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Colpo Grosso: Paolo Romani ministro dello Sviluppo. Esulterebbe Maurizia Paradiso, se sapesse che Magic America è più importante di Magic Italia.

IL CASO-Sviluppo, Romani giura da ministro
Il premier lascia l’interim dopo 5 mesi-Dopo 153 giorni Berlusconi si decide alla nomina, dopo le ripetute pressioni del Colle e le lamentele degli industriali. Ma il dicastero è stato smembrato. Il gelo di Napolitano durante la cerimonia
di MATTEO TONELLI-repubblica.it

Stavolta è vero. Silvio Berlusconi ha nominato il nuovo ministro dello Sviluppo. Dopo 153 giorni di interim e vane promesse, il Cavaliere e Paolo Romani, attuale viceministro alle Comunicazioni, sono saliti al Quirinale per il giuramento. Un giuramento svoltosi nel gelo del rapporto fra premier e capo dello Stato. Le formalità, ridotte all’essenziale, sono durate pochi minuti, il tempo di leggere la formula del giuramento. Berlusconi si è presentato puntuale e ha atteso in piedi insieme a Gianni Letta ed al candidato ministro. Tutte spie, si ragiona in ambienti parlamentari dei dubbi del Capo dello Stato su questa nomina ma anche della presa di distanza del Colle dalle ultime esternazioni del Cavaliere, comprese quelle sulla magistratura. Il presidente della Repubblica è arrivato cinque minuti dopo, si è scusato per il ritardo e ha invitato a procedere senz’altro. Poi ha stretto la mano al neo-ministro, gli ha augurato “buon lavoro”, ha salutato Berlusconi e lo ha congedato.

Si chiude così una vicenda che si è trascinata per cinque mesi, portandosi dietro uno strascico velenoso di polemiche e problemi irrisolti. Per 153 giorni, infatti, la poltrona lasciata vacante dopo l’addio traumatico di Claudio Scajola, 1 è stata “occupata” dal premier. Lo stesso che, ciclicamente, davanti alle continue sollecitazioni, rispondeva spostando in avanti l’orizzonte temporale della scelta. “La prossima settimana avrete la nomina” è stato il ritornello ripetuto più volte nonostante le sollecitazioni del Colle, degli industriali e delle opposizioni. 2

Eppure all’inizio sembrava una questione destinata a chiudersi in breve tempo. Dopo le dimissioni di Scajola il Cavaliere dava l’impressione di voler chiudere la partita alla svelta. Anche perché la crisi economica assegnava (e assegna) un ruolo più che attivo allo Sviluppo. E così il 4 maggio maggio il premier assicura: “L’interim sarà breve e sarà un incarico limitato nel tempo. È un incarico diciamo così, tecnico. Durerà giorni”. Ma la partita si complica rapidamente e diventa una partita che il premier fa fatica a sbrogliare. Meglio, allora, far passare del tempo. Ma quel vuoto di potere, nonostante le continua assicurazioni del Cavaliere sulla sua assoluta capacità di occuparsi del dicastero, si nota eccome. Lo nota Giorgio Napolitano, che più di una volta ne segnala l’urgenza. Lo nota l’opposizione che accusa il governo di disinteressarsi di un ruolo centrale in un momento di crisi economica. E lo notano anche gli industriali, che di un ministro del genere hanno bisogno come il pane.

Dopo l’interim il premier riceve una serie di “no grazie” di peso. Il primo è quello del presidente della Ferrari Luca Cordero di Montezemolo. Il secondo tentativo è ancor più plateale. Il 27 maggio, all’assemblea annuale della Confindustria, il premier, dal palco, si lascia andare: “Volete che Emma Marcegaglia diventi ministro?”. La risposta è il gelo della sala e l’imbarazzo del presidente. Uno schiaffo per il premier che replica stizzito: “Allora non potete lamentarvi..”. Passa il tempo e la poltrona restra vacante. Anche perché sfuma il tentativo (informale) di piazzarci il leader della Cisl, Raffaele Bonanni. Dopo due industriali e un sindacalista, Berlusconi pensa bene di fare una nomina ministeriale. Non quella delle Attività produttive, però. Bensì quella di Aldo Brancher, ministro per l’Attuazione del federalismo (che sarà costretto a lasciare sull’onda delle polemiche per i suoi processi in corso).

