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di Slavoj Zizek – Testo dell’intervento del filosofo sloveno alla convention di Syriza (Grecia)

Al termine della sua vita Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, fece la famosa domanda «che cosa vuole una donna?», ammettendo la perplessità di fronte all’enigma della sessualità femminile. Una simile perplessità sorge oggi:T «Che cosa vuole l’Europa?» Questa è la domanda che voi, il popolo greco, state rivolgendo all’Europa. Ma l’Europa non sa quello che vuole.

Il modo in cui gli stati europei e i media riportano ciò che sta accadendo oggi in Grecia è, credo, il miglior indicatore di che tipo di Europa vogliono. È l’Europa neoliberale, è l’Europa degli stati isolazionisti. I critici accusano Syriza di essere una minaccia per l’euro, ma Syriza è, al contrario, l’unica possibilità che ha l’Europa. Ma quale minaccia. Voi state dando all’Europa la possibilità di uscire dalla sua inerzia e di trovare una nuova via.

Nelle sue note sulla definizione di cultura, il grande poeta conservatore Thomas Eliot ha sottolineato quei momenti in cui l’unica scelta è tra eresia e il non credere. Vale a dire momenti in cui l’unico modo per mantenere il credo, per mantenere viva la religione, è necessario eseguire una diversione drastica dalla via principale. Questo è ciò che accade oggi con l’Europa. Solo una nuova eresia – rappresentata in questo momento da Syriza – può salvare ciò che vale la pena salvare dell’eredità europea, cioè la democrazia, la fiducia nelle persone, la solidarietà egualitaria.

L’Europa che vincerà, se Syriza verrà messa fuori gioco, sarà un’Europa con valori asiatici: e, naturalmente, questi valori asiatici non hanno nulla a che fare con l’Asia, ma con la volontà attuale ed evidente del capitalismo contemporaneo di sospendere la democrazia.
Si dice che Syriza non ha abbastanza esperienza per governare. Sono d’accordo, manca loro l’esperienza di come far fallire un paese, truffando e rubando. Non avete questa esperienza. Questo ci porta all’assurdità dell’establishment della politica europea: ci fa la predica sul pagare le tasse, opponendosi al clientelismo greco e nello stesso tempo ripone tutte le lsue speranze sulla coalizione tra i due partiti che hanno portato la Grecia a questo clientelismo.

Christine Lagarde ha recentemente affermato che ha più simpatia per i poveri abitanti del Niger che per i greci, e ha anche consigliato i greci ad aiutare se stessi pagando le tasse, che, come ho potuto verificare pochi giorni fa, lei non deve pagare. Come tutti i liberali umanitari, ama i poveri impotenti che si comportano da vittime, evocano la nostra simpatia spingendoci a fare la carità. Ma il problema con voi greci è che sì, soffrite, ma non siete vittime passive: resistete, lottate, non volete comprensione e carità, volete solidarietà attiva. Volete e chiedete una mobilitazione, il sostegno per la vostra lotta.

Syriza è accusata di promuovere finzioni di sinistra, ma è il piano di austerità imposto da Bruxelles ad essere chiaramente una finzione. Tutti sanno che questo piano è fittizio, che lo stato greco non potrà mai ripagare il debito, in questo modo. Allora perché Bruxelles impone queste misure? Il vero scopo non è quello di salvare la Grecia, ma ovviamente di salvare le banche europee.
Queste misure non sono presentate come decisioni fondate su scelte politiche, ma come necessità imposte da una logica economica neutrale. Come a dire: se vogliamo stabilizzare la nostra economia, dobbiamo semplicemente ingoiare la pillola amara. Oppure, come dicono i proverbi tautologici: non si può spendere più di quello che si produce. Ebbene, le banche americane e gli Stati Uniti sono stati una grande prova, per decenni, che si può spendere più di quello che si produce.

Per illustrare l’errore delle misure di austerità, Paul Krugman spesso le paragona alla pratica medievale del salasso. Una bella metafora, che ritengo debba essere ulteriormente estremizzata. I medici finanziari europei, a loro volta non sicuri di come questo farmaco funzionerà, stanno usando voi greci come cavie da laboratorio, stanno rischiando il vostro sangue, non il sangue dei loro paesi. Non vi è alcun salasso per le banche tedesche e francesi. Al contrario, quelle stanno ottenendo grandi trasfusioni.

Il buon senso radicale
Dunque Syriza è davvero un gruppo di pericolosi estremisti? No, Syriza è qui per portare un pragmatico buon senso. Per cancellare la confusione creata da altri. I sognatori pericolosi sono quelli che vogliono imporre le misure di austerità. I veri sognatori sono coloro che pensano che le cose possono andare avanti, a tempo indeterminato, così come stanno apportando qualche modifica cosmetica. Voi non siete dei sognatori: voi vi state risvegliando da un sogno che si sta trasformando in un incubo. Voi non state distruggendo nulla, state reagendo al modo in cui il sistema sta gradualmente distruggendo se stesso.

Conosciamo tutti la classica scena del cartone di Tom e Jerry: il gatto raggiunge il precipizio, ma continua a camminare, ignorando il fatto che non c’è terreno sotto i suoi piedi. È solo quando comincia a scendere che guarda verso il basso e si rende conto che c’è il vuoto. Questo è quello che state facendo: state dicendo a chi è al potere, «ehi, guarda giù!» e quelli cadono.

La mappa politica della Grecia è chiara ed esemplare. Al centro c’è un solo partito, con due ali, destra e sinistra, Pasok e Nuova Democrazia. È come, che so, la Cola che è o Coca o Pepsi, una scelta che non è una scelta. Il vero nome di questo partito, se si mettono insieme Pasok e Nd, dovrebbe essere qualcosa, penso, come Nmced, Nuovo movimento ellenico contro la democrazia. Naturalmente questo grande partito sostiene di essere a favore della democrazia, ma io sostengo che sia a favore di una democrazia decaffeinata. Sapete, come il caffè senza caffeina, la birra senza alcool, il gelato senza zucchero. Vogliono la democrazia, ma una democrazia dove invece di compiere una scelta, la gente si limita a confermare quello che saggi esperti diranno loro di fare. Vogliono il dialogo democratico? Sì, ma come nei dialoghi tardi di Platone, dove un ragazzo parla tutto il tempo e l’altro dice solo, ogni dieci minuti, «per Zeus, è così!»

