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Leggi e diritto Popoli e politiche

Mr Dick Cheney continua a mostrare i muscoli.

da blitzquotidiano.it

L’ex-vice-presidente degli Stati Uniti, Dick Cheney, ha accusato il presidente Obama di aver messo a repentaglio la sicurezza del Paese, con i suoi tagli alla difesa ed altre iniziativese e di aver reso piu’ probabili altri attacchi terroristici come quello alle Torri Gemelle.

Nella sua prima intervista televisiva da quando ha lasciato la Casa Bianca, rilasciata alla Cnn, Cheney ha criticato le dicisioni di Obama di chiudere il centro detentivo di Guantanamo, di aver messo fuori legge l’uso della tortura negli interrogatori dei sospetti terroristi e di aver sospeso per costoro i processi condotti dalle autorita’ militari.

”Credo – ha detto l’ex-vice di George Bush – che alcune delle iniziative annullate da Obama fossero assolutamente necessarie. Noi le abbiamo usate per prevenire altri attacchi contro gli Stati Uniti, e tutto è stato fatto legalmente ed in accordo con i principi della nostra costituzione”.

Le critiche di Cheney ad Obama non sono finite qui. Ha anche deplorato la nomina di Christopher Hill a nuovo ambasciatore a Bagdad.

”Non e’ l’uomo che io avrei scelto – ha dichiarato Cheney – perchè non possiede talento e nessuna delle qualità che ha il suo predecessore Ryan Cocker”.

FONTI INFORMATIVE
The Huffington Post

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di Paul Joseph Watson – Prison Planet.com

Il premiato reporter investigativo Seymour Hersh ha sganciato un’altra delle sue bombe questa settimana, quando ha rivelato che l’ex vice-presidente Dick Cheney disponeva di una sua unità di assassinio politico in stile SS che faceva capo direttamente a lui.

Martedì [10 marzo 2009] Hersh, dinanzi alla platea della University of Minnesota, ha affermato: «Non avevo ancora parlato di ciò dopo l’11/9, ma la CIA era profondamente coinvolta in attività all’interno della nazione contro persone ritenute nemiche dello Stato. Senza averne alcuna autorità giuridica. Non sono stati ancora chiamati a rispondere di questo».

Hersh poi è passato a descrivere in che modo il Comando congiunto delle operazioni speciali (JOSC) è stato un unità di assassinio politico che ha compiuto omicidi politici all’estero. «Si tratta di un braccio speciale della nostra comunità delle operazioni speciali che si muove in modo indipendente», ha spiegato. «Non devono fare rapporto a nessuno, tranne che nel periodo Bush-Cheney, quando riferivano direttamente all’ufficio di Cheney. Il Congresso non ha alcun controllo su di esso.»

La rivelazione che Cheney disponeva di una sua unità privata di assassinio non raffigura un quadro troppo lontano dalla famigerata SA (Sturmabteilung) di Hitler, la tanto temuta ala paramilitare del partito nazista, che fu utilizzata per colpire, torturare e uccidere gli oppositori politici del partito nazista nella Germania degli anni Trenta né dalle Waffen-SS, che successivamente furono utilizzate in guerra per compiere esecuzioni e crimini di guerra.

Le SA furono più avanti prese di mira da Hitler nel corso della Notte dei Lunghi Coltelli, una brutale purga volta a eliminare degli avversari politici sia all’interno che all’esterno del partito nazionalsocialista. Centinaia di persone furono liquidate a sangue freddo dalla Gestapo e dalle SS.

Significativamente, i tribunali e il governo tedeschi rapidamente spazzarono via secoli di leggi che proibivano le esecuzioni stragiudiziali per dimostrare la loro fedeltà a Hitler. Le Waffen-SS furono ritenute non perseguibili, nonostante fossero flagrantemente coinvolte in crimini di guerra patenti e in corso, così come in omicidi a livello interno.

Il Comitato congiunto delle operazioni speciali, l’unità di assassinio in capo a Cheney, è anche descritto come un settore di operazioni ‘extra-legali’.

«Si tratta essenzialmente di un circuito esecutivo per gli assassinii, ed è andato avanti a oltranza», ha affermato Hersh. «Sotto l’autorità del Presidente Bush, si sono introdotti in certi paesi senza parlare con l’ambasciatore né con il capo della stazione CIA, e lì hanno rintracciato delle persone prese da un elenco, le hanno uccise e poi se ne sono andati. Questa cosa è continuata, in nome di tutti noi».

Ed è ancora in corso. Nessuno dei capovolgimenti degli ordini esecutivi di Bush da parte di Obama dice nulla circa l’abolizione del Comitato congiunto delle operazioni speciali. Di fatto, l’unità speciale è parte integrante degli ampiamente intensificati bombardamenti di Obama e delle altre incursioni in Pakistan. (Beh, buona giornata).

