Categorie
Pubblicità e mass media

Vi racconto Agostino Reggio.

Agostino Reggio (9 aprile 1951-4 marzo 2013)- Autoritratto, eseguito con iPhone, in modalità pittura a olio.
Agostino Reggio (9 aprile 1951-4 marzo 2013)- Autoritratto, eseguito con iPhone, in modalità pittura a olio.
[

di Marco Ferri-Media Key

In effetti Agostino Reggio starà con noi ancora a lungo. Non è un escamotage retorico, inventato al fine di lenire il dolore della sua precoce dipartita. Lo dico perché l’intensità del suo lavoro è una cifra difficile da diluire nei ricordi: è un segno forte, di quelli indelebili. La prima volta fu nel 1986. Poi a più riprese negli anni. Fino agli ultimi anni in cui abbiamo lavorato a stretto contatto. Ma la dialettica fra noi è sempre stata la ricerca dell’intuizione che durasse a lungo, che diventasse esperienza; che fosse sì per il compito affidatoci dal cliente, ma anche per il nostro ambiente uno stimolo, uno spostare sempre la stanghetta.

E Agostino la stanghetta del salto in alto dell’approccio creativo l’ha spostata spesso nel corso della sua vita professionale: andate su www.agostinoreggio.it, il suo portfolio è fresco, pieno di idee, spunti, intuizioni. E qui ho un rammarico forte, la sensazione che tutti noi abbiamo subito un’ingiustizia: Ago era pieno di energie creative, lo è stato anche per tutto il tempo del suo ricovero, fino alle ultime ore, prima che perdesse le forze, ha disegnato, progettato, ha addirittura fatto lay out per una campagna che era in presentazione.

Dunque, una cosa è certa: non c’è alcun dubbio che Agostino Reggio avrebbe potuto ancora fare tante cose belle, strane, provocatorie, spericolate, ma, allo stesso tempo giuste, precise, corrette. Insomma, fare ancora la buona pubblicità, che sa far entrare contemporaneamente in partita sia la testa che la pancia del consumatore.

Agostino Reggio era un autodidatta che aveva affinato la sua cultura professionale con meticolosa cura. Le sue incursioni nell’arte l’hanno portato ad avere successo anche come pittore. Era diventato anche molto bravo con le tecniche di pittura con le App per iPhone: amici, colleghi e clienti hanno ricevuto in regalo i loro ritratti, realizzati da Ago, con una tecnica che sembra pittura a olio: qui potete vedere un suo recentissimo autoritratto, realizzato proprio con quella tecnica. Quando ha scoperto che era stato colpito da un nuovo male, che poi lo avrebbe accompagnato alla fine, Agostino Reggio ha reagito iscrivendosi a un corso d’arte ceramica. E tra una terapia e l’altra non solo continuava a lavorare con Consorzio Creativi, ma ha cominciato a modellare la creta. “Ricordati che nello studio ci sono cose da mandare a cuocere” ha detto a sua moglie Letizia, pochi istanti prima di perdere le forze ed entrare in coma.

Agostino Reggio non si è spaventato quando il computer ha preso il posto dei pantoni, delle taglierine, dell’ingranditore, del catalogo Letraset, della squadra e della riga: padroneggiava programmi, con i quali faceva rough, poi i lay out e infine anche gli esecutivi pilota. Un gioco tra di noi era una “gara” a presentare almeno solo un giorno prima della data prevista, anche in fase di fine tuning delle proposte. Oggi questo metodo è diventato una caratteristica di Consorzio Creativi. Con Agostino si lavorava ovunque: via telefono, via e mail o via sms. O a tavola, magari strappando la tovaglia di carta dove lui aveva schizzato e io buttato giù qualche titolo.

A volte si riusciva a lavorare anche in ufficio, tra lo squillare del telefono, le riunioni su questo o quel brief, debrief, su questioni amministrative o organizzative o di gestione in genere. Riuscivamo a lavorare anche quelle volte che ci siamo incontrati a pranzo la domenica con le nostre famiglie: uno schizzo, una frase, un’idea. Poi la sera mandavo titoli e lui rispondeva a layout, o ricevevo rough e rispondevo a titoli.

Agostino Reggio con il suo parlare pacato, con le sue uscite bizzarre, con la sua energia creativa favoriva l’affiatamento tra creativi, come Paolo Del Bravo o Sandro Baldoni, che con lui prima di me hanno diviso sia il lavoro che pezzi di vita possono direttamente testimoniare.

In definitiva, Agostino Reggio è stato un creativo di successo che non ha mai smesso di essere umile e laborioso ogni volta che c’era da lavorare. E questo vivrà a lungo nella memoria di tutti coloro che lo hanno conosciuto, con i quali ha lavorato, a chi insegnando qualcosa, a chi insegnando molto più di qualcosa. A me ha insegnato ad avere stima e affetto in lui e nel suo lavoro.

Mi piace ricordare che l’ultimo della lunga teoria di premi che Agostino Reggio ha vinto nella sua carriera è stato il press&Outdoor Key Awaed 2012, per la campagna Auser.

Nel mio personale Pantheon, Ago siede accanto a Emanuele Pirella: chissà che, art e copy, non facciamo qualche belle campagna anche da lì.

Il che è un altro modo per dire che se è vero che sono tempi difficili, forse proprio per questo dovremmo cercare sempre di fare sempre meglio. Ad Agostino Reggio, l’art director per antonomasia farebbe piacere. (Beh, buona giornata)

Share
Categorie
business Marketing Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Sono ancora utili le associazioni di categoria della pubblicità italiana?

La sensazione che la situazione del mercato della comunicazione commerciale italiana sia nettamente diversa da ciò che si discute nelle associazioni di categoria è netta quando si leggono i programmi elettorali dei candidati alle cariche direttive delle varie associazioni di categoria, che costellano la pubblicità italiana. A volte, verrebbe proprio voglia di chiedersi: le associazioni hanno ancora senso, ruolo, prospettive?

Dall’esterno, si ha quella strana sensazione di uno scollamento dalla realtà, abbastanza tipico della politica così come viene fatta in Italia: ognuno presuppone la tesi con la quali si legge la realtà.

Come dire: siccome io la penso così, allora le cose devono per forza essere spiegate così. In realtà dovrebbe essere esattamente il contrario: le cose sono cambiate, dunque devo adeguare il mio punto di vista alla nuova realtà delle cose. E agire di conseguenza.

