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Lega rubona.

di Stefano Galieni-rifondazione.it

Roberto Biorcio è forse uno dei migliori conoscitori della Lega Nord in Italia, numerose sono state le sue pubblicazioni e interviene volentieri per parlare delle ultime vicende che hanno colpito il partito di Bossi.

Il partito è oggi più che in passato al centro di inchieste di forte rilevanza, ma non si tratta in fondo di novità
«Si sullo stesso tesoriere Belsito erano già emersi numerosi elementi problematici. È stato al centro di alcune spregiudicatezze finanziarie, erano emersi legami fra politica e n’drangheta. La novità è che quanto accade oggi lambisce direttamente la famiglia Bossi. Poi quando a beneficiarne sono anche i singoli il fatto è nuovo e diviene ancora più grave. Nel passato recente c’è stato il caso di Boni, alla Regione Lombardia che è stato difeso compattamente nonostante si parli di tangenti. Questa volta la reazione di Maroni e di quelli a lui più vicini è stata diversa. Ha cavalcato l’indignazione leghista, ha chiesto e ottenuto non solo le dimissioni di Belsito ma una pulizia generale nel gruppo dirigente. Bossi si è imbestialito, nel suo gruppo c’è stato un lungo silenzio e solo alla fine ha parlato di un attacco mirato alla Lega. In altri tempi non avrebbe fatto così.
Questo segna un cambiamento nelle competizioni interne alla Lega che non si era mai raggiunto. Se la vicenda di Belsito sarà forte come quella di Lusi si arriverà ad una crescita del potere di Maroni come interprete di una serie di istanze della base».

Ma secondo lei si è aperta la lotta alla successione di Bossi?
«Più che altro si è accentuata. Bossi ha anche provocatoriamente offerto le proprie dimissioni ma non è quello che vogliono i leghisti. Non vedo uno scontro frontale ma un processo in cui si capirà fino a che punto avanza il potere di Maroni. Ora ci saranno i congressi regionali e vedremo chi la spunterà già nella formazione dei nuovi organismi dirigenti. Un altro elemento importante saranno le amministrative, vero banco di prova. La lega gode di posizioni di vantaggio, è forza di opposizione al governo Monti e raccoglie tutto quel dissenso che non Cialis Online si riversa su Di Pietro o la sinistra fuori e dentro il parlamento. Contemporaneamente alle persecuzioni in via Bellerio dalla Padania si annunciava la raccolta firme per opporsi alla revisione dell’Art 18. Quindi si intende investire in questo spazio politico rimasto vuoto. Al di là delle divisioni interne potenziali la Lega dovrebbe ottenere risultati immediati, anche gli altri partiti non risultano molto attrattivi e la sola alternativa per molti leghisti è l’astensionismo».

Certo pare di vedere un attacco generalizzato verso i partiti tutti.
«Io non credo che ci sia un complotto ma un indebolimento dei partiti. Come ai tempi di tangentopoli c’è maggiore possibilità di perseguire reati che prima incontravano forte opposizione. I partiti hanno perso credibilità, non hanno autorità morale e politica e in questo quadro le procure possono colpire anche dirigenti più elevati. Sulla vicenda della lega c’è da dire che ci si è mossi su denuncia di un leghista, sintomo di una lotta interna che coinvolge diverse componenti della lega che non vogliono certo distruggere il movimento. Non a caso Maroni vuole dare la caccia ai trasgressori e dichiara di auspicare pulizia».

Che futuro si prospetta secondo lei per questo partito pensando agli umori del popolo leghista?
«Dipende da come evolve il confronto. Se aumenta il potere di Maroni e diminuisce gradualmente quello di Bossi ci sarà una trasformazione quasi indolore, gestendo l’opposizione a Monti. Pochi scossoni e nessuna scissione verticale. Anzi il consenso si potrebbe consolidare con il passaggio di voti dal Pdl alla Lega grazie agli effetti negativi di Monti. Se invece lo scontro interno aumentasse e per esempio Bossi riprovasse ad imporre i propri uomini nei congressi regionali il rischio è di ripercussioni pesantissime che il movimento vorrebbe evitare. Bossi non è più quello di 10 anni fa e anche se nessuno vuole fare a meno di lui non è in grado di riprovare ad estromettere Maroni. Se ci prova potrebbe palesarsi il rischio di una scissione che pagherebbero tutti. Quindi la prospettiva più plausibile è quella di una limitazione dei conflitti verso una lenta trasformazione della Lega».(Beh, buona giornata)

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Attualità democrazia

In Italia elezioni anticipate? Ma no, è solo un ballo in maschera.

Se, telefonando, Bossi… E Berlusconi si dà il contrordine sulle elezioni-blitzquotidiano.it

Martedì sera per Schifani le elezioni anticipate sono possibili, forse necessarie Schifani non parla a vanvera e da solo Mercoledì pomeriggio Berlusconi dice non non averci mai pensato Cosa è successo in quelle venti ore scarse?