Si va avanti così. Con le tensioni sociali che crescono e le situazioni di difficoltà che si moltiplicano. Ci vorrebbe un referente nel governo. Ma non c’è. Scoppia il caso Pomigliano, protestano i minatori del Sulcis. ma Berlusconi non molla l’interim. Repubblica decide di far partire un contatore dei giorni senza ministro. Le opposizioni si scuotono. L’Idv scrive a Napolitano che non manca di far sentire la sua voce. «L’istituzione governo non può ormai sottrarsi a decisioni dovute, come quella della nomina del titolare del ministero dello Sviluppo Economico e del presidente di un importante organo di sorveglianza come la Consob…» dice il capo dello Stato.

Poche ore dopo Berlusconi prova a correre ai ripari. E ripete: “La prossima settimana procederemo alla nomina del nuovo ministro per lo Sviluppo Economico…”. Sembra fatta. Ma non è così. Agosto si apre senza il ministro 3. Le opposizioni insorgono e dal Colle trapela una noteva irritazione. Comincia a circolare il nome di Paolo Romani, attuale viceministro delle Comunicazioni, un passato nelle aziende del Cavaliere. Ma i suoi legami con l’editoria (che lui circoscrive al passato) gli mettono il piombo sulle ali.

Passa l’estate e i contrasti con i finiani esplodono. Le indiscrezioni dicono che dietro allo stallo ci sia l’intenzione del premier di “calmare” i fedelissimi del presidente della Camera affidando il dicastero ad un loro uomo. Vero o falso che sia, non se ne fa nulla. Persino il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti è costretto ad ammettere 4: “Serve un ministro”. L’ad della Fiat, Sergio Marchionne, è lapidario: “Il ministro? Lo aspettiamo anche noi”.

Si arriva così al voto di fiducia per il governo. Berlusconi la ottiene e torna a promettere: “Lunedì avrete il nuovo ministro”. 5Stavolta è vero. Dopo 154 giorni è fumata bianca. Sul tavolo Romani troverà il dossier nuclare, la legge sulla concorrenza, quella sul made in Italy e le tante crisi aziendali ancora aperte. E risentirà le parole di Berlusconi che, in Senato, rivendicava l’ottimo lavoro fatto. Sarà, ma in questi mesi il ministero è stato, silenziosamente, smembrato: la manovra 2011 gli ha sottratto 900 milioni di fondi di dotazione, i fondi Ue e Fas sono stati trasferiti al ministro degli Affari regionali Raffaele Fitto, i circa 800 milioni di fondi per il turismo sono passati direttamente sotto la gestione di Michela Vittoria Brambilla, l’Istituto per la Promozione Industriale è stato soppresso. Colpi di scure che fanno dire al segretario del Pd Pier Luigi Bersani, “che dopo aver cercato per tanto tempo un ministro, adesso si corre il rischio di non trovare più il ministero”.

(04 ottobre 2010) © Riproduzione riservata (Beh, buona giornata).

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“Se fosse già in vigore la legge proposta dal ministro Alfano sulle intercettazioni, gli italiani nulla saprebbero ancora della casa di Scajola.”

Con la nuova legge neppure una riga. Se la nuova legge fosse già in vigore neanche una riga sulla casa di Scajola, di Luigi Ferrarella -corriere.it

Cosa c’entrano le intercettazioni con il caso Scajola? Niente: alla base della sua vicenda non ci sono microspie, ma solo assegni bancari e dichiarazioni di testimoni, atti peraltro tutti non più coperti da segreto perché depositati al Tribunale del Riesame. Eppure, se fosse già in vigore la legge proposta dal ministro Alfano sulle intercettazioni, gli italiani nulla saprebbero ancora della casa di Scajola. E nulla gli italiani ancora saprebbero perché nulla i giornali avrebbero potuto scriverne in questi 12 giorni, e ancora fino a chissà quanti altri mesi.