È vero che ogni associazione ha la propria sintassi e comunque ha il diritto di esistere, fosse anche per la sola volontà degli associati; anche, cioè, qualora gli scopi associativi fossero assolutamente superati dalla realtà dei fatti. Tanto più che la libertà di associazione è un diritto costituzionalmente garantito. E’ la grammatica di un Paese democratico.

Ciò non di meno, mi si conceda, dall’esterno di ogni associazione, ma dall’interno della nostra comune industry, di formulare alcune riflessioni, di metodo e di merito. Il discorso è generale, dovrebbe riguardare tutte le associazioni di categoria. Anche se qui si parlerà nello specifico delle prossime elezioni degli organi dirigenti di Assocomunicazione.

Per rendere più agevole l’esposizione, esporrò il mio punto di vista sotto forma di brevi domande:

1) Perché i tre saggi (Testa, Montangero e Masi) non hanno proposto una rosa di candidati? Perché un solo candidato, praticamente predestinato ad assumere l’incarico? C’è una crisi di vocazione?

2) Che peso specifico autonomo potrà avere la prossima leadership dell’associazione, dal momento che Assocomunicazione medesima sarà embedded nella neonata Federazione della comunicazione presso Confindustria, presieduta proprio dal presidente uscente?

3) Come si potrà realizzare, qualora fosse nelle intenzioni del neo presidente, una discontinuità con la precedente presidenza? Insomma: che succede se Costa non vuole fare come faceva Masi, però a Masi dovrà rispondere, perché Masi è il capo della federazione di cui l’associazione fa parte?

4) Massimo Costa ricopre il ruolo di country manager del gruppo Wpp in Italia: non c’è il pericolo di conflitto di interessi? Tutte le strutture che a lui fanno capo nella holding come potranno essere autonome nel giudizio come membri, dal momento che alcuni manager di Wpp si candidano addirittura come dirigenti dell’associazione?

4) Nella lettera ai soci, il candidato presidente fa esplicito riferimento alle ripercussioni che il cambio del quadro politico italiano potrebbe avere nel futuro del mercato pubblicitario italiano. Che vuol dire?

5) Scorrendo i programmi dei canditati, si fa riferimento alla questione della remunerazione, dei fee e del dumping. Ma, se strutture economiche del calibro di Wpp, Omnicom, Publicis e IPG, tutte ben rappresentate nel mercato italiano, tanto da risultare come maggioritarie dal punto di vista dei fatturati, tutte insieme non sono finora riuscite a invertire la tendenza, come potrebbe farlo una associazione di categoria?

6) Non è forse proprio per questa scissione tra la realtà del mercato e il dibattito interno all’associazione che finora Assocomunicazione non è riuscita a ottenere nessun fatto concreto, tanto da spingere verso la costituzione di Confindustria Knowledge, nel tentativo di assumere un più rilevante peso specifico?

7) Alcuni candidati si presentano per una riconferma, è un legittima aspirazione, ma la domanda è: come si concilia il desiderio di nuovi scenari se non c’è discontinuità tra il vecchio ed il nuovo consiglio direttivo dell’associazione?

7) Può la complessità della relazione tra committenti pubblici e privati e le agenzie di pubblicità e comunicazione essere semplicisticamente
risolta nella speranza che un uomo al comando possa risolvere tutto e bene?

8) Massimo Costa è sicuramente una persona degna e un manager capace, ma siamo sicuri che non sia necessario un complessivo cambio di passo, prima ancora che un cambio di leadership?

9) Vale a dire, non è meglio prima ridefinire il perimetro entro il quale operare in profondità i necessari cambiamenti e sulla base di una nuova visione condivisa esprimere nuovi dirigenti, cui affidare il compito di realizzare gli obiettivi stabiliti dalla nuova linea politica?

10) Non pensate anche voi che i prossimi anni sono sicuramente cruciali, che molto di quello che abbiamo fatto e pensato verrà messo in discussione dai fatti, a prescindere dai ruoli che abbiamo nel mercato: che cosa dobbiamo essere disposti a fare per migliorare concretamente il modo di fare pubblicità, a partire dalle condizioni di vita e di lavoro degli addetti, per arrivare a essere concretamente all’altezza delle aspettative dei clienti?

Beh, a questo punto, mi sono fatto dieci domande. Non mi dò le risposte, siamo mica da Marzullo. Esse sono riflessioni, che non pretendono necessariamente una risposta. A meno che non siano quei fatti concreti che, sono certo, tutti vorremmo vedere cominciare a realizzarsi. Beh, buona giornata.

Allegati:
http://www.consorziocreativi.com/Il-Negozio-delle-buone-idee.html

http://consorziocreativi.com/blog/2011/11/17/1193/

Share
Categorie
business Dibattiti Marketing Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Il prezzo della pubblicità e lo sprezzo del mercato.

Il nuovo logo di ConsorzioCreativi
Think boldly, il logo e il claim di ConsorzioCreativi
(da consorziocreativi.com)

La notizia è che Consorzio Creativi, il network di creativi che hanno dato vita a una agenzia di pubblicità di nuova concezione, ha aperto on line il Negozio della buona pubblicità. E sugli scaffali del Negozio, visitabile su consorziocreativi.com, ci sono i prodotti con tanto di prezzi.

Il fatto è che il prezzo per la pubblicità italiana è un tabù. Ogni cliente pensa di fare ottimi affari, spendendo sempre meno; ogni agenzia, media o creativa, pensa di tenere botta alla concorrenza abbassando i prezzi. Ma le cose stanno proprio così?

Se prendiamo ad esempio le gare convocate dai committenti per scegliere la migliore agenzia, queste ormai non si svolgono più sul terreno della competenza, ma sul piano inclinato della convenienza. Talmente inclinato che i prezzi sono scivolati sempre più in basso, e i margini per le strutture di comunicazione hanno subito una tale contrazione da diventare ingestibili non solo all’interno, ma anche difficili da spiegare ai rispettivi headquarters internazionali.

La situazione è sfuggita di mano a tutti i soggetti. Nella seconda metà degli Ottanta, le agenzie si remuneravano con il 15% che per legge gli editori dovevano riconoscere alle agenzie che vendevano spazi e messaggi ai loro clienti. La produzione dei materiali era remunerata con il 17,65% del budget.

Di pari passo con l’espansione del mercato della comunicazione commerciale che contrassegnava quegli anni, si pensò di favorire la crescita rinunciando via via a porzioni di quel 15%. Su pressante richiesta di grandi compagnia americane, che assegnavano budget multinazionali, i reparti media delle agenzie furono scorporati, per diventare agenzie a loro volta. In Italia, la nascita e lo sviluppo supersonico della tv commerciale e l’aumento dell’offerta di spazi televisivi hanno favorito la rapida agonia del 15%.