Poi c’è l’eccezione. Voi, Syriza, il vero miracolo, movimento di sinistra radicale, che è uscito dalla comoda posizione di resistenza marginale e coraggiosamente ha segnalato la disponibilità a prendere il potere. Questo è il motivo per cui dovete essere puniti. Ecco perché Bill Freyja ha scritto di recente, sulla rivista Forbes, un articolo dal titolo «Dare alla Grecia quello che merita: comunismo». Cito: «Quello di cui il mondo ha bisogno, non dimentichiamolo, è un esempio contemporaneo del comunismo in azione. Quale miglior candidato della Grecia? Buttatela fuori dall’Unione europea, interrompete il flusso libero di euro e ridategli le vecchie dracme. Poi, state a guardare che succede per una generazione». In altre parole, la Grecia dovrebbe essere punita in modo esemplare, così che una volta per tutte, la tentazione per una soluzione radicale e di sinistra della crisi venga messa a tacere.

So che il compito di Syriza è quasi impossibile. Syriza non è l’estrema sinistra folle, è la voce pragmatica della ragione, che contrasta la follia ideologia del mercato. Syriza avrà bisogno della combinazione formidabile di principi politici e pragmatismo senza radici di impegno democratico, oltre alla capacità di agire rapidamente e brutalmente quando necessario. Perché Syriza abbia una Cialis chance, anche una minima chance di successo, sarà necessaria una solidarietà pan-europea.

Cambiare la Grecia
Per questo penso che voi, qui in Grecia, dovreste evitare il nazionalismo facile, tutti i discorsi su come la Germania vuole rioccupare la Grecia, distruggerla e così via. Il vostro primo compito è quello di cambiare le cose qui. Syriza dovrà fare il lavoro che gli altri avrebbero dovuto fare. Il lavoro di costruzione di uno stato migliore, moderno: uno stato efficiente. Dovrete fare un lavoro di bonifica dell’apparato statale dal clientelismo. È un lavoro duro, non c’è nulla di entusiasmante in questo: è lento, duro, noioso.

I vostri critici pseudo-radicali vi stanno dicendo che la situazione non è ancora quella giusta per un vero cambiamento sociale. Che se prendete il potere ora, non farete che aiutare il sistema, rendendolo più efficiente. Questo è, se ho ben capito, quello che il Kke,, che è fondamentalmente il partito delle persone ancora vive perché si sono dimenticate di morire, vi sta dicendo.
È vero che la vostra élite politica ha dimostrato la sua incapacità di governare, ma non ci sarà mai un momento in cui la situazione sarà completamente giusta per il cambiamento. Se aspettate il momento giusto, il momento giusto non arriverà mai. Quando si interviene, è sempre il momento non proprio maturo. Quindi, avete di fronte una scelta: o aspettare comodamente e guardare la vostra società che si disintegra, come alcuni altri partiti di sinistra suggeriscono, o intervenire eroicamente, pienamente consapevoli di quanto sia difficile la situazione. Syriza ha fatto la scelta giusta.

I vostri critici vi odiano perché, penso, segretamente sanno che voi avete il coraggio di essere liberi e di agire come persone libere. Quando si è davanti agli occhi della gente, quelli che osservano colgono, almeno per un istante, che state offrendo loro la libertà. State osando fare ciò che anche loro sognano di fare. In questo istante, sono liberi. Sono un unicum con voi. Ma è solo un attimo. Torna la paura e vi odieranno ancora, perché hanno paura della loro libertà.

Qual è dunque la scelta che voi, popolo greco, vi troverete ad affrontare il 17 giugno? Si dovrebbe tenere a mente il paradosso che sostiene la libertà di voto nelle società democratiche: siete liberi di scegliere, a condizione che facciate la scelta giusta. Ecco perché, quando la scelta è quella sbagliata, per esempio quando l’Irlanda ha votato contro la costituzione europea, la scelta sbagliata è trattata come un errore. E allora vogliono ripetere la votazione, per illuminare le persone a fare la scelta giusta. È per questo che l’establishment europeo è in preda al panico. Ritengono che forse non meritiate la vostra libertà, perché c’è il pericolo che facciate la scelta sbagliata.

Caffè senza latte
C’è una barzelletta meravigliosa in Ninoska di Ernst Lubitsch: l’eroe entra in una caffetteria e ordina un caffè senza panna. Il cameriere risponde «mi dispiace, ma abbiamo esaurito la panna, abbiamo solo latte. Posso portarle un caffè senza latte?» In entrambi i casi, si avrà solo il caffè, ma credo che la barzelletta sia corretta.

Anche la negazione è importante. Un caffè senza panna non è lo stesso che un caffè senza latte. Voi oggi vi trovate nella stessa situazione: la situazione è difficile. Avrete una specie di austerità, ma avrete il caffè dell’austerità senza panna o senza latte? È qui che l’establishment europeo sta barando. Si sta comportando come se avrete il caffè dell’austerità senza panna. Vale a dire che i frutti della vostra fatica non beneficeranno solo le banche europee: vi stanno offrendo anche il caffè senza latte. Sarete voi a non beneficiare dei vostri sacrifici e difficoltà.

Nel sud del Peloponneso ci sono le cosiddette piangenti, donne che vengono chiamate per piangere ai funerali, a fare uno spettacolo per i parenti del morto. Ora, non c’è nulla di primitivo in questo. Noi, nelle nostre società sviluppate, facciamo esattamente la stessa cosa. Pensate a questa meravigliosa invenzione, penso che sia forse il maggior contributo dell’America alla cultura mondiale: il sottofondo di risate registrate. Le risate che fanno parte della colonna sonora della televisione. Torni a casa stanco, sintonizzi la tv su uno di questi stupidi programmi tipo Cheers o Friends. Ti siedi e la tv ride anche per te. E, purtroppo, funziona.

