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Attualità

La Terza carica dello Stato è ignorante (peggio della Quarta).

In un convegno a Milano, Gianfranco Fini cita a sproposito Leonardo Sciascia. Se avesse letto davvero “Il giorno della civetta”, (magari avrebbe anche potuto vedere l’omonimo film) saprebbe che le categorie umane citate nel libro sono cinque: uomini, mezziuomini, ominicchi, ruffiani e quaquaraquà.

Ma tutto questo Fini non lo sa. Né il gostwriter che gli scrive i discorsi. I fascistelli attempati sono ignoranti (tanto da tessere le lodi alla contro-riforma Gelmini). Devono tutto a uno zotico che è diventato capo del Governo. E da lui dipendono, aggiungendo difetti a difetti.

Ai lettori scegliere a quale delle cinque categorie umane possano ambire a far parte la Terza e la Quarta carica dello Stato. Magari conicidono con la citazione autentica dal libro di Leonardo Sciascia.

Il disastro dell’Italia è chi lo governa.

Beh, buona giornata.

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democrazia Media e tecnologia Popoli e politiche

Il sogno di Berlusconi si avvera in Ungheria.

(fonte: repubblica.it)
La pagina bianca del Népszabadsàg ricorda la protesta di Repubblica contro i piani di legge-bavaglio del centrodestra italiano. «La libertà di stampa muore in Ungheria», è scritto sotto la testata, in tutte le lingue dell’ Unione europea. A Budapest un bavaglio che a Berlino ambienti governativi definiscono «in stile tra Putine la Bielorussia», è passato senza problemi. Insieme a tasse punitive e retroattive contro le grandi aziende straniere e a sgravi fiscali varati per conquistare consenso, nonostante Moody’ s abbia degradato il rating del paese a poco più del livello spazzatura. Gennaio 2011: per la prima volta da quando l’ Unione europea esiste, un paese il cui governo non solo predica, ma pone in atto politiche autoritarie e incompatibili con la Carta europea assume la presidenza semestrale della Ue stessa. Protestano i media in tutto il mondo, e tra i governi alza la voce quasi solo quello di Angela Merkel. Il premier nazionalconservatore magiaro, Viktor Orban, replica durissimo: «Non mi sogno nemmeno di cambiare la legge, né di inginocchiarmi, né di reagire ai commenti occidentali».

La libertà di stampa muore in Ungheria. Il monito scritto su quella prima pagina bianca, in tutte le lingue della “casa comune” chiamata Europa, suona come un grido disperato nel deserto. Con una maggioranza di due terzi del Parlamento, la Fidesz, il partito nazionalconservatore di Orban, può fare e disfare leggi a piacimento. Prepara anche una riscrittura della Costituzione. Zoltan Kovacs, sottosegretario per la government communication al ministero della Pubblica amministrazionee della Giustizia, vicinissimo al premier, si indigna quando qualcuno gli chiede se il governo pensa a una riforma costituzionale in senso più democratico o liberal. «Che cosa vuol dire democratico, o liberal? Noi vogliamo rendere la Costituzione meno socialista», risponde.

L’ ispirazione ideologica è chiara: nazionalismo, conservatorismo cattolico-tradizionalista, più potere all’ esecutivo, più controllo sulla Giustizia. La Corte costituzionale si è già vista sottrarre poteri significativi. «Adesso comunichiamo su Facebook col pubblico», ha spiegato l’ altro giorno Attila Mong. Era una star del gr del mattino, ha perso l’ incarico per aver protestato con un minuto di silenzio al microfono contro la legge sulla stampa. Legge che in qualsiasi altro paese della Ue è giudicata inaccettabile. Un Consiglio dei media, in mano agli uomini della Fidesz, controlla di fatto tv, radio, la principale agenzia di stampa e il primo portale Internet. E soprattutto, il Consiglio dei media ha il potere di punire ogni media, pubblico o privato, che giudichi colpevole di diffusione di notizie politicamente sbilanciate, con multe che nella fragile situazione economica del paese possono mandare più di un’ azienda editoriale in fallimento: dai 90mila euro a ogni “sgarro” per i media cartacei e online, fino a 750mila euro per radio e tv. Non è finita: i giornalisti sono obbligati a rivelare le fonti, «se è in gioco la sicurezza nazionale». Se e quando sia in gioco, lo decide il Consiglio stesso. Una radio privata è stata multata per un motivo del rapper Ice-T che «minaccia la morale dei giovani».

Berlino ha protestato con durezza. E in prima pagina su Die Welt, giornale vicinissimo ad Angela Merkel, un ex consigliere di Helmut Kohl, lo storico professor Michael Stuermer, ha ammonito contro il “Fuehrerstaat” guidato da Orban: un potere senza scrupoli, che a differenza dell’ Austria ai tempi del partito di Haider al governo non lancia slogan autoritari, li traduce in fatti. «Ecco quanto rapidamente una democrazia può distruggersi da sola, quasi come in un remake del film tragico degli autoritarismi antisemiti degli anni Trenta». Ieri hanno protestato i vertici di molte grandi aziende europee, Deutsche Telekom in testa: chiedono sanzioni Ue contro la politica fiscale di Budapest, definita demagogicamente ostile agli investitori stranieri.

Leggi-bavaglio, frusta contro i global player stranieri in nome di un facile anticapitalismo, flat tax per promettere un rilancio economico ignorandoi moniti degli economisti sulla fragilità dei conti pubblici, limiti alla magistratura. E in più ricordo costante con forti toni nazionalisti della “Tragedia del Trianon”, i territori perduti dall’ Ungheria sconfitta nella prima guerra mondiale perché parte dell’ Impero austriaco, e promessa di cittadinanza a slovacchi, romeni o serbi di origine magiara. Atti che inquietano i vicini: che clima graverebbe sull’ Europa se Angela Merkel ricordasse i territori perduti dalla Germania o promettesse passaporti e diritto di voto tedeschi in Alto Adige, in Boemia o in Slesia? Orban va avanti «senza scrupoli, mosso dall’ istinto del potere», accusa l’ ex consigliere di Kohl.
Bruxelles guarda e tace, anche davanti a quella pagina bianca. (Beh. buona giornata).

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democrazia

Quando parla il Capo dello Stato, il capo del Governo dovrebbe levarsi il cerone dalle orecchie.

“Resta prerogativa del capo dello Stato sancire l’impossibilità di completare la legislatura parlamentare e quindi sciogliere le Camere”. Giorgio Napolitano, Capo dello Stato, dixit. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Finanza - Economia Lavoro Popoli e politiche

Il governo Berlusconi è in crisi. Qui non si tratta della crisi di un governo, questa è la crisi di una intera collettività: “Se poi vogliamo guardare “come stanno le cose” oggi, dobbiamo constatare che siamo caduti più degli altri durante la crisi del 2009 e stiamo ora crescendo decisamente meno della Germania, di Francia e della Gran Bretagna.”

di ROMANO PRODI-Il Messaggero.

Per decidere cosa fare bisogna prima di tutto sapere “come stanno le cose”. Quest’affermazione è scontata, ma sono costretto a ripeterla perché oggi non mi sembra applicata né nelle scelte mondiali né in quelle nazionali. A livello mondiale il G.20 di Seoul si è tutto svolto nell’illusione che la crisi sia ormai sotto controllo e che siano sufficienti misure minori per riprendere senza radicali riforme il tradizionale cammino. Lo stesso errore di base impedisce l’analisi e quindi la cura dei nostri problemi nazionali.

Ci fa infatti comodo , ed è oggettivamente consolatorio, sostenere che ci stiamo comportando in modo simile a tutti e che soffriamo della stessa malattia degli altri grandi paesi della vecchia Europa.

