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3DNews/Il direttore del TGUno? Facciamo un concorso pubblico.

di Giulio Gargia *

Chi sarà il prossimo direttore del TG1? Move On lancia un’idea : candidare un giornalista straniero che conosca bene l’Italia. Unica garanzia di un prodotto giornalistico quanto più lontano possibile dalle logiche attuali di fattura dei TG. Il nome ? Wolfgang Achtner, da molti anni in Italia come corrispondente di numerose testate fra cui ABC News, Cnn e Press tv, autore di testi sul giornalismo televisivo, titolare di corsi universitari e di corsi di formazione per videogiornalisti e sulla comunicazione televisiva per il Gruppo Espresso.

Achtner ha scritto una lettera a Garimberti in cui chiede di decidere il direttore del TG1 con un bando pubblico per titoli. E presenta i suoi, candidandosi. La missiva è stata resa pubblica l’11 gennaio, con una conferenza nella sede della Stampa Estera a Roma . Dice il giornalista a Garimberti : “ Ho le carte in regola perchè sono indipendente politicamente, ho una carriera prestigiosa con esperienze nei più grandi network mondiali, come ABC, CNN e Press Tv e una notevole esperienza nel campo della formazione.

Nel momento in cui un nuovo governo è al lavoro per salvare il Paese – afferma Achtner – sono convinto che un buon esito dipenda da una consapevole partecipazione dei cittadini italiani e questo richiede una buona informazione, in particolar modo televisiva, che attualmente non c`è.

In base alla mia consolidata esperienza internazionale in campo televisivo, posso assicurare che, salvo rarissime eccezioni, quello che passa per informazione televisiva in Italia è pura propaganda politica. La funzione dei TG è soprattutto quella di portare nelle case le facce dei politici a ora di cena. Per non parlare del fatto che i servizi dei TG sono ancora una specie di “radio illustrata” , poco attenti allo specifico del linguaggio televisivo che si è così evoluto. Ecco, queste cose mi piacerebbe poterle applicare- continua Achtner – le prime cose che farei? Abolizione del pastone politico, niente editoriali, reintegrare gli emarginati da Minzolini, più servizi sugli esteri e meno sfilate di cani”

Poi Marco Quaranta, di Move On, ricorda il motivo dell’iniziativa : che il servizio pubblico deve operare in condizioni di indipendenza editoriale mentre ci siamo abituati all’idea che la RAI sia lottizzata. Mentre questo è il momento di tornare ai principi che muovono qualsiasi etica dell’informazione, soprattutto perchè bisogna ricordare che c’è un legame indissolubile tra democrazia e buona informazione. E tuttora oltre il 60% degli italiani hanno i TG come unica fonte d’informazione, su cui fondano le loro scelte di tutti i giorni . Compresa quella del voto. Perciò, spiega anche Gianfranco Mascia, questa è solo la prima candidatura, si tratta di riaffermare un principio, il direttore lo fa chi ha più titoli per farlo. Quindi, lanceremo altre candidature, già il 23 gennaio prossimo. E c’impegniamo a rilanciare anche il problema complessivo della governance della RAI, di come viene eletto il CdA. Su quello ripartiremo dalla proposta di Tana de Zulueta elaborata insieme a tante associazioni, che è pronta ed è stata depositata in Parlamento di nuovo già in questa legislatura da Beppe Giulietti.

Alla fine spunta anche un’ ultima idea: fare quanto prima un confronto tra un TG Uno e un nostro TG . Con Achtner mettere sul sito una “ versione alternativa” delle notizie di quel giorno. Per far vedere la differenza che un TG1 Rai rinato potrebbe marcare. Per diventare un punto di attrazione per i migliori, quelli che oggi vengono esclusi per fare posto a persone scelte sulle base della loro affiliazione politica invece che delle loro capacità. (Beh, buona giornata).

* direttore di 3D, inserto settimanale del quotidiano TERRA

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3DNews/“Zero titoli”, storia del degrado di un grande telegiornale.

Paolo Ojetti racconta il suo libro su Minzolini

Parlare degli anni di Minzolini a Saxa Rubra, è fermare la storia, la storia di un evento traumatico, drammatico per l’informazione italiana. Il Tg1 della Rai, nonostante i disastri editoriali nei quali è stato cacciato, nonostante la colpevole e suicida complicità di gran parte del corpo redazionale, rimane – per antonomasia – il principale organo di informazione e di “formazione” dell’opinione pubblica.
Il Tg1 dovrebbe essere la fonte chiara e limpida delle notizie,l’amico fraterno dei cittadini, il luogo magico nel quale, per postulato, alberga la verità. Ebbene, durante la direzione Minzolini, il Tg1 è stato esattamente l’opposto di tutto questo.Se si trattasse però solo di un problema di cattivo giornalismo, non varrebbe nemmeno la pena di occuparsene.

La Rai è un’azienda enorme ecomplessa. Produce in un regime parzialmente duopolistico, ma subisce nuove forme di concorrenza, soprattutto nel campo dell’informazione.
Basta avere una parabola e un telecomando per abbandonare la Rai e quella che era una volta “l’ammiraglia” della televisione, intesa come un unico universo. Ed è quello che, con progressione esponenziale, è avvenuto nel corso della direzione Minzolini. Dove c’è un delitto di leso giornalismo, c’è un conseguente castigo: la disaffezione dei lettori (in questo caso i telespettatori),
il declino inarrestabile della testata.

Il 14 luglio del 2011, i vertici Rai fecero due conti e si accorsero che il Tg1 della sera perdeva “copie” e, di conseguenza, milioni di pubblicità.
Ce n’era voluta, ma anche i consiglieri più berlusconiani ammisero, alla fine, la disfatta. Si accorsero di qualcosa molto più grave: che il Tg1 di Minzolini era poisoned, avvelenato, e trasmetteva il suo veleno tutt’intorno anche ai programmi che lo precedevano e che lo seguivano. In una parola, il Tg1 di Minzolini “respingeva” il telespettatore il quale, come tutti sanno, una volta accasato altrove, non torna indietro.

Alla lunga, avendo capito che quel telegiornale obbedisce a logiche che nulla hanno a che vedere con il giornalismo, quel telespettatore è perduto per sempre.
I vertici della Rai porteranno con sé per anni il peso di grandissime responsabilità. I costi per riportare il Tg1 a livelli di decenza saranno altissimi:
la credibilità non è merce che si compra al mercato.

Ma c’è qualcosa di più serio e più grave di una cattiva gestione del servizio pubblico di Augusto Minzolini. Nel momento in cui il Tg1 è stato consegnato a
un direttore perché ne facesse l’house organ non di un Governo, ma di una persona, la ferita alla democrazia è stata vile e profonda.

Augusto Minzolini è stato “realista” quando, intervistato nella primavera del 2011, disse: «Resterò direttore del Tg1 finché Berlusconi sarà capo del Governo». Il senso di questa affermazione è tragico, rimarrà per sempre la confessione cinica di aver svenduto se stesso, l’intera redazione, l’autonomia e la libertà di una testata – e che testata – a un padrone che è addirittura un corpo estraneo all’azienda dalla quale egli dipendeva e dalla quale riceveva uno stipendio. Fu non solo il tradimento dei principi deontologici della professione giornalistica, ma anche la confessione del profondo disprezzo della libertà di stampa e, per dirla tutta,della democrazia. E quel giorno, tutti seppero che il Tg1 era stato ridotto in schiavitù.

Il “minzulpop” non può trovare descrizione più asciutta e completa. Il peccato mortale di Minzolini fu quello di aver restituito al “Re” il potere di scegliere le notizie. Ma attraverso quali disegni, attraverso quali cabale, attraverso quali collettori sotterranei, Augusto Minzolini arrivò a comandare l’ammiraglia?

Rispettando le agitazioni sindacali in atto al quotidiano TERRA, questa settimana 3D uscirà solo sul web. Saremo in rete sui siti www.3dnews.it, www.ildiariodilosolo.com, www.marco-ferri.com a partire dalle 24 di oggi.

°3DNews, Settimanale di Cultura, Spettacolo e Comunicazione
Inserto allegato al quotidiano Terra. Ideato e diretto da Giulio Gargia.
In redazione: Arianna L’Abbate – Webmaster: Filippo Martorana.

(Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Direttori o caporali?

C’è una fattispecie giuridica che prevedere che una persona faccia più danni che produrre
benefici: si chiama “incompatibilità ambientale”. Succede che un capo venga assegnato a
un compito, per svolgere il quale egli assume la direzione di un certo numero di
dipendenti. Quando però sia per questioni caratteriali, sia per i metodi autoritari la
difficile relazione tra il capo e i dipendenti diventa un vero e proprio ostacolo, per
“incompatibilità ambientale”, il capo viene rimosso, se non addirittura licenziato.

Se guardiamo a quanto succede al TgUno, sembrerebbe si sia in presenza di un caso esemplare di “incompatibilità ambientale” tra il direttore della testata e i giornalisti. C’è ormai una lunga teoria di avvenimenti che potrebbero essere la prova provata: dalla rimozione alla conduzione del Tg che poi viene annullata dal tribunale del lavoro,
dall’inconsistenza degli editoriali in video del direttore, che ha portato non solo un
drastico calo di ascolti, ma anche all’inserimento di un commentatore “di peso”, Ferrara,
che certo quest’opera di supplenza non la fa davvero gratis.

L’ultima, in ordine di tempo, la vicenda del “libro bianco” sulle scorrettezze porofessionali del direttore del TgUno, redatto a cura dei menmbri uscenti di un organismo sindacale. Anche in questo caso, stupisce la reazione di Minzolini, che accusa i redattori del libro bianco di essere faziosi. Tanto per riconfermare la sua ormai irreversibile “incompatibilità ambientale.”

Certo, quello del direttore del TgUno non è affatto un caso isolato di
“incompatibilità ambientale”. Abbiamo visto il ministro Brunetta scagliarsi contro i
dipendenti pubblici, che dal suo ministero dipendono. Vista la Gelmini avercela coi
professori, gli studenti e recentemente anche con i bidelli. Visto il ministro della
Giustizia avercela coi magistrati. Ma l’esempio di incompatibilità ambientale per
antonomasia riguarda, ironia della sorte, la ministra dell’Ambiente. Nuclearista
convinta, dopo aver cercato di impapocchiare una diffesa di ufficio del nucleare in
Italia, si è lasciata sfuggire un fuori onda degno di dimissioni immediate: ha detto più
o meno che se continuamo a dire ste cazzate perdiamo le prossime elezioni amministrative.

Il consenso potè più della salute e così si è inventata la storia della moratoria. Tanto
per mandare in bianco il prossimo referendum. Insomma, anche per “incompatibilità
ambientale” ci vuole un minimo di professionalità. Non basta essere nominato capo per
saper fare il dirigente. Né essere definito “direttorissimo” per saper fare il direttore. Beh, buona giornata.

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Un’altra brillante performance di Augusto Minzolini, direttore del TgUno.

Dell’Utri, botta e risposta tra Repubblica e Tg1: “Lo avete quasi assolto”, “sparisce solo il vostro teorema”-blitquotidiano.it

Botta e risposta tra il quotidiano La Repubblica e il Tg1 di Augusto Minzolini. Oggetto della polemica il caso Dell’Utri: il senatore, martedì 29 giugno è stato condannato in appello per concorso esterno in associazione mafiosa a 7 anni di carcere. La sentenza di secondo grado, però, riduce di due anni la pena e smentisce il ruolo del senatore nella presunta trattativa tra Stato e Mafia degli anni ‘90.

Il Tg1, nell’edizione delle 13:30 ha dato la notizia di Dell’Utri come seconda, subito dopo quella della morte di Pietro Taricone. Il “taglio” del servizio su Dell’Utri, però, non è piaciuto a La Repubblica che, sul suo sito accusa Minzolini di averne combinata un’altra, dando di sfuggita la notizia della condanna e mettendo enfasi sull’assoluzione.

In un pezzo a firma di Carlo Ciavone Repubblica attacca Minzolini e Tg1: “Nel servizio mandato in onda, dopo l’obbligatoria notizia della condanna sulal quale si spende una sola frase, abbondano frasi come “costruzione accusatoria spazzata via”, oppure “accuse di pentiti senza riscontri”, o ancora “doccia fredda per il Procuratore Generale Gatto”… Il quale però, sennatamente, fa in tempo a ricordare al microfono di Minzolini che occorrerà aspettare per conoscere soprattutto “perché” una parte delle accuse a Dell’Utri sono state ritenute infondate”. “Come dire che – affonda ancora Ciavone – tutto sommato, avere rapporti con la mafia non è poi così grave, se poi non si vada a chiedere i voti, in cambio di favori”.

La replica del Tg1 al quotidiano di Enzo Mauro arriva qualche ora dopo sul sito internet ed è affidata a un pezzo non firmato, aggressivo già dal titolo: “Se a sparire sono i teoremi di Repubblica”. Per il Tg1 la notizia è stata raccontata nel “modo più corretto, da cronisti, facendo ascoltare il dispositivo letto dal presidente della Corte d’appello che partiva proprio dall’assoluzione per il senatore per poi passare alla riduzione della condanna. Microfono poi alla pubblica accusa e infine alla difesa”.

A sparire, quindi, almeno secondo il Tg1 non è la condanna di Dell’Utri ma i teoremi di Repubblica. Come? Scrive il Tg1 che “il teorema fu cavalcato con grande enfasi da Repubblica. Il teorema fu subito smentito da un boss che doveva confermare le dichiarazioni del primo. Il teorema attendeva ora che la corte d’appello ne confermasse la validità. Il teorema è stato smentito dai giudici”. Quindi, conclude il pezzo del sito del Tg1: sparisce “il teorema che non ha retto al giudizio di una Corte. E’ questa forse la ragione di una polemica montata sul nulla”.

Ma se la polemica è “montata sul nulla” c’era davvero bisogno di una risposta?
(Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Media e tecnologia

La lettera aperta che Maria Luisa Busi, giornalista Rai ha scritto a Augusto Minzolini, direttore del TgUno. Una fotografia dell’Italia.

(fonte: repubblica.it).
“Caro direttore ti chiedo di essere sollevata dalla mansione di conduttrice dell’edizione delle 20 del Tg1, essendosi determinata una situazione che non mi consente di svolgere questo compito senza pregiudizio per le mie convinzioni professionali. Questa è per me una scelta difficile, ma obbligata. Considero la linea editoriale che hai voluto imprimere al giornale una sorta di dirottamento, a causa del quale il Tg1 rischia di schiantarsi contro una definitiva perdita di credibilità nei confronti dei telespettatori”.

“Come ha detto il presidente della Commissione di Vigilanza Rai Sergio Zavoli: ‘La più grande testata italiana, rinunciando alla sua tradizionale struttura ha visto trasformare insieme con la sua identità, parte dell’ascolto tradizionale”.

“Amo questo giornale, dove lavoro da 21 anni. Perché è un grande giornale. E’ stato il giornale di Vespa, Frajese, Longhi, Morrione, Fava, Giuntella. Il giornale delle culture diverse, delle idee diverse. Le conteneva tutte, era questa la sua ricchezza. Era il loro giornale, il nostro giornale. Anche dei colleghi che hai rimosso dai loro incarichi e di molti altri qui dentro che sono stati emarginati. Questo è il giornale che ha sempre parlato a tutto il Paese. Il giornale degli italiani. Il giornale che ha dato voce a tutte le voci. Non è mai stato il giornale di una voce sola. Oggi l’informazione del Tg1 è un’informazione parziale e di parte. Dov’è il Paese reale? Dove sono le donne della vita reale? Quelle che devono aspettare mesi per una mammografia, se non possono pagarla? Quelle coi salari peggiori d’Europa, quelle che fanno fatica ogni giorno ad andare avanti perché negli asili nido non c’è posto per tutti i nostri figli? Devono farsi levare il sangue e morire per avere l’onore di un nostro titolo.

E dove sono le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro? Un milione di persone, dietro alle quali ci sono le loro famiglie. Dove sono i giovani, per la prima volta con un futuro peggiore dei padri? E i quarantenni ancora precari, a 800 euro al mese, che non possono comprare neanche un divano, figuriamoci mettere al mondo un figlio? E dove sono i cassintegrati dell’Alitalia? Che fine hanno fatto? E le centinaia di aziende che chiudono e gli imprenditori del nord est che si tolgono la vita perchè falliti? Dov’è questa Italia che abbiamo il dovere di raccontare? Quell’Italia esiste. Ma il tg1 l’ha eliminata. Anche io compro la carta igienica per mia figlia che frequenta la prima elementare in una scuola pubblica. Ma la sera, nel Tg1 delle 20, diamo spazio solo ai ministri Gelmini e Brunetta che presentano il nuovo grande progetto per la digitalizzazione della scuola, compreso di lavagna interattiva multimediale”.

“L’Italia che vive una drammatica crisi sociale è finita nel binario morto della nostra indifferenza. Schiacciata tra un’informazione di parte – un editoriale sulla giustizia, uno contro i pentiti di mafia, un altro sull’inchiesta di Trani nel quale hai affermato di non essere indagato, smentito dai fatti il giorno dopo – e l’infotainment quotidiano: da quante volte occorre lavarsi le mani ogni giorno, alla caccia al coccodrillo nel lago, alle mutande antiscippo. Una scelta editoriale con la quale stiamo arricchendo le sceneggiature dei programmi di satira e impoverendo la nostra reputazione di primo giornale del servizio pubblico della più importante azienda culturale del Paese. Oltre che i cittadini, ne fanno le spese tanti bravi colleghi che potrebbero dedicarsi con maggiore soddisfazione a ben altre inchieste di più alto profilo e interesse generale”.

“Un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni professionali: levare al pezzo la propria firma. Un conduttore, una conduttrice, può soltanto levare la propria faccia, a questo punto. Nell’affidamento dei telespettatori è infatti al conduttore che viene ricollegata la notizia. E’ lui che ricopre primariamente il ruolo di garante del rapporto di fiducia che sussiste con i telespettatori”.

“I fatti dell’Aquila ne sono stata la prova. Quando centinaia di persone hanno inveito contro la troupe che guidavo al grido di vergogna e scodinzolini, ho capito che quel rapporto di fiducia che ci ha sempre legato al nostro pubblico era davvero compromesso. E’ quello che accade quando si privilegia la comunicazione all’informazione, la propaganda alla verifica”.

Nella lettera a Minzolini Busi tiene a fare un’ultima annotazione “più personale”: “Ho fatto dell’onestà e della lealtà lo stile della mia vita e della mia professione. Dissentire non è tradire. Non rammento chi lo ha detto recentemente. Pertanto:
1)respingo l’accusa di avere avuto un comportamento scorretto. Le critiche che ho espresso pubblicamente – ricordo che si tratta di un mio diritto oltre che di un dovere essendo una consigliera della FNSI – le avevo già mosse anche nelle riunioni di sommario e a te, personalmente. Con spirito di leale collaborazione, pensando che in un lavoro come il nostro la circolazione delle idee e la pluralità delle opinioni costituisca un arricchimento. Per questo ho continuato a condurre in questi mesi. Ma è palese che non c’è più alcuno spazio per la dialettica democratica al Tg1. Sono i tempi del pensiero unico. Chi non ci sta è fuori, prima o dopo.
2)Respingo l’accusa che mi è stata mossa di sputare nel piatto in cui mangio. Ricordo che la pietanza è quella di un semplice inviato, che chiede semplicemente che quel piatto contenga gli ingredienti giusti. Tutti e onesti. E tengo a precisare di avere sempre rifiutato compensi fuori dalla Rai, lautamente offerti dalle grandi aziende per i volti chiamati a presentare le loro conventions, ritenendo che un giornalista del servizio pubblico non debba trarre profitto dal proprio ruolo.
3) Respingo come offensive le affermazioni contenute nella tua lettera dopo l’intervista rilasciata a Repubblica 2, lettera nella quale hai sollecitato all’azienda un provvedimento disciplinare nei miei confronti: mi hai accusato di “danneggiare il giornale per cui lavoro”, con le mie dichiarazioni sui dati d’ascolto. I dati resi pubblici hanno confermato quelle dichiarazioni. Trovo inoltre paradossale la tua considerazione seguente: ‘il Tg1 darà conto delle posizioni delle minoranze ma non stravolgerà i fatti in ossequio a campagne ideologiche”. Posso dirti che l’unica campagna a cui mi dedico è quella dove trascorro i week end con la famiglia. Spero tu possa dire altrettanto. Viceversa ho notato come non si sia levata una tua parola contro la violenta campagna diffamatoria che i quotidiani Il Giornale, Libero e il settimanale Panorama – anche utilizzando impropriamente corrispondenza aziendale a me diretta – hanno scatenato nei miei confronti in seguito alle mie critiche alla tua linea editoriale. Un attacco a orologeria: screditare subito chi dissente per indebolire la valenza delle sue affermazioni. Sono stata definita ‘tosa ciacolante – ragazza chiacchierona – cronista senza cronaca, editorialista senza editoriali’ e via di questo passo. Non è ciò che mi disse il Presidente Ciampi consegnandomi il Premio Saint Vincent di giornalismo, al Quirinale. A queste vigliaccate risponderà il mio legale. Ma sappi che non è certo per questo che lascio la conduzione delle 20. Thomas Bernhard in Antichi Maestri scrive decine di volte una parola che amo molto: rispetto. Non di ammirazione viviamo, dice, ma è di rispetto che abbiamo bisogno”.

E conclude: “Caro direttore, credo che occorra maggiore rispetto. Per le notizie, per il pubblico, per la verità.
Quello che nutro per la storia del Tg1, per la mia azienda, mi porta a questa decisione. Il rispetto per i telespettatori, nostri unici referenti. Dovremmo ricordarlo sempre. Anche tu ne avresti il dovere”. (Beh, buona giornata).

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Attualità Media e tecnologia

Criteri giornalistici.

‘Sono accuse infondate’. Cosi’ la direzione del Tg1 replica alle polemiche nate sui dati dell’Osservatorio di Pavia su un presunto squilibrio a favore della maggioranza. ‘Abbiamo solo seguito un criterio giornalistico – spiegano fonti della direzione – ed e’ chiaro che in un momento come questo, in cui tiene banco la dialettica interna al Pdl, la maggioranza ha piu’ spazio’. Non c’è niente di più divertente dell’ironia involontaria. Beh, buona giornata.

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democrazia Media e tecnologia

Come il direttore del Tg Uno si guadagna lo stipendio.

L’Osservatorio di Pavia realizza per la Commissione di Vigilanza sulla Rai i un rapporto mensile. Secondo l ‘Osservatorio nel mese di Aprile il il Tg1 (il tv governativo, diretto da Augusto Minzolini) ha riservato a tutti i partiti di opposizione (Pd, Udc e Idv in particolare) il 19,6% degli spazi. Il resto se lo spartiscono il governo (43,2%) e i partiti di maggioranza (15%). Ancora più evidente lo squilibrio se si guarda ai politici più presenti in video: sui primi tre gradini del podio ci sono tre esponenti del centrodestra: al primo posto c’è ovviamente Berlusconi, che sul Tg1 delle 20 ha parlato per 667 secondi. Più del doppio del tempo riservato al secondo classificato, il presidente della Camera Gianfranco Fini, che ha fatto sentire la sua voce per 314 secondi, tallonato dal ministro degli Esteri Franco Frattini con 294 secondi. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La matematica non è una scienza esatta, neanche più un’opinione. La matematica è una polemica.

di Marco Ferri-advexpress.it
La matematica non è una scienza esatta, neanche più un’opinione. La matematica è una polemica
15/4/2010
Un milione gli spettatori che avrebbero cambiato canale, giovani o anziani, laureati o diplomati. Questo il bilancio del primo anno di Augusto Minzolini alla guida del Tg1.

Lo dimostrerebbe la rielaborazione dei dati Auditel che il consigliere Rai Nino Rizzo Nervo presenterà al Cda di lunedì.

“È un fazioso e non sa leggere i dati”, ha detto il direttore del Tg1 del consigliere Rai.

“Un conto è il diritto di critica, anche aspra. Altra cosa sono gli insulti. Come presidente del consiglio di amministrazione della Rai, non posso tollerare che un direttore insulti un consigliere”, ha detto il presidente della Rai Paolo Garimberti.

In attesa di sapere se i conti tornano, cioè di scoprire se chi dice di aver ragione ha torto, e se chi ha torto magari ha ragione, la domanda è una, solo una: che in Italia gli scandali siano una opinione lo sapevamo da tempo. Ma mo’ pure la matematica è diventata un’opinione?

Se così è, ditecelo chiaramente, che magari aggiorniamo i libri scolastici dei bimbi delle elementari. E anche i listini Sipra. Grazie. Beh, buona giornata.

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“Se le indagini vengono confermate dalla realtà, allora davvero salta all’aria il giornalismo e lo stesso sistema democratico.”

B “traffica” con Minzolini e Agr e la difesa è: non è mica un reato -di Mimmo Càndito-la stampa.it
Cari internauti. Anche se leggo che già in altri miei post giungono commenti (e indignazione) per quanto sto per trattare in questo post, mi pare giusto dare ugualmente alla notizia un suo spazio specifico.

Sto parlando dell”indagine che riguada il presidente del Consiglio dei ministri Berlusconi, il direttore del Tg1 Minzolini, e il commissario dell”Agenzia di garanzia sulle comunicazioni Innocenzi. L”indagine – lo avrete letto – e l”ipotesi di reato nascono casualmente dai contenuti di una intercettazione relativa ad alcuni soggetti che presuntamente avevano traffici di malaffare in Puglia: nelle intercettazioni su costoro sono finite alcune intercettazioni dalle quali appariva evidente che B faceva pressioni (qualcuno ha scritto: dal tono li trattava come servitori più che come dipendenti!) su Minzolini e Innocenzi, per squalificare “Annozero”, la trasmissione di Santoro in RaiDue, e avere un controllo blindato sulle notziie del Tg1.

Non v”è dubbio che il rilievo di questa storia (rivelata dal giornale “Il Fatto Quotidiano”, di Antonio Padellaro) sia prevalentemente politico. Ma io vi chiederei di prestare attenzione soprattutto a quanto esso disegna della identità del sistema mediale italiano, cioè di una struttura che è fondamentale per una corretta dialettica della democrazia e che appare invece usata spregiudicatamente come forma di un esercizio autoritario (nella sostanza, se non totalmente nella forma) del potere.

Il giornalismo può svolgere il proprio compito di garante della qualità dei processi cognitivi – il giornalismo non produce soltanto notizie ma, soprattutto, conoscenza – fin che si muove in un terreno nel quale la sua dipendenza sia legata soltanto al rispetto della legge; quando questo equilibrio viene violato – e violato non soltanto dai giornalisti ma (se le indagini vengono confermate dalla realtà) addirittura anche dagli istituti di garanzia – allora davvero salta all”aria il giornalismo e lo stesso sistema democratico.

Della drammaticità della deriva in atto mi pare significativa l”affermazione che viene attribuita a B: “e allora, dove sarebbe il reato?”. Che, tradotto, vuol dire: è tutto normale, quello che io ho fatto è regolare e naturale, e non ho violato alcuna legge. Un tempo – prima del belusconismo -anche in Italia si parlava di ” senso dello Stato” ; oggi, in Italia, nemmeno molto giornalismo (non diciamo gran parte della politica) sa più che cosa sia. (Beh, buona giornata).

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