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Leggi e diritto Società e costume

Le politiche sulla sicurezza del governo non funzionano. Per il sindaco di Roma è tutta colpa di “Romanzo criminale”.

(da repubblica.it)
Gianni Alemanno se la prende anche con le serie televisive di successo come Romanzo criminale colpevoli, secondo lui, di alimentare atteggiamenti pericolosi tra i giovani. Visitando la scuola media nella borgata di Villaggio Prenestino, estrema periferia di Roma, nel cui cortile giovedì scorso un 15enne è stato accoltellato da un altro alunno di 14 anni, il sindaco della Capitale ha tenuto a sottolineare che non si tratta “di una criminalità organizzata, siamo a un altro livello, quello delle bande giovanili”.

Quindi il primo cittadino ha parlato anche di modelli culturali che vengono veicolati alle giovani generazioni, puntando il dito sui programmi televisivi: “L’avevo detto fin dall’inizio che alcune operazioni culturali come la serie tv Romanzo criminale o altre simili non aiutano, hanno lanciato delle mode, degli atteggiamenti e dei modi di fare sbagliati. I giovani, invece non vanno lasciati da soli, faremo tutto il possibile per stare nelle periferie”.

Durante la visita alla scuola media Falcone, Alemanno, che ha incontrato la madre del ragazzino accoltellato, ha parlato con la preside e i rappresentanti delle associazioni di quartiere dei problemi dell’istituto e dell’intera zona che soffre, secondo gli abitanti, di carenza di servizi e spazi di aggregazione. “Ho invitato il presidente del Municipio e i comitati – ha spiegato Alemanno – a formare una consulta per avanzare proposte e ideare progetti sociali per dare ai giovani punti di riferimento”. Il sindaco ha lasciato la scuola con una promessa: “La prima cosa che faremo sarà ristrutturare questa biblioteca”. (Beh, buona giornata).

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Peste suina: quando lanciano gli allarmi, spesso esagerano. E se esagerassero anche quando dicono che non c’è pericolo?

Il Messico tra polemiche e panico
“Ci staranno dicendo la verità?” da repubblica.it

Strade semideserte, l’esercito che distribuisce a tutti mascherine azzurre, l’ordine di evitare ogni contatto non necessario con la gente, di non stringere mani, non condividere posate o bicchieri, non baciarsi. E’ quasi surreale l’atmosfera asettica che si respira a Città del Messico, paralizzata dall’emergenza influenza suina, e nelle altre zone del Messico dove si trovano i focolai del contagio. E la gente non sa bene come reagire all’allarme: le numerose testimonianze che arrivano ai giornali, alle reti tv, siti e network – locali ed internazionali – raccontano di persone spaventate, trovatesi da un giorno all’altro in un incubo che ha cambiato loro la vita, anche se qualcuno è convinto che l’allarme dato dai media sia esagerato.

“Ho paura, lavoro per una grande compagnia e credo che questa influenza sia molto contagiosa” scrive Nallely L alla Bbc. “E’ tutto molto strano”, continua, “la gente rimane in casa o esce solo per andare a fare la spesa o all’ospedale. La maggioranza gira con le mascherine sulla bocca, concerti, festival, perfino la messa sono stati cancellati. Le trasmissioni alla radio e alla tv sono interrotte da comunicati che informano sui sintomi, e dicono di andare subito dal dottore se ci si sente malati”.

Molti temono che le autorità non stiano dicendo tutta la verità: “Mia cognata vive nello stato di San Luis Potosi”, racconta Migdalia Cruz, da Phoeniz, in Arizona. “Lì ci sono già stati almeno 78 morti, solo in città, non 68 in tutto il Messico come continuano a dire”.

“La verità è che le cose sono ben lontane dall’essere sotto controllo” le fa eco Carla, da Città del Messico. “E’ peggio di quello che crediamo, qualcuno la prende come uno scherzo, ma io no”.

Neppure le famose mascherine azzurre, distribuite per le strade e su bus e metropolitane riescono a tranquillizzare e la fobia è ormai generalizzata: “Mi preoccupa vedere come stanno lavorando i soldati che distribuiscono le protezioni. Perché non si mettono i guanti di lattice?” chiede Amelia Batani, che scrive al forum online del quotidiano messicano El Universal.