Le cose purtroppo non stanno così. Le cose stanno diversamente sia quando analizziamo l’andamento di lungo periodo della nostra economia sia quando ne osserviamo i comportamenti a breve. Riflettendo sul lungo periodo, è passata ad esempio sotto silenzio un importante tabella, elaborata da El Pais su dati del Fondo Monetario Internazionale. Una tabella che mette in fila le percentuali di crescita dei 180 paesi più importanti del mondo (e cioè in pratica di tutti i paesi) negli ultimi dieci anni. Io stesso sono stato sorpreso nel leggere che l’Italia è addirittura penultima, precedendo solo Haiti. Nell’intero primo decennio del secolo la nostra intera economia è cresciuta solo del 2,43% cioè quasi nulla. Sfiguriamo anche a confronto degli altri grandi paesi della pigra Europa perché la Gran Bretagna ha progredito del 15% , la Francia del 12% e la Germania del 9%. Si tratta di progressi modesti anche da parte dei nostri confratelli europei se li paragoniamo al 170% della Cina, al 103% dell’India o al 45% della Turchia, ma nettamente superiori a quelli italiani.

Se poi vogliamo guardare “come stanno le cose” oggi, dobbiamo constatare che siamo caduti più degli altri durante la crisi del 2009 e stiamo ora crescendo decisamente meno della Germania, di Francia e della Gran Bretagna. Continuando in questo modo ci occorreranno altri cinque anni per ritornare al livello di reddito che l’Italia aveva nel periodo precedente la crisi. Ed è chiaro che, se gli altri paesi continueranno a camminare più in fretta di noi, il nostro distacco non può che aumentare.

Ecco “come stanno le cose”. Ben poco potremo consolarci per il fatto che siamo ancora un paese relativamente ricco. Negli ultimi dieci anni siamo infatti passati dal 24esimo al 28esimo posto della scala mondiale del reddito pro-capite e tutti sappiamo bene che, continuando in questa lenta discesa, non solo dovremo abbassare il nostro tenore di vita ma ancora di più lo dovranno abbassare i nostri figli. Vivere in un periodo di decadenza, o almeno di aspettative decrescenti, è quanto di peggio possa capitare a una comunità nazionale. E noi lo dobbiamo evitare a ogni costo, discutendo con serenità e con atteggiamento costruttivo sui semplici dati che ho appena esposto e cercando soluzioni che, nella situazione in cui siamo, debbono essere condivise, o almeno comprese, da tutte le componenti della società italiana.

Credo, ad es. che Marchionne abbia sollevato un problema vero sul futuro del nostro paese. Credo che abbia fatto qualche errore tattico ma credo anche che le sue analisi sul settore dell’automobile debbano essere allargate ad altri settori della nostra società, per obbligarci a un sereno dibattito sul futuro dell’intera nostra economia e, forse, dell’intera nostra organizzazione civile. Il Paese si è invece spaccato e si è schierato secondo vecchi schemi, impedendo in questo modo quel dibattito così necessario per il nostro futuro. Un dibattito che deve mettere sotto esame tutti i comportamenti incompatibili con i cambiamenti che avvengono nelle altre parti del mondo.

E’ infatti l’intera nostra società che rifiuta i comportamenti che, ci piacciano o no, caratterizzano ormai tutte le società avanzate del pianeta. Non si può infatti correre alla velocità degli altri quando l’evasione fiscale copre almeno un quarto della nostra economia e non da segni di calare. E nemmeno quando la scuola e la ricerca hanno un ruolo sempre più marginale nella società e nelle strutture produttive: E potremo continuare con la lista delle ragioni che spingono ogni anni decine di migliaia dei nostri migliori giovani ad emigrare per trovare le occasioni di lavoro che non sono reperibili in Italia. L’elenco potrebbe davvero continuare ma quest’elenco non serve a nulla se non ci si accorge che il cammino della decadenza è già cominciato e che questa caduta sarà sempre più accelerata se ci dedicheremo ancora a elencare primati che non abbiamo più o a sperare che i pochi primati che ancora possediamo si estendano per magia a tutta la nostra economia o a tutta la nostra società. Un processo di rinascita collettiva nasce sempre da un’analisi impietosa della realtà. Per fare cose nuove ci si deve prima rendere conto di “come stanno le cose.” (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

I danni collaterali del bunga-bunga: lo sconcerto determinato dall’apprendere che Silvio Berlusconi ha definito parente del presidente Hosni Mubarak la minorenne marocchina Ruby.

di Maurizio Caprara per il “Corriere della Sera”

La Repubblica araba d’Egitto, Stato da decenni in ottimi rapporti con l’Italia, ha tenuto finora confinato in canali riservati lo sconcerto determinato dall’apprendere che in maggio Silvio Berlusconi ha definito parente del presidente Hosni Mubarak la minorenne marocchina Ruby.

Il fastidio per l’accostamento tra il raìs e una ragazza di costumi assai diversi rispetto all’ideale islamico di donna, per di più al fine di ottenerne il rilascio dalla polizia mentre era in ballo un’accusa di furto, va però oltre i limiti delle vie appartate della diplomazia nelle quali si ricorre spesso alla discrezione.

«Mubarak va rispettato. È un uomo corretto e perbene. Per noi non è accettabile mettere in questa situazione il nostro capo dello Stato», diceva ieri al Corriere Adel Amer, il presidente dell’Associazione egiziani di Roma e del Lazio, una comunità di circa 15 mila persone. Dal suo Paese è già stato fatto presente che Ruby non è nipote del presidente. E questo è ciò che è noto.

In casi del genere (di davvero identici non ne esistono tantissimi, in verità) il minimo è che dallo Stato potenzialmente risentito parta, come passo diplomatico, una richiesta di spiegazioni e di smentite. Per iscritto. Oppure, con o senza una nota nero su bianco, attraverso la convocazione dell’ambasciatore dell’altro Stato in questione presso uno degli uffici della capitale ospitante. Non si esclude che il risentimento possa essere comunicato con reazioni più sonore, in telefonate o colloqui piuttosto ruvidi. Che nulla di tutto questo sia stato fino a ieri annunciato non significa tra il Cairo e Roma calma piatta.

Ad Al-Masry-Al-Youm, sito del quotidiano egiziano con lo stesso nome, Amer ha anticipato che intende citare in giudizio per diffamazione il presidente del Consiglio italiano, che si rivolgerà per lettera a Giorgio Napolitano e che pensa di dover organizzare una protesta per il comportamento del capo del governo. Quanto ha fatto Berlusconi non è stato compiuto da nessuno al mondo, ha dichiarato il presidente degli egiziani di Roma e del Lazio al corrispondente di Al-Masry-Al-Youm dall’Italia, Mohamed Yossef Ismail.

Ottantadue anni, capo dello Stato da 29, ex pilota, uomo di polso che prese la guida dell’Egitto dopo che fondamentalisti islamici assassinarono il suo predecessore Anwar al-Sadat, Mubarak è un personaggio con il quale i governi italiani di vario colore hanno avuto sempre relazioni strette.

Fu per non danneggiare lui che Bettino Craxi, nel 1985, si rifiutò di consegnare agli Usa il capo del Fronte per la liberazione della Palestina Abu Abbas e i dirottatori dell’«Achille Lauro», i quali avevano ucciso l’invalido di religione ebraica Leon Klinghoffer. Per favorire un ritorno della nave senza stragi, il presidente egiziano aveva avuto un ruolo di mediatore. Craxi, allora presidente del Consiglio, preferì uno screzio con la Casa Bianca di Ronald Reagan a uno smacco per Mubarak.

Considerato un nemico dai Fratelli musulmani e anche dal terrorismo integralista musulmano, il presidente egiziano è stato presentato come «un giovanotto» da Berlusconi quando entrambi sono comparsi davanti ai giornalisti a Villa Madama, il 19 maggio scorso, in occasione della più recente tra le numerose visite di Mubarak a Roma. Tanta cordialità e tanta cortesia non erano né casuali né improvvise.

Secondo diplomatici dalla memoria lunga, il raìs del Cairo fu determinante nell’evitare che l’indignazione araba diventasse valanga e trasformasse in uno scontro tra Stati l’incidente causato da Berlusconi nel 2001 attribuendo alla civiltà occidentale una «superiorità» sull’Islam.

Anche con Romano Prodi e i suoi predecessori Mubarak ha avuto ottimi rapporti, ma con l’attuale presidente del Consiglio la cordialità è stata, almeno fino a una settimana fa, maggiore. Il caso di Ruby, comunque, è delicato non soltanto per le ragioni più evidenti.

Anche perché sui nipoti Mubarak ha motivi per non aver voglia di sentire scherzi altrui. Il 19 maggio 2009, in un ospedale di Parigi, il presidente perse il suo nipote più grande, Muhammad, stroncato a 12 anni da una malattia. Dal Cairo, in segno di lutto, la tv di Stato trasmise brani di musica sacra.

