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New York Times durissimo sull’Italia: “Aver tollerato troppe buffonerie ha provocato troppi danni.”

(fonte: repubblica.it)

Un articolo nelle pagine dei commenti firmato da Frank Bruni, che anni fa fu corrispondente da Roma. Il New York Times pubblica un pezzo durissimo contro il premier italiano, dal titolo “L’agonia e il bunga a bunga”. Parla di “baccanali di Berlusconi”, di uno spettacolo da “petit guignol” che va in scena mentre l’Italia è in crisi e addirittura minaccia la stabilità finanziaria di tutta Europa. Bruni ricorda il settembre nero italiano: in cui non si sa se il Parlamento riuscirà ad approvare la manovra finanziaria, se questa sarà sufficiente e come sarà giudicata dall’Europa. Ma in questo momento drammatico – secondo il columnist del quotidiano americano – ci si domanda come il “lussurioso imperatore” del Paese vorrà festeggiare i suoi 75 anni.

Nell’articolo si ricordano il processo che il presidente del Consiglio dovrà affrontare perché accusato di aver fatto sesso con una minorenne, i bunga a bunga in cui riunisce veri e propri harem di donne, spesso travestite da infermiere. Bruni ammette: “Noi americani abbiamo trovato anche divertente tutto questo, perché è terrificante, ma anche rassicurante”. “Però – ammonisce i suoi connazionali – non dovremmo restare a bocca aperta e ridere. Perché ora l’Italia minaccia la stabilità finanziaria di tutta l’Europa”.

“Il cammino dell’Italia dalla gloria al ridicolo – continua Bruni – spianato dalle distrazioni legali e carnali del premier, non dà benefici a nessuno. L’Italia ha una storia che dovrebbe rappresentare un monito per molte democrazie occidentali che si sono fatte cullare dal comfort nella compiacenza di sè. Aver tollerato troppe buffonerie ha provocato troppi danni”. (Beh, buona giornata)

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Attualità democrazia Media e tecnologia

Mentre Berlusconi dice “mi sto divertendo”, il New York Times scrive: “Spiegare questa storia ai lettori americani è una vera sfida”.

(fonte: repubblica.it)

“In Italia, dove una facciata di moralità cattolica nasconde una alta tolleranza di rapporti illeciti, Berlusconi è stato segnato dagli scandali per anni. Ma questa volta, con il premier che rischia l’incriminazione e con le intercettazioni che presentano un quadro di un sordido mondo di orge e ricatti di prostitute, le cose cominciano ad apparire diversamente”. E’ lucido e impietoso il reportage di Rachel Donadio da Roma sugli ultimi sviluppi delle vicende italiane. “Berlusconi è sopravvissuto a stento a due voti di fiducia a dicembre e ora potrebbe vedersi costretto a nuove elezioni se uno degli alleati della sua incerta coalizione si dovesse ritirare”.

La sintesi della vicenda, compito non certo semplice, porta il Nyt a concludere che “Lo scandalo ha un cast di personaggi che riempirebbe un’intea soap opera”. La sostanza dell’inchiesta – basata su “intercettazioni stupefacenti” – appare incontrovertibile: “Le intercettazioni pubblicate danneggiano l’immagine da superman che Berlusconi ha aiutato a coltivare”. “In un messaggio televisivo, un Berlusconi teso, il volto ricoperto di fondotinta, ha attaccatoi magistrati che stanno indagando su di lui (….) Seduto davanti a uno sfondo di foto di famiglia Berlusconi ha aggiunto che le sue feste si svolgevano “nella più assoluta eleganza, decoro e tranquillità”.