Traduzione per Megachip a cura di Paolo Maccioni e Pino Cabras.

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Finanza - Economia Popoli e politiche

La crisi, gli Usa e l’Ue.

di Francesco Giovazzi da corriere.it

Ricordate i mesi successivi all’11 settembre 2001? Molti si erano convinti che si fosse chiusa una fase storica — era iniziata a Vienna nel 1683 con la sconfitta dell’impero Ottomano — che aveva consentito all’Occidente di esercitare per tre secoli la propria egemonia sul mondo. Pensavano che quell’egemonia fosse in pericolo, forse era finita per sempre. Preoccupazioni oggi in gran parte dimenticate: non perché il problema dei rapporti fra l’Occidente e l’Islam non sia reale, ma perché lo è ora così come lo era prima dell’11 settembre.
Qualcosa di simile accade oggi.

Uno straordinario paragrafo del Capitale di Karl Marx — in cui il filosofo tedesco prevede (nel 1867) che i debiti dei lavoratori avrebbero fatto fallire le banche, determinando il passaggio dall’economia capitalista al comunismo — viene richiamato per argomentare che il capitalismo è finito. «L’apertura dei mercati conteneva le radici della propria distruzione», ha scritto Martin Wolf sul Financial Times. «L’epoca della liberalizzazione finanziaria è finita, ma, come negli anni Trenta, non disponiamo di alternative credibili». Il ministro Giulio Tremonti cerca di immaginarle, prefigurando l’abbandono di un sistema fondato sulle leggi dell’economia e sui prezzi di mercato e la sua sostituzione con uno fondato sul diritto, sul conto patrimoniale e sui controlli giurisdizionali e amministrativi.

Il mio sommesso parere è che si tratti di discussioni sterili, che probabilmente faranno la fine dei dibattiti sul declino dell’Occidente, e soprattutto pericolose. Che cosa dovrebbe fare un imprenditore che si lasciasse sedurre da simili visioni? Combattere per far sopravvivere la sua azienda, magari investendovi i profitti accumulati in decenni di lavoro? Se si convince che nel nuovo mondo vi sarà più Stato e meno mercato, meno concorrenza, maggiori ostacoli alle esportazioni, chiude tutto e si ritira in campagna.

Alcuni anni fa le riflessioni sul futuro dell’Occidente erano al centro del dibattito anche negli Stati Uniti; oggi invece la domanda se il capitalismo sopravvivrà affascina gli europei ma non gli americani. E non perché negli Usa non ci si renda conto che la crisi ha evidenziato gravi carenze nel funzionamento e nella regolamentazione dei mercati finanziari. Ma, a differenza dell’Europa, gli americani (o almeno la maggior parte di essi) pensano che le regole fossero cattive non perché vi sia qualcosa di sbagliato nel capitalismo, ma semplicemente perché si era consentita troppa (non troppo poca) vicinanza fra politica ed economia. E quindi sono comprensibilmente scettici di fronte a chi propone di affidare alla politica la guida dell’economia (è interessante a questo proposito il dibattito sulla nazionalizzazione delle banche dove il punto centrale, cui nessuno in Europa mai accenna, è come evitare che i risparmiatori che posseggono azioni delle banche vengano espropriati).

Vi è anche una percezione molto diversa delle priorità. Gli europei possono permettersi di giocare a Monopoli con il futuro del capitalismo — e guardare altrove indispettiti quando i nostri vicini dell’Europa centrale chiedono di essere aiutati ad evitare il collasso economico e politico — perché tanto a salvare Polonia, Ucraina e Lettonia ci pensa il Fondo monetario internazionale. E quale è l’unico Paese che sinora ha dato al Fondo le risorse per farlo? Il Giappone, che non è esattamente confinante con l’Ucraina. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Lavoro

Crisi globale: sta arrivando la resa dei conti?

di Richard C. Cook (*) – «Global Research» da megachip.info

Il presidente Barack Obama ha mostrato un sacco di audacia nell’affrontare il Congresso la notte scorsa al momento di pronunciare il suo primo discorso alle camere riunite. Tutti i fronzoli del potere erano in mostra quando i membri della Camera e del Senato, della Corte suprema, i capi di stato maggiore riuniti, il gabinetto, e gli ospiti VIP si abbracciavano e si stringevano le mani, raggianti nei loro abiti su misura, appena due notti dopo che le star di Hollywood avevano allestito il loro show nella notte degli Oscar.

Peccato che né il presidente né il vicepresidente Joe Biden e la Speaker della Camera Nancy Pelosi che applaudivano sul podio dietro di lui, né i festanti democratici con la loro solida maggioranza, né gli scontrosi repubblicani che ciondolavano in minoranza lungo il corridoio, sappiano che cosa stiano facendo ora che l’estinzione economica fissa da vicino il volto degli Stati Uniti d’America.

