligo morale, un argomento di cui neppure si parla.

Ancora una volta il mondo deve ripulire i casini di Israele. Ma Israele sta imponendo sempre più condizioni politiche per fornire aiuti umanitari di emergenza: scuse vacue per lasciare Gaza in rovina e non offrire l’aiuto che Gaza merita e di cui ha disperatamente bisogno. Gaza, ancora una volta, è stata lasciata a se stessa, la famiglia di Abu-Aun è stata lasciata nella sua tenda, e quando le ostilità riprenderanno ci verranno a parlare, ancora una volta, della crudeltà e della brutalità de… i palestinesi. (Beh, buona giornata).

Articolo originale: Gideon Levy, Gaza, remember? – «Haaretz»
Link: http://haaretz.com/hasen/spages/1079219.html

Traduzione di Manlio Caciopo per Megachip

Aggiornamento:
Ci siamo accorti a pubblicazione avvenuta che anche l’amica Manuela Vittorelli della rete di traduttori Tlaxcala aveva tradotto pure lei l’articolo di Gideon Lev

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Attualità

Nessuno parla più di Gaza. Tranne due chirurghi inglesi.

di Dr. Ghassan Abu Sittah e Dr. Swee Ang – «The Lancet»* (da megachip.info)

Il dottor Ghassan Abu Sittah ed il dottor Swee Ang, due chirurghi inglesi, sono riusciti a raggiungere Gaza durante l’invasione israeliana. In questo articolo descrivono le loro esperienze, condividono le loro opinioni e ne traggono le inevitabili conseguenze: la popolazione di Gaza è estremamente vulnerabile e totalmente inerme davanti ad un eventuale attacco israeliano.
Le ferite di Gaza sono profonde e stratificate. Intendiamo parlare del massacro di Khan Younis del 1956, in cui 5mila persone persero la vita? Oppure dell’esecuzione di 35mila prigionieri di guerra da parte dell’esercito israeliano nel 1967? E la prima Intifada, in cui alla disobbedienza civile di un popolo sotto occupazione si rispose con un incredibile numero di feriti e centinaia di morti? Ancor di più, non possiamo non tener conto dei 5.420 feriti nel sud di Gaza durante le ostilità del 2000. Ma, nonostante tutto ciò, in questo articolo ci occuperemo esclusivamente dell’invasione che ha avuto luogo dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009.
Si stima che, in quei 23 giorni, siano state riversate sulla Striscia di Gaza un milione e mezzo di tonnellate di esplosivo. Per dare un’idea approssimativa di ciò di cui si sta parlando, è bene specificare che il territorio in questione copre una superficie di 360 kilometri quadrati ed è la casa di 1,5 milioni di persone: è l’area più densamente popolata del mondo. Prima dell’invasione, è stata affamata per 50 giorni da un embargo commerciale ma, in realtà, fin dall’elezione dell’attuale governo è stata posta sotto vincoli commerciali. Negli anni, l’embargo è stato parziale o totale, ma mai assente.
L’occupazione si è aperta con 250 vittime in un solo giorno. Ogni questura è stata bombardata, causando ingenti perdite tra le forze dell’ordine. Dopo aver spazzato via la polizia, l’esercito israeliano si è dedicato ai bersagli non governativi. Gli elicotteri Apache e gli F16 hanno fatto piovere morte dal cielo, mentre i cannoni della marina militare hanno condotto un attacco dal mare e l’artiglieria si è occupata della terra. Molte scuole sono state ridotte in macerie, tra cui l’American School of Gaza, 40 moschee, alcuni ospedali, vari edifici dell’ONU ed ovviamente 21mila case, di cui 4mila sono state rase al suolo. Circa 100mila persone sono divenute improvvisamente senzatetto.

Le armi israeliane

Gli armamenti impiegati, oltre alle bombe e agli esplosivi ad alto potenziale convenzionali, includono anche tipologie non convenzionali. Ne sono state identificate almeno quattro categorie:

Proiettili e bombe al fosforo
I testimoni oculari affermano che alcune bombe esplodevano in quota, rilasciando un ampio ventaglio di micro-ordigni al fosforo che si distribuivano su un’ampia superficie. Durante l’invasione via terra, i carri armati erano usi sfondare le mura delle case con proiettili ordinari per poi far fuoco al loro interno con proiettili al fosforo. Questo metodo permette di scatenare terribili incendi all’interno delle strutture, ed un gran numero di corpi carbonizzati è stato rinvenuto ricoperto da particelle di fosforo incandescente. Un preoccupante interrogativo è posto dal fatto che i residui rinvenuti paiono amalgamati ad un agente stabilizzante speciale, che gli conferisce la capacità di non bruciare completamente, fino all’estinzione. I residui di fosforo ancora coprono le campagne, i campi da gioco e gli appartamenti. Si riaccendono quando i bambini curiosi li raccolgono, oppure producono fumi tossici quando i contadini annaffiano le loro terre contaminate. Una famiglia, ritornata al suo orto dopo le ostilità, ha irrigato il terreno ed è stata inglobata da una coltre di fumo sprigionata dal suolo. La semplice inalazione ha prodotto epistassi. Questi residui di fosforo trattato con stabilizzante sono, in un certo senso, un analogo delle mine antiuomo. A causa di questa costante minaccia, la popolazione (specialmente quella infantile) ha difficoltà a tornare ad una vita normale.
Dagli ospedali, i chirurghi raccontano di casi in cui, dopo una laparotomia primaria per curare ferite relativamente piccole e poco contaminate, un secondo intervento ha rivelato aree crescenti di necrosi dopo un periodo di 3 giorni. In seguito, la salute generale del paziente si deteriora ed, entro 10 giorni, necessitano un terzo intervento, che mette in luce una massiccia necrosi del fegato. Questo fenomeno è, a volte, accompagnato da emorragie diffuse, collasso renale, infarto e morte. Sebbene l’acidosi, la necrosi del fegato e l’arresto cardiaco improvviso (dovuto all’ipocalcemia) siano tipiche complicazioni nelle vittime di fosforo bianco, non è possibile attribuirle alla sola opera di questo agente.
È necessario analizzare ed identificare la vera natura di questo fosforo modificato ed i suoi effetti a lungo termine sulla popolazione di Gaza. È anche urgente la raccolta e lo smaltimento dei residui di fosforo sulla superficie dell’intera regione. Queste sostanze emettono fumi tossici a contatto con l’acqua: alla prima pioggia potrebbero avvelenare tutta la Striscia. I bambini dovrebbero imparare a riconoscere ed evitare questi residui pericolosi.

Bombe pesanti
L’uso di bombe DIME (esplosivi a materiale denso inerte) risulta evidente, anche se non è stato determinato con chiarezza se sia stato impiegato uranio impoverito nelle aree meridionali. Nelle zone urbane, i pazienti sopravvissuti mostrano amputazioni dovute a DIME. Queste ferite sono facilmente riconoscibili perché i moncherini non sanguinano ed il taglio è netto, a ghigliottina. I bossoli e gli shrapnel delle DIME sono estremamente pesanti.

Bombe ad implosione
Tra le armi usate, ci sono anche i bunker-buster e le bombe ad implosione. Ci sono casi, come quello del Science & Technology Building o dell’università islamica di Gaza, in cui un palazzo ad otto piani è stato ridotto ad un mucchio di detriti non più alto di un metro e mezzo.

Bombe silenziose
La popolazione di Gaza ha descritto un nuovo tipo di arma dagli effetti devastanti. Arriva sotto forma di proiettile silenzioso, o al massimo preceduto da un fischio, e vaporizza tutto ciò che si trova in aree estese senza lasciare tracce consistenti. Non sappiamo come categorizzare questa tecnologia, ma si può ipotizzare che sia una nuova arma a particelle in fare di sperimentazione.

Esecuzioni
I sopravvissuti raccontano di tank israeliani che, dopo essersi fermati davanti agli appartamenti, intimavano ai residenti di uscirne. Di solito, i primi ad obbedire erano i bambini, gli anziani e le donne. Che, altrettanto prontamente, venivano messi in fila e fucilati sul posto. Decine di famiglie sono state smembrate in questo modo. Nello scorso mese, l’assassinio deliberato di bambini e donne disarmate è stato anche confermato da attivisti per i diritti umani.

Eliminazione di ambulanze
Almeno 13 ambulanze sono state vittima di sparatorie. Gli autisti e gli infermieri sono stati sparati mentre recuperavano ed evacuavano i feriti.

Bombe a grappolo
Le prime vittime delle bombe a grappolo sono state ricoverate all’ospedale Abu Yusef Najjar. Più della metà dei tunnel di Gaza sono stati distrutti, rendendo inutilizzabile gran parte delle infrastrutture atte alla circolazione dei beni primari. Al contrario di ciò che si pensa, questi tunnel non sono depositi per armi (anche se potrebbero essere stati usati per trafugare armi leggere), ma per carburante ed alimenti. Lo scavo di nuovi tunnel, che ora occupa un buon numero di palestinesi, ha talvolta innescato bombe a grappolo presenti sul suolo. Questo tipo di ordigni è stato usato al confine di Rafah e già cinque ustionati gravi sono stati portati all’ospedale dopo l’esplosione di queste trappole.