Ansia condivisa anche da Araceli Cruz, studentessa di 24 anni, che dice: “Potevano fermarla in tempo, ora hanno lasciato che si diffondesse fra la gente”.

Si ha paura di ammalarsi anche andando al lavoro. Due colleghi di Adriana, che scrive sempre da Città del Messico, hanno avuto sintomi influenzali qualche giorno fa, ma il dottore li ha fatti tornare al lavoro. “Io lavoro in un call center, non ci sono finestre e non è possibile aerare i locali e ci sono almeno 400 persone che ci lavorano”, racconta preoccupata. “Fate voi i calcoli: i locali non sono stati sterilizzati e il rischio di contagio è altissimo”.

La preoccupazione non è solo della gente comune. Anche i medici non sono tranquilli: uno di loro, che si firma “medico mexicano” in servizio negli ospedali messicani scrive nella sezione dedicata di El Mundo, descrivendo una situazione da panico, dando vita ad un’accesa discussione sul forum. “Sono specializzato in malattie respiratorie e in terapia intensiva”, dice. “I trattamenti antivirali non stanno avendo il successo sperato e la gente continua a morire, anche giovani di meno di 30 o 20 anni. Il personale è molto spaventato, data la virulenza del virus. Nella struttura dove lavoro, almeno 3-4 persone al giorno muoiono per questa epidemia”. E aggiunge: “Ci dicono di non parlare con la stampa, che verremo sanzionati se lo facciamo”.

Qualche voce fuori dal coro c’è. Come Jordi, che invita tutti a darsi una calmata e dice che il quadro non è poi così fosco: “Siamo in uno stato di preoccupazione, ma non c’è alcun panico”. Difficile, però, che riesca a rasserenare qualcuno. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Politiche per la sicurezza: facevano la pipì per strada, presi in flagranza.

(Fonte: ilmessaggero.it)
Brillante operazione di “pulizia” contro chi fa la pipì sui muri.La scorsa notte le pattuglie in borghese della Polizia locale di Bassano del Grappa, dopo abili appostamenti hanno pizzicato complessivamente una quindicina di giovani intenti a urinare negli angoli bui del centro storico. Sono stati tutti multati: dato che la sanzione pevista dall’ordinanza comunale emessa nei mesi scorsi è di 300 euro, nelle casse comunali confluiranno in totale 4.500 euro.

«I ragazzi sono stati presi in flagranza – ha spiegato l’assessore alla sicurezza Claudio Mazzocco”. Insomma, sopno stai presi col “corpo” del reato fra le mani. Beh, giornata.

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Attualità Leggi e diritto

Sicurezza: come il governo ha azzoppato il suo cavallo di battaglia.

di Pino Cabras – Megachip

Continuavano a chiamarlo sicurezza, lo stillicidio di tagli alla sicurezza. Un miliardo di euro in meno nel 2007, 800 milioni nel 2008, 1300 milioni nel 2009. Ricapitolando: nell’era dei grandi salvataggi e del denaro buttato alle banche dagli elicotteri, le forze dell’ordine italiane hanno subito un salasso totale di oltre tre miliardi di euro in tre anni. Fonte ultrasegreta del dato: le leggi finanziarie.

Diciamo ultrasegreta, perché il governo ha scelto – come in ogni campo – una via orwelliana: arriva a dire che gli stanziamenti per la polizia sono aumentati. Puro “bispensiero”. I dati veri scompaiono dai Tg. Ma il bello è che il governo osa dirlo anche in faccia ai sindacati di polizia. Le maggiori sigle sindacali faticano a contenere l’inevitabile malcontento generato da una situazione insostenibile. A centinaia, i poliziotti sono arrivati a protestare davanti al Viminale, presente anche il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani.

Come se non bastasse ci si mettono pure le ronde. Un aiuto, un pilastro di responsabilità civica, secondo il ministro dell’Interno Maroni. Una seccatura che distoglie tempo e risorse, anzi, peggio, un problema per la sicurezza, un grattacapo che si aggiunge alla confusione dei soldati usati con compiti di polizia, fanno notare i sindacati.