È così che chi detiene il potere, l’establishment europeo, vuole vedere non solo i greci, ma tutti noi: che guardiamo lo schermo e osserviamo come gli altri sognano, piangono e ridono. C’è un aneddoto, apocrifo ma meraviglioso, sullo scambio di telegrammi tra il quartier generale dell’esercito tedesco e quello austriaco nel mezzo della prima guerra mondiale. I tedeschi inviano un messaggio agli austriaci: «Dalla nostra parte del fronte, la situazione è grave ma non catastrofica». Gli austriaci rispondono: «Dalla nostra parte la situazione è catastrofica, ma non grave».

Questa è la differenza tra Syriza e gli altri: per gli altri la situazione è catastrofica ma non grave, le cose possono andare avanti come al solito, mentre per Syriza la situazione è grave, ma non catastrofica e per questo il coraggio e la speranza devono sostituire la paura. Dunque ciò che avete davanti, per dirla con il titolo di una vecchia canzone dei Beatles, è «una strada lunga e tortuosa». Quando anni fa la guerra fredda minacciava di esplodere in una caldissima, John Lennon scrisse una canzone, «all we are saying is give peace a chance» («tutto quello che stiamo dicendo è dare una chance alla pace»). Oggi, voglio sentire una nuova canzone in tutta Europa, «tutto quello che stiamo dicendo è dare una chance alla Grecia».

La rivoluzione a casa propria
Consentitemi un riferimento a una delle grandi, forse la più grande, delle tragedie classiche, Antigone: non combattere battaglie che non sono le tue battaglie. Nella mia idea di Antigone, abbiamo Antigone e Creonte. Sono solo due sette della classe dirigente. Un po’ come Pasok e Nuova Democrazia. Nella mia versione di Antigone, mentre i due membri delle famiglie reali stanno combattendo tra loro, minacciando di mandare in rovina lo Stato, mi piacerebbe vedere il coro, le voci delle persone, uscire da questo ruolo stupido di mero commento saggio, impadronirsi della scena, costituire un comitato pubblico di potere del popolo, arrestare entrambi, Creonte e Antigone, e dare vita al potere del popolo.

Permettetemi ora di finire con una nota personale. Odio la sinistra tradizionale, intellettuale, che ama la rivoluzione, ma la rivoluzione che avviene in qualche luogo lontano. Era così quando ero giovane: più lontano è, meglio è, Vietnam, Cuba, ancora oggi, Venezuela. Ma voi siete qui e questo è ciò che ammiro. Non avete paura di impegnarvi in una situazione disperata, sapendo quanto le probabilità siano contro di voi. Questo è quello che ammiro. C’è anche un opportunismo di principio, l’opportunismo dei principi. Quando si dice la situazione è persa, non possiamo fare nulla, perché significherebbe tradire i nostri principi, questo sembra essere una posizione coerente, ma in realtà è la forma estrema di opportunismo.
Syriza è un evento unico di come proprio quella sinistra – in contraddizione con ciò che fa la solita sinistra extraparlamentare, che si preoccupa di più se i diritti umani di qualche criminale vengono violati, che di migliaia di esseri umani che muoiono – ha trovato il coraggio di fare qualcosa. (Beh, buona giornata)

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Europa: il debito da sovrano sta diventando tiranno.

di MARIO DEAGLIO-La Stampa.

Visto l’esito della caotica riunione di Bruxelles, non è proprio il caso che il normale cittadino stappi una bottiglia, anche se le Borse hanno brindato a quella che considerano, nel loro orizzonte di brevissimo termine, come la fine di un periodo di incertezza. Dopo una confusa nottata di contrasti e recriminazioni, l’Europa si ritrova pesantemente ridimensionata dal rifiuto inglese.

Un no a un accordo che avrebbe comportato la perdita di autonomia dalla politica economica, alla quale i governi di Londra hanno sempre tenuto moltissimo, in favore di rigide regole generali di stampo tedesco. La mancata stretta di mano tra il presidente Sarkozy e il primo ministro inglese Cameron è quasi il simbolo di questa nuova situazione. Non c’è da illudersi: il Canale della Manica è diventato più largo con un possibile grave svantaggio sia per gli inglesi sia per gli altri europei.
Per l’Europa, la perdita della Gran Bretagna – che a questo punto potrebbe anche uscire completamente dall’Unione Europea, limitandosi a mantenere un accordo doganale – non deriva tanto dalla cospicua sottrazione dal totale europeo del prodotto lordo inglese quanto dall’impoverimento qualitativo di un’Europa così divisa. La Gran Bretagna ha avuto, nell’ultimo secolo, il ruolo storico di controbilanciare, insieme alla Francia, il potere tedesco e di fornire un’alternativa, peraltro ridotta negli ultimi decenni, ai modelli culturali tedeschi. Questo ruolo pare ormai abbandonato mentre Londra si rifugia in un isolamento che non appare tanto splendido e ci si può attendere che rafforzi i suoi legami con gli Stati Uniti; Parigi, dal canto suo, con le elezioni ormai vicine, sembra aver perso l’iniziativa e aver consentito debolmente alle posizioni tedesche. Nel frattempo, le agenzie di rating hanno continuato a declassare allegramente le banche europee.

Tutti avevano sperato che la signora Merkel avrebbe alla fine abbandonato la sua posizione rigida e accettato di fornire qualche facilitazione ai Paesi «meridionali»; invece non è stato così. Grazie anche alle pesantissime pressioni americane, che hanno visto gli interventi coordinati del presidente Obama, del segretario di Stato Clinton e del segretario al Tesoro Geithner, è prevalsa una soluzione che si può definire di tipo «tedesco», che limita la possibilità futura di deficit pubblici nazionali. Le istanze di tipo «francese» e «italiano» per una maggiore flessibilità con l’emissione di titoli sovrani europei (eurobonds), per sviluppi istituzionali che conferiscano a Bruxelles un effettivo potere di governo europeo, con il trasferimento a livello europeo di alcune competenze e di una parte delle imposte nazionali. La Banca centrale potrebbe finanziare questo governo, ma l’intera questione è stata diplomaticamente rinviata a una futura riunione.