Al contrario di quello che i promotori della legge raccontano, e cioè che con essa intendono impedire la pubblicazione selvaggia di intercettazioni segrete, l’attuale testo in discussione alla Commissione Giustizia del Senato vieta, con la scusa delle intercettazioni, la pubblicazione — non solo integrale ma neanche parziale, neanche soltanto nel contenuto, neanche soltanto per riassunto — degli atti d’indagine anche se non più coperti dal segreto, e questo fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza.

In più, aggancia la violazione di questo divieto a un’altra legge già esistente (la 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle imprese per reati commessi dai dipendenti nell’interesse aziendale), e per ogni pubblicazione arbitraria fa così scattare non solo ammende maggiorate per i cronisti (da 2 a 10 mila euro, dunque con oblazione a 5 mila euro), ma soprattutto maxi-sanzioni a carico delle aziende editoriali fino a 465 mila euro a notizia

Per dare un’idea dell’impatto, i quotidiani nazionali, con quello che hanno pubblicato di vero e di più non segreto in questi 12 giorni, rischierebbero già 4/5 milioni di euro, e i loro cronisti oblazioni già per 60 mila euro a testa (sempre che il giudice non ritenga, a motivo della gravità del fatto, di negare l’oblazione e avviare il giornalista a un processo che potrebbe concludersi con la condanna a 2 mesi di arresto per ogni pubblicazione arbitraria).

Il caso di Scajola è ancor più istruttivo perché rivela quanto ipocrita sia il ritornello di chi vuole far discendere dalla sola rilevanza penale la condizione di «scrivibilità» di una vicenda giudiziaria, e dalla sola qualifica di indagato l’unico criterio di interesse pubblico di una notizia.

Il ministro non è indagato dalla Procura di Perugia ed è possibile che nemmeno lo sia in futuro, quindi in base a questo buffo criterio non si dovrebbe scriverne alcunché. Allo stato, anzi, Scajola è un «terzo» estraneo ai fatti di reato contestati invece ad Anemone e Zampolini per il controverso tragitto immobiliare di quegli 80 assegni, e dunque la sua vicenda, misurata su questo singolare parametro, dovrebbe restare esente da attenzioni giornalistiche.

Ma quanto questo sarebbe assurdo l’ha dimostrato indirettamente proprio un importante dirigente del partito di Scajola e di Alfano, il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini, quando poche settimane fa convocò una conferenza stampa per sventolare alcune intercettazioni allegate a una memoria difensiva depositata agli atti e dunque non più segrete, dalle quali a suo avviso emergevano non reati ma indebiti comportamenti di un dirigente del centrosinistra toscano. Iniziativa assolutamente legittima, se l’onorevole Verdini la ritiene valida e se, come ogni giornalista, se ne assume la responsabilità (su veridicità e continenza) rispetto ai già oggi esistenti confini della diffamazione.

Solo che il coordinatore del Pdl dovrebbe andare a farlo presente al ministro della Giustizia, appena approderà in Parlamento la legge che dichiara di voler fermare le intercettazioni selvagge ma in realtà vieta la cronaca. O provare a ricordarlo al presidente del Consiglio quando, come ieri, afferma che in Italia «c’è fin troppa libertà di stampa». (Beh, buona giornata).

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Dietro la vicenda Scajola potrebbe esserci un “Vaso di Pandora”: un’agenda con mille nomi.

Scajola, dalla lettera anonima spunta un’agenda con “mille nomi”-blitzquotidiano.it

L’intera bufera giudiziaria che ha portato alle dimissioni, ieri, del ministro per lo Sviluppo economico, Claudio Scajola è partita da un esposto anonimo. Una missiva inviata alla procura di Firenze nei giorni bollenti dell’inchiesta sui “Grandi Eventi”, (gli appalti del G8 e della Maddalena) che portò all’arresto nel febbraio scorso, tra gli altri, di Angelo Balduccci e dell’imprenditore Diego Anemone.