Così abbiamo il governo che racconta favole sulle magnifiche sorti e progressive della sicurezza e sul suo “potenziamento”. Ma chi si va a leggere le circolari della Direzione centrale per i servizi di ragioneria del Ministero dell’interno vede una storia ben diversa, una catastrofe gestionale umiliante che pone seri problemi di tenuta democratica del nostro paese, anche in un tale luogo nevralgico. Tagli drastici alle missioni, auto di epoca nuragica ancora in servizio ma con sempre meno benzina, misure draconiane sul riscaldamento delle caserme. Uomini coinvolti in delicate missioni antimafia costretti alla più tipica e riconoscibile vita da caserma, con ricercati che così mangeranno la foglia, sapendoli a dormire lì.

E anche se negli organici ci sono già vuoti pazzeschi, i 1500 agenti che ogni anno se ne vanno in pensione sono sostituiti solo in piccola parte. Per una volta la Cgil non è stata lasciata a opporsi da sola, e perfino il segretario del Pd, Dario Franceschini, ha raccolto sgomento la notizia che «ai poliziotti che dovranno operare al G8 di La Maddalena è stato chiesto di anticipare di tasca propria le spese». Proprio così, a questi nababbi che già prendono un terzo in meno rispetto ai loro colleghi europei.
Per capire lo sfacelo gestionale, va ricordato che molto spesso gli straordinari sono obbligatori, senza copertura finanziaria adeguata e vengono rimborsati anche due anni dopo. Persino il SAP, il sindacato più filogovernativo che pure si è dissociato dalla manifestazione al Viminale, chiede centinaia di milioni di euro per la funzionalità minima della pubblica sicurezza.

Questa è l’Italia che deve presentarsi più cattiva, direbbe Maroni. Al momento riesce a essere cattiva e micragnosa anche con le proprie strutture essenziali. Quanto può reggere uno Stato nazionale che lesina i soldi ai suoi apparati fondamentali, alle scuole, all’Università, alle forze di polizia, fino a avvilirli e demotivarli? E se tutto questo si sfascia, che razza di processo politico si innescherebbe? Coperta da tanta retorica sulla sicurezza, la politica che si avanza apre le porte a poteri irresponsabili e predatori che sembrano non disdegnare anche il caos. Una polizia umiliata, che si aggiungerebbe a una scuola in declino verticale, a questi non dispiacerebbe. Tutte le secessioni risulterebbero più plausibili. Si sono preparati per decenni. (Beh, buona giornata).

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Leggi e diritto Media e tecnologia Popoli e politiche Società e costume

Sicurezza: ecco come sono stati avvelenati i pozzi.

(fonte: repubblica.it)
Durante i due anni del governo Prodi (2006 e 2007) i tg hanno raddoppiato lo spazio della cronaca nera. Secondo uno studio del Centro d’ascolto dell’informazione radiotelevisiva (nato da un’iniziativa dei radicali) dal 2003 al 2007, il tempo dedicato ai servizi su delitti, violenze e rapine è raddoppiato (se non triplicato) passando dal 10,4% dei tg del 2003 al 23,7% di quelli del 2007. Dato significativo che potrebbe avere aumentato la percezione di insicurezza da parte degli italiani, e avere avuto un peso alle elezioni politiche del 2008, tesi sostenuta dal centrosinistra in molte occasioni. Come la convinzione che il senso di incertezza e paura sarebbe nato in parte per il battage dei media.

I numeri dicono che nel 2003 il Tg1 ha dato notizie di cronaca nera per l’11% del suo tempo, il 19,4% nel 2006, il 23% nel 2007. Il Tg2 è passato dal 9,7% del 2003 al 21% del 2006, fino ad arrivare nel 2007, al 25,4%. Il Tg3 è la testata che registra il minore aumento, passando dall’11,5% del 2003 al 18,6% del 2007. Sulle reti Mediaset l’aumento è maggiore: per Studio Aperto, la percentuale è stata pari al 30,2 della durata totale dei tg del 2007, contro il 12,6% del 2003. Il Tg5 è passato dal 10,8% al 25,7%. Il Tg4, malgrado il raddoppio negli ultimi 5 anni, ha avuto l’incremento minore, dal 10,2% del 2003 al 20,9% del 2007. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Stupro della Caffarella: la polizia si dimenticò al bar un impermeabile sporco di sangue.