Quel 15%, che in origine remunerava per il 7% la creatività; per il 5% il servizio di contatto commerciale; per il 3% il planning e il buying dei mezzi; quel 15%, dunque, cominciava a dissolversi. Le agenzie media, cioè chi compra spazi per conto dei clienti e le concessionarie di pubblicità, cioè chi vende spazi per conto degli editori trovarono la via di disinnescare l’obbligo, tutt’ora vigente, di riconoscere all’agenzia il 15%: alle agenzie media un meccanismo di remunerazione basato su quantità di spazi trattati, per i quali scattano premi da parte delle concessionarie; per le agenzie creative l’istituzione del fee, praticamente sganciato dalla percentuale di spesa pubblicitaria.

Venendo ai giorni nostri, il budget che una azienda investe in pubblicità non dice più nulla a proposito del fatturato della agenzia di pubblicità che ne cura l’immagine. L’agenzia media viene pagata in un modo, l’agenzia creativa in un altro, le ricerche in un altro ancora, la grafica, gli eventi, le promozioni in altri modi ancora.

Il combinato disposto di questa giungla remunerativa è stato solo apparentemente il maggior vantaggio per il committente, che è convinto di tenere sotto controllo la spesa pubblicitaria; e non è ormai più neppure il vantaggio competitivo dei grandi gruppi verso le piccole strutture: l’illusione che la massa critica compensasse i minori introiti derivati dai forti sconti si basava sulla previsione di un costante investimento da parte dei clienti. Le crisi economiche che si sono succedete negli anni, al contrario, hanno segnato una costante diminuzione degli investimenti sui mezzi classici, stampa e televisione, per esempio.

Anche senza contare l’odierna gravissima situazione economica e finanziaria in cui versa il mercato italiano, i grandi gruppi hanno da tempo cominciato a boccheggiare per mancanza di fatturati adeguati alle loro dimensioni. Vistosi e profondi tagli di personale hanno costretto le grandi agenzie a dimagrire. Col risultato di impoverire la capacità propositiva nei confronti dei clienti. I quali, dopo aver favorito in tutti i modi la corsa al controllo della spesa pubblicitaria, si trovano oggi a fare i conti con l’impoverimento dell’offerta creativa all’altezza delle durissime sfide proposte in continuazione dal mercato globale.

Così, come fossimo in una commedia di Goldoni, succede che Pantalone dice “non ti pago perché mi hai fatto un butto servizio”, e Arlecchino dice “ti ho fatto un brutto servizio perché tanto non mi paghi”.

L’aspetto grottesco, però, è che tutti si lamentano, ma nessuno dice la verità. Negli ultimi anni le associazione delle agenzie e quelle dei committenti hanno prodotto migliaia di ore di convegni e tavole rotonde, alcune tonnellate di carta imbrattata di buoni propositi senza che questo ribollire di intelligenze venisse a capo di alcunché: neppure l’obiettivo minimo, quello della remunerazione almeno delle spese per le gare, è stato raggiunto. E sì che si sono fatti proclami e stilato decaloghi, che nessuno ha mai preso in considerazione, a cominciare proprio dagli associati medesimi. Questo, tuttavia, non ha impedito che, per esempio, il sabato al convegno si tuonasse contro il dumping che il lunedì successivo si applicava senza troppi scrupoli.

In questi anni il valore sul mercato di alcuni budget pubblicitari è stato letteralmente portato vicino allo zero. Per esempio, a una grande banca che nel 2000 riconosceva all’agenzia il 7,5%, oggi è stato offerto un fee che si aggira tra il 2 e il 3 per cento, a scalare sugli importi investiti. Oppure, a una importante istituzione pubblica è stato offerto, non più tardi di tre anni fa, un fee equivalente allo 0,9% del budget. E può succedere, come è successo, che una rinomata agenzia abbia proposto al suo cliente un listino nel quale un annuncio pubblicitario senza immagini costava meno della metà di uno con una foto: la creatività non conta, contano le figure. Per non dire di quella agenzia che per acquisire un importante cliente editoriale, è arrivata a offrire uno sconto del 75%.

La spirale del dumping si avvita su se stessa quando viene messa in gara l’agenzia che aveva stracciato il prezzo, la quale perde comunque il cliente. Il quale convoca la gara proprio per non dover rinegoziare il prezzo stracciato che gli era stato precedentemente offerto. Col risultato che implicitamente la base di partenza è proprio il ribasso del ribasso precedente: è su quello si scontreranno le agenzie convocate. Ecco che da Goldoni si passa a Pinter: cioè siamo in pieno teatro dell’assurdo.

Tutto questo succede mentre i committenti si lamentano, quando non cercano agenzie di pubblicità altrove, come è successo recentemente per un grande gruppo bancario e per una grande compagnia telefonica. E mentre nelle agenzie si lavora male, con stipendi bassi o un uso diffusissimo di lavoro precario, e il costante clima da stillicidio di licenziamenti.

In questo quadro, al tempo stesso desolato e desolante, in cui il prezzo della pubblicità è stato usato con sprezzo del mercato e delle sue regole, l’unica via d’uscita è rompere il tabù dei prezzi e dichiararli apertamente. E accettare che la negoziazione tra le parti faccia il resto. Senza trucchi, senza inganni, senza piccole bugie o grossolane mezze verità.

Che è proprio quello che sta facendo Consorzio Creativi con l’apertura del Negozio della buona pubblicità, (visitabile su consorziocreativi.com). Beh, buona giornata.

Share
Categorie
business Marketing Media e tecnologia Pubblicità e mass media

ConsorzioCreativi lancia il suo nuovo sito. Con qualche novità.

Tra poco più di mezz’ora, a mezzanotte, cominceranno le procedure di lancio on line del nuovo sito di ConsorzioaCreativi. Anticipiamo qui l’editoriale che apparirà domani sul blog annesso al nuovo sito.

Think boldly

Siamo al terzo restyling di consorziocreativi.com in due anni. La prima versione fu dedicata ai promotori, con la seconda poi al centro ci fu l’assetto organizzativo. Con questa nuova veste grafica, ConsorzioCreativi trasforma il sito in uno strumento di lavoro, in un momento in cui lavorare per la comunicazione, per la pubblicità e il marketing è diventato difficile. La crisi picchia duro su consumi e consumatori, sui prodotti, sulle aziende: i budget si restringono, alcuni soggetti hanno sospeso gli investimenti, altri li hanno già tagliati da tempo.