Proprio quella lettera permise ai magistrati di risalire all’ex autista di Balducci, il tunisino Hidri Fathi, interrogato il 25 marzo scorso. Fu lui ad affermare, tra l’altro, di aver consegnato per conto di Anemone, all’architetto Angelo Zampolini (accusato di riciclaggio) 500 mila euro. Gli stessi soldi, trasformati in assegnati circolari che, secondo l’accusa, sarebbero stati consegnati nel 2004 alle venditrici dell’immobile, le sorelle Barbara e Beatrice Papa, a margine dell’atto di acquisto dell’appartamento di Scajola al Colosseo.

L’anonimo raccontata la storia di Fathi in maniera dettagliata. Riporta circostanze precise che avrebbero visto l’ex autista di Balducci protagonista, a volte nei panni di “messo” di buste, documenti, ma anche di assegni. «Il mio amico tunisino – si legge nella lettera inviata alla procura di Firenze – mi raccontava che era stato fortunato ad avere incontrato Balducci. Ascoltava telefonate, partecipava a cene, e poi Balducci gli dava tanti soldi per il lavoro che svolgeva. Il periodo di lavoro in questione è quello del governo Berlusconi».

Dal dossier emerge un vero e proprio sistema gelatinoso di affari, tangenti e appalti pubblici: «Balducci – si legge nella missiva – firmava i progetti che mandava a Pietro Lunardi (ex ministro delle Infrastrutture, n.d.r.). Lunardi approvava e li rimandava a Balducci. Balducci a sua volta dava il lavoro a Diego, il quale aveva costituito dieci società». E ancora: «Con i soldi delle tangenti per anni sono state comprate ville a Cartagine, per poi essere rivendute. E questo denaro, una volta rientrato in Italia veniva reinvestito».

L’anonimo suggerisce perfino agli stessi magistrati di verificare con i loro occhi: «Se mi permettete un suggerimento – si legge – potete andare in Tunisia, a Cartagine, e vedere che le ville comprate venivano intestate all’autista di Balducci per poi essere rivendute dopo tre anni. Dove sono stati investiti quei soldi? Appartamenti a Parigi e nei centri storici di Milano e Roma». «Mi permetto di darle 3 consigli: verificare la causa a Roma tra Diego e Fathi, chiedere a Balducci delle ville intestate al tunisino a Cartagine; rintracciare l’autista di Balducci e chiedere dell’agenda con i mille nomi». Sarebbe questa la vera gallina dalle uova d’oro per i magistrati che stanno cercando di rintracciare tutti i nomi coinvolti nella vicenda. L’agenda, promette il mittente, è in grado di scuotere il Palazzo. E di far tremare ancora una volta il centrodestra.

Un’altra inchiesta partita da Roma si incrocia con le indagini delle Procure di Firenze e Perugia sulla “cricca” dei Grandi Eventi. Percorrendo strade diverse, Roma e Firenze si sono trovate a indagare sugli stessi obiettivi anche se il filone romano verterebbe sul business dell’eolico. Nel mirino dei magistrati spuntano altri 10 nomi di parlamentari “eccellenti”. Tutti finiti, a quanto pare, nel grande intreccio di affari e tangenti.

L’indagine, parallela a quella nella quale sono stati coinvolti e arrestati Balducci, Rinaldi, De Santis e l’imprenditore Diego Anemone, vede coinvolti altri deputati e senatori, che hanno chiesto e ottenuto l’aiuto di Denis Verdini su intercessione del senatore Marcello Dell’Utri, il cui nome è più volte spuntato nelle intercettazioni telefoniche della Procura di Roma. Oltre a Dell’Utri e Verdini, dalla intercettazioni spuntano i riferimenti diretti e indiretti che portano a Claudio Scajola, al suo fedelissimo, deputato Ignazio Abrignani, al presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci. C’è anche il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, e tantissimi altri esponenti del centrodestra nonché funzionari e dirigenti del ministero di via Arenula. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Il ministro Scajola e la casa con “vista Colosseo”.