di Luca Lippera da ilmessaggero.it
ROMA (5 marzo) – «Vede? Sta ancora lì, appeso… E non ho mai capito perché la polizia non è più venuta a prenderlo. Eppure io gliel’ho detto che sta qui…». Tra le tante stranezze del caso della Caffarella, la più strana, ma davvero strana, è rimasta pietrificata nel “Simon Bar” di via Crivellucci 6. È l’impermeabile, sporco di sangue e di chissà cos’altro, in cui la vittima dello stupro di San Valentino fu avvolta la sera del 14 febbraio dalla titolare della tavola calda. Sulla fodera interna, ci sono, ben visibili, almeno quattro macchie che potrebbero rivelare, oltre ai liquidi organici della vittima, quelli degli assalitori tuttora sconosciuti. «La ragazzina tremava racconta Alessandra Bruni, 24 anni, contitolare del “Simon Bar” e aveva sangue lungo le gambe. Così la avvolsi nel mio trench. Quando arrivò la polizia, segnalai il fatto, ma l’abito, nella foga, è rimasto qui. Ora non so se chiamare qualcuno, perché non vorrei dare l’impressione di forzare la mano…».

Lo “spolverino”, beige scuro, un modellino tipo Sherlock Holmes, è tuttora appeso insieme ad altri soprabiti accanto all’ingresso della cucina del “Simon Bar”. Il locale, un posto carino e tranquillo, proprio davanti al Parco della Caffarella, è stato il primo approdo dei ragazzini dopo quello che vissero nella boscaglia. «Non mi azzardo neppure a toccarlo continua la Alessandra Bruni, un bel bambino di un anno in braccio, toscana d’origine, poi cresciuta a Milano Non vorrei “inquinare” una cosa che potrebbe tornare utile. Sono passati i giorni. Pensavo che prima o poi gli agenti della polizia sarebbero venuti a prenderlo. Ma non non s’è visto nessuno. Per carità: non voglio assolutamente permettermi di suggerire a chi indaga cosa va fatto. Però non so come comportarmi. Così l’ho lasciato lì. Se è un oggetto utile, prima o poi me lo chiederanno…».

Sentirle, certe parole, e vederlo lì l’impermeabile sporco di sangue fa davvero riflettere. Alexandru Isztoika, 19 anni, e Karol Racz, 36, i romeni, sono in Carcere a Regina Coeli accusati di una violenza che ha scosso nel profondo la città per la ferocia e l’età della vittima. Sul corpo della ragazzina seviziata nel giorno di San Valentino non ci sono tracce del loro Dna: perfino il liquido seminale non porta ai due immigrati. Ma sull’attaccapanni di un bar dell’Appio riposa, mentre la Procura e la Questura difendono l’inchiesta, un indumento che magari potrebbe aiutare le indagini in un senso o nell’altro. Sembra però che la cosa non interessi. «Non vorremmo aver rivelato un fatto inopportuno si preoccupa Roberto, 50 anni, contitolare del “Simon Bar” è solo che veramente, specie dopo le ultime notizie che si sono sentite, il Dna e tutte queste storie, non sappiamo cosa fare».

I titolari del bar la sera del 14 febbraio scorso se la ricordano bene. Un racconto, il loro, che apre altri scenari e ulteriori riflessioni. «Ero qui ricorda Roberto e il ragazzino ce l’ho ancora davanti agli occhi. Alessandra li aveva fatti sedere tutti e due. Lui stringeva la mano alla fidanzatina e diceva: “Erano un arabo e uno zingaro, un arabo e uno zingaro…”. L’ha ripetuto non so quante volte. Quella era, a caldo, la sua prima impressione, forse quella più netta. Quando mi hanno convocato in Questura, l’ho ripetuto agli agenti che mi hanno sentito: “Un arabo e uno zingaro”, lui diceva così. Tra l’altro, da quello che ho capito, il ragazzo ci aveva parlato e aveva avuto modo di rendersi conto di chi aveva di fronte. Ci raccontò, insieme alla ragazza, che uno dei violentatori, prima che la situazione precipitasse, si era avvicinato alla panchina chiedendogli una sigaretta. Dunque l’aveva visto in faccia e credo che ne avesse percepito l’accento. Non siamo certo noi a poterlo dire. Ma forse era un dettaglio importante…».
Forse. Come un impermeabilino sporco di sangue che evidentemente non merita attenzione. Tanto, prima del Dna, c’erano i romeni. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto

Stupro della Caffarella: “La polizia ha avuto anche l’impudenza di presentarci (in una conferenza stampa!) il racconto di un’inchiesta esemplare, svolta in collaborazione internazionale con la polizia romena, con foto e pedinamenti, il metodo tradizionale.”

di LUCIA ANNUNZIATA da lastampa.it

Francamente non so se bisogna benedire o maledire quello che è successo. Sia ben chiaro: la scoperta che i due immigrati romeni accusati di essere i colpevoli dello stupro della Caffarella in realtà non lo sono, è un vero e proprio schiaffo alla nostra coscienza nazionale.

Vogliamo davvero lasciar passare questo episodio come un ennesimo «disguido» delle Istituzioni del nostro Bel Paese, o vogliamo fermarci un attimo a chiederci come sia stato possibile, e chi ne sia responsabile? Perché, prima ancora che si sappia bene quel che è accaduto, una cosa è certa: questo è un tipico caso in cui almeno un responsabile va trovato e deve pagare.

Vediamo intanto perché la vicenda Caffarella si presenta come più grave dei pur molti errori simili. Le indagini italiane non sono un esempio di efficacia. Questa affermazione si fa molto spesso a proposito di iniziative «audaci» da parte di magistrati che indagano sulla politica. In questi casi, c’è un’attenzione quasi parossistica al tema da parte sia dei giornali che del Parlamento.

La verità però è che le indagini italiane sono ampiamente carenti anche quando si tratta di crimini comuni. La prova? La confusione e le lungaggini in cui si sono insabbiati alcuni grandi delitti, quasi tutti dati per altro come «chiariti»: ci trasciniamo ancora fra il pigiama e gli zoccoli di Anna Maria Franzoni nella villetta di Cogne, fra il computer e i pedali della bici di Alberto Stasi, fra le tracce di Amanda e Raffaele sul reggipetto di Meredith. Quasi tutti i maggiori delitti del Paese, anche quelli non politici, periodicamente rigurgitano una nuova prova persa, avvilita, trascurata o smarrita. Ad esempio, Profondo Nero, un recente libro di Giuseppe Bianco e Sandra Rizza (ed. chiarelettere) riapre l’inchiesta sull’assassinio di Pasolini, collegandolo alla morte di Mattei e del giornalista De Mauro, proprio in base a nuove testimonianze.

A differenza dei casi che riguardano la politica, però, gli italiani non sembrano indignarsi troppo degli errori nelle indagini di «nera». Anzi: la confusione è diventata una sorta di nuovo genere di «soap» giornalistica che si sviluppa nel tempo e con grande godimento di tutti.

Lo stupro della Caffarella presenta una forte novità, figlia di questi nostri tempi: è un fatto di violenza, dunque di nera, che assume però una fortissima valenza sociale per il contesto in cui avviene. Un caso «transgender» che scavalca le tradizionali distinzioni fra cronaca e politica.

Della delicatezza della situazione siamo stati consapevoli tutti fin dal primo momento. E ci siamo fidati. Fidati, sì. Perché in Italia, nonostante si ami dilaniarsi su tutto fra Guelfi e Ghibellini, resiste una profonda fiducia nelle nostre istituzioni. Ogni volta è come se fosse la prima, per la nostra opinione pubblica. Ci siamo tanto fidati che quando la polizia ci ha presentato i suoi mirabolanti risultati, nessuno di noi ha sollevato un dubbio. Nonostante le Amande, gli Alberti, le Annamarie e gli Azouz, abbiamo applaudito e gridato al miracolo. Se non è fiducia nelle istituzioni questa!