Per fortuna, le porte non sono definitivamente chiuse a questa visione europeista. Il «fondo salva Stati», però, continua ad apparire piuttosto esiguo, anche nella sua nuova versione, per far fronte a veri attacchi ai titoli pubblici di qualsiasi paese dell’Unione e il coinvolgimento del Fondo monetario risulta più limitato di quanto fosse inizialmente previsto. I Paesi europei hanno accettato una vera e propria camicia di forza per le loro finanze: il comunicato finale dice chiaramente che i bilanci degli stati membri dovranno essere in pareggio (con un deficit massimo dello 0,5 per cento del prodotto interno) e che questo principio dovrà essere inserito nelle costituzioni dei singoli Stati. Lodevole proposito in una situazione normale, ma nuova complicazione in una situazione di crisi. A un simile risultato si arriverà lentamente ma, se il deficit pubblico supererà il 3 per cento del prodotto interno, scatteranno sanzioni quasi automatiche contro il Paese che non si adegua. È questo il succo della cosiddetta «unione fiscale» che, se gestita in maniera maldestra, rischia di trasformarsi in un abbraccio soffocante.

Tutti i Paesi dell’area euro, Germania compresa, saranno infatti impegnati a seguire politiche pubbliche prevalentemente restrittive anziché politiche più accomodanti. Siccome la congiuntura ha già svoltato verso il basso in molti di questi, ogni vero discorso di ripresa europea appare rinviato; nella stessa, fortissima Germania, è comparso il segno meno nella produzione industriale mentre è vano attendersi forti stimoli extraeuropei, dal momento che la stessa Cina presenta vistosi sintomi di rallentamento. Il 2012 non si prefigura quindi per nessuno come un anno di vacche grasse. E un’Europa in recessione e percorsa da inquietudini sociali potrebbe facilmente trasformarsi nel ventre molle di un’economia globale che sta rapidamente perdendo il sorriso.

A questo punto, l’interrogativo diventa politico: è socialmente sostenibile una simile situazione, oppure i governi europei rischiano di essere travolti da una protesta sociale tanto più grave quanto più disordinata e priva di larghi orizzonti? Quanto dirompente potrebbe essere una simile protesta? Non sarebbe stato preferibile adottare un sentiero più flessibile, consentendo maggiore liquidità al sistema produttivo e bancario e impedendo che tutto sia condizionato da giudizi istantanei di Borse capricciose? Il tempo, senza dubbio, dirà se i leader europei hanno fatto complessivamente una scommessa giusta. I rischi, per l’Europa e l’economia mondiale, non sembrano, in ogni caso, essere stati sensibilmente ridotti ma soltanto trasferiti dall’economia e dalla finanza alla politica e alla società. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia

I satrapi del neo-liberismo promettono lacrime, sangue e bugie.

Dopo l’eurobailout,di Pino Cabras-megachipdue.info

Chissà perché le borse hanno gioito così tanto, dopo l’annuncio dei 750 miliardi di euro approvati nel pieno dell’emergenza della speculazione.
Chissà perché i titoli delle banche si apprezzavano più degli altri.
Sarà perché le banche avevano ormai qualcuno che si impegnava a comprare i loro crediti inesigibili.

La Banca Centrale Europea è ora disposta a creare moneta dal nulla con regole nuove pur di salvarli, banche e banchetti.
Il crescendo di allarmi sui debiti sovrani ha una base autentica, di certo. Quei debiti abnormi ci sono, perché gli Stati si sono sovraccaricati di compiti spesso contraddittori, insostenibili, gravati da corruzioni e clientele portate a consumare oggi le risorse di domani.

Meno autentico è il momento in cui l’allarme viene esasperato. Sono stati gli speculatori a scegliere i tempi e i modi: le iene assaltavano gli gnu più isolati e più piccoli, rendendo un servizio alle bestie più grandi e malate, ma ancora capaci di nascondere il loro stato. Dosando gli allarmi dove volevano i predatori, i tassi di interesse per i titoli di stato greci dovevano salire vertiginosamente e il loro rating precipitare appena sopra il valore della carta straccia: così era facile comprarli a man bassa, con la convenienza nel medio termine di lucrare interessi doppi o tripli rispetto a pochi mesi fa. Stesso meccanismo contro Portogallo e Spagna: profezie che minacciavano di autoadempiersi, nel fragile gioco della finanza sempre basata sulle aspettative.

A coprire gli azzardi dei corsari globali è stata ora definitivamente trascinata la costruzione europea nel suo insieme.
In teoria la finanza dovrebbe lubrificare l’economia sottostante, avrebbe lì la sua giustificazione residua. Invece l’«economia della truffa» in cui siamo sempre più avvitati ha cambiato da molto tempo ragione sociale. La finanza è totalmente diseconomica, succhia risorse dall’economia reale, tosa oltre l’intollerabile i contribuenti, è una bomba a tempo contro qualsiasi infrastruttura della vita civile di interi popoli. La solita cerchia che comprende Goldman Sachs e altre volpi a guardia del pollaio beneficia di questo ulteriore salto del debito e consolida la sua dittatura sulle linfe finanziarie del mondo.

Gli Stati sono stati spinti negli ultimi due anni verso i limiti estremi della loro capacità d’indebitarsi e di sciupare i bilanci. Negli esempi più vistosi, come il debito USA o quello britannico (proprio a casa di chi ci insulta come PIGS) è evidente che i debiti sono oltre la soglia della possibilità di ripagarli. Si possono inventare avvitamenti della spirale sempre più sofisticati, si può fare ad esempio questo “upgrade” europeo, con la BCE che compra l’inacquistabile, ma qualcuno pagherà. Data la dimensione del debito che va a rivelarsi, si pagherà per decenni.

Intanto che i sistemi politici e i mondi sindacali – poiché non hanno un pensiero alternativo all’altezza – evocheranno a lungo come un mantra il miraggio della crescita, dovranno invece da subito fare i conti con il suo contrario, la decrescita.
La decrescita è già in campo. Per ora è congelata, quel tanto che dà respiro ancora ai predatori finanziari, pronti però ad approfittare fra breve della nuova corsa ai differenziali d’interesse fra economie irrimediabilmente ingolfate ed economie appena più in salute.

Le lacrime e sangue imposte dai banchieri degraderanno la base contributiva e perciò le finanze pubbliche, sempre meno in grado di fronteggiare l’aumento della disoccupazione e della integrazione dei redditi di chi è costretto a sospendere il lavoro.