Nel mondo, l’Italia è per l’Egitto il secondo partner economico. Nell’Unione Europea, il primo. Per le esportazioni egiziane, costituiamo il secondo mercato di sbocco. Il prossimo vertice bilaterale tra i due governi è previsto per il 2011. Non mancherà il tempo per cercare rattoppi e compensazioni. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Media e tecnologia Popoli e politiche Società e costume

Riusciranno i nostri eroi a ritrovare la politica misteriosamente scomparsa in Italia?

In omaggio alla Festa del Cinema di Roma, e soprattutto in omaggio e solidarietà piena alla protesta sul “red carpet”delle maestranze del cinema italiano contro i tagli alla Cultura, questo articolo titola con la citazione di un famoso film di Ettore Scola:”Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?”

In un’epoca in cui si celebrano le gesta del Cavaliere, tanto simpatico e spiritoso da intrattenerci con le sue vecchie e triviali barzellette dal calor razzista, dal sapor sessista, dalla banalità omofoba, e forse dalla demenza senile a proposito di tribù africane che sodomizzano i malcapitati col rito del bunga-bunga, codesta citazione filmica ci sembra, ahinoi!, pertinente.

Tanto più che secondo Emilio Fede, – che con l’impresario Lele Mora è uno dei protagonisti dei fatti giudiziari relativi alla minorenne marocchina, un’ inchiesta penale che potremmo intitolare “l’inchiesta bunga-bunga”- l’ interpretazione autentica della barzelletta del Cavaliere sarebbe che è proprio Sandro Bondi, Ministro della cultura, il bersaglio della protesta dei cineasti italiani, uno dei personaggi della storiella in questione, assieme a Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl. Insomma, dopo Gianni e Pinotto, i fratelli De Rege, Stanlio e Ollio , Ric e Gian, (Lele Mora&Fabrizio Corona) abbiamo un’altra coppia comica: Bunga&Bunga.

Il film di Scola ha un finale commovente: la tribù africana insegue fino alla spiaggia lo stregone fuggiasco (Nino Manfredi che, nella parte di Titino, altro non era che un ciarlatano che si faceva credere un potente sciamano), e intona verso la nave che avrebbe riportato Titino in Italia una litania ritmica, che alle orecchie di Titino sembrava suonare: “Titì non ce lascià”. Titino non resisterà allo strazio, e tuffandosi ritornerà a nuoto dalla tribù, unica, vera e genuina sponda affettiva.

Nell’Italia odierna, Silvio Berlusconi, il potente sciamano della politica, della finanza, della tv, della monnezza, del potere è incappato di nuovo in uno scandalo sessuale. Una metafora dell’impotenza affettiva.

Per la gioia della signora Veronica Lario, che dopo l’ennesima rottura delle trattative per raggiungere soddisfacenti accordi economici per il divorzio, conquista una nuova freccia al suo arco.

Per la disperazione della democrazia di un Paese che non sa più se ridere o piangere delle gesta del Cavaliere. E allora, dovremmo tutti insieme intonare una litania propiziatoria, per liberarci di questa noiosa ordalia: “ Cavaliè, te ne vuoi andà”. Gli italiani, grati, ringrazierebbero. Beh, buona giornata,

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Attualità democrazia Leggi e diritto

Ave Cesare.

Eolico: P3, il gruppo occulto avrebbe agito su mandato di Formigoni (di Marco Maffettone-Agenzia Ansa)

Tra di loro, il gruppo che faceva capo a Flavio Carboni, il premier Silvio Berlusconi lo chiamavano ‘Cesare’. Come emerge da una telefonata intercettata tra l’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino e il giudice tributario Pasquale Lombardi nella quale quest’ultimo sostiene che ”Cesare e’ contento” per cio’ che il gruppo sta facendo proposito del Lodo Alfano.

“Cesare è lo pseudonimo utilizzato dai soggetti per riferirsi al presidente del Consiglio”, affermano i carabinieri del nucleo investigativo di Roma nell’informativa inviata ai pm della Procura capitolina nell’ambito delle indagini sulla cosiddetta P3. I militari dell’Arma si riferiscono proprio all’intercettazione telefonica del 2 ottobre 2009 nella quale Lombardi dice a Cosentino che “lui è rimasto contento per quello che gli stiamo facendo per il 6″, ovvero il giorno dell’udienza della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano: un esplicito riferimento, per i militari, all’attivita’ esercitata dal gruppo del quale fa parte anche l’uomo d’affari Flavio Carboni, per condizionare i giudici della Consulta sul provvedimento del Guardasigilli, poi bocciato dagli stessi giudici della Corte Costituzionale il 7 ottobre scorso.

Nessun elemento, nelle carte degli investigatori, permette di capire se il premier sapesse qualcosa o se si tratti di millanterie. Nel corso della telefonata Lombardi fa riferimento anche alla vicenda del cosiddetto complotto contro Stefano Caldoro, attuale governatore campano, sottolineando che se ”lui e’ rimasto contento” allora ”lui ci deve dare qualche cosa e ci deve dare te e non adda scassa’ o cazz”. ”Appare evidente -osservano i carabinieri- che con queste parole il Lombardi vorrebbe far intendere al Cosentino che la sua candidatura a presidente della Regione Campania è stata da loro richiesta nel corso della riunione quale contropartita per l’operazione Lodo Alfano”. Nei documenti redatti dai carabinieri si fa riferimento, inoltre, al governatore della Regione Lombardia, Roberto Formigoni. In base a quanto si legge nelle carte

Formigoni diede mandato al gruppo di chiedere esplicitamente al presidente della Corte di Appello di Milano, Alfonso Marra, di “porre in essere un intervento nell’ambito della nota vicenda dell’esclusione della lista riconducibile al governatore dalle elezioni regionali 2010”.

Parlando dell’attività svolta dall’associazione, i militari dell’Arma definiscono emblematica la “vicenda che ha visto protagonista il neo presidente della corte di appello di Milano”. “Non appena Marra – proseguono i carabinieri – ha ottenuto, dopo un’intensa attività di pressione esercitata dal gruppo (ed in particolare da Pasquale Lombardi) sui membri del Csm, l’ambita carica, i componenti dell’associazione gli chiedono esplicitamente, peraltro dietro mandato del presidente Formigoni, di porre in essere un intervento nell’ambito della nota vicenda dell’esclusione della lista ‘Per la Lombardia'”.

Nelle carte dell’inchiesta si fa espresso riferimento, inoltre, al ruolo svolto dal sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, dal capo degli ispettori di via Arenula, Arcibaldo Miller, e Antonio Martone, presidente della commissione per la Valutazione, la trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche. ”Altri personaggi vicini al gruppo – si legge nell’informativa – che prendono parte alle riunioni nel corso delle quali vengono impostate le principali operazioni o che paiono fornire il proprio contributo alle attività d’interferenza, sono individuabili nei giudici Miller Arcibaldo, Martone Antonio e nel sottosegretario alla giustizia Caliendo Giacomo”.

Al momento la posizione dei tre è al vaglio dei pm della Procura di Roma. E’ prevista, infine, domani l’udienza del tribunale del Riesame che dovra’ decidere sull’arresto di Carboni. Mentre sabato il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci vera’ ascoltato dai magistrati romani nell’ambito dell’inchiesta madre, ovvero gli appalti sull’eolico nell’isola, che vede il governatore indagato per abuso d’ufficio e concorso in corruzione. (Beh, buona giornata).

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Berlusconi e Letta, Pier Ferdinando Casini, il cardinale Tarcisio Bertone segretario di Stato, Cesare Geronzi e Mario Draghi: tutti a cena da Vespa per salvare il Governo.

Berlusconi a casa Vespa con Bertone presente chiede aiuto a Casini per tamponare l’emorragia finiana
Bruno Vespa con l’occasione di festeggiare i suoi 50 anni di giornalismo giovedì 8 luglio ha organizzato una cena a casa sua che come spesso accade quando c’è di mezzo lui, si è trasformata in qualcosa di più. Tra gli invitati c’erano Berlusconi e Letta, Pier Ferdinando Casini, il cardinale Tarcisio Bertone segretario di Stato, Cesare Geronzi e Mario Draghi.-blitzquotidiano.it

Cosa ci facevano insieme il primo collaboratore del Papa, il governatore della Banca d’Italia e il presidente di Generali? Assistevano all’ultimo tentativo del Cavaliere di evitare lo sfarinamento della sua maggioranza, iniettando forze fresche – quelle dei centristi di Pier Ferdinando Casini – in un momento di grande difficoltà.