Poi le smentite, e infine la certezza dell’errore. E non si sa se benedire il disvelamento, o se maledire la nostra stupidità collettiva. Tutti convinti da parole come «materiale organico» e «Dna», nonché ammiratori del metodo. La polizia ha avuto anche l’impudenza di presentarci (in una conferenza stampa!) il racconto di un’inchiesta esemplare, svolta in collaborazione internazionale con la polizia romena, con foto e pedinamenti, il metodo tradizionale. Approfittando così (tanto per colorare di più la valenza politica del risultato) per dare una bastonata polemica all’uso delle intercettazioni.

Ora, di fronte alle smentite, si dice: «La politica ha messo fretta». Ma non è questo lo scandalo: la politica fa sempre fretta, ha sempre bisogno di presentare, usare, mangiare. Scandalosa è l’incoscienza dei corpi dello Stato che hanno accettato questa fretta. E scandaloso è soprattutto il risultato: l’intero Paese si è visto condurre per il naso verso una direzione che conferma il razzismo più frettoloso e più rozzo. Cui nessuno è riuscito a sottrarsi, nemmeno i democratici più convinti.

Qualcuno dei nostri lettori potrebbe alzare la mano e porre una domanda molto opportuna: ma voi giornalisti? Perché anche voi vi siete accucciati? È un rimprovero giusto. Troppo spesso noi giornalisti facciamo da acritica cassa di risonanza delle indagini. Una responsabilità che ci è stata già rinfacciata. E che ci prendiamo. (Beh, buona giornata).

Ma come dubitare di un teatrino perfetto, come quello messo in piedi dalle nostre istituzioni? Siamo di fronte a una vera e propria frode. Qualcuno deve pagare per il clima che l’episodio lascia in tutto il Paese, di amaro in bocca e di sgomento. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche Società e costume

La sicurezza, le ronde e le “facce da romeni”.

di RICCARDO BARENGHI da lastampa.it

Una regola basilare di qualsiasi società fondata sullo Stato di diritto si chiama garantismo. E fin qui non ci piove. Solo che se facciamo un passo in più, oggi, in Italia, nel clima che ormai si è creato, rischiamo la più profonda impopolarità. Però lo facciamo lo stesso, per dire che anche i romeni hanno diritto a essere garantiti. Addirittura quei romeni accusati e arrestati per stupro. Quelli della Caffarella, quelli di Primavalle e chiunque altro sia stato o sarà incriminato di qualsiasi reato. Al di là del fatto che siano innocenti o colpevoli – e al momento ci sono molti dubbi che i due accusati dell’orrendo stupro su una ragazza di 14 anni abbiano commesso quel reato, anche se uno dei due è indicato come responsabile di un altro stupro – la regola deve valere per tutti. Italiani, romeni, albanesi, tunisini e via dicendo. Fino alla prova definitiva della loro colpevolezza, si tratta di persone (persone) innocenti. E possono avere qualsiasi faccia truce, qualsiasi espressione poco raccomandabile, possono frequentare i peggiori bassifondi della città, ma sempre innocenti sono fino a che non si dimostra il contrario.

Sebben che son romeni, insomma, sebbene cioè si tratti ormai della popolazione che nel cosiddetto immaginario collettivo suscita più paura, più repulsione e provochi l’istinto primordiale del nemico da sconfiggere o cacciare, sebbene tutto questo, sempre di persone stiamo parlando che potrebbero anche essere innocenti accusati ingiustamente. Ora, figuriamoci, sappiamo benissimo che nelle statistiche della criminalità importata nel nostro Paese, i romeni non sono certo tra gli ultimi. Anzi. Ma proprio per questo, ancora di più vale il discorso. Perché se ci facciamo trascinare dal nostro terrore per il romeno, e lasciamo che le indagini, gli arresti, i processi, insomma la giustizia faccia non il suo corso previsto dalla Costituzione ma vada avanti sull’onda dell’emotività pubblica, allora un domani saranno guai per tutti. Anche per noi italiani. Se poi in questo quadro già piuttosto preoccupante ci mettiamo pure le ronde in arrivo, lo scenario che si prospetta non è certo tranquillizzante.

