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Attualità Finanza - Economia

Lui minaccia, il dietologo lo consiglia.

“Ho sentito Berlusconi ed è molto di cattivo umore. Minaccia di andarsene lasciandoci in balìa della sorte e non di un’alternativa concreta. La responsabilità di Berlusconi in politica e la tragedia è di non aver affrontato la questione della crescita quando doveva farlo e quando lo ha annunciato a gennaio dello scorso anno. Questo è il fallimento recente di Berlusconi. Speriamo che ora faccia una dieta di sangue di tigre e bistecche di leone”. Ferrara dixit. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Media e tecnologia

Berlusconi e il falò delle sue vanità.

L’analisi. Non è “tipico italiano”, Berlusconi esplora nuovi territori
politico-emotivi, configurando un diverso rapporto con l’elettorato
Perché per noi inglesi Silvio è inconcepibile di JOHN LLOYD-repubblica.it

Il caso Berlusconi ormai è globale. Il premier italiano è diventato un’icona, sul suo conto un turbine di notizie, di storie. Poche persone conoscono il nome dei presidenti e dei primi ministri di paesi che non siano il loro (eccezion fatta per Barack Obama), ma gran parte della gente sa chi è Silvio Berlusconi.

E sa anche che molti, forse troppi italiani continueranno ad appoggiarlo, a votare per lui e a dargli fiducia. Leggono le sue smentite e i commenti tra ironia e provocazione tipo “Non cambierò, agli italiani piaccio così come sono” e “Non sono un santo, lo avete capito tutti”. Sono due, credo, i motivi per cui Silvio Berlusconi mantiene la sua popolarità: motivi che né lui né i suoi sostenitori possono citare, verosimilmente le reali ragioni per cui non sentirà l’obbligo di dimettersi. Sono motivi importanti perché non limitati ai confini italiani: anche se come già nel ventesimo secolo con il fascismo e Benito Mussolini, la Democrazia Cristiana e Don Luigi Sturzo e l’eurocomunismo con Enrico Berlinguer, un movimento e il suo leader possono essere pionieri in politica, nel bene e nel male.

In primo luogo Berlusconi è – la frase è tratta da Il falò delle vanità di Tom Wolfe – il “padrone dell’universo”. Un uomo simile, scriveva Wolfe, “non ha limiti di sorta”. La sua posizione sociale, la sua ricchezza, il suo potere, lo fanno sentire al comando e al contempo invulnerabile. Wolfe si riferiva a un operatore di borsa (prima del crac finanziario!): pensate a quanto più deve sentirsi padrone dell’universo Berlusconi. Pensate a quello che ha realizzato, ai suoi colossali successi: ha creato dal niente un colosso mediatico, uno dei maggiori d’Europa; ha sommato società da lui create ad altre acquisite poi, raggiunta la mezza età, ha fondato dal nulla un partito reclutando parlamentari e strateghi, è diventato leader della destra unita, è stato eletto tre volte a primo ministro. Come se non bastasse la sua principale attività economica è la televisione, la tv popolare, quella che milioni di persone amano guardare. Possiede una delle maggiori squadre di calcio italiane e il calcio è lo sport più popolare in Italia e nel mondo. Non è solo padrone dell’universo commerciale e politico, è padrone del gusto popolare. In realtà sotto molti aspetti ha contribuito a crearlo. Con un potere del genere – unico al mondo – chi non si sentirebbe padrone?

E quale uomo non trarrebbe una carica sessuale da tutto questo? Si dice che alle belle ospiti della sua dimora mostrasse i video dei suoi trionfi politici prima di tornare a piaceri più intimi. Se è vero sembra la scena di un film: l’uomo eccitato da se stesso, dalla sua abilità, dal suo potere.

Che invidia fa Berlusconi a molti uomini – e, a quanto pare, anche donne. Essere ricco e potente al punto di poter schioccare le dita e far comparire bellissime donne da scaricare poi senza alcun impegno è una delle più comuni fantasie maschili. Non meraviglia che sia ammirato: è l’ammirazione di uomini invidiosi e forse anche di donne curiose.

Ma c’è anche un motivo più profondo, di carattere sempre più universale. In Occidente la sensibilità emotiva è cambiata o sta cambiando. Mentre un tempo ammiravamo il contegno e il ritegno, oggi apprezziamo chi manifesta le emozioni. I personaggi (la principessa Diana è stata un modello sotto questo aspetto) che mostrano le proprie debolezze, anche un tempo chiamate peccati, sono oggetto di ammirazione e di comprensione, più che di censura. In Gran Bretagna Jade Goody, la giovane donna apparsa ubriaca, nuda e sopra le righe al Grande Fratello, morta di cancro quest’anno, è stata pianta da milioni di persone. Lo stesso fenomeno emerge, meno spiccato, in politica. Quando Bill Clinton, dopo settimane di bugie, dovette confessare la relazione con Monica Lewinsky, la sua popolarità crebbe. E quando il premier britannico Gordon Brown mostra scarse emozioni e debolezze viene considerato un represso e ne soffre. Toccò l’apice della popolarità quando la sua primogenita morì poco dopo la nascita: allora la sua commozione lo rese umano, vicino alla gente.