Il premier appare da subito deciso a tentare l’affondo finale. Anche la cornice – da Bertone, rappresentante del Vaticano a Geronzi, custode del nuovo assetto finanziario italiano – sembra creata apposta per accerchiare Casini, pronto a mettere tutto sul piatto pur di imbarcare “Pier Ferdinando” e lasciare a terra quel “traditore” di Fini. La presenza del segretario di Stato vaticano, agli occhi del premier, dovrebbe rendere più “ragionevole” il cattolico Casini.

Una convinzione tratta dai contatti con i vertici d’Oltretevere, per i quali Letta aveva ricevuto un incarico preciso. Così, dopo un vago richiamo alle “comuni radici del Ppe”, il Cavaliere aggiunge: “Pier, noi apparteniamo alla stessa famiglia, i nostri elettori sono gli stessi. Cosa ci fai in quella compagnia di giro? Il tuo posto è alla guida del paese accanto a me. Se solo volessi potresti fare il vicepresidente del Consiglio, saresti il numero due del governo. Sceglieresti tu il successore di Scajola e magari potreste avere anche la Farnesina”.

Il premier ha assoluto bisogno di tamponare l’emorragia finiana: di cedere alle richieste del presidente della Camera non lo prende nemmeno in considerazione. Anzi, sta provando a sfilare a Fini tutti gli interlocutori dell’ex leader di An, compreso Francesco Rutelli.

“Fini ti ha già fregato una volta – ricorda Berlusconi a Casini – ha detto che rompeva con me e poi è corso a fare il Pdl lasciandoti da solo. Se tornassi con noi nessuno potrebbe dirti niente”. Ma il leader dell’Udc, nonostante molti dei suoi non aspettino altro, anche stavolta delude il suo interlocutore. E non è solo la volontà di non farsi utilizzare contro Fini, prestandosi all’accusa di trasformismo parlamentare. Casini i suoi 39 deputati sarebbe anche disposto a concederli, ma solo in cambio di un “forte segnale di discontinuità” rispetto all’attuale maggioranza. Un “cambio di passo” che non potrebbe che essere marcato da una “crisi di governo” e dalle conseguenti dimissioni del premier.

“Non posso semplicemente aggiungermi a voi – spiega dunque al Cavaliere – perché vorrebbe dire rinnegare tutto quello che abbiamo detto e fatto finora. Non si può cambiare la base parlamentare del governo senza tornare al Quirinale e noi non facciamo la ruota di scorta, mi dispiace”.

Altra cosa sarebbe se si presentasse un nuovo governo: “Silvio, a guidarlo saresti sempre tu, ma sarebbe una nuova maggioranza per un nuovo programma. Riforme difficili, anche impopolari, da fare insieme per uscire dalla crisi. In questo caso potremmo anche valutare l’ipotesi”. Bertone ascolta in silenzio e non si intromette.

Berlusconi appare teso, protesta. “Io non posso aprire una crisi al buio, come puoi chiedermi questo? Dovrei ammettere che abbiamo fallito e invece stiamo facendo e abbiamo fatto tanto”.

Nella cena casa Vespa, Berlusconi non fa cenno a quello che realmente lo agita. Poi, riferendo della serata a più di un ministro il premier confessa: “Se si apre una crisi di governo la palla passa al Quirinale. Come faccio a fidarmi?”. Lo spettro che lo scuote è la possibilità di un ritorno ad un governo istituzionale come fu quello di Dini nel 1995 o quelli del ‘92 del dopo Tangentopoli.
(Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Leggi e diritto

Sette anni in Appello al senatore Dell’Utri, condannato in secondo grado per per concorso esterno in associazione mafiosa: “Cercherò il procuratore Gatto e gli farò le condoglianze”.

“È una sentenza pilatesca sapevo che non sarei stato assolto”.

“Hanno dato un contentino alla procura palermitana e una grossa soddisfazione all’imputato, perché hanno escluso tutto ciò che riguarda le ipotesi dal 1992 in poi”.

“Aspetto la Cassazione con animo fiducioso, spero di trovare un giudice che dica: che avete fatto fino a ora?”.

“15 anni di tempo perso e sofferenza data alle persone”.

“Cercherò il procuratore Gatto e gli farò le condoglianze”.

Queste le parole del senatore Dell’Utri, durante la conferenza stampa tenuta a Milano, dopo la condanna in Appello a sette anni per per concorso esterno in associazione mafiosa. Per la cronaca, il senatore Dell’Utri è uno degli uomini più vicini al presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi. Beh, buona giornata.

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Attualità

A Veronica Lario 300mila euro mensili. E ai figli nati dal secondo matrimonio di Berlusconi?

A Veronica Lario un assegno mensile di 300 mila euro – meno di 4 milioni l’anno – e l’usufrutto a vita di villa Belvedere, a Macherio. Sarebbe questo l'”accordo di massima” raggiunto sabato scorso, in vista della separazione consensuale, dopo cinque ore di udienza in Tribunale a Milano, tra Silvio Berlusconi e la moglie, il cui vero nome è Miriam Raffaella Bartolini. Beh, buona giornata.

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democrazia

Questo bisogna leggerlo due volte. Perché è quello ci aspetta.

L’ultima sfida del Cavaliere al Quirinale, di EUGENIO SCALFARI-la Repubblica

OGGI bisognerebbe parlare delle famose riforme. Ne parlano tutti: la Lega che vuole il federalismo compiuto e si acconcia a farlo marciare insieme al presidenzialismo e alla “grande grande” riforma della giustizia per tenere agganciato Berlusconi; l’opposizione che si dichiara disponibile a leggere le carte del centrodestra per giudicarle nel merito ma intanto pone come pregiudiziale provvedimenti economici a sostegno dei consumi e dei redditi più bassi; il ministro dell’Economia che preannuncia entro tre anni la “madre delle riforme”, quella del fisco “dalle persone alle cose”; il presidente del Consiglio che, tra tutte, rilancia il presidenzialismo nelle sue varie versioni possibili e in particolare quella francese ma senza modificare la legge elettorale vigente in Italia. Infine ne ha parlato Giorgio Napolitano in varie recenti occasioni, l’ultima delle quali venerdì scorso da Verona.

Che cosa ha detto Napolitano? Ha detto che è necessario modernizzare lo Stato, che il federalismo è la prospettiva concreta per iniziare questo percorso, che esso deve essere concepito come uno strumento di autonomia delle istituzioni locali e deve servire a rafforzare l’unità del paese e la perequazione tra le sue aree territoriali. Di fronte a questo compito, di per sé immane, la riforma della “governance” del paese passa in seconda linea (così ha detto Napolitano) nell’ordine delle priorità perché rischia di introdurre nuovi elementi di divisione e di confusione.

In questi stessi giorni il presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere la legge sui contratti di lavoro da lui considerata inadeguata e per certi aspetti di dubbia costituzionalità; ha invece promulgato quella sul legittimo impedimento nonostante i rilievi di presunte incostituzionalità formulati da tutta l’opposizione, da molti giuristi e dalla magistratura associata.
Insomma una miriade di tesi, ipotesi, convergenze, divergenze tra gli opposti schieramenti e all’interno dei medesimi; una crescente confusione di lingue e di interessi che alimenta l’indifferenza ostile dei cittadini e la loro separazione dalla politica e dalle istituzioni.

Emerge comunque la volontà berlusconiana di dare una spallata definitiva alla Costituzione repubblicana sostituendola con un regime autoritario, un Parlamento di “cloni” plebiscitati, un potere giudiziario frantumato e subordinato all’esecutivo. Questo sbocco era inevitabile, è stato covato negli scorsi dieci anni ed ora da quelle uova non usciranno teneri pulcini ma serpenti a sonagli.
In uno degli angoli del ring c’è Silvio Berlusconi, nell’altro, almeno per il momento, nessuno, o meglio un capannello di persone niente affatto concordi tra loro dalle quali sembra difficile estrarre un valido “competitor”.