“180 metri quadri a 600mila euro con vista sul Colosseo per qualsiasi romano che cerca casa o paga l’affitto è un qualcosa di surreale”. Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma dixit. Beh, buona giornata.

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Attualità Leggi e diritto

Il caso del Ministro Scajola e dell’ex ministro Lunardi: non è al Capo del Governo, né ai giornali che bisogna dichiararsi innocenti. Ma ai magistrati che indagano.

Scandalo Protezione civile, inchiesta G8. il profumo velenoso di Anemone avvolge i ministri Scajola e Lunardi-blitzquotiano.it

Dall’inchiesta sugli appalti del G8 in Sardegna i miasmi hanno ripreso a diffondersi, le spire del veleno hanno cominciato a sfiorare personaggi di primo livello, due ministri o ex di governi Berlusconi sono stati nominati, Claudio Scajola e Pietro Lunardi.

L’elemento di connessione è l’imprenditore Diego Anemone, intrinseco a molte delle grandi opere realizzate in nome e per conto della Protezione civile. Un nome di fiore, quello del costruttore, ma un fiore dal quale sembra emanare un profumo che avvelena tutto e porta nel fango se non in carcere funzionari pubblici (Angelo Balducci e la “cricca”), http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/inchiesta-g8-corruzione-anemone-toro-351414/#mce_temp_url# e ora ministri.

Anche se viene da chiedersi perché queste indiscrezioni escano proprio in questo momento, quando si delineano conflitti di competenze fra le diverse procure della Repubblica interessate all’inchiesta, resta ormai fuori discussione che la gestione dei cosiddetti grandi eventi affidata alla Protezione civile come si trattasse di una emergenza nazionale, fuori da ogni minima e a volte anche inutile procedura di controllo da parte di altre strutture dello Stato si è rivelata il terreno in cui sono cresciute le piante della corruzione e dell’illecito.

Le cronache di questi giorni ne danno la conferma e questo a prescindere dai singoli casi di individuale responsabilità. Quel che si sa viene dalla pubblica accusa e tutti sanno che spesso, una volta che si arrivi a un’aula di giustizia, le accuse non reggono più e i fatti formali possono prevalere sulla sostanza.

Ma la Protezione civile deve essere riformata, le procedure cambiate, la proterva arroganza del potere che ha portato a questo va quanto meno contenuta.
(Beh, buona giornata).

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democrazia Leggi e diritto

Berlusconi al ministro Scajola: “vedrai che tra una settimana si sgonfierà tutto, devi solo tenere duro finché non passa l’onda. Devi difenderti in maniera più dura, con il coltello tra i denti”.

Nuove accuse per Scajola, 4 testimoni lo incastrano. Berlusconi: “Tieni duro e vai avanti”-blitzquotidiano.it

Ci sono 4 testimoni e i passaggi di denaro su alcuni conti bancari a smentire il ministro Scajola e che dimostrano invece come lui conoscesse la provenienza degli 80 assegni “neri” che servirono a pagare oltre la metà del suo appartamento romano, in zona Colosseo. ieri il ministro ha anche ricevuto la solidarietà di Berlusconi. Dimissioni, neanche a parlarne. Il premier lo ha rassicurato: “Devi difenderti con il coltello tra i denti”.

Sulla compravendita dell’appartamento i testimoni concordano nel riferire che fu Scajola stesso a consegnare gli assegni, per un totale di 900mila euro, e che gli furono messi a disposizione proprio da Anemone, l’imprenditore finito in galera per la vicenda degli appalti legati ai Grandi Eventi. Anemone infatti ha ottenuto negli anni passati il Nos, il certificato di “nulla osta di segretezza” che gli ha consentito di aggiudicarsi lavori cosiddetti “sensibili”, vale a dire la ristrutturazione o la costruzione di edifici per il ministero dell’Interno, per quello della Giustizia comprese alcune carceri, e per i servizi segreti

