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L’Italia alle prese con BBB+ /2.

di MASSIMO GAGGI – corriere.it
L’abbassamento di due punti del rating dell’Italia è di certo un duro colpo per il governo Monti che ha ereditato una situazione difficilissima, ha adottato misure correttive assai penose per i cittadini ma apprezzate in Europa, e che da oggi si ritrova a dover percorrere un sentiero ancora più stretto e pieno di insidie. Ma se la decisione annunciata ieri sera da Standard & Poor’s è una bocciatura dell’Italia – pur con un apprezzamento per l’azione del governo Monti, mitigato però dal timore che le sue riforme, definite ambiziose, vengano frenate da un’opposizione politica -, il «declassamento di massa» è una dichiarazione di sfiducia nell’euro. Dunque un giudizio con una larga componente politico-istituzionale da parte di un’agenzia di rating americana: cioè di un Paese da sempre scettico sul destino della moneta unica, che negli eventi degli ultimi mesi ha trovato la conferma della fondatezza dei suoi dubbi.

Reagire prendendosela con gli Usa o invocando compartimenti stagni, con l’Europa giudicata da organismi di valutazione europei, non avrebbe, però, senso: tra l’altro le strutture di analisi di queste agenzie sono ormai globalizzate e al «downgrading politico» non sono sfuggiti nemmeno gli Stati Uniti che ne hanno subito uno sei mesi fa motivato con la caotica gestione del debito pubblico da parte del Congresso. Washington, poi, ha già ricevuto più di un avvertimento: presto arriverà un’altra bocciatura, con motivazioni analoghe.

Il nodo vero è che questi giudizi, che dovrebbero servire a mettere in allarme gli investitori segnalando loro rischi che non hanno ancora percepito (adeguando di conseguenza i relativi rendimenti), in realtà arrivano quando quelle preoccupazioni sono ormai ampiamente diffuse nei mercati che hanno già eseguito le loro correzioni: un intervento prociclico, che rischia di portare a un eccessivo squilibrio della reazione di mercati fin troppo reattivi, coi nervi messi a dura prova da quattro anni di crisi durante i quali ha quasi sempre piovuto sul bagnato.

Negli Stati Uniti e anche in Europa sono stati fatti vari tentativi di ridurre l’impatto di questi giudizi negativi. Ad agosto, dopo il downgrading Usa, il Tesoro americano autorizzò le banche locali a continuare a sottoscrivere titoli del governo federale senza effettuare gli accantonamenti di bilancio richiesti quando c’è un aumento del rischio. E le norme sui mercati finanziari varate a Washington l’anno scorso riducono per molte emissioni di bond l’obbligo di essere corredate dai giudizi di una pluralità di agenzie. È, inoltre, aumentata l’attenzione sui conflitti d’interesse che possono condizionare questi organismi.
Ma alla fine, trattandosi di società private, la soluzione verrà solo dall’allargamento della platea degli operatori, superando l’oligopolio S&P-Moody’s-Fitch. È il caso delle nuove agenzie che stanno emergendo in America e anche di quella cinese che, peraltro, Francia e Italia le aveva già declassate a dicembre.

Insomma dobbiamo abituarci – opinione pubblica e mercati – ad avere reazioni meno «accaldate» cogliendo, al tempo stesso, il messaggio, non nuovo, che esce rafforzato dal giudizio di Standard & Poor’s: quella europea è una crisi profonda che non ha soluzioni facili. Il percorso da compiere è lungo e pieno di insidie. Decise le manovre necessarie per disinnescare i meccanismi della crescita del debito pubblico, ora l’enfasi va posta sullo sviluppo delle economie dell’Unione e su una maggiore solidarietà tra le varie capitali per rafforzare l’euro con un’unità d’intenti almeno sulle politiche fiscali, di bilancio e del lavoro.

Certo, anche se accompagnata dalle «bocciature» di parecchi altri Paesi, dalla Francia all’Austria, dalla Spagna al Portogallo, il passo indietro di due caselle dell’Italia, che la porta al livello di Paesi come il Perù, non è di certo incoraggiante per il nostro governo. Ma questo declassamento non può cancellare la consapevolezza che il Paese sta finalmente tentando di imboccare la direzione giusta. Un dato che, oltre che dalle istituzioni e dai partner europei, viene riconosciuto anche dai mercati che col positivo andamento delle aste dei titoli del Tesoro, soprattutto a breve termine, dimostrano di avere una certa fiducia sulla stabilizzazione della situazione italiana, almeno nei prossimi 12-18 mesi.