Conteggio dei morti
Al 25 gennaio 2009, la stima dei morti è arrivata a 1.350. Il numero è in continua ascesa a causa della mole di feriti gravi che continuano a morire negli ospedali. Il 60% dei morti è costituito da bambini.

Feriti gravi
Il numero dei feriti gravi è di 5.450, con un 40% di bambini. Si tratta in massima parte di pazienti ustionati o politraumatici. Coloro che hanno subito fratture ad un solo arto e coloro che, pur avendo riportato lesioni sono ancora in grado di camminare, non sono stati inclusi in questo conteggio.
Nelle nostre discussioni con infermiere e dottori, le parole “olocausto” e “catastrofe” sono state spesso menzionate. Lo staff medico al completo porta i segni del trauma psicologico dovuto al lavoro frenetico dell’ultimo mese, passato a fronteggiare le masse che hanno affollato le camere mortuarie e le sale operatorie. Molti dei pazienti sono deceduti nel Reparto Incidenti ed Emergenza, ancor prima della diagnosi. In un ospedale distrettuale, il chirurgo ortopedico ha portato a termine 13 fissazioni esterne in meno di un giorno.
Si stima che, tra i feriti gravi, 1.600 sono destinati a rimanere disabili a vita. Tra questi, molti hanno subito amputazioni, ferite alla colonna vertebrale, ferite alla testa, ustioni estese con contratture sfiguranti.

Fattori speciali
Durante l’invasione, il numero dei morti e dei feriti è stato particolarmente alto a causa dei seguenti motivi:

* Nessuna via di fuga: Gaza è stata sigillata dalle truppe israeliane, che hanno impedito a chiunque di fuggire dai bombardamenti e dall’invasione terrestre. Semplicemente, non c’era alcuna via di fuga. Anche all’interno dei confini di Gaza gli spostamenti dal nord al sud sono stati resi impossibili dai tank israeliani, che hanno tagliato ogni via di comunicazione. Al contrario della guerra in Libano dell’82 e del ‘06, in cui la popolazione poteva spostarsi dalle aree di bombardamento massiccio a quelle di relativa sicurezza, un opzione di questo tipo era preclusa a Gaza.

* La densità della popolazione di Gaza è eccezionale. E’ inquietante notare che le bombe impiegate dall’esercito israeliano sono “ad alta precisione”. Il loro tasso di successo, nel centrare palazzi affollati, è del 100%. Altri esempi? Il mercato centrale, le stazioni di polizia, le scuole, gli edifici dell’ONU (in cui gli abitanti erano confluiti per sfuggire ai bombardamenti), le moschee (di cui 40 sono state rase al suolo) e le case delle famiglie, convinte di essere al sicuro perché tra loro non si annidavano combattenti. Nei condomini, una sola bomba a implosione è sufficiente a sterminare decine di famiglie. Questa tendenza a prendere di mira i civili ci fa sospettare che gli obiettivi militari siano considerati bersagli collaterali, mentre l’obiettivo primario sia la popolazione.

* La quantità e la qualità delle munizioni sopra descritte ed il modo in cui sono state impiegate.

* La mancanza di difese che Gaza ha dimostrato nei confronti delle moderne armi israeliane. La regione non ha tank, aeroplani da guerra, nessun sistema antiaereo da schierare contro l’esercito invasore. Siamo stati testimoni in prima persona di uno scambio di pallottole tra un tank israeliano e gli AK47 palestinesi. Le forze in campo erano, per usare un eufemismo, impari.
L’assenza di rifugi antibomba funzionali a disposizione della popolazione civile. Sfortunatamente, anche se ci fossero non avrebbero alcuna chance contro i bunker-buster israeliani.

Conclusione
Se si prendono in considerazione i seguenti punti, è ovvio che un’ulteriore invasione di Gaza provocherebbe danni catastrofici. La popolazione è vulnerabile ed inerme. Se la Comunità Internazionale intende evitare ferimenti ed uccisioni di massa nel prossimo futuro, dovrà sviluppare una qualche forza di difesa per Gaza. Se ciò non accadrà, i civili continueranno a morire. (Beh, buona giornata).


Articolo originale: The wounds of Gaza, «The Lancet – Global Health Network», 2 febbraio 2009.
Traduzione di Massimo Spiga per Megachip.

* «The Lancet» è la rivista medica più autorevole del mondo.

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche

Bombe al fosforo, armi a microonde e al plasma? Che armi sono state usate nell’Operazione Piombo Fuso?

di Fernando Termentini – da www.paginedidifesa.it

La battaglia a Gaza è terminata ma ancora molte fonti di informazione, ricorrendo anche ad immagini di repertorio degli scontri, ripropongono il problema di armi al fosforo bianco.
Munizionamento illuminante al fosforo sicuramente è stato utilizzato nel corso degli scontri, anche bombe d’aereo o proietti di artiglieria pesante, ma affermare con decisione che questo particolare materiale sia stato usato su larga scala per scopi offensivi, potrebbe essere forse azzardato e comunque semplicistico.

A Gaza le operazioni militari sono state caratterizzate da episodi tattici di combattimento degli abitati come ormai avevamo dimenticato dalla fine del secondo conflitto mondiale, a stretto contatto con la popolazione civile e in zone densamente abitate. In queste condizioni utilizzando munizionamento a caricamento speciale come gli ordigni illuminanti caricati con il fosforo bianco, diventa difficile gestire la ricaduta al suolo delle gocce incandescenti, concentrandole su obiettivi areali come, ad esempio, un bunker o una postazione avversaria.

In queste condizioni, quindi, si potrebbe verificare che qualcuno o qualcosa possa essere colpito da fosforo che brucia e che non è possibile spegnere con l’acqua. In questo caso però le parti di materiale che brucia lascerebbe tracce profonde su qualsiasi cosa venisse a contatto.

Le immagini che sono arrivate dal teatro di guerra non confermano in maniera incontrovertibile queste ipotesi, né lasciano pensare a un uso estensivo e generalizzato di fosforo bianco né contro i combattenti né contro la popolazione palestinese.

Se, invece, come sembra, molti dei feriti e molti cadaveri presenterebbero (la forma ipotetica è d’obbligo non disponendo di riscontri certi) lesioni la cui origine non è sicura e non riconducibile a quelle provocate dalle armi normalmente utilizzate, come vaste bruciature, tessuti scarnificati e mummificazione dei tessuti molli, allora si potrebbe pensare che forse siano state utilizzate ancora armi a microonde e/o al plasma.

Strumenti che dovrebbero essere stati sperimentati in Iraq, in Libano e forse anche in occasione della prima guerra del Golfo, contro le truppe irachene in fuga da Kuwait City. Armi che invece dei proiettili sparano fasci di energia più o meno potente. Sistemi a suo tempo studiati e realizzati per conto dell’amministrazione americana fin dai tempi della presidenza Clinton per disporre di efficaci dispositivi anti-sommossa non letali (l’arma Sceriffo costruita dall’industria americana Raytheon), successivamente trasformate in vere e proprie armi offensive agendo sulla potenza irradiata.

La materia colpita da queste armi perde istantaneamente tutta la componente liquida e si accartoccia diminuendo di volume. Fenomeno che aumenta in maniera esponenziale quando l’obiettivo è un uomo. Cadaveri rimpiccioliti con i tessuti molli mummificati, le parti ossee scollate e gli indumenti praticamente indenni. Condizioni che hanno caratterizzato molti cadaveri trovati a Falluja dopo i combattimenti casa per casa e in Libano nel corso della guerra del 2006.

A Gaza, peraltro, sembra che la scorsa estate, organi istituzionali della Sanità palestinese, riferendosi alla tipologia delle lesioni di molti feriti fra i manifestanti, hanno ipotizzato l’uso da parte degli israeliani di armi non convenzionali. In quella occasione si parlò seppure in modo superficiale di persone con gravi effetti ustionanti, con feriti o cadaveri quasi fusi con muscoli e organi interni distrutti. Di fatto, tessuti prosciugati dell’acqua, come avviene sulle sostanze organiche sottoposti all’azione delle microonde.

Sistemi del tipo la pistola Taser capace di uccidere a otto metri di distanza irradiando energia elettrica di oltre 60.000 volt, diffusissima in Usa e anche in Francia. Armi corte che nei combattimenti negli abitati, negli spazi stretti, nei cunicoli, nei locali sotterranei e di notte potrebbero essere molto più efficaci rispetto alle armi convenzionali.

Molto più sicuri anche per chi le ha in dotazione, in quanto si abbatte il rischio dei colpi di rimbalzo ricorrente quando si opera in locali stretti e circondati da mura, pericolosi anche per le truppe amiche. Sistemi sicuramente più selettivi nella scelta del bersaglio rispetto ad armi leggere automatiche o a bombe a mano offensive.

Un’ipotesi di cui si è già scritto in occasione della guerra in Libano e forse più condivisibile sul piano tecnico rispetto a ipotesi che invece fanno riferimento all’uso generalizzato per scopi offensivi di munizionamento al fosforo bianco.  (Beh, buona giornata).

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