Per questo, la veste grafica è sobria, essenziale, funzionale. Ma, al tempo stesso è allegra, colorata, vivace. Il meccanismo è incentrato sul pulsante “Think boldly”: attraverso questo pulsante si accede alla home page, attraverso lo stesso pulsante si torna alla hp. Un tramite, come tramite vuole essere ConsorzioCreativi nel mercato della comunicazione: dalle complicazioni dell’oggi, alle soluzioni possibili.

L’impianto grafico ricorda e cita un tablet e le relative applications: anche l’apertura delle pagine è comandata da pulsanti che danno l’idea di agire, del mettersi al lavoro, dell’ottimizzazione del tempo, attraverso scelte precise. A cominciare dal blog, ma anche in altri ambiti, consorziocreativi.com ha scelto la condivisione con i social network: Facebook, twitter, Linked, You tube sono automaticamente connessi col sito. Altri social network sono a disposizione dei lettori del blog.

Anche in questo caso la scelta funzionale rimanda a una decisione simbolica: applications e social network sono il superamento del sito, che smette di essere una semplice vetrina per diventare una sorta di piattaforma verso l’esterno. Che è l’idea di ConsorzioCreativi: non un isola, ma una penisola protesa verso ignote, quanto affascinanti innovazioni nella comunicazione.

E poi l’innovazione pura: il negozio della buona pubblicità. Lo “store” di ConsorzioCreativi, nei quali scaffali sono in vendita le nuove confezioni dei nostri prodotti. Prodotti esposti con il prezzo chiaro e trasparente. Perché?

Sono anni che le associazioni dei clienti e delle agenzie discutono di remunerazioni, di rimborsi, di regole. Oltre che dichiarazioni di principio, oltre che parole incentrate su buone intenzioni, nella realtà dei fatti, comportamenti concreti non se ne sono visti. Il risultato è che il prezzo, non il talento, sembra essere l’unico terreno della concorrenza fra agenzie. Bene, ne abbiamo preso atto.

La logica conseguenza dell’apertura del negozio sono le promozioni. La promozione di questo mese riguarda l’agricoltura e le filiere connesse: dobbiamo essere capaci di portare la pubblicità dove può essere utile allo sviluppo di attività economiche eco sostenibili.

E, per concludere questo capitolo, è bene segnalare che nel negozio è in vendita uno specifico prodotto per gli Start Up. Contribuire al successo di nuove imprese non è solo la vera via d’uscita dalla crisi, ma la mission che dovrebbe darsi tutta l’industry della comunicazione commerciale italiana.

Riassumendo, tre sono le direttrici lungo le quali di muove a partire da oggi il nuovo consorziocreativi.com. La prima è la sobrietà e la funzionalità, che fanno di questo sito un vero e proprio strumento di lavoro.

La seconda direttrice è nell’integrazione tra i social network e il sito stesso: con al centro il blog, come diario di bordo di nuove esperienze, concetti e teorie.

La terza direttrice è la vocazione commerciale di consorziocreativi.com: se ogni sito web è anche una vetrina, la nostra è la vetrina di un negozio, in cui si commercializza il nostro talento alla luce del sole, nel pieno rispetto delle regole del mercato.

Il pulsante Think boldly, che un nostro cliente e amico ha definito pop, è il logo, la sigla, il leitmotiv, la tag non tanto di questo sito, quanto piuttosto il claim con cui affrontare questi tempi: con audacia. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
business Finanza - Economia Marketing Politica Potere Pubblicità e mass media

Il CEO di Palazzo Chigi.

Secondo quanto riporta l’agenzia Ansa, Angela Merkel e Nikolas Sarkozy vorrebbero mettere sotto pressione Silvio Berlusconi al prossimo vertice europeo anticrisi.

Contemporaneamente, il quotidiano tedesco Handelsblatt riferisce quanto affermato dal commissario economico dell’Ue Olly Rehn, secondo cui: ”L’Italia deve sgombrare il campo da ogni dubbio sulla sua politica fiscale”. Non solo.

Si apprende anche che la Commissione Ue “prende nota dello slittamento del decreto sviluppo in Italia e chiede al governo di finalizzare con la massima urgenza forti misure per la crescita”: lo avrebbe detto proprio il portavoce del Commissario Ue agli Affari Economici Olli Rehn.

In epoca di presentazione dei risultati del terzo trimestre, possiamo immaginare che questa scena stia succedendo, più o meno con le stesse parole, in tutte agenzie di pubblicità che fanno parte di network globali.

Non c’è network, infatti, in cui non si mettano sotto pressione i CEO nostrani perché taglino più costi e spingano con più energia verso una sostanziale crescita dei fatturati. E la minaccia, sempre meno velata di essere rimossi per venire sostituiti da manager più giovani e dinamici incombe, come la famigerata spada di Damocle, a ogni meeting internazionale.

Che, mutatis mutandis, è esattamente quello che sta succedendo al CEO di Palazzo Chigi. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
business Finanza - Economia Pubblicità e mass media

Sono dolori per la pubblicità italiana: -4,2%.

Secondo le rilevazioni Nielsen, nel primo semestre dell’anno si registra un calo degli investimenti pubblicitari. Particolarmente negativo il dato di giugno. Infatti, da una parte il confronto con il giugno 2010, mese nel quale si disputavano i mondiali di calcio, dall’altra i primi sentori delle difficoltà finanziarie che hanno investito l’Italia nel corso dell’estate, hanno prodotto una contrazione dell’advertising che, nel singolo mese, ha coinvolto tutti i settori trainanti del mercato pubblicitario con l’eccezione di cura persona (+5,1%) e farmaceutici/sanitari (+10,8%).

Considerando il semestre la variazione rispetto al 2010 è stata del -4,2% considerando anche le tipologie commerciale locale, rubricata e di servizio. Il valore complessivo dell’advertising nei primi sei mesi del 2011 è stato di poco superiore ai 4,5 miliardi di euro. Gli eventi di questa estate che hanno portato Ocse e Fondo Monetario a rivedere al ribasso le precedenti stime di crescita del Pil freneranno molto probabilmente anche la ripresa del mercato pubblicitario auspicata per la seconda parte dell’anno.