Ma è difficile andare oltre questa scadenza nelle previsioni, le nuvole all’orizzonte sono ancora troppo fitte: alle incertezze di un quadro politico caratterizzato da una tregua che potrebbe non durare a lungo, si aggiungono quelle che derivano dalla stagnazione. Per questo da oggi diventano ancora più importanti le politiche per la crescita che Monti, varata la manovra fiscale, ha messo al centro del suo programma. Per rendere gestibile il debito pubblico e farlo diminuire rispetto al Pil il governo ha bisogno di far crescere le attività produttive, evitando, al tempo stesso, impennate dei tassi. Qui, purtroppo, la mossa di S&P, che arriva proprio quando si vedeva qualche spiraglio di luce, non aiuta: già ieri sera a Wall Street alcuni analisti invitavano gli investitori a cautelarsi rispetto a rischi crescenti di «monetizzazione» del debito pubblico dei Paesi europei. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Politica Popoli e politiche

L’Italia alle prese con BBB+

di EUGENIO SCALFARI-repubblica.it
All’indomani del cosiddetto “tsunami” provocato dall’agenzia di rating Standard&Poor’s ci sono alcuni fatti certi dai quali bisogna partire. Sono i seguenti:
1. Lo “tsunami” non c’è stato. Le Borse hanno registrato modesti ribassi, Piazza Affari ha perso l’1 per cento, le altre Borse europee hanno oscillato intorno al mezzo per cento di perdita, l’Austria, colpita anch’essa dal “downgrade”, ha addirittura chiuso in rialzo.
2. Standard&Poor’s ha declassato nove paesi su diciassette, cioè ha attaccato non un paese specifico ma l’intera economia europea e quindi, indirettamente, anche la Germania che senza l’Europa vivrebbe malissimo. Si è trattato dunque d’un giudizio politico più che economico.
3. Per quanto riguarda l’Italia questo attacco ha avuto come effetto quello di rafforzare il governo Monti, tanto più che la stessa Standard&Poor’s ha apprezzato la politica di Monti nel momento stesso in cui declassava di due punti il nostro debito sovrano mandandolo in serie B.
4. I rendimenti dei nostri Bot e dei nostri Btp alle aste di giovedì e di venerdì sono stati ottimi per i Bot e buoni per Btp triennali.
5. La Bce ha confermato che il valore dei “collaterali” che le banche danno in garanzia dei prestiti loro accordati dalla Banca centrale non subiranno alcun mutamento; la Bce cioè non terrà in nessun conto i giudizi negativi dell’agenzia di rating. Le notizie che davano per certo un peggioramento del valore dei collaterali erano dunque sbagliate o false.

Le aste italiane di giovedì e venerdì hanno comunque confermato che la fiducia nel nostro debito sta tornando e dai Bot si sta gradualmente allargando anche sui Btp ed infatti, confrontando i tassi spuntati alle aste di gennaio con quelli delle aste di novembre si hanno i seguenti risultati: Bot a sei mesi dal 6,5 al 3,2; Bot a dodici mesi dal 5,9 al 3,2; Btp a tre anni da 7,9 a 4,8; Btp a dieci anni da 5,7 a 4,9.

È possibile che nella seduta di domani alcuni di questi tassi peggiorino sul mercato secondario che però, per quanto riguarda gli oneri del Tesoro, non hanno alcuna ripercussione. Per quanto riguarda l’Italia, se ne riparlerà soltanto alle aste di febbraio e marzo che avranno dimensioni imponenti. Il Tesoro tuttavia, come la stessa Bce ha suggerito e dal canto nostro abbiamo raccomandato, dovrebbe aumentare il numero dei titoli in scadenza a breve durata, che il mercato vede con favore. Dovrebbe altresì azzerare il fabbisogno con un’operazione che rientra agevolmente nelle sue attuali capacità.

La prima conclusione che questi dati suggeriscono nel loro complesso è dunque abbastanza rassicurante. I risparmiatori e le banche hanno ricominciato a investire in titoli italiani di breve scadenza ma anche in Btp di scadenza media. Auspichiamo che questo processo si estenda tenendo presente che il 19 febbraio la Bce aprirà un secondo sportello alle banche europee per prestiti triennali di ammontare illimitato al tasso dell’1 per cento e con collaterali a valore invariato. Si tratta di fatto di uno schiaffo sulla faccia dei dirigenti di Standard&Poor’s.

* * *

Il presidente Napolitano ha indirizzato due messaggi pubblici all’Europa con due principali destinatari: la Merkel e Sarkozy, che saranno a Roma nei prossimi giorni. Un messaggio, il giorno precedente al downgrade di Standard&Poor’s, puntava sulla necessità di un governo economico europeo e in particolare dei diciassette paesi dell’Eurozona; il secondo auspicava un ruolo non solo economico ma politico dell’Unione, esteso dunque non solo all’economia ma all’immigrazione, alla giustizia, agli investimenti intraeuropei e a una diversa configurazione della governance.