Le testimonianze, da come risulta dagli atti dei pm di Perugia che conducono l’indagine, concordano nel riferire che il giorno del rogito fu proprio il ministro ad avere materialmente in mano quegli assegni. E che, nonostante fosse consapevole del reale valore dell’immobile (1 milione e 710mila euro), il ministro davanti al notaio dichiarò che il costo fosse di 600mila. Secondo l’accusa la mossa di Scajola ha due spiegazioni. Da una parte nascondere al Fisco la portata reale dell’operazione e dall’altra cancellare la traccia di altre due circostanze: la consegna di 200mila euro alle due venditrici dell’appartamento al momento dell’accordo preliminare, e il legame con l’architetto Angelo Zampolini, braccio destro di Anemone oggi indagato per riciclaggio, che gli aveva consegnato gli 80 assegni.

Il racconto che fanno le sorelle Barbara e Beatrice Papa, venditrici dell’appartamento, e Zampolini, dimostra che Scajola sapesse da dove provenivano i soldi, mentre finora il ministro ha dichiarato di aver comparto la casa per un valore di 600mila euro, accendendo un mutuo presso la banca San Paolo Imi. Nel 2004, dunque, il ministro decide di acquistare casa e coinvolge Diego Anemone, imprenditore vicino al ministero dell’Interno, guidato da Scajola fino a due anni prima. Anemone passa la faccenda all’architetto Zampolini che sottopone al ministro alcune proposte: la scelta cade sull’appartamento in viadel Fagutale 2, vista Colosseo. Costo: 1milione e 710 mila euro. Poco prima del rogito le due sorelle Papa ammettono di aver ricevuto dal ministro 200mila euro, senza alcun contratto preliminare. Zampolini davanti ai magistrati sostiene che i soldi fossero del ministro ma gli inquirenti ritengono che fosse la prima “tranche” con cui Anemone comprava casa a Scajola.

Ci sono poi i 900mila euro, cambiati in 80 assegni da Zampolini presso un’agenzia della Deutsche Bank. E’ Zampolini stesso, il 6 luglio di quel 2004, ad andare in banca. 80 assegni, non un numero a caso. Ognuno dell’importo di 12mila500 euro, ossia la soglia massima prima che scatti l’obbligo da parte della banca di avvertire il circuito interbancario e la Guardia di Finanza. Ma in banca, un impiegato zelante decide comunque di fare un controllo su quella “operazione sospetta di frazionamento”, come viene chiamata in gergo. Sarà l’inizio dell’inchiesta.

Ma torniamo al giorno del rogito. Si svolge negli uffici del ministro alla presenza del notaio Gianluca Napoleone, delle due sorelle Papa e di Scajola stesso. In questa occasione le Papa ricordano che il ministro consegna loro gli 80 assegni per un valore di 900mila euro. Ma davanti al notaio il prezzo dichiarato della vendita è di 600mila: il ministro infatti ha con sè altri assegni della banca San Paolo Imi presso la quale ha acceso un mutuo. Da questa ricostruzione il notaio avrebbe quindi autenticato una compravendita non corrispondente alla realtà, ma su queso punto Napoleoni si giustifica dicendo che il passaggio degli 80 assegni non è avvenuto davanti ai suoi occhi e che comunque le leggi del 2004 non impedivano una eventuale scrittura privata tra le parti per integrare il prezzo di vendita.

Il ministro ora si difende dalle accuse e riceve l’appoggio del premier Berlusconi che ha incontrato ieri a palazzo Grazioli. Dimissioni? Neanche a parlarne. “Claudio devi andare avanti – insiste Berlusconi – anche perché, se accettassi le tue dimissioni, ne uscirebbe indebolito il governo: daremmo un’immagine di sfaldamento proprio mentre siamo sotto l’attacco di Fini. Non se ne parla”. Berlusconi, stando al racconto dei presenti, prova quindi a tranquillizzarlo: “Se la prendono con te per attaccare me, lo sai. Ma vedrai che tra una settimana si sgonfierà tutto, devi solo tenere duro finché non passa l’onda. Devi difenderti in maniera più dura, con il coltello tra i denti”.

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