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L’attacco de Il Giornale contro il direttore de l’Avvenire: ” è una bufala che il documento del Giornale sia un atto giudiziario.”

Su Boffo una velina che non viene dal Tribunale di GIUSEPPE D’AVANZO-Repubblica.
LA “nota informativa”, agitata dal Giornale di Silvio Berlusconi per avviare un rito di degradazione del direttore dell’Avvenire, Dino Boffo, non è nel fascicolo giudiziario del tribunale di Terni. Non c’è e non c’è mai stata. Come, in quel processo, non c’è alcun riferimento – né esplicito né implicito – alla presunta “omosessualità” di Dino Boffo. L’informazione potrebbe diventare ufficiale già domani, quando il procuratore della Repubblica di Terni, Fausto Cardella, rientrerà in ufficio e verificherà direttamente gli atti.

Bisogna ricordare che il Giornale, deciso a infliggere un castigo al giornalista che ha dato voce alle inquietudini del mondo cattolico per lo stile di vita di Silvio Berlusconi, titola il 28 agosto a tutta pagina: “Il supermoralista condannato per molestie/ Dino Boffo, alla guida del giornale dei vescovi italiani e impegnato nell’accesa campagna stampa contro i peccati del premier, intimidiva la moglie dell’uomo con il quale aveva una relazione”. Il lungo articolo, a pagina 3, dà conto di “una nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore disposto dal Gip del tribunale di Terni il 9 agosto del 2004”. La “nota” è l’esclusivo perno delle “rivelazioni” del quotidiano del capo del governo.

L'”informativa” subito appare tanto bizzarra da essere farlocca. Nessuna ordinanza del giudice per le indagini preliminari è mai “accompagnata” da una “nota informativa”. E soprattutto nessuna informativa di polizia giudiziaria ricorda il fatto su cui si indaga come di un evento del passato già concluso in Tribunale.

Scrive il Giornale: “Il Boffo – si legge nell’informativa – è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni destinataria di telefonate sconce e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla onde lasciasse libero il marito con il quale Boffo, noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relazione. Rinviato a giudizio, il Boffo chiedeva il patteggiamento e, in data 7 settembre del 2004, pagava un’ammenda di 516 euro, alternativa ai sei mesi di reclusione. Precedentemente il Boffo aveva tacitato con un notevole risarcimento finanziario la parte offesa che, per questo motivo, aveva ritirato la querela…”.

È lo stralcio chiave dell’articolo punitivo. È falso che quella “nota” accompagni l’ordinanza del giudice, come riferisce il Giornale. L'”informativa” riepiloga l’esito del procedimento. Non è stata scritta, quindi, durante le indagini preliminari, ma dopo che tutto l’affare era già stato risolto con il pagamento dell’ammenda. Dunque, non è un atto del fascicolo giudiziario. Per mero scrupolo, lo accerterà anche il procuratore di Terni Cardella che avrà modo di verificare, con i crismi dell’ufficialità, che la nota informativa non è agli atti e che in nessun documento del processo si fa riferimento alla presunta “omosessualità” di Boffo. La “nota informativa”, pubblicata dal Giornale del presidente del Consiglio, è dunque soltanto una “velina” che qualcuno manda a qualche altro per informarlo di che cosa è accaduto a Terni, anni addietro, in un “caso” che ha visto coinvolto il direttore dell’Avvenire.

L’evidenza sollecita qualche domanda preliminare: è vero o falso che Dino Boffo sia “un noto omosessuale attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni”? È vero o falso che la polizia di Stato schedi gli omosessuali?