I mezzi

La televisione, considerando anche i marchi Sky e Fox e le tv digitali rilevate da Nielsen, chiude i primi sei mesi in calo (-4,7%), con una raccolta superiore a 2,5 miliardi di euro. Le emittenti televisive hanno pagato, in particolare a giugno, il confronto con l’anno precedente, ma trova conferma la crescita in termini di audience e raccolta pubblicitaria delle emittenti trasmesse in digitale terrestre.

Gli investimenti su internet, superando i 300 milioni di euro senza considerare il search, continuano a crescere a doppia cifra (+14,1%) rispetto al 2010, ma anche il web a giugno ha subito un rallentamento. Il +4,7% rispetto al giugno 2010 è una delle crescite più basse degli ultimi anni a livello mensile.

L’out of home tv è l’unico altro mezzo che vede crescere la raccolta pubblicitaria nel semestre (+6,2%) mentre si registrano variazioni negative per tutti gli altri. La radio in particolare, oltre alla congiuntura del mercato, paga l’assenza di dati condivisi e realistici dovuta alla liquidazione di Audiradio.

Per quanto riguarda la stampa, ancora in forte calo la free press (-49,9%), i quotidiani a pagamento seguono sostanzialmente il trend del mercato (-5,1%), mentre i periodici limitano i danni (-1,5%). Variazione leggermente negativa per il direct mail (-0,9%). Esterna e cinema chiudono la prima parte dell’anno con cali più consistenti.

I settori

I primi quattro settori del mercato pubblicitario, ovvero alimentari, automobili, telecomunicazioni e abbigliamento hanno registrato nel mese di giugno una contrazione dell’advertising compresa tra il -9% e il -20%. Considerando il primo semestre, tra i primi dieci settori in termini di spesa hanno investito più del 2010 solo le aziende dei comparti automobilistico (+2,8%) media/editoria ( +2,2%), cura persona (+10,1%), farmaceutici/sanitari (11,7%). (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media

E se Facebook fosse una patacca anche per le aziende?

Facebook è gratis e conta 500 milioni di utenti, nel maggio di questo anno ha avuto 130 milioni di visitatori unici. E’ una società privata (il fondatore Zuckerberg possiede il 24%) ha 1400 impiegati e fatturerà questo anno circa un miliardo di dollari, quasi tutti provenienti dalla pubblicità, attraverso un contratto esclusivo con Microsoft. Però, il caso Barbella, il famoso pubblicitario italiano censurato da Facebook, dimostra che Facebook è così tenero, che si taglia con un grissino.

Il più importante e profittevole social network del mondo globale inciampa malamente su una segnalazione di un misterioso gruppazzo di invasati catto-fascisti, pre-conciliari. Perché lo hanno fatto non si sa. Forse la spiegazione è nella famosa storiella dello scorpione e della rana. Lo scorpione ucciderà la rana che lo traghettava attraverso il fiume, semplicemente perché è nella sua natura. Entrambi moriranno affogati.

Facebook ha inventato un grande business, basato sul protagonismo virtuale delle persone: la raccolta dei dati personali ha il vantaggio delle loro facce. Facebook, appunto.

Ma il business di Facebook non prevede i pensieri delle persone. Contempla solo e soltanto la quantità, per questo ha acquisito valore, per questo raccoglie pubblicità, cioè una montagna di soldini, senza fare niente che non sia: venite, venite, accalcatevi, scambiatevi le vostre chiacchiere, intanto vi preleviamo i dati, vi somministriamo pressione pubblicitaria. Voi chattate, e noi incassiamo.

Facebook non vuole persone, ha bisogno di corpi, con le loro faccette sorridenti. Per Facebook nessuno creda di possedere un qualche residuo di diritto di cittadinanza. Facebook ha superato l’idea antica di esseri umani, titolari di diritti, Facebook è oltre quella roba vecchia, tipo la democrazia, i diritti umani, le costituzioni, la cittadinanza. Tu non sei un cittadino, sei un “friend”. Facebook è così moderna che è il modernismo fatto tecnologia: voi non siete esseri pensanti, capricciosi, individualisti, emotivi, generosi, coraggiosi, idealisti. No. Voi siete consumatori. E allora, prendetevi tutto quello che la merce vi offre. Questa è la felicità, godetevela e non rompete le palle: sennò, fuori dal mondo dei social network, fuori da Facebook.

Pasquale Barbella, uomo colto, intellettuale prestato alla pubblicità è incappato proprio su Facebook. Ha toccato con mano che cos’è la dittatura commerciale, ai tempi del commercio globale, al tempo dei social network. La sua indignazione è genuina, quanto genuino è l’inganno proposto dall’idea che i social network avrebbero potuto allargare gli orizzonti della libertà di espressione.

Ma il caso Barbella pone un problema alle grandi imprese che investono budget pubblicitari su Facebook: se il sistema è così fragile da essere penetrato da un piccola banda di squinternati, che affidabilità può avere Facebook per il loro business? Meditate, direttori del marketing, meditate.Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Perché Facebook ha messo il bavaglio a Pasquale Barbella?

La censura ha sempre qualcosa di comico. Ma stavolta siamo al grottesco: Facebook, il social network per eccellenza, molto usato per fini pubblicitari censura i pubblicitari. Roba da far venire la pelle d’oca anche a un uovo sodo. Ecco i fatti: Pasquale Barbella, notissimo pubblicitario italiano, circa un anno fa apre una pagina su Facebook, intitolata Advertown. Su questa pagina, come una sorta di archivio collettivo, vengono pubblicati annunci e campagne pubblicitarie che hanno fatto la storia dell’advertising mondiale. Ad uso e consumo di studenti di scuole di pubblicità e di giovani creativi che lavorano nelle agenzie di pubblicità italiane, Barbella e altri pubblicitari di lungo corso, stimolavano la pubblicazione di esempi di comunicazione commerciale, un modo di tener viva la “memoria storica” della buona pubblicità.

Una iniziativa innocua, se volete ingenua, niente di più di quello che si è visto negli annual, cioè quei libri compilativi che raccolgono campagne premiate come le migliori. Una iniziativa lodevole, se non altro perché metteva a disposizione buoni esempi di pubblicità, una nicchia di fruitori che contava circa 700 “friends”, come vengono chiamati da Facebook coloro che si iscrivono e partecipano alla pagina in questione. Se non che il 31 agosto scorso, Barbella, fondatore di Advertown e altri “amministratori”, tra cui Massimo Guastini, Andrea Concato e Luigi Montaini, tutti pubblicitari di fama, ricevono un “Facebook Warning”: «Abbiamo disabilitato il tuo profilo poiché ci è stato segnalato da terzi che trasgrediva o violava i suoi diritti.».