Martedì sera Renato Schifani, in un discorso ufficiale, evoca il rischio, agita la minaccia e mette nel mazzo delle cose possibili, anzi forse necessarie, le elezioni anticipate.

Parla da solo, parla a caso, parla senza pensare e pesare quel che dice il presidente del Senato? E’ sventato, leggero e isolato Schifani, l’uomo che Berlusconi e Forza Italia hanno insediato alla seconda carica dello Stato? Non è pazzo e non è sciocco Schifani e, soprattutto, non si ha memoria di una sua mossa politica senza l’assenso preventivo del premier.

Infatti al mattino di mercoledì tutte le ricostruzioni più o meno esatte dell’accaduto concordano su un punto: Schifani ha detto lui quel che Berlusconi vuole sia detto ma che il premier non può dire in prima persona. E tutti, più o meno informati, raccontano, suppongono, riferiscono di una telefonata tra Berlusconi e Schifani, una telefonata nella quale i due si danno il reciproco “via”.

E’ ancora mercoledì ma è già mezzogiorno, passato da poco. Nelle ore del mattino si sono esibiti Casini: «Le elezioni anticipate sono una pistola scarica, voglio vederla la maggioranza che va davanti agli elettori dicendo mi sono auto affondata…». E poi Maroni: «D’accordo con Schifani: se la maggioranza non è compatta, allora si scioglie». Stanno tutti prendendo le misure a Schifani, decidendo se è una “minaccia” rivolta a Fini, un bluff, uno sfogo, un progetto, un “la butto lì e poi vediamo quel che succede”. Qualcosa succede perché è da poco passata la prima ora del pomeriggio e arriva, solenne, nero su bianco, il contrordine sulle elezioni anticipate. Berlusconi dichiara: «Non ci ho mai pensato, sono stupito che qualcuno ci pensi». Stupito è improbabile assai, anzi impossibile. Come è impossibile che la sera prima non ne abbia parlato con Schifani. Che non ci abbia mai pensato davvero può essere, ma è cronaca ufficiale da giorni che ha dato mostra di pensarci, lo racconta tutta Forza Italia. E allora come arriva, da dove e da chi il contrordine?

Dall’unico che può darlo: ci deve essere stata al mattino di mercoledì un’altra “telefonata”, quella di Bossi a Berlusconi. Già, perchè se Berlusconi può stringere all’angolo Fini ed eventualmente annichilirlo con la minaccia e, se necessario, con la pratica delle elezioni anticipate, se Berlusconi può imporre e ottenere tutti i voti di fiducia che vuole in Parlamento senza perdere praticamente neanche un voto dei “finiani”, se Berlusconi può perfino sfidare Napolitano nella partita dello scioglimento delle Camere, tutto questo non può farlo se Bossi non dà il “via”. E a Bossi, almeno finora, fatti i suoi calcoli, dare questo “via” non conviene.

Bossi e la Lega sono alacremente e fruttuosamente impegnati in quella che in Borsa si chiama “presa di beneficio”. In questa legislatura e in questo governo le “azioni” leghiste valgono moltissimo, sono salite come non mai di valore. E la Lega sta “incassando”: attende presidenze di Regioni del Nord, gestioni di fette importanti di spesa pubblica, il federalismo fiscale, perfino una progressiva crescita di consensi ai danni proprio del Pdl. Bossi Berlusconi vuole tenerlo lì, a Palazzo Chigi, per tutta la legislatura. Ma non ha interesse a consentirgli una “ricarica” elettorale. Non per ostilità e concorrenza, Bossi con Berlusconi premier sta alla grande. Ma perché durante e intorno alla “ricarica” la Lega vede per se stessa e per la sua egemonia più rischi che vantaggi.

E allora? Allora vediamo i punti fermi, quelli sui quali si può giurare. Primo: Berlusconi non accetterà mai il rischio di una crisi “parlamentare” da cui potrebbe uscirne un altro governo prima del ritorno alle urne. Secondo: Fini non cerca e non può cercare lo show down, la resa dei conti. E’ troppo debole. Soprattutto non ha la forza e neanche la voglia di mettere in piedi una crisi “parlamentare”. Se Berlusconi fa l’appello al popolo elettore, Fini non può fermarlo. Terzo: Bossi invece può, basta che non dia a Berlusconi la garanzia che la eventuale crisi di governo non sia “parlamentare”. Basta che Bossi esprima un “dubbio di fattibilità”, dia a Berlusconi un “consiglio” di pensarci bene e Berlusconi si ferma.

Pronostico dunque su come va a finire il gioco più giocato in città, il girotondo e l’avanti-indietro sulle elezioni. Non con un “tutti giù per terra”. Berlusconi resta premier fino alla fine della legislatura. Sottoposto ad una relativa e fisiologica ”erosione”. Anagrafica e politica. Erosione, non crollo. Poi, tra tre anni o giù di lì, si vedrà se e quale centro destra esiste senza Berlusconi premier e se esiste un’alternativa di centro sinistra. A meno che Bossi non canbi idea, non decida che la “presa di beneficio” è finita. (Beh, buona giornata)

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La strage dei 73 migranti uccisi dal mare tra Malta e Lampedusa: le legge contro i clandestini sono un’arma di distruzione di massa, nella guerra tra poveri in Italia e contro i poveri del mondo.

Quei morti che gridano dal fondo del mare di EUGENIO SCALFARI
È SINGOLARE (non trovo altro aggettivo) il comportamento della stampa nazionale sulla strage dei 73 migranti uccisi dal mare tra Malta e Lampedusa.
Il primo giorno, con notizie ancora incerte, tutti hanno aperto su quell’avvenimento: il numero delle vittime, la storia raccontata dai cinque sopravvissuti, i dubbi del ministro Maroni sulla loro attendibilità, le responsabilità della Marina maltese, i primi commenti ispirati al “chissenefrega” di Bossi e di Calderoli.

Ma dal secondo giorno in poi i nostri giornali hanno voltato la testa dall’altra parte. Le notizie nel frattempo sopraggiunte sono state date nelle pagine interne. Uno solo, il “Corriere della Sera”, ha tenuto ancora quella strage in testata di prima pagina ma senza alcun commento. Il notiziario all’interno tende a riposizionare i fatti entro lo schema della responsabilità maltese. Il resto è silenzio o quasi. Fa eccezione “Repubblica” ma il nostro, com’è noto, è un giornale sovversivo e deviazionista e quindi non può far testo.

Comincio da qui e non sembri una stravaganza. Comincio da qui perché la timidezza, la prudenza, il dire e non dire dei grandi giornali nazionali sono lo specchio d’una profonda indifferenza dello spirito pubblico, ormai ripiegato sul tirare a campare del giorno per giorno, senza memoria del passato né prospettiva di futuro, rintronato da televisioni che sfornano a getto continuo trasmissioni insensate e da giornali che debbono ogni giorno farsi perdonare peccati di coraggio talmente veniali che qualunque confessore li manderebbe assolti senza neppure imporre un “Pater noster” come penalità minimale.

Perfino il durissimo attacco della Chiesa e della stampa diocesana, che su altri temi avrebbe avuto ampia risonanza, è stato registrato per dovere d’ufficio. Bossi, che ha orecchie attentissime a queste questioni, si è addirittura permesso di mandare il Vaticano a quel paese, definendo insensate le parole dei vescovi sulla strage del mare e invitando il papa a prendere gli immigrati in casa sua perché “noi qui non li vogliamo”.
Alla vergogna c’è un limite. Noi l’abbiamo varcato da un pezzo nella generale apatia e afasia.

* * *

Ci sono varie responsabilità in quanto è accaduto nel barcone dei 78 eritrei, per venti giorni alla deriva in uno specchio di mare popolatissimo di motovedette, aerei, elicotteri, pescherecci delle più diverse nazionalità, italiani, maltesi, ciprioti, egiziani, tunisini e libici. Responsabilità specifiche e responsabilità più generali.

La prima responsabilità specifica riguarda il mancato avvistamento da parte della nostra Marina e della nostra Aviazione. Venti giorni, un barcone di quindici metri con 78 persone a bordo, sballottato dai venti tra Malta e Lampedusa, un braccio di mare poco più ampio di quello percorso da una normale regata di vela.
I ministri Maroni e La Russa dovrebbero fornire al Parlamento e alla pubblica opinione l’elenco dei voli e dei pattugliamenti da noi effettuati in quello spazio e in quei giorni. Il ministro dell’Interno finora si è limitato a chiedere un rapporto sull’accaduto al prefetto di Agrigento.

Che c’entra il prefetto di Agrigento? Il responsabile politico dei respingimenti in mare è il ministro dell’Interno che si vale della guardia costiera, delle capitanerie di porto e delle forze armate messe a disposizione dalla Difesa. Maroni e La Russa debbono rispondere, non il prefetto di Agrigento.

La seconda responsabilità specifica riguarda il pattugliamento italo-libico sulle coste della Libia. Sbandierato ai quattro venti come un grande successo diplomatico, viaggi del premier in Libia, abbracci e baci sulle guance tra Berlusconi e Gheddafi, promesse di denaro sonante e investimenti al dittatore-colonnello, viaggio del medesimo con relativa tenda a Villa Pamphili, scortesie a ripetizione, sempre del medesimo, nei confronti di quasi tutte le autorità istituzionali italiane; secondo viaggio del colonnello e seconda tenda al G8 dell’Aquila, dichiarazioni del ministro degli Esteri, Frattini, per sottolineare l’importanza dell’asse politico Roma-Tripoli.

Risultati zero. Riforma dei centri di accoglienza libici sotto controllo italiano, zero. Quei centri sono un inferno dove i migranti provenienti dall’Africa sahariana e dal Corno d’Africa sono ridotti per mesi in schiavitù e sottoposti alle più infami vessazioni fino a quando alcuni di loro vengono affidati ai mercanti del trasporto e imbarcati per il loro destino. Le vittime in fondo a quel tratto di Mediterraneo non si contano più.

In quei centri, tra l’altro, le autorità italiane dovrebbero individuare quegli immigranti che hanno titolo per essere trattati come rifugiati politici. Queste verifiche non sono avvenute. I migranti eritrei in particolare dovrebbero poter godere di uno “status” particolare come ex colonia italiana, ma nessuno se ne è occupato (e meno che mai, ovviamente, il prefetto di Agrigento).

In compenso le motovedette italiane dal primo giugno ad oggi hanno intercettato un elevato numero di barconi e li hanno respinti nel girone infernale dei centri di accoglienza libici, il che significa che le partenze dalla coste cirenaiche continuano ad avvenire in barba a tutti gli accordi.
Questo stato di cose è intollerabile. Frutto di una legge perversa e d’un reato di clandestinità che ha addirittura ispirato un gioco di società inventato dal figlio di Bossi e brevettato con il titolo “Rimbalza il clandestino”.
Mancano le parole per definire queste infamità.

* * *

Ma esistono altresì responsabilità generali, al di là del caso specifico. Le ha elencate con estrema chiarezza il proprietario di un peschereccio di Mazara del Vallo da noi intervistato ieri.
Perché i pescherecci che avvistano barche di migranti in difficoltà non intervengono? Risposta: se sono in difficoltà superabili, intervengono, forniscono viveri acqua e coperte, indicano la rotta. Se sono in difficoltà gravi, li segnalano alle autorità italiane.
Segnalano sempre? Risposta: non sempre.
Perché non sempre? Risposta: se imbarchiamo i migranti sui nostri pescherecci rischiamo di perdere giorni e settimane di lavoro. Noi siamo in mare per pescare. Con gli immigrati a bordo il lavoro è impossibile.

Non siete risarciti dallo Stato? Risposta: no, per il mancato nostro lavoro non siamo risarciti.
Ci sono altre ragioni che vi scoraggiano? Risposta: chi prende a bordo clandestini e li porta a terra rischia di essere processato per favoreggiamento al reato di clandestinità. Temono di esserlo, perciò molti chiudono gli occhi e evitano di immischiarsi.

Se li portate a Malta che succede? Risposta: peggio ancora, ci sequestrano la barca per mesi e ci tolgono l’autorizzazione a pescare nelle loro acque.
Questi sono i risultati di una legge sciagurata, salutata non solo dalla Lega ma dall’intero centrodestra come un successo, una guerra vittoriosa contro le invasioni barbariche.

Questa legge dovrebbe essere abrogata perché indegna di un paese civile. Nel frattempo gli immigrati entrano a frotte dai valichi dell’Est. Non arrivano per mare ma in pullman, in automobile, in aereo, in ferrovia e anche a piedi. Alimentano il lavoro regolare e quello nero in tutta la Padania e non soltanto.
I famigerati rom e i famigerati romeni vengono via terra e non via mare. La vostra legge non solo è indecente ma è contemporaneamente un colabrodo.

* * *

Alcuni si domandano i motivi del silenzio di Berlusconi su questo delicatissimo tema. La ragione è chiara e l’ha fornita l’onorevole Verdini, uno dei tre coordinatori del Pdl insieme a La Russa e Bondi e quello che meglio di tutti conosce la natura del capo del governo essendo stato con lui e con Dell’Utri uno dei tre fondatori di Forza Italia nell’ormai lontano 1994.

Di che cosa vi stupite, ha scritto Verdini in una sua lettera al “Corriere della Sera” di pochi giorni fa ribattendo alcune domande di Sergio Romano nel suo fondo domenicale. Di che cosa vi stupite? Silvio Berlusconi, con almeno una parte di sé, è un leghista né più né meno di Bossi e quando nel ’93 decise di impegnarsi in politica pensò, prima di decidersi a fondare un nuovo partito, di guidare con Bossi la Lega. Poi scelse di fondare un partito nazionale del quale il nordismo leghista sarebbe stato il pilastro più rilevante.

Così Verdini, il quale in quella lettera rivendica il merito d’aver convinto il premier all’opportunità di dar vita a Forza Italia.
Non si poteva dir meglio. C’è da aggiungere che il peso della Lega è ultimamente aumentato in proporzione diretta alla minor forza politica del premier. La Lega ha oggi una forza di ricatto politico che prima non aveva e la sta esercitando in tutte le direzioni non senza alcuni contraccolpi sulle strutture e sulle alleanze all’interno del Pdl.

Uno dei temi di dibattito di queste ultime settimane è stato il collante che spiega nonostante tutto la persistenza del potere berlusconiano e la sua eventuale capacità di sopravvivere ad un possibile ritiro di Berlusconi dalla gestione diretta di quel potere. Tra le varie spiegazioni è mancata quella a mio avviso decisiva. Il collante del berlusconismo consiste nell’appello continuamente ripetuto e aggiornato agli istinti più scadenti che rappresentano una delle costanti della nostra storia di nazione senza Stato e di Stato senza nazione.

Una classe dirigente dovrebbe rappresentare ed evocare gli istinti più nobili di un popolo, educandolo con l’esempio, spronandolo ad una visione alta del bene comune. Un compito difficile che alcune figure della nostra storia esercitarono con passione, tenacia e abilità politica.
È più facile evocare gli “spiriti animali” e questo è avvenuto frequentemente nelle vicende del nostro paese a cominciare dal “O Franza o Spagna purché se magna” e alle sue più recenti e non meno abiette manifestazioni.

Giorni fa, rispondendo nel suo giornale alla lettera di un giovane leghista a disagio ma privo di alternative alla sua visione nordista, Galli Della Loggia spiegava al suo interlocutore quale fosse l’errore in cui era incappato: una falsa prospettiva storica, un falso revisionismo che ha messo in circolazione una falsa e deteriore immagine del nostro Risorgimento.
Ho riletto un paio di volte l’articolo di Della Loggia perché non credevo ai miei occhi. Il revisionismo da lui lamentato come deformazione della nostra storia unitaria è nato negli ultimi quindici anni proprio sulle pagine del suo giornale e lo stesso Della Loggia ne è stato uno dei più autorevoli esponenti.

Meglio tardi che mai. Purtroppo di vitelli grassi da sacrificare per il ritorno del figliol prodigo oggi c’è grande scarsità. Il solo vitello grasso in circolazione è lo scudo fiscale preparato da Tremonti, che però non riguarda la questione dell’Unità d’Italia e del revisionismo politico. Festeggia soltanto gli evasori fiscali. Anche questa è una (pessima) costante nella storia di questo paese. (Beh, buona giornata).

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democrazia Leggi e diritto

Il Capo dello Stato firma controvoglia una legge sbagliata perché l’opposizione in Parlamento è del tutto inconsistente.

Napolitano firma la legge sulla sicurezza. Ma esprime a Berlusconi, Maroni e Alfano le sue perplessità in merito-blitzquotidiano.it

Firma una legge che ritiene sbagliata, ma non può fare altrimenti, tenuto conto della forza che la maggioranza di governo ha alla Camera e al Senato.

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha oggi promulgato la legge sulle “Disposizioni in materia di pubblica sicurezza” approvata dal Parlamento il 2 luglio, ritenendo di non poter sospendere in modo particolare la entrata in vigore di norme, ampiamente condivise in sede parlamentare, volte ad assicurare un più efficace contrasto – anche sul piano patrimoniale e delle infiltrazioni nel sistema economico – delle diverse forme di criminalità organizzata. Ma in una lettera inviata a Berlusconi, Maroni e Alfano ha espresso tutti i suoi dubbi sul “pacchetto sicurezza”.

«Suscita peraltro perplessità e preoccupazioni – spiega in un comunicato il Quirinale – l’insieme del provvedimento che, ampliatosi in modo rilevante nel corso dell’iter parlamentare, risulta ad un attento esame contenere numerose norme tra loro eterogenee, non poche delle quali prive dei necessari requisiti di organicità e sistematicità; in particolare si rileva la presenza nel testo di specifiche disposizioni di dubbia coerenza con i principi generali dell’ordinamento e del sistema penale vigente».

Su tali criticità il Presidente Napolitano ha ritenuto pertanto di richiamare l’attenzione del Presidente del Consiglio e dei ministri dell’Interno e della Giustizia per le iniziative che riterranno di assumere, anche alla luce dei problemi che può comportare l’applicazione del provvedimento
in alcune sue parti.

La lettera, ampiamente argomentata, è stata inviata, per conoscenza, anche ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati. (Beh, buona giornata).

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Leggi e diritto Popoli e politiche

L’Unhcr non conta un fico secco? Adesso ci prova Maroni a metterci una pezza, mentre arriva una dura reazione dell’Unicef.

Sulla questione dei respingimenti dei clandestini, il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha detto che “la polemica è incomprensibile”. Maroni non ha fatto riferimento al botta e risposta fra l’alto commissariato per i rifugiati e il ministro della Difesa La Russa. Ha detto però che dal suo “punto di vista vorrei la polemica terminasse. Innalzare i toni potrebbe pregiudicare il buon lavoro che abbiamo fatto in questi dieci mesi”. Secondo il ministro, infatti, l’Unhcr potrebbe svolgere un ruolo importante in Libia, anzi “fondamentale”. “Rispetto le opinioni di tutti – ha aggiunto – ma non penso sia utile tenere i toni della polemica”.