Oltreoceano, si fa fatica evidentemente a concepire l’evidenza di quel che sta accadendo in Italia. “Spiegare questa storia ai lettori americani
è una vera sfida”, ci dice Rachel Donadio . Ad esempio, la ormai nota frase di Ruby riportata dalle trascrizioni delle intercettazioni in cui la ragazza così si riferiva a Noemi Letizia “Per lui lei è la pupilla e io il culo”, ha creato dibattito tra Roma e New York: “Il New York Times ha un codice di stile molto rigoroso che non permette di riportare parolacce o volgarità compreso ass (culo), né consente formule tipo ‘c….’ o eufemismi allusivi (“ha usato un altro termine per fondoschiena”). Ho sostenuto un dibattito piuttosto divertente con i miei editor su quella frase. Alla fine, hanno vinto loro. Hanno detto che “culo” non era così essenziale ai fini della storia perché ci fosse bisogno di stamparlo. Ma – conclude – con tanta abbondanza di altro ottimo materiale, non penso proprio che la storia ne abbia sofferto!”. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: altri 100 giornalisti mandati a casa dal New York Times.

Crisi editoria: Il New York Times licenzia altri 100 giornalisti-blitzquotidiano.it
La crisi dell’editoria fa ancora sentire la sua morsa negli Usa: il New York Times, infatti, si appresta a licenziare altri 100 giornalisti (l’8% del totale) entro la fine dell’anno dopo gli 80 posti di lavoro tagliati lo scorso anno.

Lo ha reso noto la proprietà specificando che giovedì 22 ottobre offrirà un pacchetto di incentivi all’esodo a tutta la redazione. I giornalisti avranno 45 giorni per decidere.

Ma se almeno 100 redattori non accetteranno l’offerta a quel punto sarà la direzione a scegliere chi dovrà lasciare il giornale, ha spiegato il direttore Bill Keller, auspicando che cio «non accada anche se potrebbe».

Già lo scorso anno il Nyt aveva ridotto la newsroom da 1.330 giornalisti a 1,250, oltre ad aver ridotto i compensi del 5% a tutti i dipendenti. La “Grey old lady”, come tutti i quotidiani statunitensi, ha subito forti cali di vendite delle copie cartacee e di raccolta pubblicitaria danneggiata dal suo stesso sito web che è completamente gratuito.

Per far fronte alle perdite il New York Times era stato costretto a ricorrere misure d’emergenza tra cui vendere il nuovo grattacielo di Renzo Piano, dove si erano trasferiti nel 2007 e chiedere in prestito 250 milioni di dollari al tasso del 14% dal magnate messicano Carlos Slim. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: è utile e fattibile far pagare le news su internet?

Editoria on line/ Murdoch lo dice, gli altri lo fanno: il New York Times vuole mettere il suo sito a pagamento-blitzquotidiano.it

Rupert Murdoch l’aveva detto. Il magnate dell’editoria aveva predetto la fine delle notizie on-line gratis. Ora anche il New York Times, dall’alto del suo record di 18 milioni di contatti singoli al mese, sta valutando di far pagare l’accesso al suo sito, unica risposta al crollo dei profitti.

«Stiamo considerando la possibilità di introdurre una tariffa mensile di 5 dollari per accedere ai nostri contenuti, inclusi articoli, blog e multimedia» dice un annuncio pubblicato sull’ edizione cartacea del New York Times.

Non è la prima volta che il New York Times fa questo esperimento. Nel 2005 lanciò il “Times Select”, che introduceva una tariffa per l’ accesso ad alcune opinioni ed editoriali, ma chiuse il programma due anni dopo.

Sulla questione delle news a pagamento su internet si è espressa anche Layla Pavone, presidente della sezione italiana di Iab (Interactive Advertising Bureau). Intervistata dal Corriere della Sera, la Pavone ha affermato: «È troppo tardi per fare pagare le notizie agli utenti, almeno se parliamo di internet, perché per quanto riguarda il mobile il discorso è già molto diverso. Sul web è difficile fare un passo indietro dopo quasi venti anni di notizie free. Personalmente non credo che l’informazione a pagamento possa avere un impatto positivo sui business model delle aziende editoriali».

TAG: giornali on line, iab, internet, layla pavone, new york times, pagamento, rupert murdoch

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Finanza - Economia Popoli e politiche

Il G8 secondo il New York Times:« una programmazione imperdonabilmente negligente da parte del governo ospite, l’Italia, e la debolezza politica di molti dei leader presenti, lascia poco spazio all’ottimismo».

