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Dopo aver fatto passi da gigante, nell’informatica e nell’advertising, Steve Jobs fa un passo indietro.

di Piergiorgio Odifreddi- repubblica.it

Steve Jobs si è dimesso da amministratore delegato della Apple. Sembra, dunque, che stia perdendo la battaglia contro il male che lo sta divorando da tempo, e che l’ha reso ormai quasi evanescente come un fantasma, soprattutto se paragonato al florido ragazzo che era quando ha dato inizio all’avventura dei computer user friendly.

Interessante paragonare la sua carriera con quella parallela dell’altro enfant prodige dell’informatica, Bill Gates. Naturalmente, nessuno dei due è responsabile nè dell’invenzione del computer, nè dello sviluppo della sua tecnologia di base. Siamo dunque lontani anni luce dai contributi cruciali di Charles Babbage, Alan Turing e John von Neumann, tanto per limitarci alla Santissima Trinità.

Volendo mantenere la metafora profana, Gates e Jobs sono però i Pietro e Paolo della diffusione del vangelo del computer. Cioè, gli uomini del marketing, che hanno provveduto a diffondere il verbo informatico tra le genti, incarnato nel silicio invece che nelle valvole.

Agli inizi, Gates predicava il vangelo canonico dei fondatori, quello della programmazione e dei sistemi operativi. Il suo colpo di genio, come racconta lui stesso nella sua autobiografia La strada che porta a domani, fu di comprare (non di sviluppare!) l’ormai storico Dos, e di regalarlo all’Ibm, senza permetterle però l’esclusiva. L’adozione del Dos da parte dell’Ibm, e la costruzione dei cloni che potevano utilizzarlo grazie all’uso pubblico, ruppe il monopolio del colosso e diede inizio alla rivoluzione dell’informatica prêt-à-porter.

Jobs tradì la vocazione iniziale dell’informatica, di essere una religione per il solo popolo eletto in grado di programmare, e la diffuse tra i gentili: cioè, tra la gente comune, che non voleva saperne della te(cn)ologia. La teoria sparì dietro le icone, e rimase soltanto la pratica: come le vecchiette russe che pregano di fronte alle immagini di Andrei Rublev, completamente ignare dei dogmi che queste occultano, così i giovanotti occidentali si sono convertiti alla nuova religione, completamente ignari di cosa sia l’informatica. Come d’altronde, già era successo per le auto e la meccanica.

Analogamente all’originale evangelico, anche nel remake informatico ad avere la meglio è stato appunto Paolo-Jobs. E Pietro-Gates ha da tempo dovuto riconoscerne la vittoria e adattare la sua visione a quella dell’amico-rivale. Oggi il frontedi conversione della tecnologia digitale passa per l’Iphone, l’Ipod e l’Ipad, in attesa dei prossimi Iped, Ipud e Ipid: cioè, per i prodotti Apple, alla cui filosofia si è da tempo convertita anche la tecnologia Microsoft.

La consolazione per Gates è che tutti questi aggeggi ci portano sempre più avanti lungo La strada che porta a domani tracciata nel suo libro. Verso l’ormai prossima meta, cioè, di un’unica macchina versatile, portatile e in grado non soltanto di calcolare, ma di riunire in sè tutti i possibili flussi di informazione digitalizzabile (telefono, giradischi, radio, televisione, macchina fotografica, videocamera e, naturalmente, computer).

Che Jobs pssa riuscire a vedere realizzato l’obiettivo finale, alla cui realizzazione ha tanto contribuito. (Beh, buona giornata).

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