Giorgio Napolitano dovrebbe arbitrare la partita dalla quale potrebbe uscire una Repubblica ammodernata ma fedele ai principi dello Stato di diritto e della libertà, oppure un autoritarismo plebiscitario. L’arbitro potrà compiere il suo ufficio in assenza di uno dei due “competitors”? Oppure finirà, contro le sue intenzioni, col prender lui il posto nell’altro angolo del ring? E quale sarà in tal caso il finale di partita?

* * *

Il sipario si apre su tre scenari. Il primo si svolge il 1° aprile al Quirinale. Colloquio Napolitano-Berlusconi, presente Letta. Comincia distesamente ma si conclude nel gelo più assoluto. Il premier mette sotto accusa lo staff giuridico di Napolitano il quale gli risponde che si tratta di “validissimi servitori dello Stato” che collaborano con lui per valutare la conformità delle leggi con la Costituzione. Il premier rinnova le critiche, Napolitano ritiene concluso l’incontro e lo congeda. Poche ore dopo arriva da Palazzo Chigi una telefonata del premier che si scusa delle parole “sopra le righe” che attribuisce al nervosismo e allo stress della campagna elettorale da poco conclusa. “Non si ripeterà mai più” promette. “Ha la mia parola”.

La seconda scena viene recitata a Parigi. Accanto ad un Sarkozy alquanto stupito da quel che sente in traduzione nel suo auricolare, il premier italiano annuncia “la riforma delle riforme”: proporrà agli italiani il semipresidenzialismo alla francese, ma con una variante non da poco, la legge elettorale resterà quella attuale con i parlamentari indicati dagli apparati dei partiti e voterà il giorno stesso in cui si vota per il capo dello Stato con suffragio popolare diretto.

Quello stesso giorno, 9 aprile, prima di partire per Parigi Berlusconi aveva chiamato il Quirinale per ringraziare Napolitano d’aver promulgato la legge sul legittimo impedimento; gli aveva preannunciato che la stagione della riforme era finalmente arrivata. Tra queste ci sarebbe anche stata la proposta del semipresidenzialismo da lui “ripescata soltanto per fare un favore a Fini”.

Ma parlando poche ore dopo da Parigi si era visto che non si trattava affatto di un ripescaggio (dal quale peraltro Fini si era immediatamente e clamorosamente smarcato) bensì di un obiettivo a lungo coltivato e gettato sul tavolo subito dopo le Regionali per farlo accettare dalla Lega in cambio del federalismo. B. B., Berlusconi e Bossi. Due alleati o due compari? Presidenzialismo e federalismo regionale. Tasse da ridurre nelle aliquote dell’Irpef e nello spostamento “dalle persone alle cose”.
Che vuol dire? Le cose sono gli immobili, gli oggetti, i beni e i servizi acquistati, cioè i consumi. L’elemento della progressività scompare nelle tasse sui consumi.
Comunque per ora non si entra nei dettagli, ci penserà Tremonti tra tre anni sempre che, tra tre anni, la crisi sia terminata o non invece tuttora in pieno svolgimento dal punto di vista dell’occupazione e del reddito, come molti osservatori qualificati prevedono. Quel che è certo, Tremonti dovrà rientrare di almeno mezzo punto di deficit nel 2011 e di tre quarti di punto nel 2012, vale a dire rispettivamente di 8 e di 12 miliardi. Come antipasto all’abbattimento delle imposte non sembra affatto appetitoso.

* * *

La terza scena va in onda ieri dal convegno confindustriale di Parma. A mezzogiorno e mezza Berlusconi comincia l’arringa, diretta ad una platea di industriali piccoli, medi, grandi. Marcegaglia in prima fila col suo discorso in tasca che sarà pronunciato subito dopo quello del premier.
Il quale comincia come al solito: la crisi è finita o quasi, il declino non c’è stato e non ci sarà, l’economia italiana è competitiva più di tutte le altre in Europa, la società è coesa, le esportazioni vanno bene e andranno sempre meglio se sapranno dirigersi verso la Cina, l’India, la Russia. Le tasse ovviamente saranno abbassate e gli ammortizzatori sociali sono operanti e sufficienti.

Tremonti è al timone e fa benissimo. Il programma del Pdl e quello della Confindustria sono assolutamente identici “perciò qui sono a casa mia”.
Segue la consueta illustrazione dei meriti acquisiti dal governo: l’Ici abolita, l’Alitalia salvata, i rifiuti di Napoli risolti, il terremoto dell’Aquila eccetera. Ma…
Ma da un certo momento in poi l’oratore passa bruscamente dal regno dell’amore a quello dell’odio. Chi l’ha visto a Parma ne descrive il volto di nuovo contratto sotto il cerone e i capelli dipinti sulla fronte. Nei telegiornali non ce n’è traccia perché quei passaggi sono stati “silenziati”.

Nelle agenzie addirittura omessi.
Perciò ricorriamo al testo letterale, talvolta la pura cronaca si commenta da sola.
“Il governo italiano non è in grado di governare nel quadro del sistema vigente. Non può paragonarsi a nessun altro governo europeo da questo punto di vista. L’esecutivo non ha alcun potere; i disegni di legge vanno in esame alle Commissioni della Camera, poi in aula, poi al Senato.
“Nessuno dei due rami del Parlamento accetta di approvare lo stesso identico testo approvato dall’altro; lo deve dunque modificare a sua volta. Finalmente, una volta approvato dal Parlamento, quel testo, che non corrisponde più a quello inizialmente preparato dal governo, viene comunque rallentato dalle burocrazie nazionali e regionali. Senza dire, come antefatto, che il testo viene preliminarmente sottoposto al presidente della Repubblica e al suo staff che ne controlla addirittura gli aggettivi”.

Segue un attacco in grande stile – non nuovo e perciò ancor più grave perché ripetuto in ogni occasione e perfino il giorno prima da Parigi per il sollazzo dei francesi – contro la Corte costituzionale, colpevole perché “essendo di sinistra e quindi politicizzata, annulla tutte le leggi e le sentenze che non piacciono ai pubblici ministeri, anch’essi politicizzati”.
Siamo in pieno Caimano. Gli industriali vorrebbero che si parlasse dei loro problemi, la Marcegaglia lo dirà subito dopo a muso duro. Vorrebbero almeno un fondo di due miliardi e mezzo per tenere il mare agitato del 2010.

Ma a sentirlo attaccare la sua burocrazia, la sua Camera e il suo Senato, dove domina con maggioranze bulgare, comunque lo applaudono. Attacca i suoi perché li disprezza. Anche la platea di Parma li disprezza ed è divertita e soddisfatta dallo spettacolo vagamente schizofrenico. La doppia o tripla o quadrupla personalità del premier piace a quella platea.
Ho visto venerdì sera in Sky tivù un vecchio film di Dino Risi con Tognazzi e Gassman protagonisti. Uno fa il giudice istruttore e l’altro un imprenditore cialtrone e corruttore. Fu prodotto nel 1980, sembra scritto oggi sulla misura di Berlusconi.

* * *

Quelle frasi di Parma, nonostante il silenzio delle agenzie e dei telegiornali ufficiali, arrivano naturalmente alle orecchie del Quirinale. Si racconta che il Presidente ne sia rimasto stupefatto e indignato. Si è fatto chiamare al telefono Gianni Letta e gli ha chiesto conto di quanto aveva appena udito.
Pare che la risposta di Letta sia stata: “Non sapevo nulla. Ho udito anch’io. Le faccio le mie personali scuse”.
E pare che la risposta del Presidente sia stata: “Le sue scuse personali non risolvono la questione. Se non si trattasse del presidente del Consiglio ma di una qualunque altra persona dovrei dire che siamo in presenza di un bugiardo che dice una cosa al mattino e fa l’opposto la sera oppure d’una persona dissociata e afflitta da disturbi schizoidi”.