Sono interrogativi che si pone anche Roberto Maroni, la mattina del 28 agosto. Il ministro chiede al capo della polizia, Antonio Manganelli, di accertare se esista un “fascicolo” che dia conto delle abitudini sessuali di Dino Boffo. Dopo qualche ora, il capo della polizia è in grado di riferire al ministro che “né presso la questura di Terni (luogo dell’inchiesta) né presso la questura di Treviso (luogo di nascita di Boffo) esiste un documento di quel genere” e peraltro, sostiene Manganelli con i suoi collaboratori, “è inutile aggiungere che la polizia non scheda gli omosessuali: tra di noi abbiamo poliziotti diventati poliziotte e poliziotte diventate poliziotti”. “Da galantuomo”, come dice ora il direttore dell’Avvenire, Maroni può così telefonare a Dino Boffo e assicurargli che mai la polizia di Stato lo ha “attenzionato” né esiste alcun fascicolo nelle questure in cui lo si definisce “noto omosessuale”.

Risolte le domande preliminari, bisogna ora affrontare il secondo aspetto della questione: chi è quel qualcuno che redige la “velina”? Per quale motivo o sollecitazione? Chi ne è il destinatario?
C’è un secondo stralcio della cronaca del Giornale che aiuta a orientarsi. Scrive il quotidiano del capo del governo: “Nell’informativa si legge ancora che (…) delle debolezze ricorrenti di cui soffre e ha sofferto il direttore Boffo “sono a conoscenza il cardinale Camillo Ruini, il cardinale Dionigi Tettamanzi e monsignor Giuseppe Betori””. C’è qui come un’impronta. Nessuna polizia giudiziaria, incaricata di accertare se ci siano state o meno molestie in una piccola città di provincia (deve soltanto scrutinare i tabulati telefonici), si dà da fare per accertare chi sia o meno a conoscenza nella gerarchia della Chiesa delle presunte “debolezze” di un indagato. Che c’azzecca? E infatti è una “bufala” che il documento del Giornale sia un atto giudiziario. E’ una “velina” e dietro la “velina” ci sono i miasmi infetti di un lavoro sporco che vuole offrire al potere strumenti di pressione, di influenza, di coercizione verso l’alto (Ruini, Tettamanzi, Betori) e verso il basso (Boffo). È questo il lavoro sporco peculiare di servizi segreti o burocrazie della sicurezza spregiudicate indirizzate o messe sotto pressione da un’autorità politica spregiudicatissima e violenta. È il cuore di questa storia. Dovrebbe inquietare chiunque. Dovrebbe sollecitare l’allarme dell’opinione pubblica, l’intervento del Parlamento, le indagini del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), ammesso che questo comitato abbia davvero la volontà, la capacità e soprattutto il coraggio civile, prima che istituzionale, di controllare la correttezza delle mosse dell’intelligence.

Quel che abbiamo sotto gli occhi è il quadro peggiore che Repubblica ha immaginato da mesi. Con la nona delle dieci domande, chiedevamo (e chiediamo) a Silvio Berlusconi: “Lei ha parlato di un “progetto eversivo” che la minaccia. Può garantire di non aver usato né di voler usare intelligence e polizie contro testimoni, magistrati, giornalisti?”.

Se si guarda e si comprende quel che capita al direttore dell’Avvenire, è proprio quel che accade: il potere che ci governa raccoglie dalla burocrazia della sicurezza dossier velenosi che possano alimentare campagne di denigrazione degli avversari politici. Stiamo al “caso Boffo”. La scena è questa. C’è un giornalista che, rispettando le ragioni del suo mestiere, dà conto – con prudenza e misura – del disagio che nelle parrocchie, nei ceti più popolari del cattolicesimo italiano, provoca la vita disordinata del capo del governo, il suo modello culturale, il suo esempio di vita. È un grave smacco per il presidente del Consiglio che vede compromessa credibilità e affidabilità in un mondo che pretende elettoralmente, indiscutibilmente suo. È un inciampo che può deteriorare anche i buoni rapporti con la Santa Sede o addirittura pregiudicare il sostegno del Vaticano al suo governo.

Lo sappiamo, con la fine dell’estate Berlusconi decide di cambiare passo: dal muto imbarazzo all’aggressione brutale di chi dissente. Chiede o fa chiedere (o spontaneamente gli vengono offerte da burocrati genuflessi e ambiziosissimi) “notizie riservate” che, manipolate con perizia, arrangiate e distorte per l’occasione, possono distruggere la reputazione dei non-conformi e intimidire di riflesso i poteri – in questo caso, la gerarchia della Chiesa – con cui Berlusconi deve fare i conti.

