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Radio Padania come Radio Maria: molte chiacchiere, poche tasse.

La notizia è che Radio Padania è stata riconosciuta dalla Ue come un’emittente, non più a carattere commerciale, ma la concessione è stata ritenuta comunitaria.

In pratica, a Radio Padania viene riconosciuto essere espressione di particolari istanze culturali, etniche, politiche e religiose. In sostanza, a Radio Padania viene riconosciuta l’esenzione ad avere dipendenti regolarmente assunti a tempo indeterminato, di non essere soggetta a obblighi fiscali attraverso il meccanismo delle questue, donazioni o raccolta fondi, che risultano essere esentasse.

Radio Padania è stata equiparata a Radio Maria (!!), quella del Vaticano: tanti vantaggi, pochissimi obblighi. E in più, la fantastica possibilità di accaparrarsi frequenze libere, gratuitamente su tutto il territorio nazionale. In una interpellanza parlamentare al ministro Passera, l’on. Giuseppe Caforio dell’Italia dei Valori (il partito di Di Petro), scrive: . così (Radio Padania, ndr), oltre a ricevere finanziamenti milionari per fare della propaganda basata sull’intolleranza, può attivare nuovi impianti ed occupare le frequenze assegnate ad altre emittenti.”
Fosse solo per questo fatto, si capirebbe il connubio tra la Lega, Berlusconi, l’ultra-destra, e la benedizione della Chiesa cattolica: fu proprio uno degli alleati della Lega, l’on Gasparri incaricato di firmare la legge omonima, grazie alla quale, secondo Antonio Diomede, presidente dell’associazione delle Radiotelevisioni Europee Associate (REA): “Fu l’inizio di un nuovo Far West dell’Etere, legalizzato, firmato da Berlusconi e Gasparri i quali, successivamente, ebbero la sfacciataggine di consolidarlo ed estenderlo anche alle concessioni commerciali (…) Quelle frequenze- dice ancora Diomede- la maggioranza delle quali furono sanate con false dichiarazioni, hanno costituito il coronamento di un commercio illecito delle frequenze e del peggioramento dello stato interferenziale nell’etere provocando danni non indifferenti alle emittenti locali oneste e osservanti la legalità”.

Il quadro sarebbe già inquietante di suo, se non vi si aggiungesse una breve riflessione sulle motivazioni che hanno premiato Radio Padania. Come siano riusciti i leghisti al Parlamento europeo a convincere qualcuno che Radio Padania fosse meritevole del titolo di emittente comunitaria lo si può spiegare solo con l’alleanza a geometrie variabili, nel segno del più democristiano dei precetti politici: io ti do una cosa a te, tu mi dai una cosa a me. Vale a dire che con tutta la buona volontà del mondo si farebbe davvero molta fatica a riconoscere a Radio Padania l’essere espressione di particolari istanze culturali, etniche, politiche e religiose. Lasciamo subito perdere la cultura, dal momento che il responsabile della radio è tal Matteo Salvini, i cui sproloqui ci è toccato spesso sentire durante taluni talk show. Etniche? Con rispetto parlando, di etnia c’è niente di autoctono: furbi, chiacchieroni e xenofobi ce n’è mica solo nella presunta Padania. Religione? Quella del dio Po? Boh. Rimane la peculiarità politica di un partito che facendo finta di essere un movimento è diventato peggio del peggior partito della Prima Repubblica: dall’uso personale dei finanziamenti pubblici, al nepotismo, dalle ruberie dei rimborsi elettorali ai più sordidi, quanto smaccati calcoli politici elettoralistici.
Un ospite d’onore alla grande mangiatoia del debito pubblico, logica spartitoria cui anche questa vicenda di Radio Padania non sembrerebbe affatto sfuggire.
Si avvicinano i giorni delle elezioni, quelle amministrative in Lombardia, provocate dalla giunta Formigoni che è rimasta in piedi grazie all’appoggio della Lega. Quelle politiche nazionali, in cui la Lega non sembra affatto intenzionata ad affrancarsi dal berlusconismo. Anche perché leggi come quelle che permetteranno a Radio Padania di fare il proprio comodo e i propri affari la Lega se li sarebbe sognati, senza Berlusconi e soci. Beh, buona giornata.

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