Ho scritto “pare” perché trattandosi di un colloquio telefonico tra due soggetti eminenti, le parole sopra riferite non possono che venire da amici intimi dell’uno o dell’altro. Perciò bisogna scrivere “pare” anche se si ha certezza che il colloquio sia stato nella sostanza di questo tenore.
È inutile soggiungere che un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che sente di doversi scusare a titolo personale per quanto detto poco prima dal suo premier, dovrebbe avere un soprassalto morale e dimettersi dall’incarico. Ma è altrettanto inutile aspettarsi da Letta un atto del genere e se gli chiederete perché vi risponderà che resta dove è per cercare di limitare i danni.
L’ipocrisia è il vero sentimento che governa il mondo.

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Io credo – l’avevo già scritto domenica scorsa ma “repetita iuvant” – che i nodi sono arrivati al pettine e il tempo da qui allo “showdown” si sia raccorciato. Prima ci saranno i decreti attuativi della legge sul federalismo e la “grande grande” riforma della giustizia, intercettazioni comprese.
La squadra “occhiuta” del Quirinale “che controlla anche gli aggettivi” farà i suoi rilievi ma nei punti che interessano la Costituzione i rilievi non ci sono per definizione: dopo la doppia lettura in Parlamento la legge approvata a maggioranza semplice va al referendum confermativo se è impugnata da un quinto dei parlamentari.

Il secondo round ci sarà con la presentazione della legge sul presidenzialismo alla francese ma con la legge elettorale “porcellum” preparata a suo tempo da Calderoli.
Ed anche qui il referendum, se richiesto da un quinto del Parlamento.
E tuttavia queste riforme, a differenza di tutte le altre fin qui discusse, non sono semplici modifiche realizzate nei limiti dell’articolo 138 della Costituzione.
Queste riforme cambiano il volto della Repubblica perché distruggono lo Stato di diritto, alterano l’equilibrio dei poteri e la loro reciproca autonomia, ne subordinano uno o due al terzo prevalente. Devastano la giurisdizione, la legislazione, i poteri di controllo.

Mettono al vertice dello Stato un personaggio eletto da un plebiscito. Per cinque anni rinnovabili fino a dieci.
Questo scontro si concluderà nel 2011, ma comincerà tra meno di un mese. L’opposizione è divisa perché c’è ancora chi spera di prendere qualche voto in più tra tre anni attaccando fin d’ora Napolitano. “Deus dementet qui vult pervere”.
Credo di sapere che Napolitano deve e vuole restare al di sopra delle parti perché quel capitale sarà il solo a poter far inclinare il piatto della bilancia dalla parte giusta e non da quella terribilmente sbagliata.

Credo di sapere, anzi di prevedere, che contro le sue intenzioni, sul ring a contrastare un vero e proprio “golpe bianco” ci sarà lui. Non in veste di giocatore ma in veste di arbitro di fronte a chi contesta gli arbitri, i soli che possano richiamarlo a rispettare le regole del gioco.
Credo di sapere e di prevedere che sarà una durissima battaglia per la democrazia italiana. (beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia Lavoro Leggi e diritto

Il Governo e Confindustria: il gattone gioca con la volpina.

Marcegaglia: «Caro Silvio, le parole non bastano più»-ilsecoloXIX.it
«Impegni precisi, tempi certi». Gli industriali non vogliono «promesse generiche». Emma Marcegaglia incalza il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che l’ascolta in prima fila al forum di Confindustria a Parma. «Anche su questo ti chiedo un impegno», ripete scandendo i sei punti di «una road map precisa», una «agenda vincolante»: per Berlusconi, che «ha vinto in modo chiaro le regionali», e per un governo che ha di fronte tre anni senza elezioni, la sfida su riforme invocate da tempo è «l’ultima, senza appello». Per il fisco «non si possono aspettare tre anni». E serve subito una forte spinta alla crescita: mettere in campo 2,5 miliardi puntando su ricerca-innovazione e infrastrutture. Su questa proposta Emma Marcegaglia vuole risposte presto, entro due mesi: «Sarebbe bello se alla nostra assemblea di maggio tu venissi per dire: sì, ho stanziato questi soldi», dice al premier.

Mentre entro l’anno Confindustria vuole risposte su «una sfida»: generare 50 miliardi di ricchezza e 700mila posti di lavoro spingendo la crescita del 2% l’anno in tre anni. La strada per farlo è «un piano serio per tagliare la spesa pubblica improduttiva dell’1% del Pil l’anno per tre anni»: per Emma Marcegaglia è necessario per reperire risorse, anche per tagliare le tasse, ed è giusto perché con, la crisi, «cittadini e imprese hanno stretto la cinghia» e, sottolinea, «se lo stato chiede solo a noi, e non lo fa, non è tollerabile». Nei sei punti c’è il fisco: «Abbassare le tasse su chi tiene in piedi il Paese, cittadini e imprese», per le aziende a partire dall’Irap. Con un no netto a eventuali manovre correttive. Serve poi un federalismo fiscale efficiente: «C’è chi teme che la Lega voglia fare troppo, noi ti chiediamo che la Lega e il governo facciano sul serio», dice Emma Marcegaglia al premier, per poi strigliare i neo-governatori di Lazio e Calabria che trattano il rinvio del rientro del deficit per la Sanità: «Così non facciamo quello che dobbiamo fare». Nell’agenda ci sono anche le infrastrutture: Emma Marcegaglia chiede «una operazione verità»: il governo ha annunciato risorse per miliardi, allora «vediamo quali sono i soldi spendibili, spendiamoli».

L’associazione dei costruttori «dice che per le opere immediatamente cantierabili sono stati spesi solo 20 milioni». E le Regioni deve attuare il piano casa. Sotto accusa la burocrazia, bisogna semplificare la macchina dello Stato, un «cancro enorme». Mentre sul fronte del’energia bisogna andare avanti con il nucleare, coordinarsi con le regioni sui siti ma poi prendere decisioni. A Silvio Berlusconi la presidente di Confindustria chiede anche che la politica italiana faccia sentire la sua voce in Europa, che orienti gli altri Paesi. Come per il confronto sui nuovi requisiti patrimoniali per le banche: se Basilea Tre sara´ una stretta rischiamo di affondare. Quindi la concorrenza, le liberalizzazioni: «sentir parlare da parte di professionisti di tariffe minime non ha senso. Allora ci mettiamo anche noi tutti in fila, io voglio una tariffa minima per i tubi, io voglio questo, tu vuoi quello… non è possibile».

Berlusconi ascolta. Se poi c’è stato un confronto con Emma Marcegaglia è stato a quattr’occhi, a margine del pranzo ristretto, dove al tavolo c’erano anche altri industriali ed il ministro Maurizio Sacconi. Poco prima la leader degli industriali aveva chiuso due giorni di confronto a Parma sempre rivolgendosi a Berlusconi: «Dovete dimostrare che siete davvero quel governo della cultura del fare per cui tanti italiani vi hanno dato fiducia. È arrivato il momento». (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Polverini, Berlusconi e lo ius primae noctis.

«Sai che ho lo ius primae noctis sulle nostre candidate. È scritto nello statuto del Pdl». Il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, scherza con Renata Polverini, candidata del centrodestra alla guida della Regione Lazio, nel comizio di chiusura della campagna elettorale del Pdl. Contenta lei ?! Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia

Grave attacco di gelosia. Emilio Fede ricoverato in ospedale.

Dopo “l’editoriale” di Augusto Minzolini, direttore del TG Uno, andato in onda ieri alle 20, il direttore del Tg4 Emilio Fede è stato ricoverato ieri sera all’ospedale San Raffaele per un leggero malore. Il giornalista si sarebbe già ripreso. Fede è ricoverato al settimo piano, nella stessa stanza che ha ospitato Silvio Berlusconi durante la degenza in seguito al ferimento per il lancio di una statuetta dopo un comizio in piazza del Duomo, si è già ripreso.

Al San Raffaele oggi è stata organizzata una festa per i 90 anni del fondatore, don Luigi Verzè. Alla festa partecipa anche il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che, al termine, non è escluso vada a far visita ad Emilio Fede. Così fanno pace. Beh, buona giornata.

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Attualità Leggi e diritto

I fratelli Berlusconi, entrambi sotto inchiesta: ragazzi, vi date una calmata?