L’umanità di Silvio Berlusconi – “Non sono un santo” – non è in dubbio. E la mutata sensibilità fa sì che molti proprio per questo si sentano più a proprio agio con lui. Come se i peccati commessi da un padrone dell’universo scusassero i nostri. Uomo di spettacolo, Berlusconi ha portato lo spettacolo in politica e, adottandone alcune consuetudini e rifiutando di mostrare vergogna o di scusarsi (i padroni dell’universo non si vergognano mica!), forse trarrà persino vantaggio da questo caso.

E all’estero cosa ne pensano? Nel mondo anglosassone in cui un comportamento simile sarebbe (a) inconcepibile e (b) motivo di immediate dimissioni si dice spesso “tipico italiano!”. Ma non era così in passato: i leader democristiani e comunisti erano nella maggioranza dei casi uomini austeri che vivevano la vita private con discrezione e in pubblico erano sobri, misurati, addirittura scialbi. Non è “tipico italiano”, è molto contemporaneo. Berlusconi esplora nuovi territori politico-emotivi, configurando un diverso rapporto con l’elettorato, sistema seguito in una qualche misura da Nicolas Sarkozy.

Il più recente studio sul voto – vedi The Political Brain di Drew Westen – sostiene che i cittadini votano con le emozioni più che con il ragionamento. Con la sua ricchezza e con il suo potere mediatico Berlusconi ha agito a livello emotivo in tutta la sua vita pubblica e continua a farlo. Chissà che altri non imparino da lui? (Beh, buona giornata).

Traduzione di Emilia Benghi

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche Società e costume

“Bisogna cambiare l’antropologia del Paese. Bisogna superare l’indifferenza e l’apatia. Bisogna resistere per costruire il futuro.”

Chi canta fuori dal coro è comunista
di EUGENIO SCALFARI

Non si può non cominciare con le nomine alla Rai. Gli altri giornali minimizzano con l’aria di dire che si è sempre fatto così: la Rai è proprietà del governo e quindi è il governo che ha il potere di decidere trasmettendo le sue indicazioni all’obbediente maggioranza del Consiglio d’amministrazione.

E’ vero, sostanzialmente è sempre stato così ma con qualche differenza di non poco conto. La prima differenza è questa: nessun governo, tranne quelli guidati da Silvio Berlusconi, ha mai avuto a sua disposizione le televisioni commerciali, cioè l’altra metà del cielo televisivo. Il fatto che l’attuale presidente del Consiglio abbia a sua completa mercé la propria azienda televisiva privata e l’intera azienda pubblica (salvo la riserva indiana di Raitre finché durerà) configura quindi una situazione che non ha riscontro in nessuna democrazia del mondo. Non so se sia vero che le nomine siano state decise l’altra sera nella riunione di tre ore nell’abitazione romana del premier. E’ certo comunque che i nomi proposti dal direttore generale Masi saranno ratificati senza fiatare dal Cda della Rai di mercoledì prossimo e saranno tutti “famigli” di Berlusconi, provenienti dalle sue televisioni private o dai suoi giornali o pescati tra le giovani speranze già inserite nell’accogliente acquario dell’azienda pubblica, collaudati custodi del credo berlusconiano nel circuito mediatico.

Non ci sarà purtroppo una sola persona che abbia mai mostrato un barlume d’indipendenza, un soprassalto di dignità professionale, un dubbio sull’assoluta verità predicata dal Capo.

Questo è lo scandalo, questa è la vergogna, alla quale quel poco di cosiddetta indipendenza che ancora esiste nella stampa italiana si sta ormai adattando per assuefazione esprimendo tutt’al più qualche sommesso brontolio subito seguito da rimbrotti all’opposizione, colpevole di ideologismo e di conservatorismo.

Il quadro è desolante. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Il controllo dei “media” non serve soltanto a procacciar voti ma soprattutto a trasformare l’antropologia d’una nazione. Ed è questa trasformazione che ha imbarbarito la nostra società, l’ha de-costruita, de-politicizzata, frantumata, resa sensibile soltanto a precarie emozioni e insensibile alla logica e alla razionalità.

Chi non è d’accordo è comunista. E firme di intellettuali o sedicenti tali accreditano questo scempio culturale e questa menzogna.

Dedicherò dunque al predetto scempio il seguito del mio ragionamento.

* * *

Quindici anni fa partecipai alla presentazione di un libro di Achille Occhetto al circolo della stampa estera a Roma, in quell’occasione il corrispondente di un giornale tedesco mi domandò che fine avrebbero fatto i comunisti dopo che il Pci aveva buttato alle ortiche il suo nome e la sua ideologia.