Ma di che cosa stiamo parlando, se si tratta di una raccolta “storica” di annunci pubblicitari, pubblicati nel passato? Qualche erede di un pubblicitario americano o inglese si è irritato? Qualche grande azienda non ha gradito si pubblicassero annunci pubblicitari con il loro marchio, senza magari aver chiesto il permesso?
Macché, niente di tutto questo. Contattata Facebook, Barbella viene informato proprio da Facebook che una organizzazione che risponde all’indirizzo cenacolo@tradizionecattolicimordini.it ha chiesto la rimozione di Advertown. A parte che andare sul sito di questi signori sembra di finire nelle pagine di Dan Brown, la domanda è: perché? Facebook non fornisce spiegazioni, ma invita Barbella a trovare una composizione con cenacolo@tradizionecattolicimordini.it: se loro danno il permesso, la pagina Advertown potrà essere ripristinata.

Dalla comicità si è passati al grottesco, ma ecco che si affaccia la farsa: Facebook ritiene violate le sue regole, però non dà spiegazioni, ma anzi indica i responsabili della richiesta di cancellazione. Inutile dire che Barbella scrive ai signori di cenacolo@tradizionecattolicimordini.it, i quali si sono fin qui guardati bene dal rispondere.
Insomma, uno aderisce a un social network, ma è soggetto al veto di una organizzazione politico-religiosa esterna al social network medesimo. Ma né Facebook né cenacolo@tradizionecattolicamordini.it danno alcuna spiegazione.

Se dalla comicità si è passati al grottesco, e dal grottesco alla farsa, arriva infine il sopruso: il 9 settembre scorso Facebook chiude a Barbella ogni accesso alla pagina di base (“Pasquale Barbella”) e a tutti i gruppi tematici da lui fondati (musica, arte, letteratura, cinema, fotografia, attualità politica, satira politica). Insomma, prima a Pasquale Barbella è stato messo il bavaglio, e subito dopo è stato espulso, come indesiderabile dal “mondo” Facebook: attualmente, gli altri possono accedere alle “sue”pagine di Facebook, lui no. Roba da matti.

Perché Facebook ha messo il bavaglio a Pasquale Barbella non si sa, non si può sapere. L’unico fatto certo è che cenacolo@tradizionecattolicamordini.it ordina, Facebook esegue. Con tanti saluti alla libertà di espressione del più famoso social network nell’era dei new media. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Media e tecnologia Pubblicità e mass media

“Non c’è più neanche il popolo dei creativi, mi disse tra i baffi”. Fa bene pensare ogni tanto a Emanuele Pirella.

Il Naso Fuori. Ma siamo proprio sicuri che Emanuele non ci sia più? -di Marco Ferri-advexpress.it

C’è stato sgomento, c’è stata retorica, ci sono state le celebrazioni. E’ interessante notare come le cose più significative siano state scritte dal giornale per cui Pirella ha lavorato, con Tullio Pericoli, per molti anni. E’ un poco triste notare che le cose più risibili siano state dette dalle persone della pubblicità italiana.

Emanuele inventò la figura retorica del “popolo dei creativi”. Lo fece allorquando divenne presidente dell’Art Directors Club italiano. Negli anni successivi, quando ci conoscemmo, e per lui lavorai, e poi con lui lavorai, e insieme lavorammo, ridemmo, litigammo, e di nuovo lavorammo e ancora ridemmo, l’idea che ci fosse una collettività di persone dedite alla creazione di messaggi pubblicitari era come un punto di riferimento: di cui tener conto, a cui riferirsi, con cui ingaggiare una competizione per fare meglio. L’ultima volta che ci siamo incontrati, davanti a due tazzine di caffè, c’era un terribile frastuono di lavori di ristrutturazione di un palazzo milanese:- Non c’è più neanche il popolo dei creativi, mi disse tra i baffi.

Già, quel frastuono. Allegoria di un impedimento alla parola detta e ascoltata, quanto della parola data, che è quello che è oggi la pubblicità italiana. Quel frastuono di biglietti da visita alti sonanti, di carriere fatte di riunioni, trucchi, tranelli, ritornelli, e parole dette per sentito dire. E dunque autorizzate a essere smentite, travisate, tradite.

Mentre per noi, che per lui abbiamo lavorato, che con lui abbiamo inventato annunci e campagne pubblicitarie, le parole avevano un peso, perché nascevano nella testa, attraversavano il braccio, scaturivano dalla mano, fiottavano dalla penna e riempivano un foglietto di carta bianca. Pronto a essere appallottolato e buttato, poi ripescato e riaperto, poi riletto e magari riscritto, poi ragionato e negato, assolto e condannato, e magari approvato, e poi consegnato all’annuncio. E alla fine visto, stampato, guardato con la diffidenza di chi poteva, magari aver fatto meglio. O al limite, aver scritto una cazzata.

Si amava il lavoro. Quello del copywriter. In Italia senza Pirella saremmo ancora alle frasette d’ effetto, magari scritte senza che finissero col punto.

Già, ‘il punto Pirella’. Bene. Emanuele, andandosene, ha messo il punto. E allora, forza! ci sono tanti titoli, testi e idee che devono ancora saper onorare quel punto. Lui lo ha messo per sempre, a noi inventare ancora qualcosa che abbia la dignità di meritarsi ‘il punto Pirella’. Punto. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Finanza - Economia Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La pubblicità italiana non riesce a uscire dalla quarta crisi.

Secondo Nielsen Media Research da gennaio ad agosto 2009 gli investimenti pubblicitari ammontano a 5.275 milioni di euro con una flessione del -16,4% rispetto al corrispondente periodo del 2008. Ad agosto 2009 verso agosto 2008 la variazione è del -15,8%. A livello di settori merceologici, considerando il periodo cumulato, si registrano: -11,6% per gli Alimentari, -21,9% per le Auto e -5,4% per le Telecomunicazioni.

Unilever, Wind, Vodafone, Telecom It. Mobile, Barilla, Ferrero, L’Oreal, Volkswagen, Procter&Gamble e Fiat Div. Fiat Auto guidano la classifica dei Top Spender nei primi otto mesi del 2009 con investimenti pari 715 milioni di euro, in calo del -13,4% sul corrispondente periodo dell’anno scorso.

La Televisione, considerando i canali generalisti e quelli satellitari (marchi Sky e Fox), mostra una flessione del -13,9% sul periodo cumulato e del -17,7% sul singolo mese.