Silvio Berlusconi, il membro dell’Agcom Giancarlo Innocenzi e il direttore del Tg1 Augusto Minzolini sono indagati per concussione dalla procura di Trani, l’inchiesta è nelle mani del sostituto procuratore Michele Ruggiero. Le indagini sono state condotte dalla Guardia di Finanza. I magistrati della Procura non hanno voluto commentare la notizia: “Oggi e domani non diciamo nulla, è inutile fare domande”. In serata fonti vicine alle indagini hanno confermato che si tratta di concussione. Non confermata né smentita l’iscrizione dei tre nel registro degli indagati.

Paolo Berlusconi, fratello del presidente del Consiglio, risulterebbe indagato dalla Procura di Milano per millantato credito. La vicenda riguarderebbe i suoi presunti rapporti con Roberto Raffaelli, manager di Research control system, società che ha messo a disposizione le attrezzature per effettuare intercettazioni negli uffici giudiziari sparsi in tutta Italia.

A quanto si è appreso, Paolo Berlusconi avrebbe promesso a Raffaelli di fargli aumentare il volume di affari.
Le indagini starebbero cercando di accertare se ci sia stato o meno una dazione di denaro da parte di Raffaelli a Paolo Berlusconi. Raffaelli risulta già coinvolto in una inchiesta del pm di Milano Massimo Meroni relativa ad una fuga di notizie sulla nota intercettazione di un dialogo tra Piero Fassino e Giovanni Consorte. Beh, buona giornata.

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In Italia la corruzione è aumentata del 229%. La Lombardia guida la classifica. Lo dice la Sinistra? No, la Corte dei Conti.

La moltiplicazione di mazzette e bustarelle. Corte dei Conti: “Raddoppiate”
Secondo i numeri della Corte dei Conti, le denunce di casi di corruzione sono aumentate del 229% dal 2008 al 2009 – Incremento del 153% anche per gli episodi di concussione – da blitzquotidiano.it

Aumentano in Italia le denunce per casi di corruzione: secondo la Corte dei Conti le denunce per questo tipo di reato hanno subito un incremento del 229% tra il 2008 e il 2009.

Sempre secondo le stesse stime anche le denunce per concussione si sono moltiplicate: nel 2009 sono cresciute del 153%. Per colpa delle “mazzette” le casse statali hanno ricevuto 69 milioni di euro in meno.

A confermare il trend ci sono anche le cifre che riguardano i processi: nel 2008 le citazioni in giudizio per i reati di tangenti, corruzione e concussione sono state l’8,6% del totale. Una percentuale che è salita fino a quota 11 per cento nel 2009 per quanto riguarda le sentenze di condanna in primo grado per questi reati.

Se invece si sposta l’attenzione sul dato geografico, si scopre che è la Lombardia la regione più colpita da questa prassi, seguita a ruota da Campania, Sicilia, Lazio e Puglia. Forse sarà solo un caso, ma due dei casi di corruzione più clamorosi degli ultimi tempi hanno avuto come protagonisti proprio due “lùmbard”: il 17 dicembre viene arrestato il leghista Pier Gianni Prosperini, assessore allo Sport della giunta Formigoni. L’11 febbraio è il turno di Milko Pennisi, consigliere comunale a Milano in quota Pdl. Quest’ultimo è stato colto in flagrante mentre intascava 5 mila euro da un costruttore milanese che chiedeva di “sbloccare” una pratica che lo interessava.

Gli ultimi episodi, uniti ai numeri della Corte dei Conti, hanno fatto ipotizzare un ritorno a “Tangentopoli”, che alcuni hanno battezzato “Ri-Tangentopoli”. Berlusconi e la maggioranza smentiscono che si tratti di una pratica generalizzata, ma le inchieste e gli arresti vanno avanti.

Ora l’inchiesta sullo “scandalo Protezione Civile” ha rivelato che la corruzione aveva inquinato persino le situazioni di emergenza: anche qua gli appalti erano assegnati attraverso una rete di favori e “cortesie”. E nel mirino dei magistrati è finito un altro esponente del Pdl, questa volta un “pezzo da novanta”: si tratta di Denis Verdini, coordinatore del partito e ora indagato dalla Procura di Firenze, sempre per corruzione.

Intanto, un altro amministratore locale del centrodestra è finito nei guai: il presidente della Provincia di Vercelli, Renzo Masoero, è ai domiciliari con l’accusa di concussione. Tra le altre cose, è emerso che avrebbe chiesto il “pizzo” al presidente dell’Ufficio Stampa della Provincia, che si è così garantito il posto di lavoro.

Sono questi gli episodi più eclatanti che hanno fatto parlare di “Ri-Tangentopoli”. Una voce che preoccupa il premier Berlusconi, visto che le elezioni regionali sono alle porte. Ma il Cavaliere getta acqua sul fuoco e assicura che si tratta di «casi isolati». Berlusconi torna anche ad accusare magistrati e opposizione che, dice, vogliono «dare l’impressione che c’è un sistema che funziona solo a suon di bustarelle».

Tutti i “big” del centrodestra si sono schierati insieme al suo leader. Anche Gianfranco Fini sostiene la tesi dei “casi isolati”. «Chi ruba non lo fa per il partito ma perché è un ladro, un volgare lestofante», ha spiegato il presidente della Camera. Maurizio Gasparri ha invece assicurato che nei confronti dei casi di corruzione ci vuole tolleranza zero, senza pregiudizi «politico-ideologici». (Beh, buona giornata).

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media Società e costume

La testimonial dello spot del Governo sulla monnezza a Napoli: «Fra me e Berlusconi? Molto più che sesso».

Elena Russo: “Con Berlusconi molto più che sesso”.”Inutile essere ipocriti: tutti siamo dei raccomandati.” da blitzquotidiano.it

Vi ricordate Elena Russo, l’attrice “raccomandata” da Silvio Berlusconi nel 2007 al capo di Rai Fiction Agostino Saccà in una delle ormai famose telefonate intercettate? La procace attrice che venne assoldata dal governo come protagonista del discusso spot per “celebrare” la “pulizia” di Napoli dalla Monnezza? Ora, anche lei, ha deciso di parlare: «Fra me e Berlusconi? Molto più che sesso», dice dalle colonne di “A”, in edicola dal 9 dicembre.

«La mia frequentazione con lui -spiega- va ben oltre il sesso, è fatta di stima e di rispetto. Anche se non posso negare che all’inizio lui mi abbia rivolto degli apprezzamenti sul mio aspetto fisico. Io sono una persona che ama divertirsi e lui pure. Ogni volta che ci vedevamo per lui era una parentesi rilassante».

Sulla famosa raccomandazione a Saccà, all’epoca direttore di Rai Fiction, risponde: «Inutile essere ipocriti: tutti siamo dei raccomandati. Chi, avendo l’occasione di essere segnalato, non la prende al volo? Poi, però, non basta, perchè se non vali niente alla fine non vai lontano. Comunque Berlusconi non ha fatto altro che sensibilizzare una persona, che conoscevo da anni e mi stimava, per farmi fare un provino». (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Media e tecnologia Pubblicità e mass media

“Le leggi ad personam? Le fa per proteggersi. Se non fai la legge ad personam vai dentro.” Il presidente di Mediaset parla del presidente del Consiglio.

Confalonieri alla Stampa: “A Berlusconi danno fastidio i freni della democrazia”-blitzquotidiano.it

Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset e amico di Silvio Berlusconi dagli anni del liceo, racconta il suo rapporto con il premier in un’intervista a Claudio Sabelli Fioretti su La Stampa in edicola oggi lunedì 2 novembre. Ovvio – dato anche il nome che porta – che difenda il premier, cui si accontenta di passare la palla visto che uno come lui “è come Pelè”.

Fedele Confalonieri l’ha visto vincere ogni sfida, un vero fuoriclasse, ma qualche difficoltà la soffre anche lui, specie quegli ostacoli che le società democraticamente avanzate pongono all’esercizio del potere: “Gli riesce difficile prendere atto che la democrazia pone dei freni. Silvio è un uomo del fare. I freni gli danno fastidio. Ma non è un dittatore come dicono”

“Le leggi ad personam? Le fa per proteggersi – dice Confalonieri – Se non fai la legge ad personam vai dentro. Una volta dentro, poi non ti chiedono scusa. E’ il sistema della giustizia in Italia. I magistrati sono gli unici che non pagano mai: irresponsabili. L’errore di Berlusconi è pensare che tutti i magistrati siano rossi – aggiunge – Sbaglia e io glielo dico… come anche che i comunisti non ci sono più… ma bisogna ammettere che è un ottimo argomento di vendita”.