I 750 miliardi del “bailout” all’euro sono una cifra enorme, decisa in un weekend. Dovrebbe valere la pena stanziarli per un obiettivo in grado di coincidere con interessi profondi dei popoli coinvolti. A ben pensarci, però, questa cifra servirà solo a tenere in piedi un sistema che avrebbe senso se facesse il suo mestiere, cioè dare credito a chi fa impresa, ma che invece ne fa un altro: scremare risorse in favore di un gruppo di criminali legalizzati. Loro, i protagonisti principali della crisi delle finanze private, hanno passato il testimone alle finanze pubbliche. Il sistema bancario ombra non si taglia nulla. Gli Stati taglieranno stipendi e scuole, come già fanno, e molto molto altro.

Ogni tanto un Obama, una Merkel o un Sarkozy promettono sfracelli contro i padroni di Wall Street. Ma dopo un po’ si sbracano e offrono altra liquidità, a botte di centinaia di miliardi. Verranno ripagati con totale ingratitudine da Soros a dagli altri filantropi del suo stampo. Perché questi prima si fanno salvare, poi – autodefinendosi come «i Mercati» – pretenderanno che gli Stati si dimostrino meno cicale e più formiche, con i soliti tagli e le solite ricette da massacro sociale che funzioneranno come le patologie iatrogene, malattie di cui credono di essere la cura. L’erario si assottiglierà fino a fornire il pretesto per rinnovati allarmi-insolvenza.

A quel punto, la cura proposta per il disastro provocato dalle banche e dalle tecnocrazie finanziarie sarà: più banche e più tecnocrazie.

Loro infatti non si espongono e non appariranno. La faccia esposta alla rabbia dei defraudati sarà quella dei Papandreu di turno, dei politici sempre meno votati e meno legittimati (già dilaga l’astensionismo alle urne), mentre le facce di bronzo, le lingue di legno e i culi di pietra dei Goldman Draghi irradieranno il rassicurante tepore della tecnofinanza.

Quei 750 miliardi decisi nel weekend dal Consiglio Economia e Finanza dell’Unione Europea non servono dunque agli interessi profondi dei popoli coinvolti. Per poter servire avrebbero dovuto essere accompagnati da misure drastiche di altro tenore: abolire i derivati, punire con mandati di cattura internazionali chi pratica le tecniche ribassiste, chi usa gli algoritmi per le speculazioni da realizzare in frazioni di secondo e tutto il casinò delle sofisticherie tecnofinanziarie che usurpano la parola «mercati». L’Europa doveva semplicemente ricollocare tutto ciò sotto la fattispecie «truffa».

Non sarebbe stato uno scandalo nazionalizzare le banche. E anziché promettere in caso di necessità l’acquisto dei bond dalle banche, gli Stati avrebbero dovuto dotarsi della possibilità di acquistarli direttamente. Il boss della Goldman Sachs, il signor Lloyd Blankfein, avrebbe così abbassato la cresta, specie se gli fosse arrivato anche un simpatico avviso che gli spiegasse di non mettere piede in Europa per i prossimi 50 anni.

La globalizzazione avrebbe avuto una svolta equilibratrice. Così però non è stato.

Il re neoliberista è nudo. E dobbiamo urlarlo con forza. Le sue ricette non hanno legittimità, né possono più proclamarci che “There Is No Alternative”. La TINA è finita. Prima la politica lo capirà, meglio sarà. I partiti che in questi anni hanno solo provato a temperare con retorica compassionevole l’agenda neoliberista non l’hanno ancora capito. Ma in giro si muovono altri spettri, che parlano di un’altra politica e un’altra economia. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia

Come fa chi ha provocato la crisi a farci uscire dalla crisi? Semplice: ci tolgono i soldi dalle tasche, ci tolgono il futuro del futuro dei figli. E’ il neo-liberismo, bellezza!

E’ cominciata: tutta l’Europa per sopravvivere “mette le mani nelle tasche” dei suoi cittadini-blitzquotidiano.it

Piaccia o no ai governi dei singoli Stati, l’Europa per sopravvivere e non fare bancarotta “metterà le mani nelle tasche” di greci, spagnoli, portoghesi, francesi, tedeschi, inglesi, italiani…I governi di tutta Europa se lo sono reciprocamente promesso, non avevano alternative. Si sono però “dimenticati” di dirlo con chiarezza ai rispettivi governati. Per questa “omissione” hanno una sola robusta ma insufficiente attenuante: i cittadini di ogni paese fanno fatica a capire prima ancora che a digerire. E quindi, poichè non c’è “miglior sordo di chi non vuol sentire”, i governi mormorano, borbottano ma non parlano chiaro. Ogni giorni i cittadini d’Europa leggono o sentono in tv: 700 e passa miliardi stanziati come scudo per la crisi finanziaria. Oppure: la Bce compra i titoli di Stato dei paesi in forte deficit. I cittadini leggono, sentono e archiviano il letto e il sentito nel “cestino” di ciò che non li riguarda direttamente, di ciò che non tocca le loro tasche. I cittadini pensano, ostinatamente vogliono pensare che quei miliardi e quei soldi siano soldi di “altri”, soldi degli Stati e delle Banche Centrali. Così non è, presto i cittadini d’Europa vedranno che sono soldi “loro” perchè i soldi degli “altri” non esistono se non nella fantasia.

E’ fresca d’inchiostro la nuova ipotesi di “Patto economico” elaborata dalla Commissione Europea che i governi nazionali dovranno sottoscrivere la prossima settimana. C’è scritto che bisogna “prevenire” i casi di eccessivo defcit e debito pubblici. Che tutti i paesi devono sottostare ad esame e verifiche semestrali di quanto spendono, che chi sfora incassa “sanzioni automatiche”, che le sanzioni sono di fatto multe in denaro che finiscono in “depositi fruttiferi” che i songoli governi non amministrano più. C’è scritto insomma che la politica economica e finanziaria dei singoli paesi deve essere “coerente” con quella di tutti gli altri Stati. C’è scritto che italiani, francesi, tedeschi, spagnoli, portoghesi, greci e tutti gli altri devono reciprocamente rendersi conto di come spendono i loro euro. Diminuzione di sovranità per ogni paese? Certamente sì. Ma, se non piace, Barroso, presidente della Commissione Europea, parla chiaro: “Se i governo non vogliono l’unione economica, tanto vale dimenticarsi dell’unione monetaria e rinunciarvi”. Se non piace, addio euro, ciascun per sè e dio per tutti. I paesi deboli svaluteranno la moneta e avranno la maxi inflazione, i paesi debolissimi avranno default e bancarotta, quelli forti si faranno male ma sopravviveranno.