La Stampa, nel suo complesso, da gennaio ha un calo del -23,9%. I Periodici diminuiscono del -28,8% con l’Abbigliamento a -28,7%, la Cura Persona a -25,7% e l’Abitazione a -29,5%. I Quotidiani a pagamento mostrano una flessione del -20,2% con l’Auto, l’Abbigliamento e la Finanza/Assicurazioni, i tre settori più importanti, che riducono la spesa rispettivamente del -36,9%, del -27,0% e del -32,0%. Sono in controtendenza l’Abitazione che aumenta del +7,7% e il Turismo/Viaggi con il +8,6% sul cumulato e il +17,5% sul mese. A livello di tipologie la Commerciale segna il -23,9%, la Locale il -15,3% e la Rubricata/Di Servizio il -17,7%. In contrazione anche la raccolta dei Quotidiani Free/Pay Press (-27,4%).

La Radio diminuisce del -15,8% in otto mesi e del -1,9% sul singolo mese. Fanno registrare variazioni negative anche: Affissioni (-26,4%), Cinema (-8,3%), Cards (+1,8%) e Direct Mail (-17,3%). Performance positiva invece per Internet che cresce del +6,2% raggiungendo i 371 milioni di euro. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Per salvare la pubblicità italiana ci vuole una trasfusione di idee.

Per anni si è creduto che per convincere i consumatori bastasse dire tante volte la stessa cosa, non importava che cosa. Sono stati investiti milioni e milioni di euro tra passaggi televisivi, annunci stampa, radiocomunicati, banner, manifesti. Poi la crisi ha raggelato i grp’s, mentre i coefficenti di penetrazione (con rispetto parlando) si sono ammosciati: c’è la crisi, non si possono più buttare i soldi nel ripetere.

Gli editori, gli inserzionisti, i centri media e le agenzie di pubblicità sono nel panico: sono crollati gli investimenti pubblicitari. Che fare? Forse è giunto il momento per la pubblicità di dire cose importanti, dirle così bene che non c’è bisogno di ripeterle, ripeterle, ripeterle. Cioè di spendere, spendere, spendere.

E scoprire che una buona idea è un moltiplicatore del budget di pubblicità. Quelli abituati alla mediocrità della ripetizione sono andati in crisi, perché non corrispondono alle attuali esigenze del mercato della comunicazione commerciale. Quelli costano troppo, sono presuntuosi, non valgono la spesa.

Non ci sono più scuse, non ci sono alternative: dalla crisi dei consumi si esce rompendo l’ordalia della quantità, riscoprendo il talismano della qualità del messaggio commerciale.

La qualità fa bene a chi la vede (il consumatore), a chi la paga (l’inserzionista), a chi la rende pubblica (gli editori), a chi la fa. Ma è proprio qui che casca l’asino: chi la fa oggi non la sa più fare. Le vecchie agenzie di pubblicità sono anatre zoppe. Urge sangue nuovo, urge l’agenzia di nuova generazione. La pubblicità italiana ha bisogno di una trasfusione di idee. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Media e tecnologia Pubblicità e mass media

E’ nato Consorzio Creativi. Agenzie di pubblicità? No, grazie.

www.consorziocreativi.com

Cambiare si deve. A un anno dall’inizio della più grande crisi economica globale, nasce Consorzio Creativi, la concreta risposta alla crisi di sistema della pubblicità italiana. Nasce per produrre saving e generare valori di comunicazione sostenibili nel tempo. Nasce con la struttura più leggera sul mercato, col più rilevante reparto creativo in Italia e con una spiccata capacità commerciale e manageriale. Consorzio Creativi nasce per gestire la crisi, per sostenere i consumi, per aiutare i marchi italiani a essere protagonisti della ripresa economica.

La fotografia della pubblicità italiana. La pubblicità italiana è in crisi. Crisi di strutture, crisi di uomini, crisi di idee. Non è una critica, non è una polemica: è un dato di fatto.
C’è chi sostiene si tratti di uno stop momentaneo, dovuto alla situazione economica e finanziaria del nostro Paese. Altri parlano della necessità di un fisiologico ricambio, come è avvenuto in diversi periodi. In realtà siamo a vera e propria chiusura di un ciclo. L’economia di gran parte delle agenzie di pubblicità operanti in Italia è legata a filo doppio all’economia globale: si tratta di strutture di proprietà di holding finanziarie americane, inglesi, francesi e giapponesi quotate in Borsa. Grandi clienti internazionali hanno nell’ultimo periodo operato forti ridimensionamenti dei loro budget pubblicitari. Nello stesso tempo, i network internazionali chiedono aumenti delle revenue alle unit locali, per compensare le perdite previste sui fatturati worldwide.

Il paradosso che stritola le agenzie di pubblicità italiane: da un lato la crisi taglia i budget, dall’altro esige più fatturato. La risposta che hanno dato i manager della pubblicità italiana è semplice, prevedibile, scontata: quando tagliare i costi delle spese generali non basta, si ricorre all’espulsione delle persone, per rimpiazzarle con professionalità a basso costo. Che tipo di qualità si riesca poi a garantire alle aziende passa in secondo piano rispetto alla necessità di salvare il salvabile dei propri conti.

La forma-agenzia tradizionale non corrisponde più alla realtà delle imprese italiane. Stritolata dalle incombenze finanziarie, inaridita di talenti, appesantita dalla burocrazia interna, legata mani e piedi alle logiche dei quartier generali internazionali, l’agenzia tradizionale non ha più sottomano strumenti interpretativi, e di conseguenza organizzativi per raccogliere le nuove sfide. In assenza di una credibile e organica alternativa, le aziende italiane sono costrette a utilizzare le grandi agenzie multinazionali, i cui profitti vengono consolidati negli Usa, in Uk, in Francia o in Giappone.

Consorzio Creativi: la novità è nella discontinuità. Discontinuità significa tornare a ciò che di basico chiede oggi il mercato della comunicazione commerciale, della pubblicità: qualità, flessibilità, economicità. La qualità è la missione di chi produce le idee, la flessibilità e l’economicità è il talento nell’organizzazione del lavoro.(….). Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Attualità Finanza - Economia Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Pubblicità italiana: quelli che non arrossiscono mai.

di Marco Ferri-advexpress.it

Secondo uno studio di Corine Dijk dell’Università di Groningen in Olanda, quando uno diventa rosso in viso cerca inconsciamente un vantaggio emotivo: quello di essere perdonati. Insomma, dimostrando imbarazzo si cerca di non far scattare reazioni violente da parte degli altri. In termini scientifici, si tratterebbe di un segnale prettamente umano, che esprime un significato adattativo, darwiniano: diventare rossi può essere un bene per la sopravvivenza.