Nel frattempo interviene un’altra agenzia dell’Onu: l’Unicef. L’aspetto generale della polemica – ovvero il rapporto tra il governo italiano e le agenzie della Nazioni Unite – è stato affrontato oggi da Vincenzo Spadafora, presidente di Unicef Italia: ”Delegittimare l’operato di organizzazioni delle Nazioni Unite che da sempre hanno il compito specifico di svolgere una azione di supporto ai governi ed alle popolazioni è un errore, un segnale che giudico pericoloso”, ha detto l’alto funzionario Onu. Beh, buona giornata.

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democrazia Leggi e diritto Popoli e politiche

Il Parlamento italiano approva la peggiore legge sulla sicurezza dalla nascita della Repubblica, cioè dalla fine del Fascismo. Il modo peggiore per prepararsi al rinnovo del Parlamento europeo.

(fonte: repubblica.it)
Passano alla Camera dei Deputati le nuove norme su immigrazione, mafia e sicurezza urbana

L'Aula della Camera ha confermato la fiducia al governo, approvando i tre maxiemendamenti al disegno di legge in materia di sicurezza.
Arrivano poi le 'ronde' e il reato di immigrazione clandestina, passibile di multe da cinque a diecimila euro, con obbligo di denuncia da parte dei pubblici ufficiali, e passa da 60 a 180 giorni il periodo in cui un immigrato potrà essere trattenuto nei centri di identificazione ed espulsione. Costerà 200 euro chiedere la cittadinanza e da 80 a 200 euro il permesso di soggiorno. Una pena fino a tre anni di carcere è prevista per chi affitti case o locali ai clandestini e per insulti a pubblico ufficiale. Vengono inoltre ripristinati i poteri del procuratore nazionale antimafia e inasprito il '41-bis' sulla detenzione dei boss mafiosi.

Le critiche della Cei. Secondo il direttore dell'Ufficio per la pastorale degli immigrati della Cei, padre Gianromano Gnesotto, "di fatto il grande tema che viene tenuto sotto silenzio di questo ddl è proprio l'importante tema dell'integrazione, dell'inserimento nella società per ottenere il quale - dice - sono prioritarie le strategie della tutela dell'unità familiare, dei ricongiungimenti familiari, dei minori tutelati".

"Il grande tema - insiste Gnesotto - che viene messo a lato da questo provvedimento è quello dell'integrazione perché il pacchetto sicurezza non parla di questo e non avrà gli effetti propri di una società che vuole essere integrata".

L'esponente della Cei ha anche espresso "forte preoccupazione" in particolare per le misure che farebbero emergere, secondo alcune interpretazioni, la possibilità di "bambini invisibili" per le difficoltà poste al riconoscimento dei figli nati in Italia da madri clandestine senza passaporto. "Non è vero come si dice - afferma padre Gnesotto - che c'è un permesso automatico dato alla madre clandestina in attesa del figlio e poi per i primi sei mesi dalla nascita perché questo va richiesto e quindi si possono trovare bambini che vengono registrati da parte dell'ostetrica o dei servizi sociali ma è una modalità prevista per chi non vuole riconoscere il proprio figlio o intende abbandonarlo che non è il caso delle donne immigrate". Secondo il sacerdote "tutto questo porterà conseguenze veramente difficili, ma già il fatto stesso che la madre del bambino si trovi nella condizione di non poterlo registrare pone un problema forte".

Il ministro Maroni è soddisfatto. Intervenendo a una cerimonia per l'intitolazione della sede del ministero del Lavoro a Marco Biagi, il titolare del Viminale ha auspicato che le nuove norme sulla sicurezza "vengano approvate definitivamente dal Senato entro la fine di maggio". Poi, a proposito del "giallo" sul destino dei bimbi nati da clandestini, ha smentito su tutta la linea: "E' una notizia destituita di ogni fondamento - ha detto - è un'altra panzana inventata da non so chi".

Il capogruppo dell'Idv Massimo Donadi ha dichiarato che "non c'è un briciolo di sicurezza in questo testo, solo demagogia. Si finanziano le ronde, che sono l'anticamera della polizia di partito, e si tolgono soldi alle forze di polizia". Per il Pd, Marco Minniti ha parlato di "un sonno mostruoso della ragione", e di "una fiducia posta contro la libertà della stessa maggioranza".

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche

Il principio di respingimento di Maroni non trova alcun fondamento nel diritto nazionale, in quello europeo e in quello internazionale quando si tratta di persone che chiedono protezione.

di VITTORIO LONGHI-repubblica.it
La svolta nella gestione dell’immigrazione e degli arrivi via mare, secondo il ministro dell’Interno Maroni, starebbe in un nuovo modello, tutto italiano, fondato su quello che lui stesso ha definito “il principio del respingimento”. Ma, quando riguarda richiedenti asilo, non è ancora chiaro a quali leggi o convenzioni faccia riferimento.

Il testo unico
Forse si tratta del Testo unico sull’immigrazione del 1998, che all’articolo 10 parla espressamente del respingimento e recita: “La polizia di frontiera respinge gli stranieri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti richiesti per l’ingresso nel territorio dello Stato”. Lo stesso articolo, però, dice anche che le norme “non si applicano nei casi previsti dalle disposizioni vigenti che disciplinano l’asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero l’adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari”. Perciò il Testo unico nazionale rimanda al principio universale del “non respingimento” dei richiedenti asilo, proprio l’opposto di quello invocato da Maroni e contemplato invece dal diritto europeo e internazionale.

Le convenzioni internazionali
A vietare tassativamente il respingimento di rifugiati o richiedenti asilo sono gli obblighi internazionali che nascono, nello specifico, dalla Convenzione sui Rifugiati del 1951 e dal Protocollo del 1967, dalla Convenzione Internazionale sui diritti civili e politici, dalla Convenzione Onu contro la tortura, dalla Convenzione europea sulla protezione dei diritti umani.
Il ministro leghista ha detto che “il respingimento alle frontiere è previsto dalle normative europee” senza precisare quali e senza considerare che tutto il sistema normativo europeo in materia d’asilo si basa sulla convenzione di Ginevra. Quindi, di nuovo, sul principio del non respingimento. Tra l’altro, la convenzione europea sui diritti umani vieta “la tortura, il trattamento disumano e degradante” e la Corte di Strasburgo per i diritti umani applica questo divieto anche nei contesti di respingimento ed espulsione. E neanche si può circoscrivere la questione alle acque di competenza. L’obbligo di non-respingimento non comporta alcuna limitazione geografica – secondo le convenzioni – e si applica a tutti gli agenti statali nell’esercizio delle loro funzioni all’interno o all’esterno del territorio nazionale.
A questo proposito, il diritto è ancora più preciso: nel caso di richiedenti asilo che affrontano un viaggio via mare, il non-respingimento si applica all’interno delle 12 miglia di acque territoriali, così come nelle acque contigue, in mare aperto e nelle acque costiere di paesi terzi. Praticamente senza limitazioni.

L’accordo con la Libia
Inoltre, il rinvio diretto di un rifugiato o di un richiedente asilo verso un paese nel quale teme di essere perseguitato non rappresenta l’unica forma di respingimento. Anche il rinvio indiretto verso un paese terzo – la Libia in questo caso – che potrebbe successivamente rimandare la persona verso il paese di temuta persecuzione, costituisce respingimento. Così facendo, entrambi i paesi sarebbero ritenuti responsabili, cioè sia la Libia che l’Italia. E non risulta che nell’accordo bilaterale con il governo libico l’Italia abbia preteso garanzie del rispetto dei diritti umani, compreso il diritto d’asilo, per le persone che vengono riportate a Tripoli in seguito al pattugliamento delle coste libiche.

Tutto questo dimostrerebbe che il principio di respingimento di Maroni non trova alcun fondamento nel diritto nazionale, in quello europeo e in quello internazionale quando si tratta di persone che chiedono protezione. Pertanto non potrebbe essere applicato per rimandare indietro quei migranti che arrivano via mare e che, nel 75 per cento dei casi, sono richiedenti asilo. (Beh, buona giornata).

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Leggi e diritto Popoli e politiche

In campagna elettorale, Berlusconi si adegua al linguaggio leghista e dice “no all’Italia multietnica”. Dopo tutto, un popolo spaventato si governa meglio.

Al mercato della paura
di ILVO DIAMANTI-la Repubblica

ORMAI è impossibile affrontare il tema della “sicurezza” nel dibattito pubblico, ridotto a materia di propaganda politica. Sui giornali e in Parlamento. Se ne parla per catturare il consenso dei cittadini, non per risolvere i problemi. Nel sostenerlo ci pare di scrivere lo stesso articolo. Un’altra volta. Eppure è difficile non tornare sull’argomento. Perché l’argomento ritorna, puntuale, al centro del dibattito politico. Come in questa fase, segnata dalle polemiche intorno al decreto sulla “sicurezza” (appunto). A proposito del quale Franceschini ha parlato di nuove “leggi razziali”. Anche se gli aspetti più critici della legge sono stati esclusi dal testo. Ci riferiamo alla possibilità, offerta ai medici e ai pubblici funzionari (i presidi, per esempio), di denunciare i clandestini.

Altre iniziative venate di razzismo invece, non riguardano il governo, ma singoli politici e amministratori locali. Come la proposta di segregare gli stranieri nei trasporti pubblici, a Milano. Assegnando loro posti e vagoni separati. Una provocazione, anche questa. Capace, però, di intercettare consensi, solo a evocarla. La Lega, su questa base, sta costruendo la sua campagna elettorale in vista delle prossime europee. Per conquistare consensi nel Nord, ma anche altrove. Presentandosi come il partito della sicurezza-bricolage, da perseguire in ogni modo.