Sì, va proprio così male. Il giorno dopo il discorso il Dow-Jones è sceso a 7.271, quasi il 50 per cento rispetto al picco di ottobre 2007, senza che il fondo sia in vista. Secondo il «Washington Post», le tre grandi case automobilistiche stanno ora per affrontare un crollo dal basso verso l’alto delle loro di linee di fornitura di componenti se la loro vasta rete di fornitori non riceverà nuovi prestiti federali entro una settimana. Anche nel mondo la situazione è altrettanto grave. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro dell’ONU comunica:

«Quella che all’inizio era una crisi dei mercati finanziari è rapidamente diventata una crisi occupazionale globale. La disoccupazione è in aumento. Il numero di lavoratori poveri è in aumento. Le aziende stanno andando sotto.»

Il discorso del Presidente Obama è stato lungo quanto a determinazione, ma breve quanto a sostanza. Ha promesso alla nazione:
«Ricostruiremo, risaneremo, e gli Stati Uniti d’America riemergeranno più forti di prima.»
Ma giungere a un tale risultato dipende interamente da una cosa: una più elevata spesa federale in deficit da far funzionare come il motore economico di un’economia in cui i prestiti bancari si sono prosciugati perché le imprese ei consumatori non possono più rimborsare i loro prestiti.

Purtroppo, il disavanzo si sta avvicinando al punto di rottura.
Durante l’anno fiscale 2009 il Tesoro USA è sulla via di pagare più di 500 miliardi di dollari solo nel remunerare gli interessi per finanziare il debito già esistente. Il nuovo debito quest’anno probabilmente supererà il trilione di dollari. Il carico totale degli oneri del debito per l’economia nel suo complesso potrebbe arrivare a 70 trilioni di dollari entro il 2010, con un livello di pagamenti di interessi annuali per i singoli individui, le famiglie, le imprese, e tutti i livelli di governo che raggiungerebbe verosimilmente 3 trilioni di dollari su un PIL da 14 trilioni ora in brusco calo.

Il finanziamento del deficit continua a dipendere dal fatto che la Cina acquisti ancora le obbligazioni del Tesoro. Questo è il motivo per cui il Segretario di Stato di Hillary Clinton ha detto in tutta franchezza, durante l’ultima il viaggio della scorsa settimana in Cina: «Noi contiamo sul fatto che il governo cinese continui ad acquistare il nostro debito».
Ma almeno il presidente Obama ci sta provando. Sa che l’economia può recuperare solo se la crescita viene ravvivata. Pertanto si concentra su una creazione di posti di lavoro che si traduca in autentici redditi da lavoro. Ma può invertire una generazione di outsourcing del lavoro e di stagnazione dei redditi? Non conosco nessuno che ritenga che ce la possa fare. Potrebbe farcela la panacea repubblicana dei tagli delle imposte e della spesa? Non scherziamo. Non quando la disoccupazione si sta avvicinando ai livelli della Grande Depressione.

Ma né il Presidente Obama, né i suoi sostenitori democratici né gli antagonisti repubblicani, dovrebbero dispiacersi di ciò che sta accadendo. Questo è dovuto al fatto che il sistema che è stato loro fornito e attraverso cui operare è stato progettato per fallire. Agli Stati Uniti è stata molto tempo fa caricata la soma di un sistema monetario basato sul debito, in virtù del quale l’unico modo in cui il denaro può essere messo in circolazione è attraverso i prestiti bancari. È stato il sistema istituito nel 1913, quando il Congresso ha abdicato al suo potere costituzionale sulla creazione di moneta a favore dell’industria bancaria privata con l’approvazione del Federal Reserve Act.

Fu allora che la catastrofe cui ora ci troviamo di fronte divenne inevitabile. Ci è voluto quasi un secolo per arrivare fin qui, ma alla fine è accaduta. Avremmo dovuto saperlo che stava per arrivare quando le bolle coniate dalla Federal Reserve hanno sostituito la crescita economica della nostra scomparente industria pesante, a partire dalla recessione del 1979-83. Avremmo potuto vederla arrivare al momento in cui scoppiava la bolla della New Economy nel 2000-2001, e il presidente della Federal Reserve Alan Greenspan lavorava con l’amministrazione di George W. Bush per sostituire la bolla immobiliare a un reale risanamento.
È arrivata la resa dei conti. Quindi non si preoccupi, signor presidente. Non è colpa sua. Quando il crollo ha luogo i banchieri internazionali, che prenderanno il sopravvento potrebbero perfino lasciarle mantenere il suo lavoro. (Beh, buona giornata).