Quelle notizie vengono poi passate – magari nella forma della “lettera anonima” redatta da collaboratori dei servizi – ai giornali direttamente o indirettamente controllati dal capo del governo. In redazione se ne trucca la cornice, l’attendibilità, la provenienza. Quei dossier taroccati diventano così l’arma di una bastonatura brutale che deve eliminare gli scomodi, spaventare chi dissente, “educare” i perplessi.

A chi altro toccherà dopo Dino Boffo? Quanti sono i dossier che il potere che ci governa ha ordinato di raccogliere? E contro chi? E, concluso il lavoro sporco con i giornalisti che hanno rispetto di se stessi, a chi altro toccherà nel mondo della politica, dell’impresa, della cultura, della società? (Beh, buona giornata).

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O il mondo è pieno di “giornali deviati” oppure la querela contro Repubblica è un boomerang contro il governo italiano.

Sorpresa e proteste sulla stampa europea: “Minacce per zittire i giornali indipendenti” di ENRICO FRANCESCHINI-repubblica.

Dalla prima pagina del Financial Times alle colonne dei maggiori quotidiani britannici, francesi, spagnoli, tedeschi, dall’Europa alle Americhe, la decisione di Silvio Berlusconi di denunciare “la Repubblica” e almeno due quotidiani stranieri per diffamazione, insieme allo scontro “senza precedenti” tra il premier italiano e il Vaticano, dominano i servizi della stampa internazionale di oggi. Tutti i giornali paragonano l’iniziativa legale del premier a una “dichiarazione di guerra” per intimidire i media indipendenti e sottolineano la gravità dell’annullamento dell’incontro previsto all’Aquila tra il capo del governo e il segretario di stato Vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone. “Non posso ricordare un giorno più nero nelle relazioni tra questo governo e la Chiesa”, confida al Daily Telegraph di Londra una fonte vaticana.

Il Financial Times dedica alla vicenda un articolo di prima pagina, intitolato “Berlusconi denuncia per le accuse sullo scandalo”, in cui il corrispondente da Roma, Guy Dinmore, scrive che il primo ministro italiano “ha cercato di zittire i suoi critici con una serie di azioni legali contro almeno tre giornali in Italia, Francia e Spagna”, spiegando quindi i motivi delle denunce annunciate dall’avvocato del premier e parlamentare del Pdl, Niccolò Ghedini, contro “Repubblica”, per la ripetuta pubblicazione delle dieci domande a Berlusconi e per avere citato un articolo del francese Nouvel Observateur in cui si affermava che Berlusconi poteva essere ricattato, contro “Le Nouvel Obeservateur” per l’articolo in questione, intitolato “Sesso, Potere e Bugie”, e contro “El Pais”, per la pubblicazione delle foto dei party nella villa di Berlusconi in Sardegna. Il quotidiano finanziario afferma che gli avvocati di Berlusconi stanno valutando simili denunce anche a Londra contro giornali britannici.

Anche il Guardian, quotidiano londinese di centro-sinistra, dedica ampio spazio agli ultimi sviluppi del caso, con un articolo intitolato “Berlusconi dichiara guerra ai media europei per le notizie sullo scandalo di sesso”. Dopo avere riferito i dettagli delle azioni legali del premier contro la stampa, il giornale parla della “nuova tenpesta” con il Vaticano, originata dall’attacco lanciato dal Giornale, il quotidiano di proprietà del fratello di Berlusconi, contro il direttore del quotidiano cattolico l’Avvenire, Dino Boffo, accusato di avere minacciato nel 2004 la moglie di un suo amante omosessuale, Il Guardian nota che comunque la partecipazione di Berlusconi alla cerimonia della Perdonanza avrebbe rischiato di suscitare controversie perché il premier doveva essere accompagnato da Mara Carfagna, il ministro per le Pari Opportunità, “un ex-modella in topless già al centro di una polemica tra il primo ministro e sua moglie”.