Vale la pena di “tradurre” cosa significhi il nuovo “Patto economico”, quello senza il quale l’Europa si scioglie e l’euro si squaglia e ciascuno resta solo con i suoi debiti. Significa che entro il 2012/2013 tutti i paesi d’Europa devono avere un deficit annuo rispetto al Pil intorno al tre per cento (l’Italia è sopra il cinque, la Grecia intorno al 15, Gran Bretagna e Spagna intorno al dieci…). Significa anche che chi ha un debito pubblico pari o superiore al cento per cento del Pil, qui purtroppo l’Italia guida la classifica dei debitori, deve smetterla di accumulare debito. Deve smetterla se vuole che dei suoi debiti rispondano e siano garanti anche gli altri Stati, governi e cittadini europei.

In Spagna Zapatero ha già “tradotto”: meno cinque per cento di stipendio ai dipendenti pubblici. Ha “tradotto” a denti stretti Zapatero, ma non poteva non “tradurre”. “Traduzione” portoghese: meno sei per cento sugli stipendi pubblici e privatizzazione di grandi compagnie pubbliche, cioè meno soldi per i dipendenti e meno dipendenti. Traduzione francese: meno dieci per cento complerssivo della spesa pubblica, regola del pensioni due e assumi uno nella Pubblica amministrazione, cancellazione di 500 esenzioni e agevolazioni fiscali per le aziende private. Traduzione tedesca: addio al calo delle tasse promesso in campagna elettorale. Traduzione greca: via la tredicesima e la quattordicesima per i pubblici dipendenti, stipendi congelati per i dipendenti privati, aumento dell’Iva. La traduzione inglese ancora non c’è, Cameron si è appena insediato ma tutti sanno che i Conservatori taglieranno le spese per il Welfare britannico, nè i laburisti avrebbero potuto fare diversamente se avessero vinto le elezioni.

E la “traduzione” italiana qual è? Per ora suona come 26 miliardi di minor spesa in due anni, per ora. Due miliardi in meno tra Sanità e spesa farmaceutica, circa dieci miliardi in meno di spesa tra ministeri ed Enti locali, probabile blocco dei contratti, cioè niente aumenti di stipendio per i dipendenti pubblici. E niente calo delle tasse, neanche a parlarne. Forse addirittura un rinvio del federalismo se federalismo dovesse significare maggior spesa immediata prima dei vantaggi futuri.

Tutti dunque “metteranno le mani nelle tasche” dei loro cittadini. E lo faranno perchè altrimenti quelle tasche si “sfondano” o restano piene di soldi svalutati o di debiti impossibili da garantire. Sarà dura, amara, inevitabile e sarà meglio di ogni possibile alternativa. Sarebbe anche meglio che ce lo dicessero, con coraggio politico e civile. Più ce lo nascondono e più allevano una reazione isterica delle pubbliche opinioni, quella reazione che vogliono evitare. (Beh, buona giornata).

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Altro che percentuali elettorali: la disoccupazione giovanile in Italia è al 28,2 per cento.

Vola a febbraio il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni), attestandosi a quota 28,2%. La disoccupazione tra i giovani cresce di 0,8 punti percentuali rispetto a gennaio e di 4 punti percentuali rispetto a febbraio 2009. Lo rende noto l’Istat nella stima provvisoria di febbraio relativa a occupati e disoccupati. I tecnici dell’Istituto sottolineano che il tasso italiano è superiore di 7,6 punti rispetto a quello relativo alla Ue-27 (20,6%). Resta stabile invece il tasso complessivo a 8,5%, con una variazione congiunturale nulla ma in crescita di 1,2 punti percentuali rispetto a febbraio 2009. Il mese scorso sono stati persi 395 mila posti di lavoro. A perdere il lavoro sono stati soprattutto gli uomini: 294 mila a fronte di 101mila donne. Beh, buona giornata.

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Negli USA e nella UE, la fiducia nella ripresa è disoccupata.

Disoccupazione da record negli Usa nel mese di giugno. Il tasso è infatti salito al 9,5 per cento e sono stati persi 467 mila posti di lavoro. E’ il livello massimo dal 1983. “Ci vorranno ancora mesi per uscire dalla crisi” è stato il commento del presidente Usa Barack Obama. E da Francoforte il presidente della Bce ha confermato: “La ripresa ci sarà solo a metà del 2010”.

Aumento disoccupati anche nell’Ue. La disoccupazione è in aumento anche in Europa. A maggio il tasso nei Paesi di Eurolandia si è attestato al 9,5 per cento secondo i dati Eurostat. La situazione migliore è in Olanda (3,2 per cento) e la peggiore in Estonia (15,6 per cento). L’Italia è sotto la media europea al 7,4 per cento. Per tutta l’Unione europea l’aumento è dell’8,9 per cento rispetto all’8,7 di aprile ed il 6,8 del maggio 2008. In questo caso siamo al livello più alto da giugno 2005. Beh, buona giornata.

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Per fronteggiare la crisi il governo italiano ha investito solo 0,2 del Pil. Ecco perché siamo nei guai fino al collo.

Manovre anti-crisi Italia fanalino di coda di LUCA IEZZI

La reazione c’è stata, ma il fiume di denaro pubblico già versato difficilmente basterà e sulla sua efficacia si sbilancia solo il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Khan: “I pacchetti fiscali forniranno da 1 e 3 punti percentuali in più alla crescita quest’anno”. I suoi economisti sono più dubbiosi: i paesi del G20 hanno sì stanziato il 2% del loro Pil nei pacchetti anti-crisi ma lo sforzo “dovrà essere sostenuto, se non aumentato nel 2010”. E lo stesso Strauss-Khan ammonisce: “Con le politiche fiscali c’è un tempo per la semina e uno per la raccolta, e le politiche espansive di oggi devono andare per mano con politiche rigorose domani”.