(fonte:corriere.it)
Il Presidente Usa Barack Obama dovrebbe assumere la guida del vertice del G8 al via in Italia, per evitare che sia uno spreco di tempo e di impegno. E’ quanto scrive nel giorno dell’apertura del summit in un editoriale il quotidiano americano The New York Times. Non sono i problemi a mancare, precisa il quotidiano, «ma una programmazione imperdonabilmente negligente da parte del governo ospite, l’Italia, e la debolezza politica di molti dei leader presenti, lascia poco spazio all’ottimismo».

LA GUIDA – Per questo, scrive il Nyt, «se questa sessione non vuole essere uno spreco di tempo e impegno, il Presidente Obama dovrà assumerne la guida», trasformando la fiducia politica che si è guadagnato negli ultimi sei mesi in capitale diplomatico. Il quotidiano invita quindi il Presidente americano a «fare nuove pressioni sulla Germania perché investa di più nel pacchetto di stimolo», a intervenire sugli altri leader per scongiurare «pericolose tendenze protezionistiche» e a sollecitare una «decisa presa di posizione da parte del G8, Russia inclusa», contro l’ambizione nucleare iraniana.

CLIMA – Sui cambiamenti climatici, gli Stati Uniti sono ancora molto indietro rispetto all’Europa, ammette il Nyt, per cui Obama dovrà fare pressioni sul Congresso americano perchè approvi la sua legge per la riduzione delle emissioni. Al vertice, i leader del G8 «dovrebbero impegnarsi a rispettare l’obiettivo» di raddoppiare gli aiuti ai Paesi poveri, e «ogni Paese dovrebbe annunciare un contributo preciso per questo e il prossimo anno». «Tradizionalmente è l’ospite a dettare tono, tema e agenda di questi incontri – prosegue il quotidiano – ma il premier italiano, Silvio Berlusconi, ha speso gran parte delle sue energie, nelle ultime settimane, a cercare di eludere le accuse pubblicate dalla stampa sulle sue frequentazioni con escort e minorenni. “Showmanship”: forse. Leadership: no». «Tutti i Paesi presenti all’Aquila hanno un chiaro interesse a favorire una più forte e rapida ripresa economica, a fermare la corsa nucleare dell’Iran, a rallentare il riscaldamento terrestre e a sostenere lo sviluppo delle nazioni più povere del mondo – conclude il Nyt – spetta ad Obama ricordarlo ai leader e stimolarli». Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia

«Gran parte del successo di Berlusconi nasce dalla sua abilità di leggere gli umori del Paese. Ora molti si chiedono se finalmente non abbia fatto un calcolo sbagliato e non stia spingendo troppo in là i tolleranti italiani, e se la sua reputazione di fine carriera non somigli sempre più alla decadenza imperiale del “Satyricon” di Fellini».

Berlusconi, Noemi e la stampa estera. Per il New York Times il Cavaliere è “decadente come Satyricon”. Per il Time l’Italia è il “Berlusconistan”-blitzquotidiano.it
La stampa estera torna a parlare di Berlusconi: a parlare del Presidente del Consiglio, sono questa volta due autorevoli testate americane, il New York Times e il Time. «Gran parte del successo di Berlusconi nasce dalla sua abilità di leggere gli umori del Paese. Ora molti si chiedono se finalmente non abbia fatto un calcolo sbagliato e non stia spingendo troppo in là i tolleranti italiani, e se la sua reputazione di fine carriera non somigli sempre più alla decadenza imperiale del “Satyricon” di Fellini». Questo è ciò che scrive il New York Times, al termine di una dettagliata ricostruzione su tutta la vicenda di Noemi Letizia.

Il Time, dalla penna del suo corrispondente Jeff Israely, parla dell’Italia come del «Berlusconistan», dove «il 72enne maestro dei manipolatori ha innescato un ciclo di notizie che in realtà potrebbe portare alla sua fine politica».

Anche il Christian Scence Monitor si occupa della faccenda. Il giornale americano scrive come «nel mezzo di una crisi economica, l’Italia sembra occuparsi più del presunto affaire del primo ministro con una teenager che del summit del G8 di luglio».

I giornali europei hanno pubblicato molti editoriali sul Cavaliere negli ultimi giorni. Il Guardian inglese collega la vicenda e il comportamento di Berlusconi all’ex premier inglese Tony Blair ed alla moglie Cherie scrivendo che «persino i Blair stanno prendendo le distanze da lui». Cherie parlando del viaggio col marito in Sardegna nel 2004 ospiti del Cavaliere, ha preso «in giro la bandana indossata per coprire quello che lei insiste fosse un trapianto di capelli (nonostante il suo rifiuto di ammetterlo)». (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: è vero che Google voleva comprare il New York Times.

Google voleva comprare il New York Times, parola di Ceo di Gianni Rusconi -sole24ore.com

Non erano speculazioni ma indiscrezioni fondate. Quando nei mesi scorsi i media americani parlavano spesso e volentieri delle intenzioni di Google di investire direttamente nell’editoria non stavano arrampicandosi alla notizia dell’anno. Che il gigante dei motori di ricerca stesse realmente valutando l’opportunità di acquisire una grande quotidiano – il nome più gettonato era il New York Times – l’ha confessato in una lunga intervista al Financial Times il Ceo della società di Mountain View, Eric Schmidt. L’ammissione è stata però accompagnata da un’importante precisazione: Google, oggi, non è più interessata ad investire in alcun media cartaceo per via dei rischi collegati a un’operazione particolarmente dispendiosa. Niente acquisti e nemmeno l’ipotesi di una quota azionaria (per la storica testata si vociferava una possibile cessione del 20% del pacchetto azionario, offerto dal fondo Harbinger Capital Partners) dunque. Il mestiere della compagnia, ha detto in sostanza Schmidt, è quello di sviluppare e vendere tecnologia e non contenuti e quanto al rapporto con i grandi editori (che vivono una fase di grande difficoltà) le collaborazioni sono le benvenute con l’unico obiettivo di fare funzionare bene la pubblicità sui siti Web di questi ultimi (con il Washington Post e altri la partnership è già avviata da tempo).

Arrivata quindi l’ufficiale conferma del passo indietro, molto analisti si sono chiesti cosa sarebbe potuto cambiare per Google se avesse portati avanti il progetto di scalata al New York Times. Non è stata infatti la casa californiana a contribuire alla picchiata delle vendite delle copie stampate dei più grandi giornali d’America? Buttarsi nel mercato dei contenuti, oltretutto con un modello non profit (Google.org, avrebbe sconfessato la missione tecnologica della società e sconvolto i già precari equilibri del settore media? Sarebbe stata solo un’azione speculativa, dettata dalla possibilità di accaparrarsi “a prezzi di saldo”, una quota importante di uno dei giornali più importanti del mondo? O una precisa strategia per fare il botto nell’advertising on line?
Domande a cui ora non ha più senso dare risposte. Google rimane al suo (in fluentissimo) posto e Schmidt pure. Al Financial Times il top manager, che è membro del team economico voluto da Barak Obama, ha confermato che non correrà per un ruolo politico, perché “non c’è una seconda vita dopo Google…”. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Quarta crisi: il Nyt continua a tagliare.

da blitzquotidiano.it

Bill Keller, l’editore del New York Times, ha aggiornato il suo staff sul piano di tagli al budget redazionale.
Ha confermato inoltre il taglio generalizzato dei freelance, la chiusura degli inserti come “City” e “Escapes”, sui quali erano già circolate voci, e della rubrica di moda pubblicata dal settimanale “New York’s Magazine”.(Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia

A Obama non piace il capitalismo finanziario.

In un’intervista con il New York Times di oggi, Barack Obama ha detto: “ciò che ritengo fosse un’aberrazione, era una situazione in cui i profitti corporativi del settore finanziario costituivano una parte così consistente della nostra redditività complessiva. Questo, credo, cambierà. È importante comprendere che parte della ricchezza generata nell’ultimo decennio per i benefici delle imprese era puramente illusoria». Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: L’Associated Press contro i siti web, il New York Times contro l’Associated Press.

(fonte: blitzquotidiano.it)

Le aziende editrici di quotidiani americane, colpite dal calo della pubblicità, delle vendite e dal fatto che i lettori preferiscono collegarsi a internet per leggere le notizie gratuitamente piuttosto che acquistare i giornali, sono pronte al contrattacco.

Dean Singleton, presidente dell’Associated Press (una cooperativa con 1.400 abbonati solo negli Stati Uniti), ha dichiarato che «è giunto il tempo di finirla con i siti web che si appropriano illegalmente del nostro materiale giornalistico».

Intervenendo ad un convegno della Newspaper Association of America (NAA) a San Diego, California, Singleton ha detto che l’Ap si accinge a prendere provvedimenti per meglio tutelare i contenuti dei suoi clienti.

Cosa esattamente intende fare l’Ap e come non è ancora chiaro, ma si sa che cercherà la collaborazione dei portali web per individuare e perseguire legalmente chi si appropria di materiale Ap a sbafo.

La reazione dell’Ap e di altre aziende proprietarie di giornali si inquadra nella crisi che sta falcidiando i quotidiani americani, molti dei quali hanno chiuso o stanno per chiudere.

Al fine di aiutarli a sopravvivere, l’Ap ha annunciato una riduzione delle quote che i giornali abbonati pagano per ricevere i suoi servizi.

La controffensiva ad internet delle aziende proprietarie di giornali ha suscitato reazioni diverse da parte degli analisti, alcuni dei quali la trovano giusta, mentre altri ritengono che sia una perdita di tempo.

«Quello che l’Ap sta cercando di fare nel riconoscere la minaccia di internet – ha dichiarato alla Reuters Tom McPhail, esperto di media all’Università del Missouri – è troppo poco e troppo tardivo».

Le difese dei linking a internet dai quotidiani sono state, prevedibilmente, prese da un esperto legale di Google, Alexander MacGillivray, il quale ha sottolineato che la prassi convoglia traffico verso i siti dei giornali e conseguentemente pubblicità.

La realtà, ha detto MacGillivray, è ormai che «la vasta maggioranza» dei lettori preferiscono le news gratuite su internet, e che i giornali dovrebbero considerare Google un partner e non un rivale nei loro sforzi di aumentare la pubblicità online.

Il New York Times pubblica un’analisi del suo columnist Saul Hansell sul vespaio suscitato dal presidente dell’Associated Press, Dean Singleton, che minaccia ritorsioni ed azioni legali contro i siti web che si appropriano del materiale dell’agenzia.

Secondo Hansell, anche se l’Ap vincesse la sua battaglia «è difficile capire quali benefici otterrebbero l’agenzia o le aziende editoriali che ne sono proprietarie».

«Il vero problema – scrive Hansell – è che l’Ap non tiene in considerazione cosa rubano coloro che accusa di pirateria. Nel peggiore dei casi, costoro impediscono ai clienti dell’AP di mettere a disposizione dei lettori gli stessi articoli gratuitamente, riducendosi a raccogliere così ben scarse entrate pubblicitarie».

Ma quello che è veramente ironico riguardo alle sfuriate di Singleton, prosegue Hansell, «è che i suoi clienti paganti includono quasi tutti i siti web che offrono informazione gratuita».

Hansell conclude con un paradosso che certo non piacerà a Singleton, e cioè che «è la stessa esistenza dell’Ap a creare la piaga delle news gratuite. E quindi, in base alla logica dell’industria dei giornali, Singleton ha una sola scelta: risolvere il problema alla radice e chiudere la sua agenzia». (Beh, buona giornata).

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