Risposi che i comunisti dovevano morire e così i loro figli e nipoti fino alla settima generazione. Solo quando fossero tutti fisicamente estinti sarebbe cessata la polemica nei loro confronti. Infatti è quanto è avvenuto e sta ancora avvenendo e poiché siamo ancora lontani dalla settima generazione l’anatema contro di loro continua e continuerà per un bel pezzo. Non è soltanto il tema prediletto dal nostro premier e dai Bonaiuti di turno, è anche diventato il piatto forte di molti belli ingegni transumanti che all’ombra del revisionismo sono passati dall’anticomunismo di “Lotta continua” e di “Potere operaio” all’anticomunismo di destra. Per loro ormai i comunisti sono diventati un’ossessione, ne vedono la presenza ovunque, alimentano i loro incubi e le loro farneticazioni e ai comunisti attribuiscono tutti i mali antichi, recenti, attuali e futuri che affliggono la politica italiana.

I comunisti. Il Partito comunista italiano. La sinistra italiana. Sono ancora tra noi. Non sono affatto scomparsi. Non sono estinti. Non sono stati rinnegati. Finché questo lavacro definitivo non sarà compiuto l’Italia sarà in pericolo e con essa anche la democrazia.
Ne ha fatto le spese l’ultimo libro di Aldo Schiavone il quale ha risposto al mitragliamento di cui era bersaglio con un articolo su “Repubblica” di qualche giorno fa. Con pungente ironia Schiavone domandava ai suoi interlocutori: che cosa volete che faccia? Debbo suicidarmi? Vi contentereste invece se promovessi un salmodiante corteo di pentiti che percorrano le strade d’Italia autoflagellandosi e invocando perdono per il peccato d’essere stati nel Pci?

La risposta non è ancora arrivata ma sarà sicuramente quella da me anticipata nel 1994, all’alba della stella berlusconiana: dovete morire fino alla settima generazione. Caro Aldo Schiavone, non c’è altra espiazione che basti a cancellare il vostro peccato mortale.

* * *

Tra le persone che mi onorano della loro amicizia c’è Alfredo Reichlin. Abbiamo più o meno la stessa età, ci conosciamo e stimiamo da mezzo secolo sebbene i nostri percorsi culturali siano stati assai diversi. Lui entrò nel Pci ai tempi della Resistenza, io sono di cultura liberale e tale sono rimasto anche se dopo la morte di Ugo La Malfa ho sempre votato per il Pci, poi per i Ds e infine per il Partito democratico che è il più conforme alle mie idee liberal-democratiche.

Reichlin ha scritto qualche anno fa un libro insieme a Miriam Mafai e a Vittorio Foa, che ha avuto molto successo ed è stato portato in teatro da Luca Ronconi. La domanda che quel libro si poneva era appunto perché un democratico è potuto diventare comunista e che cosa faranno i comunisti dopo che il comunismo è scomparso dalla scena politica del mondo.

Tra le risposte ce n’è una di Reichlin che riassumo così: il Pci ha certamente commesso molti errori, ha condiviso un’ideologia sbagliata, ha perfino coperto alcuni crimini, ma non è una realtà discesa sull’Italia come un meteorite. La domanda da porsi è dunque questa: perché la società italiana ha reso possibile la nascita d’un partito come il Pci, al quale si sono iscritti o per il quale hanno votato operai e borghesi, artigiani e contadini, marxisti e liberali, atei e credenti? Che al suo culmine ha quantitativamente raggiunto i voti della Democrazia Cristiana? Che Aldo Moro ha associato negli anni di piombo al governo del paese?

Questa domanda meriterebbe un’analisi seria. Almeno altrettanto seria quanto l’altra domanda speculare: perché la società italiana attuale ha reso possibile la nascita del berlusconismo e gli ha dato uno strapotere che somiglia sempre più ad un regime?

Con una differenza tra le due domande: ragionare sul Partito comunista sta diventando col passare degli anni materia per gli storici; ragionare sul berlusconismo è un tema maledettamente attuale e riguarda la politica e non ancora la storia.

* * *

Si dice che ormai non c’è più differenza tra destra e sinistra. Si inventano nuove classificazioni, per esempio quella tra progressisti, moderati, conservatori. Discorsi inutili e abbastanza noiosi. Scolastici. Lontani dalla realtà.

Il tema di oggi è il rapporto tra i grandi ideali della modernità: libertà eguaglianza fraternità. L’ho già scritto altre volte: l’età moderna è nata da questo trittico di principi e ha dato segnali di decadenza tutte le volte che quel trittico si è indebolito nelle coscienze e nella politica.

Il tema di oggi è quello di ridurre le disuguaglianze senza mettere a rischio la libertà. Questo distingue la sinistra dalla destra.

Bisogna tradurlo in atti politici. Bisogna cambiare l’antropologia del Paese. Bisogna superare l’indifferenza e l’apatia. Bisogna resistere per costruire il futuro. (Beh, buona giornata).

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