Temo che Corine Dijk non abbia tenuto conto del fatto che ci sono categorie antropologiche che fanno arrossire i bilanci senza il minimo di emozione. Prendiamo quella specie umana che si è formata nella gestione delle agenzie di pubblicità in Italia: quelli mica arrossicono di imbarazzo di fronte a quello che hanno combinato in questi anni. Scuriscono in volto se qualcuno contraddice i loro bilanci, sbiancano se qualcuno vuole capire meglio i loro piani di sviluppo. Arrossire? Non se ne parla: come bambini viziati, pensano ‘il pallone è mio e il rigore lo tiro io’. E quando regolarmente tirano fuori pensano che è una congiura, un complotto: e invece che diventare rossi di vergogna, diventano neri di rancore.

Insomma, se il mercato della comunicazione evolve, loro si sono autosclusi dall’evoluzione della specie. Ogni giorno che passa camminano spediti, frettolosi e convinti sulla via dell’estinzione. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Media e tecnologia Pubblicità e mass media

I furbetti del lay-out-tino.

La scorsa domenica, Eugenio Scalfari ha scritto che il problema del cinema italiano è la perdita di un linguaggio comune e condivisibile. L’affermazione ha la sua importanza, poiché cade durante il festival di Venezia. Ma il suo ragionamento è estendibile a altri settori della comunicazione, come si definiscono oggi tutte le discipline, i mestieri, le professioni che hanno a che fare col comunicare un idea, un pensiero, un punto di vista.

Non è una caso, che Eugenio Scalari citi il giornale di cui è stato il fondatore come un esempio di innovazione del linguaggio della carta stampata.

Le riflessioni di Scalfari hanno provocato un piccolo ragionamento sul linguaggio della pubblicità italiana. Il ragionamento è questo.

1) La pubblicità italiana è tra le più mediocri del mondo occidentale, dal punto di vista creativo: lo dicono tutti i più importanti appuntamenti di confronto tra le diverse culture della comunicazione commerciale;

2) la pubblicità italiana è tra le più eccellenti del mondo occidentale dal punto di vista economico, con particolare riferimento alla pubblicità televisiva: chi possiede un network televisivo fa e disfa a suo piacimento;

3) la pubblicità italiana è la più politica del mondo occidentale: il sistema televisivo, mezzo principe in Italia è regolato da alchimie di tipo politico, dunque anche l’accesso a budget di questa o quella azienda si muove rispetto a queste regole. Basti pensare all’equazione tra il maggiore partito rappresentato in Parlamento, sia pur attualmente all’opposizione e il maggiore network televisivo commerciale, attualmente maggioritario nella raccolta pubblicitaria;

4) la pubblicità italiana oggi non ha un linguaggio culturale, ma economicista, lobbysta, spartitorio, furbastro: basta leggere i comunicati stampa che si vantano di questa o quella acquisizione di budget pubblicitari, di cui sono pieni i news-magazine del settore, ogni giorno.

Non c’è un linguaggio unitario, condivisibile, formativo, innovatore della creatività italiana per il semplice motivo che le idee sono l’ultima ruota del carro, nella santa processione del business della pubblicità italiana.

A questo contribuiscono, in piena flagranza del reato di eccesso colposo di buona volontà molti creativi pubblicitari italiani. Tra loro c’è chi eccelle nel cinismo della loro mediocrità, professionale e culturale. Di quella umana, boh!

Sono coloro che furono allievi di grandi maestri dell’advertising italiano, ma che del loro maestro hanno creduto di imitare gli aspetti esteriori, non quelli intrinseci, che ne hanno fatto, giustamente, punti di riferimento professionali per più di una generazione di creativi. Anzi, candidandosi ad esserne epigoni, dicono in giro del loro disturbo psicanalitico: uccidi il padre è il loro leit-motive.

Ben presto dimentichi degli insegnamento più preziosi, tra cui l’onestà intellettuale che accompagna ogni minuto la creazione di una campagna pubblicitaria, per il semplice fatto che va sotto gli occhi di milioni di persone, i nostri furbetti del lay-out-ino inanellano sciocchezze: si vantano di una campagna scema e già vista, non distinguono il buono dal marcio, ascoltano il suono delle loro parolette e si credono di alta statura professionale, scambiando il sistema metrico decimale con lo spessore professionale.

Ai tempi dell’odiato Gavino Sanna, che li apostrofava con la dicitura “piscia-letto”, nascosti tra la piccola folla del popolo dei creativi fischiavano in platea i suoi successi.

Oggi che “il popolo dei creativi”, come Pirella definì la moltitudine di copy e art che negli Ottanta entrarono nel mondo della pubblicità italiana, attirati, appunto da quel linguaggio che oggi non sembra più esserci, ecco che i furbetti del lay-out-ino sono feroci come caporali napoleonici, al tempo di Sant’Elena.

I furbetti del lay-out-tino non rispettando i loro maestri, non rispettano il loro lavoro, quindi non sanno del rispetto verso i lettori, gli ascoltatori, i telespettatori.

In ultima analisi, essi non sanno nulla del rispetto che si deve al committente, alla disciplina umana e professionale che si deve a chi paga il conto della creatività. Li prendono in giro con la loro prosopopea e con l’altisonanza dei titoli sui biglietti da visita, magari, come bagarini, con la promessa di un posto comodo per godersi la partita.

I furbetti del lay-out-ino sono come cavallette che distruggono, per via della loro ingordigia, dell’ansia di fama, del loro ego, magari di un bonus di fine anno, che distruggono reputazioni delle persone prima e delle marche poi, con il sorriso ammiccante dalla fotina che per piaggeria campeggia sull’articoletto del giornaletto di settore.

Ignari, o forse cinicamente noncuranti, addirittura consapevoli, che tanto di questa o quella testata non gliene frega un bel niente, gli si può raccontare ogni fandonia, che tanto quelli la pubblicano, che se no, magari, gli togliamo l’abbonamento. E così si chiude il circolo vizioso della mancanza di rispetto del lavoro degli altri.

Lo sappiamo tutti che la fretta (di apparire) passa, ma la merda (di certi comportamenti) rimane. Ma a loro che gliene importa. Sono i furbetti del lay-out-ino. Beh, buona giornata.

Share
Follow

Get every new post delivered to your Inbox

Join other followers: