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NO alla legge bavaglio, ma neanche alla benda sugli occhi.

La legge bavaglio, nasce con Prodi, arriva al sublime con Berlusconi. Ha radici lontane e i politici la vogliono tutti-blitzquotidiano.it
Leggere le varie versioni della legge bavaglio, nella sua evoluzione fino a oggi, insegna molte cose.

Insegna, innanzi tutto, che il bavaglio c’è sempre stato, solo che era punito in modo così blando che nessuno ne teneva conto. Dice infatti l’articolo 114 del codice di procedura penale, intitolato Divieto di pubblicazione di atti e di immagini, in vigore dall’inizio della Repubblica e negli anni perfezionato:

1. E’ vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto.

2. E’ vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare.

3. Se si procede al dibattimento, non è consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e di quelli del fascicolo del pubblico ministero , se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello. E’ sempre consentita la pubblicazione degli atti utilizzati per le contestazioni.

4. E’ vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti del dibattimento celebrato a porte chiuse nei casi previsti dall’articolo 472 commi 1 e 2. In tali casi il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di pubblicazione anche degli atti o di parte degli atti utilizzati per le contestazioni. Il divieto di pubblicazione cessa comunque quando sono trascorsi i termini stabiliti dalla legge sugli archivi di Stato ovvero è trascorso il termine di dieci anni dalla sentenza irrevocabile e la pubblicazione è autorizzata dal ministro di grazia e giustizia.

5. Se non si procede al dibattimento, il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di pubblicazione di atti o di parte di atti quando la pubblicazione di essi può offendere il buon costume o comportare la diffusione di notizie sulle quali la legge prescrive di mantenere il segreto nell’interesse dello Stato ovvero causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni o delle parti private. Si applica la disposizione dell’ultimo periodo del comma 4.

6. E’ vietata la pubblicazione delle generalità e dell’immagine dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiati dal reato fino a quando non sono divenuti maggiorenni. È altresì vietata la pubblicazione di elementi che anche indirettamente possano comunque portare alla identificazione dei suddetti minorenni. Il tribunale per i minorenni, nell’interesse esclusivo del minorenne, o il minorenne che ha compiuto i sedici anni, può consentire la pubblicazione .

6-bis. E’ vietata la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta.

7. E’ sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto.

Vale la pena di soffermarsi sul punto 6 bis, che vieta di pubblicare foto di gente in manette. Ancora di recente si è verificato un episodio che dimostra come, comunque, della legge nessuno tenga conto più di tanto.

Altra cosa che insegna un minimo di ricerca è che la classe politica è tutta o quasi d’accordo e che in queste ultime settimane abbiamo assistito a sceneggiate ipocrite. Ci sono delle voci sincere, come Giuseppe Giulietti e Gerardo D’Ambrosio, ma gli spiriti liberi non abbondano in natura e meno che mai in politica e Giulietti lo sa bene.

Insegna inoltre che l’impianto originale della legge è del governo Prodi; la prima versione porta la firma di Clemente Mastella e di Giuliano Amato, ministri della Giustizia e delle Finanze in quel Governo, con la benedizione formale e richiesta di Tommaso Padoa Schioppa, all’epoca nei panni oggi indossati da Giulio Tremonti Relatore un ex magistrato, Felice Casson.

Le norme bavaglio c’erano già tutte.

Ecco il testo, come è uscito dalla Camera dei deputati, il 17 aprile del 2007.

È vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, degli atti di indagine contenuti nel fascicolo del pubblico ministero o delle investigazioni difensive, anche se non più coperti dal segreto, fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare»;

È vietata la pubblicazione, anche parziale, per riassunto o nel contenuto, della documentazione e degli atti relativi a conversazioni, anche telefoniche, o a flussi di comunicazioni informatiche o telematiche ovvero ai dati riguardanti il traffico telefonico o telematico, anche se non più coperti dal segreto, fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare.

È vietata la pubblicazione, anche parziale, per riassunto o nel contenuto, delle richieste e delle ordinanze emesse in materia di misure cautelari. Di tali atti è tuttavia consentita la pubblicazione nel contenuto dopo che la persona sottoposta alle indagini ovvero il suo difensore abbiano avuto conoscenza dell’ordinanza in materia di misure cautelari, fatta eccezione per le parti che riproducono gli atti di cui al comma 2-bis»;

Se si procede al dibattimento, non è consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo del pubblico ministero, se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello. È sempre consentita la pubblicazione degli atti utilizzati per le contestazioni o dei quali sia data lettura in pubblica udienza;

Salvo quanto previsto [sopra], è consentita la pubblicazione del contenuto degli atti non coperti dal segreto.