La Francia continua ad essere riottosa alla cessione di sovranità dagli Stati nazionali all’Unione; la Germania lo è altrettanto, ma ambedue cominciano a rendersi conto dell’urgenza di un nuovo trattato e della necessità di ridurre al minimo i poteri di veto dei singoli Stati. Sullo sfondo ci dovrebbe essere l’istituzione degli eurobond e i poteri di intervento diretto della Bce anche sui debiti sovrani.
Le dichiarazione della Merkel di ieri non dicono granché su questi obiettivi di sfondo ma finalmente puntano anche sulla necessità della crescita oltreché del rigore. Ma soprattutto vogliono sottoporre le agenzie di rating a una disciplina giuridica che vada al di là di un semplice codice etico peraltro inesistente, almeno finora.

Non c’è dubbio che l’esigenza di disciplinare le agenzie di rating con regole oggettive sia a questo punto una necessità senza tuttavia negare ad esse la libertà di esprimere documentati giudizi. L’attenzione va posta soprattutto su quell’aggettivo: documentati. Ma lo spazio pubblico europeo non può esser negato a nessuno. Se le agenzie di rating passano da giudizi strettamente economici a giudizi prevalentemente politici come è avvenuto l’altro ieri, le regole non valgono più ma in compenso l’oggettività del giudizio economico diminuisce di altrettanto.
Se l’onorevole Di Pietro e il senatore Bossi reclamano elezioni a primavera nessuno può né deve metter loro il bavaglio ma ogni persona sensata e consapevole del fatto che durante tutto l’anno ci saranno in Europa 1200 miliardi di titoli pubblici in scadenza non può che giudicarli demagoghi pericolosi o personaggi fuori di testa. Analogo giudizio daranno i mercati se le agenzie di rating attaccheranno l’esistenza d’una moneta e le politiche di un intero continente anziché dimostrare la fragilità dei suoi “fondamentali”.
Da questo punto di vista la Merkel è sulla buona strada quando dice – come ha dichiarato ieri – che il Fondo di intervento sui debiti sovrani opererà comunque, anche se non otterrà la tripla A dalle agenzie di rating e Draghi ha fatto benissimo a mantenere inalterato il valore dei collaterali di garanzia ai prestiti della Bce anche se composti da titoli di debiti svalutati da quelle agenzie.

* * *

Abbiamo già osservato che il downgrade di Standard&Poor’s ha rafforzato la statura di Monti e del suo governo. Soprattutto gli ha dato ottime carte da giocare nei prossimi incontri trilaterali e alla riunione del vertice europeo di fine gennaio. Ma ha rafforzato il governo anche di fronte alle forze politiche e a quelle sociali.
Il programma di liberalizzazioni sarà varato tra pochissimi giorni. Ha già il pieno favore del Pd e del Terzo Polo. Il Pdl manifesta alcune incertezze e le maschera dietro la distinzione tra poteri forti da liberalizzare e poteri deboli (leggi tassisti ed altri) da risparmiare o postergare. La risposta di Monti è ineccepibile: le liberalizzazioni riguarderanno tutte le categorie, poteri forti e poteri diffusi. Tutti nello stesso decreto.

Osservo dal canto mio che i tassisti sono un potere diffuso ma non un potere debole. Come lo sono i camionisti. Come lo sono gli allevatori di mucche inadempienti alle regole comunitarie. Chiamarli poteri deboli è un errore lessicale e alquanto demagogico. Ci sono certamente alcuni punti sostenuti da queste categorie che vanno risolti con equità a cominciare da quello che riguarda le vecchie licenze dei tassisti. Per il resto, il trasporto urbano è un pubblico servizio e va regolato a vantaggio dei consumatori, altrimenti che servizio pubblico sarebbe?
Farmacie, notai, ordini professionali, vanno tutti ripensati alla luce del concetto di tutela della concorrenza. Così sembra formulato il decreto che sta per essere emesso. Gli ordini non vanno aboliti ma debbono avere un solo e fondamentale obiettivo: essere i custodi del canone etico e deontologico degli associati. Gli ordini non sono un sindacato, perciò non possono occuparsi di tariffe e di altre questioni economiche. Debbono occuparsi dell’etica e lo debbono fare nell’interesse della società civile per la quale l’esistenza degli ordini deve essere una garanzia di professionalità dei loro aderenti……..(Beh, buona giornata).

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L’euro brucia?

(fonte: repubblica.it)

Le “banche preparano un piano di emergenza per il crollo dell’euro”. E’ questo lo scenario descritto in un editoriale di The New York Times. “Al crescente coro di osservatori che teme che il crollo dell’eurozona sia a portata di mano, Angela Merkel ha risposto a chiare lettere: è uno scenario che non potrà mai verificarsi. Ma alcune banche non ne sono più così sicure” si legge nell’editoriale. “In particolare – continua – perchè la crisi del debito sovrano ha minacciato di investire la stessa Germania questa settimana, quando gli investitori hanno iniziato a mettere in dubbio il rango di principale pilastro della stabilità europea del Paese”.

“Ieri, Standard & Poor’s – ricorda Nyt – ha ridimensionato il rating del Belgio da AA+ ad AA, evidenziandone l’impossibilità di ridurre in tempi rapidi il fardello del debito. Le agenzie di rating hanno inoltre avvertito che la Francia potrebbe perdere il suo rating AAA se le proporzioni della crisi aumentassero. Giovedì erano inoltre stati abbassati i rating di Portogallo e Ungheria, accostati a spazzatura. Mentre i leader europei sostengono che non ci sia ancora bisogno di approntare un piano B, alcune delle principali banche mondiali, ed i loro supervisori, stanno predisponendo proprio questo”.

“Non possiamo essere, e non lo siamo, compiacenti su questo fronte”, ha affermato Andrew Bailey, funzionario dell’Autorità dei Servizi Finanziari della Gran Bretagna. “Non dobbiamo ignorare la prospettiva di un allontanamento disordinato di alcuni Paesi dall’eurozona” ha aggiunto.

“Banche come Merrill Lynch, Barclays Capital e Nomura – continua l’editoriale de The New York Times – hanno diffuso una cascata di rapporti questa settimana che esaminano la possibilità di un crollo dell’eurozona”. “La crisi finanziaria dell’eurozona è entrata in una fase ben più pericolosa” hanno scritto venerdì gli analisti della Nomura. “A meno che la Banca Centrale Europea intervenga per aiutare dove i politici hanno fallito, un collasso dell’euro al momento sembra più probabile che possibile” ha detto la banca.

“I principali istituti finanziari britannici, come Royal Bank of Scotland, stanno predisponendo piani di emergenza nel caso l’impensabile viri verso la realtà, hanno indicato i loro supervisori giovedì”, riporta ancora l’editoriale di Nyt. “Le authority degli Stati Uniti -c ontinua ancora l’editoriale – stanno incalzando le banche americane come Citigroup ed altri istituti, a ridurre l’esposizione verso l’eurozona. In Asia, le autorità di Hong Kong hanno intensificato il monitoraggio dell’esposizione delle banche straniere e nazionali alla luce della crisi europea”.

“Ma le banche dei grandi paesi dell’eurozona che solo recentemente sono stati infettati dalla crisi non sembrano essere così agitate. Banche in Francia e Italia in particolare, – si legge ancora nell’editoriale de The New York Times – non starebbero creando piani di backup, affermano i banchieri, per la semplice ragione che essi hanno concluso che è impossibile che l’euro possa crollare. Sebbene banche come Bnp Paribas, Sociètè Gènèrale, UniCredit ed altre hanno recentemente scaricato decine di miliardi di euro di debito sovrano europeo, il pensiero è che ci sono pochi motivi per fare di più”. “Mentre negli Stati Uniti vi è chiaramente una visione che l’Europa può naufragare, qui, crediamo che l’Europa deve rimanere così com’è” ha detto un banchiere francese, riassumendo il pensiero delle banche francesi.

“Così nessuno dice, Abbiamo bisogno di un ripiego” ha detto il banchiere, che non era autorizzato a parlare pubblicamente”. “Quando Intesa Sanpaolo, la seconda banca più grande d’Italia, ha valutato diverse situazioni in preparazione per il suo piano strategico 2011-13 a marzo scorso, nessuna – continua l’editoriale – si basava sul possibile crollo dell’euro”, e “anche se la situazione si è evoluta, non abbiamo rivisto il nostro scenario per tenere conto di questo” ha detto Andrea Beltratti, presidente del consiglio di amministrazione della banca” si legge ancora su The New York Times.

“Mr. Beltratti – prosegue il giornale – ha detto che le banche sarebbero le ‘prime del branco’ in caso di nervosismo crescente sull’euro, e che Intesa Sanpaolo è stata “molto attenta” dal punto di vista della liquidità e del capitale. Nella tarda primavera, la banca ha alzato il suo capitale da cinque miliardi di euro, uno dei maggiori incrementi in Europa”.

“Mr. Beltratti – riferisce ancora l’editoriale – ha detto che l’Italia, come l’Unione europea, potrebbe adottare una serie di misure politiche che potrebbero tenere a bada la crisi della moneta unica. Io certamente mi sentivo più sicuro pochi mesi fa, ma mi sento ancora ottimista”. “I leader europei di questa settimana hanno dichiarato di essere più determinati che mai a mantenere la moneta unica in vita, specialmente con le elezioni più importanti che si profilano in Francia l’anno prossimo ed in Germania nel 2013. Se non altro, – conclude l’editoriale – la signora Merkel ha detto che avrebbe raddoppiato i suoi sforzi per spingere l’Unione verso una maggiore unità fiscale e politica”.
(beh, buona giornata)

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