Sull’individuazione di quel “domani” il dibattito è aperto: i deficit 2009 esploderanno. Nella Ue la Spagna ha approvato una manovra pari al 2,3% del Pil di quest’anno, la Germania 1,6%, l’Inghilterra 1,4%, difficilmente potranno replicare. L’entità della scommessa appare evidente se si mettono in fila le cifre assolute dei piani per lo più triennali gli Stati Uniti fornirà all’economia 787 miliardi di dollari (620 miliardi di euro) tra questo e l’anno prossimo, senza contare gli oltre 700 stanziati nel 2008 per sostenere il sistema finanziario.

L’Unione Europea si è mossa in ordine sparso e ogni governo ha guardato alle crisi più pesanti nel proprio cortile (le banche per il Regno Unito, l’industria automobilistica per la Germania, la disoccupazione in Spagna e il debito pubblico in Italia), variando così ripartizione e entità di ogni dei singoli pacchetti. Sommati arrivano a 350 miliardi di euro spalmati in più anni, in cui vanno considerati anche lo sforzo messo a carico sul bilancio comunitario: 30 miliardi per progetti comunitari e 50 a sostegno dei paesi dell’Est europa.

Non mancano però i punti comuni che li rendono in qualche modo confrontabili: negli aiuti alle famiglie lo sforzo maggiore lo ha fatto la Germania con 20 miliardi di mancate entrate per la riduzione delle aliquote fiscali, segue la Spagna con 14 miliardi. Nella riduzione del peso fiscale per le imprese e nel sostegno ai flussi di credito testa a testa tra Spagna e Francia (17 a 16 miliardi). Negli investimenti in infrastrutture stravince le Germania (25 miliardi).

Discorso a parte per l’Italia, secondo l’Fmi solo lo 0,2% del Pil – poco meno di 2,8 miliardi e un decimo della media mondiale – è utilizzabile come stimolo: qualche modifica in corsa alla Finanziaria e i due miliardi del dl anti-crisi che ha incentivato gli acquisti di auto moto ed elettrodomestici. Il governo dichiara invece un pacchetto da 40 miliardi di cui 16 nel 2009. La spiegazione di tale discrepanza sta nella relazione del ministero del Tesoro (Ruef): “Il governo è intervenuto soprattutto anticipando l’approvazione della manovra a giugno. A settembre quando la crisi finanziaria si è rivelata nella sua gravità, pur prevedendo interventi sostanziali non ha alterato gli effetti della manovra” che prevedeva il taglio della spesa pubblica di 59,4 miliardi in 3 anni. Una scelta mai rinnegata e che zavorrerà la ripresa nazionale. (Beh, buona giornata).

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Il paradosso tutto italiano delle elezioni europee: “viviamo europeo schivando il pensare europeo.”

L’Europa sparita
di BARBARA SPINELLI-La Stampa

Delle molte questioni su cui voteremo a giugno ce n’è una, continuamente citata, di cui non si parla praticamente mai: l’Europa e il suo Parlamento. Al massimo si dice che le urne non vanno disertate, che certi candidati sono incompetenti. Ma cosa significhi il voto che avverrà in 27 Paesi dell’Unione, cosa sia l’Europa in questo momento di crisi e mutazione: nulla se ne sa e quel che regna è silenzio o nascondimento, escamotage. L’italiano sa qualcosa sulle amministrative, qualcosa sul referendum, ma dell’Europa visto che non se ne parla non sa che idea farsene. Per il singolo resta una realtà un po’ astratta, che non gli appartiene veramente. Se l’affluenza sarà bassa sentiremo dire che l’Unione «è lontana dai cittadini», di nuovo.

Invece l’Europa ci è enormemente vicina, è la metà almeno della nostra esistenza. Già da decenni ha trasformato la nostra cittadinanza, che non è più una soltanto. Ogni italiano è al contempo cittadino europeo, e se ancora non pensa europeo già vive come tale.

Abbiamo una sola moneta, son cadute le frontiere interne all’Unione, e anche il diritto è comune in tante cose: più della metà delle decisioni che determinano la nostra vita quotidiana non sono prese nello spazio nazionale, ma in quello europeo.

Lo studioso Ulrich Beck scrive: «Nelle società etichettate come “nazionali” non c’è più un solo angolo libero dall’Europa» (Lo sguardo cosmopolita, Carocci 2005). Di fatto siamo già cittadini con varie identità, non per ideologia ma perché ci muoviamo in una doppia o tripla realtà (nazionale e cosmopolitica-europea).

Viviamo europeo schivando il pensare europeo, tuttavia. Di questa grande menzogna (che Beck chiama nazionalismo metodologico) sono responsabili le classi dirigenti di ogni Paese membro. La realtà che viviamo la eludono non solo i governi ma sindacati, imprenditori, intellettuali, giornalisti. Tutti costoro distinguono l’interesse nazionale dall’europeo, come se l’Europa non fosse, oggi, il luogo dove viene massimizzato sia l’interesse vero delle nazioni, sia quello del singolo cittadino che ha bisogno d’esser tutelato in ambedue le sfere pubbliche. Che in ambedue i casi ha bisogno di interlocutori forti, dunque di avere anche in Europa un governo funzionante: imputabile, censurabile come in patria. Le sfere pubbliche cui apparteniamo sono ormai multiple: comunali, nazionali, europee, mondiali. Si può ignorarlo – proprio in questi giorni il governo l’ha ignorato, respingendo 227 migranti in mare senza dar loro la possibilità (prescritta dalla Convenzione di Ginevra) di chiedere asilo, ma l’ignoranza è scusa debole e spesso pretestuosa.

La menzogna nazionalista non cade dal cielo: nasce accampando ragioni poco nobili che pretendono d’esser realistiche pur non essendolo affatto. Qui è l’escamotage, la realtà fatta sparire cambiando le carte in tavola: il trucco serve a fingere una sovranità nazionale assoluta, a nascondere il fatto che essa è parzialmente delegata ormai a una nuova res publica, parallela alla nazione. La menzogna sabota il pensare europeo ma non sventa la costante, cocciuta ribellione della realtà. I cittadini lo sanno: le situazioni cambiano a seconda dei Paesi, e gli Stati-nazione mantengono ampia egemonia legislativa in settori chiave. Ma gran parte della legislazione nazionale è oggi di origine europea (consumatori, ambiente, mercato interno ecc).

L’Europa non è un organo internazionale che alcuni utopisticamente vorrebbero federale, dotato di costituzione. I più grandi studiosi sostengono che è un’istituzione da tempo costituzionalizzata, visto che soggetti del suo ordinamento non sono solo gli Stati (come nei trattati inter-nazionali) ma anche i cittadini. E i cittadini lo sono molto concretamente: a partire dai primi Anni 60, il diritto europeo ha il primato sulla legislazione nazionale e si applica immediatamente. L’Unione è incompiuta, non ha gli attributi basilari del costituzionalismo, ma questo non le vieta d’essere fin d’ora costituzionalizzata, sostiene il giurista Joseph Weiler (La Costituzione dell’Europa, Mulino 2003).

Certo l’Unione è gracile, spesso afona: abbarbicati al diritto di veto, gli Stati le impediscono di governare. Certo il suo Parlamento dovrebbe avere più poteri, nonostante ne abbia già parecchi (l’accettazione o rifiuto della Commissione, ad esempio). Alcuni dubitano che sappia fronteggiare l’odierna crisi economica, il che è giusto, e aggiungono che le regole di Maastricht son datate, intralciando un rilancio simile a quello di Obama perché troppo severe sui deficit pubblici. Quest’ultima critica non tiene conto d’un fatto: se l’America avesse rispettato regole come le nostre, vigilando sull’indebitamento eccessivo pur di salvaguardare lo Stato sociale, una catastrofe così vasta non l’avrebbe conosciuta.

L’europeizzazione del nostro quotidiano è un’evidenza, che intacca profondamente gli Stati-nazione e le loro sovranità presunte. Ma anche la menzogna intacca, la crisi ne ha dato la prova: limitandosi al coordinamento, i ministri dell’Unione hanno evitato azioni comuni che avrebbero salvaguardato assai meglio gli interessi nazionali e delle persone. Non hanno pensato europeo. Il coordinamento è fra Stati, non è un agire comune, e quel che Jean Monnet disse nel ‘40 vale tuttora: «Il coordinamento è un metodo che favorisce la discussione, ma non sfocia in decisione. È espressione del potere nazionale, non creerà mai l’unità». La menzogna nazionalista delle élite è questa, secondo Beck: «Esse deplorano la burocrazia europea senza volto, ovvero il congedo dalla democrazia, e quindi partono dall’assunto totalmente irreale secondo cui ci sarebbe un ritorno all’idillio nazional-statale». Un ritorno irrealistico, anche se travestito da Realpolitik. Prendiamo Andrea Ronchi, ministro delle politiche europee: ogni volta che parla, è per dire che «ci sono eurocrati» rovinosi per l’Europa. È falso: rovinosi sono gli Stati-nazione. Numerosissime decisioni eurocratiche lamentate dai governi son prese da loro stessi, nei Consigli dei ministri. Ronchi non dice il vero, con l’aggravante che forse neppure lo sa. L’immaginario nazionale resta ficcato nelle menti perfino quando la realtà lo smentisce: «Diventa uno spettro sentimentale, un’abitudine retorica in cui gli impauriti e i confusi cercano un rifugio e un futuro» (Lo sguardo cosmopolita, p. 225).

La svolta non può che venire dal cittadino, se comincia a ragionare cosmopoliticamente. Se vota partiti e uomini che vogliono più Unione, non meno. Il disastro climatico è tema essenziale in Italia, perché ha confermato quanto la destra sia allergica all’Europa. Lo dimostra la mozione sul clima che il Senato ha approvato il 18 marzo, criticata da Marzio Galeotto sul sito La Voce e da Mario Tozzi su La Stampa. Una mozione che il ministro Prestigiacomo definisce legittima anche se non vincolante, ma che pur sempre chiede al governo di non accettare gli ideologici piani dell’Unione (emissioni gas serra ridotte del 20 per cento, utilizzazione di energie alternative pari al 20 per cento del fabbisogno, riduzione del 20 per cento della richiesta di energia entro il 2020).

Oggi il pensare europeo è debole ovunque, soprattutto a destra ma anche a sinistra. Non stupisce, perché il salto è impervio. Si tratta nientemeno di consentire a una seconda conquista della laicità, nella storia d’Europa. Prima venne la separazione della politica dalla religione. Adesso s’impone l’atto laico numero 2: la separazione fra Stato e nazione. Senza demolire lo Stato, ma facendo combaciare la nazione con le sue sfere pubbliche molteplici. Sarà un atto non meno decisivo della caduta del Muro, e anche qui varrà quel che Gorbaciov disse al cieco regime comunista tedesco, nell’ottobre ‘89: «Chi arriva in ritardo, la vita lo punirà». (Beh, buona giornata).

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Leggi e diritto Media e tecnologia

Il Parlamento europeo ha deciso:” l’accesso a internet può essere negato in caso di download illegale solo in seguito di un ordine del giudice e non su semplice decisione amministrativa”.

Internet e copyright, l’Europa boccia le norme contro il download illegale-La Stampa.

L’Europarlamento ha bocciato, con una larga maggioranza, le nuove norme Ue che avrebbero permesso alle autorità amministrative degli Stati membri di tagliare l’accesso a internet agli utenti che scaricano illegalmente contenuti sottoposti a copyright, così come prevede una legge attualmente in discussione in Francia.

Con 407 voti a favore, 57 contrari e 171 astenuti, gli eurodeputati hanno approvato un emendamento in cui si conferma la posizione dell’Europarlamento secondo cui l’accesso a internet può essere negato in caso di download illegale solo in seguito di un ordine del giudice, e non su semplice decisione amministrativa.

La decisione non coinvolge il sito “Pirate Bay”, chiuso per aver divulgato materiale audio e video violando il copyright. Infatti il sito è stato chiuso dopo un ordine del giudice, che ha inoltre condannato ad un anno di carcere ed al pagamento di oltre un milione di euro di multa i suoi due fondatori. (Beh, buona giornata).

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