Possiamo prevedere, senza grandi rischi di sbagliare, che saranno proprio i romeni (seguiti dagli albanesi, i tunisini, i neri, gli immigrati in genere) quelli più «segnalati» dalle squadre di cittadini perbene chiamati a vigilare sulla nostra sicurezza. Ma quanti di loro risulteranno poi innocenti, gente che magari beveva una birra per strada, discuteva, scherzava rumorosamente, o forse litigava pure? Quanti di loro saranno costretti a passare una notte in Questura cercando, faticosamente, di dimostrare la loro estraneità a qualsiasi azione criminale? E alla fine, quanti di noi italiani finiranno nella stessa situazione? Domande retoriche, risposte scontate. E evidente che più l’emergenza stupri cresce nella percezione dell’opinione pubblica, più bisognerebbe avere la capacità di tenere a freno le emozioni. Soprattutto se si è chiamati a responsabilità di qualsiasi genere, dal governo fino all’ultimo poliziotto, fino all’ultimo rondista.

E fino a qualsiasi cittadino si trovi sulla scena di un delitto sentendosi magari sicuro di riconoscere quel romeno piuttosto che quell’altro. Non è facile riconoscere una persona intravista nella notte e che magari assomiglia a tanti suoi connazionali. Già si sente in giro la frase «quello ha la faccia da romeno» (chi si ricorda lo straordinario libro-inchiesta del tedesco Wallraff Günter, «Faccia da turco»?). Si dovrebbe allora pensarci due volte prima di accusare qualcun altro, si dovrebbero vagliare tutti gli indizi, una, dieci, cento volte, prima di arrestare qualcuno. E si dovrebbe anche stare attenti – noi che facciamo informazione – a come pubblicare queste notizie, con quale enfasi, quali certezze, quale rilievo, quali e quanti dubbi. Tanto più se si tratta di romeni: un aggettivo che purtroppo è diventato sinonimo di criminale. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto

Sicurezza: “Centinaia di mariti fuori a fare le ronde, significa centinaia di mogli a casa da sole, dunque meno esposte a pestaggi e violenze sessuali.”

C’è clamore – Giochiamo alla ronda. da alessandrorobecchi.it

Ha ragione Roberto Maroni: le ronde faranno diminuire gli stupri. Centinaia di mariti fuori a fare le ronde, significa centinaia di mogli a casa da sole, dunque meno esposte a pestaggi e violenze sessuali.

E’ una mera notazione statistica, non se la prendano gli indagati per istigazione all’odio razziale che militano nello stesso partito del ministro degli Interni. Ha ragione anche Silvio Berlusconi: gli stupri sono diminuiti, ma le ronde si fanno lo stesso perché su questa faccenda c’è “clamore”. Ma che razza di bastardi sono quelli che fanno “clamore” su stupri e violenza? Non saranno mica i proprietari di televisioni che aprono con la cronaca nera ogni edizione del telegiornale! Tanto per gradire (fonte: Centro d’Ascolto sull’Informazione Radiotelevisiva), ecco qualche numero. Nel 2007 hanno aperto il loro notiziario con la cronaca nera, creando apprensione e paura nel paese, i seguenti telegiornali. Tg1, 36 volte, Tg2, 62 volte, Tg3 32 volte, Tg4 70 volte, Tg5 64 volte e Studio Aperto (record! Il tg tette&culi non delude mai) 197 volte.

Se ne deduce che durante la scorsa campagna elettorale le televisioni di proprietà del candidato Silvio Berlusconi hanno pompato sulla paura molto più delle altre (insieme al fedele Tg2). E’ un dato di fatto. Impaurito a dovere il paese, creato quel “clamore” che oggi si denuncia, si è passati all’incasso vincendo le elezioni e preparando il terreno per il razzismo applicato e la pulizia etnica di questi giorni. Ora la situazione è più complessa: lo statista Berlusconi deve dire (per forza!) che i reati sono calati, ma ricorre alla decretazione d’urgenza a causa del “clamore”.

In sostanza a causa della propaganda delle sue televisioni. Quanto alle ronde, si vorrebbe far credere che nascono per impedire la furia del popolo che vuole farsi giustizia da sé. In italiano tutto questo ha una sola definizione: la faccia come il culo. Resta da chiedersi, quando cominceremo noi a dire a questi ceffi: tolleranza zero? (Beh, buona giornata)

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