I due maggiori quotidiani conservatori del Regno Unito, il Times e il Telegraph, mettono l’accento sulla “crescente spaccatura” tra Berlusconi e il Vaticano. In un commento del corrispondente da Roma Richard Owen, il Times nota che un “l’eccesso di zelo” del direttore del Giornale Vittorio Feltri, che in un editoriale ha scritto “è giunto il momento di smascherare i moralisti, tutti hanno le loro debolezze sessuali”, ha prodotto “un’esplosione che si è fatta sentire in tutta Italia”, e che “dopo gli eventi di venerdì sarà ancora più difficile (per Berlusconi) ottenere l’approvazione del Papa”. In segno di solidarietà con “Repubblica” e come protesta per l’offensiva contro i media, il Times ripubblica sul proprio sito internet le dieci domande poste al premier dal nostro giornale, che sono al centro della sua denuncia per diffamazione.
Il Telegraph riporta che il Vaticano è “furioso” per l’attacco contro il direttore dell’Avvenire, venuto dopo che il giornale dei vescovi aveva ripetutamente criticato la “condotta morale” del premier italiano.

In Spagna, il quotidiano El Pais, anchesso citato in giudizio da Berlusconi, titola sulla “guerra aperta” del nostro capo del governo “contro i media e contro la chiesa”, definendo “senza precedenti” la decisione del Vaticano di annullare la cena tra il segretario di stato e il presidente del consiglio. Anche El Mundo titola sulla “campagna di azioni legali” del Cavaliere per “portare in tribunale i media europei”. In Francia, sia Le Matin che Liberation pubblicano le dieci domande di “Repubblica” a Berlusconi. In Argentina, il Clarin parla di “crisi” tra Berlusconi e il Vaticano. Negli Stati Uniti, il Wall Street Journal riporta tutti i nuovi sviluppi del caso. E altrettanto fa l’Irish Examiner in Irlanda.

Critiche dal giornale conservatore tedesco die Welt che nell’editoriale definisce la situazione uno “Squallido ping pong”. Il direttore, Thomas Schmid, scrive che “dietro tutta la vicenda c’è una specifica immaturità italiana, ripartita tra i due campi”. “Da una parte c’è un presidente del Consiglio che ama non attenersi alle regole e danneggia così l’impalcatura politica, ma proprio per questo è molto amato da tanti italiani”, è l’analisi della Welt. “Dall’altra parte c’è una sinistra fossilizzata, che non riesce a mandare giù il fatto che uno come Berlusconi sia diventato un grosso personaggio politico”. “L’effetto è disastroso”, osserva il giornale tedesco, “poiché la follia della sinistra, che non è riuscita a superare i suoi settarismi, rende facile a Berlusconi il compito di presentarsi come una specie di dominatore assoluto, che disprezza le forze politiche al di fuori delle sue alleanze di partito”. La conclusione del quotidiano è che “la bella e forte Italia merita di più di questo noioso pingpong”. (Beh, buona giornata).

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La Federazione nazionale della stampa italiana contro Il Giornale.

(fonte:ilmessaggero.it)
«È cosa non qualificabile che per contrastare e far cessare (inutilmente crediamo) voci e idee che sono, anche senza pregiudizio politico, fuori dal coro e non classificabili secondo immediati schemi della politica, si vada a scandagliare nelle fogne, come ha fatto oggi il giornale di famiglia del capo del Governo, nei confronti nel quotidiano dei vescovi, l’Avvenire, e del suo direttore Boffo», dice il segretario della Fnsi Franco Siddi.

«Tanto palese appare – aggiunge Siddi – infatti lo scopo: non tanto quello di informare ma quello di scagliare fango in modo da “pareggiare” mediaticamente conti improponibili». «È incredibile – dice ancora – che, attraverso questa via, si voglia limitare e intimidire il giornale dei vescovi nella libertà di dire la loro in testimonianza dei propri principi di fede e al direttore e ai giornalisti di Avvenire di esercitare la loro funzione nell’opera di informazione e di critica senza travestimenti. Ogni giornale ha legittimamente una sua linea e ogni indirizzo diverso va rispettato, secondo, però, un’etica della convivenza che non può mai far venir meno la civiltà del confronto né ridurre gli accadimenti a occasioni di lotta feroce e di resa dei conti vendicativa tra fazioni e parti che magari stanno altrove». Beh, buona giornata.