“Berlusconi parla troppo – dice poi Confalonieri – Prenda la vicenda D’Addario. Se non diceva un cavolo in tre giorni finiva”. Le dieci domande di Repubblica? “Dissi a Silvio: Fregatene, non le legge nessuno e invece lui va a parlare a Porta a Porta”.

Nell’intervista a tutto campo Confalonieri definisce poi Eugenio Scalfari “l’unico giornalista che ha il senso degli affari”, di Nanni Moretti dice che gli sta “sulle palle” e di Giulio Tremonti “che è legittimo che pensi al dopo”.

Sulla proposta di non pagare il canone Rai il presidente Mediaset osserva che “é una sciocchezza e che Berlusconi sbaglia”.

“Se Berlusconi si fosse limitato alla televisione – conclude Confalonieri – oggi avrebbe più del 90% dei consensi. Ma ha voluto giocare in prima persona. E ha spaccato in due il Paese”. (Beh, buona giornata).

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Attualità Media e tecnologia

Perché se le stanno dando di “santa” ragione?

L’undicesima domanda: ma Berlusconi è ancora lucido? Il Tg1 “oscura” Fini, la querela boomerang a Repubblica, l’insulto di Feltri a Boffo e la Chiesa cancella la cena del perdono di Lucio Fero-blitzquotidiano.it

A questo punto s’impone a forza di logica e di fatti l’undicesima domanda: il Berlusconi degli ultimi giorni e delle ultime ore è politicamente lucido? O non è in preda ad una rabbia mal condita da senso di onnipotenza che può finire per essere autolesionista se non proprio auto distruttiva? Perché un uomo sostanzialmente invulnerabile in termini di consenso allinea mosse in sequenza serrata che lo mettono in pericolo?

L’altra sera il Tg1 di Augusto Minzolini non dà nei titoli di testata dell’edizione principe delle venti la notizia che la terza autorità dello Stato italiano, il presidente della Camera Gianfranco Fini, ha definito «vagamente razziste» le leggi vigenti sull’immigrazione. In Italia nessuno ha fatto una piega, ma il metodo è sovietico: la tv di Stato cancella quella parte di Stato che non piace al Politburo vincente. Minzolini non può aver fatto da solo, perché qualcuno gli ha impartito quest’ordine? L’ordine e la sua esecuzione non turbano nessuno, il che non toglie sia un ordine rabbioso.

Passano poche ore e Berlusconi e il suo staff decidono di querelare “Repubblica” per le famose dieci domande al premier. Querela vuol dire processo. Processo nel quale, quando si terrà, i querelanti dovranno dimostrare che mai Berlusconi incontrò Noemi senza la presenza dei genitori, che mai prostitute furono invitate in quanto tali a Palazzo Grazioli o a Villa Certosa… Saranno interrogati come testi Patrizia D’Addario, Tarantini, gli uomini delle scorte, Noemi e i suoi genitori. Sarà un massacro mediatico per Berlusconi querelante, anche se Berlusconi fosse puro come un giglio, lui che ha detto: «Non sono un santo». E se venisse convocata a testimoniare anche Veronica Lario. Un uomo esperto di comunicazione e immagine come Berlusconi queste cose le sa, perchè allora querela? L’opinione pubblica italiana ha assorbito senza troppi scossoni la sessualità esuberante e compulsiva del premier, il danno è stato limitato. Perchè rimettere in moto il ventilatore del fango, anche ammesso, e per nulla concesso, che di solo fango si tratti?

E infine la più grossa e incomprensibile, il gesto che per la prima volta da venti anni assimila Berlusconi a quel Tafazzi che da solo si martellava gli attributi, quel Tafazzi che è sempre stato la rappresentazione tragicomica della capacità di comunicazione della sinistra. Tafazzi stavolta si incarna in Vittorio Feltri, neo direttore de Il Giornale, neo nominato per volontà e scelta di Berlusconi. Il Giornale scrive che Boffo, direttore dell’Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani, farebbe bene a tacere su morale e dintorni perché nel suo passato ci sono niente meno che intimidazioni alla moglie di un uomo con cui Boffo avrebbe avuto una relazione. Insomma omosessuale e protervo. L’articolo compare la mattina del giorno in cui è prevista una cena di riconciliazione tra Berlusconi e il cardinale Bertone a L’Aquila. Una cena che celebra una “Perdonanza” antica con evidenti e propagandati, annunciati riflessi ad una contemporanea perdonanza. Ma è evidente che la Chiesa non può tollerare l’insulto pubblico al direttore del suo giornale. La cena, l’incontro vengono annullati. Berlusconi balbetta di una sua volontaria rinuncia per «evitare strumentalizzazioni». Ma è evidente che è stata la Chiesa a dire che quella cena e perdonanza a questo punto non erano più possibili. La scena è quella di Berlusconi che va ad abbracciare Gheddafi ma che la Chiesa non abbraccia.

Ha deciso e fatto da solo Vittorio Feltri? Forse sì, forse no, non è dato sapere. Certo è che Feltri deve aver respirato un clima, un clima rabbioso che in qualche modo la ha autorizzato a mordere. Ma mettersi contro la Chiesa, creare o subire un incidente diplomatico e politico così clamoroso non è scelta o azione lucida. Per la prima volta Berlusconi invulnerabile incontra sulla sua strada qualcuno tanto potente da infliggergli ferita, forse ferita destinata anche ad infettarsi. Questo qualcuno è la Chiesa cattolica che in Italia conta e può molto? No, questo qualcuno che fa davvero male a Berlusconi è Berlusconi stesso. Quindi l’undicesima domanda: l’uomo più abile e vincente dell’ultimo ventennio italiano è ancora lucido? E, se non lo è, perché?

(Beh, buona giornata).

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Attualità

Niente Perdonanza per Berlusconi. A letto senza cena.

(fonte:repubblica.it)

Salta la cena, tanto attesa dal premier travolto dalle polemiche sulla sua vita personale, tra Berlusconi e il Segretario di stato vaticano, Tarcisio Bertone. L’incontro era previsto per stasera all’Aquila, a conclusione delle celebrazioni per la Perdonanza. Ma a poche ore dall’appuntamento abruzzese arriva una nota della sala stampa vaticana, nella quale si informa che il presidente del Consiglio, “per evitare strumentalizzazioni” ha deciso di inviare all’Aquila in rappresentanza del governo il sottosegretario alla presidenza Gianni Letta.

Lo stop all’incontro della Perdonanza, che nelle intenzioni del premier avrebbe dovuto essere l’inizio di una ricucitura – con grande risalto mediatico – con la Chiesa, arriva nelle ore più calde dello scontro tra Il Giornale, quotidiano di proprietà berlusconiana, e Avvenire, giornale della Cei. Momenti concitati, con la nota della Santa Sede che giunge poco dopo la netta presa di posizione della stessa Cei in difesa di Dino Boffo.

Un’ora dopo la dichiarazione del Vaticano sulla cena saltata, Berlusconi ha incontrato a Palazzo Grazioli i sottosegretari alla presidenza, Gianni Letta e Paolo Bonaiuti, mentre l’Osservatore romano ha pubblicato in prima pagina una nota per ribadire che la Chiesa non vuole essere coinvolta in vicende politiche contingenti. “Per la Chiesa di oggi – è scritto nell’editoriale – la penitenza è una cosa seria, tanto da non dover venire confusa con polemiche contingenti”.

Nel pomeriggio, all’Aquila, il sottosegretario Letta ha poi avuto un breve colloquio con il cardinale Bertone.
Il rappresentante del governo e il segretario di stato vatiocano si sono incontrati sul piazzale di Collemaggio poco prima della messa, si sono salutati con una stretta di mano e due baci sulle guance e sono quindi entrati in una tenda della Protezione civile dove hanno avuto un colloquio di pochi minuti.

Ai cronisti che lo interrogavano sulla rinuncia di Berlusconi a presenziare alla cerimonia, Bertone ha risposto con un’altra domanda: “A me lo chiedete?”. (Beh, buona giornata).

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