Queste norme furono accolte dal plauso di tutte le forze politiche, e le dichiarazioni di voto dei deputati della sinistra, inclusi verdi e rifondazione comunista, erano di grande soddisfazione.

Forse questo non bastava a Berlusconi, che ha avuto la sfortuna di tornare al governo troppo presto. Ancora un anno e propbabilmente si sarebbe trovato la legge bavaglio bella e pronta, senza dover tanto penare.

Invece, tornato al governo e ripresa in mano la materia, Berlusconi doveva proprio caricarla di tutto il suo risentimento, semplicemente perché non avrebbe mai accettato di riconoscere un qualche valore a una legge della odiata sinistra. Con il risultato che si è infilato in un guaio.

Ed ecco il testo della legge approvata dal Senato il 10 giugno 2010, firmata dal ministro della Giustizia Angelinio Alfano e approvata dalla Camera un anno fa.

È vietata la pubblicazione, anche parziale, per riassunto o nel contenuto, della documentazione e degli atti relativi a conversazioni, anche telefoniche, o a flussi di comunicazioni informatiche o telematiche ovvero ai dati riguardanti il traffico telefonico o telematico, anche se non più coperti dal segreto, fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare.

È vietata la pubblicazione, anche parziale, per riassunto o nel contenuto, delle richieste e delle ordinanze emesse in materia di misure cautelari. Di tali atti è tuttavia consentita la pubblicazione nel contenuto dopo che la persona sottoposta alle indagini o il suo difensore abbiano avuto conoscenza dell’ordinanza del giudice, fatta eccezione per le parti che riproducono la documentazione e gli atti di cui al comma 2-bis».

Sono vietate la pubblicazione e la diffusione dei nomi e delle immagini dei magistrati relativamente ai procedimenti e processi penali loro affidati. Il divieto relativo alle immagini non si applica all’ipotesi di cui all’articolo 147 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del presente codice, nonché quando, ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca, la rappresentazione dell’avvenimento non possa essere separata dall’immagine del magistrato».

È in ogni caso vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, della documentazione, degli atti e dei contenuti relativi a conversazioni o a flussi di comunicazioni informatiche o telematiche di cui sia stata ordinata la distruzione ai sensi degli articoli 269 e 271. È altresì vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, della documentazione, degli atti e dei contenuti relativi a conversazioni o a flussi di comunicazioni telematiche riguardanti fatti, circostanze e persone estranee alle indagini, di cui sia stata disposta.

Cambiano un po’ le parole, ma la sostanza è quella: è vietata la pubblicazione di tutto…

Quel che incattivisce la legge, nella versione uscita dal Senato il 10 giugno, è l’utilizzo dell’Ordine dei giornalisti e del Consiglio superiore della magistratura come strumenti repressivi. A tanto Prodi e i suoi non erano arrivati.

La norma ha origini lontane, perché già fu presentata, come emendamento alla legge Mastella, da Roberto Castelli, leghista ed ex ministro della Giustizia. Essa prevede che «di ogni iscrizione nel registro degli indagati per fatti costituenti reato di violazione del divieto di pubblicazione commessi dalle persone indicate al comma 1, il procuratore della Repubblica procedente informa immediatamente l’organo titolare del potere disciplinare, che nei successivi trenta giorni, ove siano state verificate la gravità del fatto e la sussistenza di elementi di responsabilità, e sentito il presunto autore del fatto, dispone la sospensione cautelare dal servizio o dall’esercizio della professione fino a tre mesi».

Il comma 1, dell’art.115 del codice di procedura penale, è lì da anni e dice che, in caso di Violazione del divieto di pubblicazione,

Salve le sanzioni previste dalla legge penale (684 c.p.), la violazione del divieto di pubblicazione previsto dagli artt. 114 e 329 comma 3 lett. b) costituisce illecito disciplinare quando il fatto è commesso da impiegati dello Stato o di altri enti pubblici ovvero da persone esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, leggesi magistrati e giornalisti.

Solo che non era previsto alcun provvedimento punitivo, ma semplicemente che di ogni violazione del divieto di pubblicazione commessa dalle persone indicate nel comma 1 il pubblico ministero informa l`organo titolare del potere disciplinare.

Dato che cane non morde cane, nessuno aveva mai segnalato nulla e nessun provvedimento disciplinare risulta essere stato preso. Ora, invece, con questa norma, il provvedimento è obbligatorio, a discrezione c’è solo la durata della sospensione e per i giornalisti si profilano momenti cupi, visto che a giudicarli saranno loro colleghi, senza una preparazione giuridica adeguata, in una categoria sempre più lacerata dalle passioni della lotta politica.(…). (Beh, buona giornata).

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