Anche l’imbarcazione carica di immigrati respinta dalla nostra Marina e consegnata alla Libia rientra in questa strategia politica e mediatica. Serve, cioè, come “annuncio”. Esibisce la volontà determinata del governo, ma soprattutto del ministro dell’Interni e della Lega, di respingere l’invasione degli stranieri. Di rimandarli là dove sono partiti. Chissenefrega che fine faranno. Noi non possiamo accogliere i poveracci di tutto il mondo.

Gli alleati di centrodestra, in parte, approvano. In parte no. Comunque, non si possono dissociare, altrimenti la maggioranza si dissolve. E poi non vuole abbandonare l’argomento della paura dell’altro alla Lega. Così Berlusconi approva. Si adegua al linguaggio leghista e dice “no all’Italia multietnica”. In aperta polemica con la “sinistra, che ha aperto le porte a tutti”. (Anche se i flussi da quando è tornata al governo la destra sono raddoppiati). E la sinistra, chiamata in causa, si adegua: nel linguaggio e negli argomenti. Oppone alla retorica della cattiveria quella buonista (che, in assenza di alternative, preferisco). Denuncia il razzismo. Esorta all’integrazione. Senza, tuttavia, spiegare “come” realizzarla. Si appella all’indignazione della Chiesa (contro cui, peraltro, si indigna quando si occupa di etica). Così la “sicurezza” sfuma in una nebulosa che mixa immagini indistinte. Criminali piccoli e medi, immigrati, zingari, stranieri. Ridotti a slogan.

Un tema così importante (e critico) dovrebbe venire affrontato in modo co-operativo. Attraverso il confronto e la progettazione comune. Invece, è abbandonato al gioco delle parti. In balia degli interessi e degli imperativi immediati. La “fabbrica della sicurezza” (titolo di una bella ricerca curata da Fabrizio Battistelli e pubblicata da Franco Angeli), d’altronde, si scontra con il “mercato della paura”. Il quale non limita la sua offerta all’ambito politico-elettorale, ma presenta una gamma di prodotti ampia e differenziata (come suggerisce una riflessione di Gianluigi Storti).

a) La paura, insieme all’in-sicurezza: è un format di largo seguito, sui media. Nei notiziari di informazione, nei programmi di “vita vera e vissuta”, nelle trasmissioni di approfondimento. A ogni ora del giorno, in ogni canale, incontriamo uno stupro, un’aggressione, un omicidio, un delitto, una catastrofe. E poi fiction di genere, che primeggiano negli indici di ascolto. Sky ha dedicato due canali alle “scene del crimine”. 24 ore su 24 dedicate alla “paura”.
E’ significativa l’evoluzione (o forse la d-evoluzione) dei tipi sociali interpretati da Antonio Albanese. Attore e analista acuto del nostro tempo. Da Epifanio, il personaggio stralunato e naif (ricorda vagamente Prodi), proposto vent’anni fa, fino al “ministro della paura” (accanto al “sottosegretario all’angoscia”) esibito ai nostri giorni.

b) La paura alimenta la domanda di autodifesa delle famiglie (come ha rilevato il rapporto Demos-Unipolis sul sentimento di insicurezza), che trasformano le case in bunker. Con porte blindate, vetri antisfondamento, sistemi di allarme sempre più sofisticati. All’esterno: recinzioni e cani mostruosi. In tasca e nei cassetti: armi per difesa personale.

c) Disseminati ovunque sistemi di osservazione, occhi elettronici che ci guardano. A ogni angolo. In ogni luogo. Mentre si diffondono poliziotti e polizie, ronde e servizi d’ordine. La sicurezza: affidata sempre più al privato e sempre meno al pubblico.

d) Intorno alla paura e all’insicurezza si è formata una molteplicità di figure professionali. Psicologi, psicanalisti, analisti, psicoterapeuti. E sociologi, criminologi, assistenti sociali. Operano in istituzioni, associazioni, studi. Nel pubblico, nel privato e nel privato-sociale.

e) Infine, come dimenticare la miriade di prodotti chimici al servizio della nostra angoscia? Occupano interi scaffali sempre più ampi, dentro a farmacie sempre più ampie. Supermarket dove il padiglione dedicato alla paura, di mese in mese, allarga lo spazio e l’offerta.

Per questo è difficile sconfiggere la paura e fabbricare la sicurezza. Perché la sicurezza è un bene durevole, che richiede un impegno di lungo periodo e di lunga durata. L’insicurezza, la paura, no. Sono beni ad alta deperibilità. Più li consumi più cresce la domanda. Garantiscono alti guadagni in breve tempo. Per costruire la sicurezza occorrerebbe agire con una visione lunga. Disporre di valori forti. Servirebbero attori politici e sociali disposti a lavorare insieme. In nome del “bene comune”. Ispirati da una fede o almeno da un’ideologia provvidenziale. Pronti a investire sul futuro. Mentre ora domina il marketing. Trionfa il mercato della paura. Dove non esiste domani. È sempre oggi. È sempre campagna elettorale.
Che l’angoscia sia con noi. (Beh, buona giornata).

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