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Ecco l’articolo de Il Giornale, di proprietà del Presidente del consiglio, e ri-diretto da Vittorio Feltri in cui si attacca il direttore del quotidiano L’Avvenire, giornale dei vescovi italiani.

Boffo, il supercensore condannato per molestie di Gabriele Villa-Il Giornale.
«Articolo 660 del Codice penale, molestia alle persone. Condanna originata da più comportamenti posti in essere dal dottor Dino Boffo dall’ottobre del 2001 al gennaio 2002, mese quest’ultimo nel quale, a seguito di intercettazioni telefoniche disposte dall’autorità giudiziaria, si è constatato il reato». Comincia così la nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore, alias il direttore del quotidiano Avvenire, disposto dal Gip del Tribunale di Terni il 9 agosto del 2004.

Copia di questi documenti da ieri è al sicuro in uno dei nostri cassetti e per questo motivo, visto che le prove in nostro possesso sono chiare, solide e inequivocabili, abbiamo deciso di divulgare la notizia. A onor del vero, questa storia della non proprio specchiata moralità del direttore del quotidiano cattolico, circolava, o meglio era circolata a suo tempo, per le redazioni dei giornali. Dove si chiacchiera, anche troppo, per tirar tardi la sera. C’è chi aveva orecchiato, chi aveva intuito, chi credeva di sapere.

Ma le chiacchiere non bastano a crocefiggere una persona. O meglio bastano, sono bastate, solo nel caso di due persone: Gesù Cristo per certi suoi miracoli e, più recentemente, Silvio Berlusconi per certi suoi giri di valzer con signore per la verità molto disponibili.
Ma torniamo alle tentazioni, in cui è ripetutamente caduto Dino Boffo e atteniamoci rigorosamente ai fatti, così come riportati nell’informativa: «…Il Boffo – si legge – è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni destinataria di telefonate sconce e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla, onde lasciasse libero il marito con il quale il Boffo, noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relazione. Rinviato a giudizio il Boffo chiedeva il patteggiamento e, in data 7 settembre del 2004, pagava un’ammenda di 516 euro, alternativa ai sei mesi di reclusione. Precedentemente il Boffo aveva tacitato con un notevole risarcimento finanziario la parte offesa che, per questo motivo, aveva ritirato la querela…».

Dino Boffo, 57 anni appena compiuti, è persona molto impegnata. O, come si dice quando si pesca nelle frasi fatte, vanta un curriculum di rispetto. È direttore di Avvenire da quindici anni, direttore e responsabile dei servizi giornalistici di Sat 2000, il network radio-televisivo via satellite dei cattolici italiani nel mondo, nonché membro del comitato permanente dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori, che detta le linee guida delle Università Cattolica del Sacro Cuore. Acuto osservatore della vita politica italiana e delle vicende che segnano il mutamento dei tempi e dei costumi, recentemente, in più d’una occasione, Boffo si è sentito in obbligo, rispondendo alle pressanti domande dei suoi smarriti lettori, di esprimere giudizi severi sul comportamento del presidente del Consiglio. E, turbato proprio da quel comportamento, è arrivato a parlare di «disagio» e di «desolazione». Persino, e dal suo punto di vista è assolutamente comprensibile, di «sofferenza». Quella sofferenza, per citare testualmente quanto ha scritto ancora pochi giorni fa, sul giornale che dirige «che la tracotante messa in mora di uno stile sobrio ci ha causato». Questa riflessione l’ha portato a esprimere, di conseguenza, più e più volte il suo desiderio più fervido, ovvero il «desiderio irrinunciabile che i nostri politici siano sempre all’altezza del loro ruolo». (Beh, buona giornata).

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