(*)Richard C. Cook è un ex analista del governo federale USA. Il suo libro sulla riforma monetaria, We Hold These Truths: The Hope of Monetary Reform (Noi ci teniamo queste verità: La speranza della riforma monetaria), è ora disponibile su www.amazon.com. È anche l’autore di Challenger Revealed: An Insider’s Account of How the Reagan Administration Caused the Greatest Tragedy of the Space Age. Può essere contattato attraverso il suo sito web all’indirizzo www.richardccook.com.

Articolo originale: The U.S. Economy: Designed to Fail.
Traduzione di Pino Cabras per Megachip

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Attualità Finanza - Economia Popoli e politiche

Crisi globale: “Una sinistra all’altezza dei problemi dovrebbe saper indicare una serie di scelte che hanno il pregio dell’efficacia sistemica.”

di TOMMASO DE BERLANGA – Il Manifesto

Il vertice straordinario dei capi di governo Ue si è concluso con un terribile nulla di fatto. Bocciato il piano di aiuti all’Est, i 27 premier si sono limitati a promettere interventi “caso per caso”. Una non-scelta che avvicina a grandi passi la bancarotta per diversi paesi di quell’area.
Stessa, assoluta, mancanza di idee per quanto riguarda gli asset tossici presenti nei bilanci bancari e che bloccano il rifornimento di liquidità all’economia reale: ogni paese se la vedrà da solo, ma in modo (forse) “coordinato”.

C’è un problema di interessi nazionali divergenti, ma soprattutto di cultura economica. I 27 leader sono cresciuti a champagne e neoliberismo, scolaretti modello di un “pensiero unico” che perseguiva l’integrazione incrementando la concorrenza e la libertà assoluta dell’impresa. Un programma strutturalmente contraddittorio che ha potuto ottenere risultati, a fronte di costi sociali incalcolabili, solo in presenza di una lunga fase di crescita economica. Ma che si rivela dannosa – e irrealizzabile – in una fase di profonda depressione.

Questa “politica” si è infatti fondata su una “deflazione salariale” ultraventennale, che ha congelato i salari occidentali delocalizzando parti consistenti della manifattura. Ancora oggi, con milioni di posti di lavoro un fumo e il moltiplicarsi del ricorso ai “contratti di solidarietà” (una socializzazione della riduzione di reddito), dalla Ue e dalla Bce arriva una sola raccomandazione: inchiodare a zero qualsiasi rivendicazione salariale. Peggio ancora Berlusconi, che rifiuta persino di introdurre i sussidi di disoccupazione.

La destra razzista e xenofoba cavalca la crisi indicando nemici di comodo (zingari, migranti, stranieri), nella speranza che intanto il vecchio meccanismo si rimetta in moto. La sinistra si lecca le ferite proponendo, nel migliore dei casi, ragionamenti non sempre lineari. Un tragico divario di efficacia comunicativa.

Il cuore del problema è la tenuta del sistema del credito. La politica dei “salvataggi” è stata fin qui costosissima e inutile, vista la sproporzione quantitativa tra voragini nei conti e disponibilità in mano ai singoli governi. Una sinistra all’altezza dei problemi dovrebbe saper indicare una serie di scelte che hanno al tempo stesso il pregio dell’efficacia sistemica e dell’individuazione dei responsabili più indifendibili del tracollo in corso: banchieri, piazze finanziarie, “gestori di patrimoni”, ecc.

Jacques Attali, un mese fa, si è lasciato sfuggire un “bisognerebbe europeizzare le banche in crisi, non nazionalizzarle” o lasciarle in mano a quegli irresponsabili. “Europeizzare” significa trasformare le banche in un “servizio pubblico” sotto il controllo di un’istituzione europea di alto profilo. Ma una simile scelta porta con sé necessariamente tre iniziative per dare all’integrazione europea un volto diverso da quello fin qui dominante.

– Una politica fiscale continentale (armonizzare i vari sistemi nazionali per contrastare le delocalizzazioni incentivate da sconti fiscali locali);

– un’unica politica salariale per armonizzare i differenziali retributivi e di potere d’acquisto (e contrastare il dumping sociale);

– una politica industriale continentale che, riconvertendo gli attuali “fondi europei” (Fas, Fse, ecc), definisca “cosa vogliamo produrre, in che quantità, dove, in che modo”.

In una parola, un ripensamento globale dell’Europa che salvaguardi il “lato buono” della globalizzazione (il superamento dei conflitti commerciali) e ne elimini quelli negativi e impoverenti.

L’orizzonte prossimo più realistico non vede profilarsi la possibilità di una “ripresa” del vecchio meccanismo, ma pone la centralità della tenuta sociale. Il rischio principale è ancora quello della guerra di tutti contro tutti. Ovvero una Weimar al cubo. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Huston, abbiamo un problema. Grosso.

Il cesso della Stazione Spaziale Internazionale s’è tappato. Quando si rompe il gabinetto sono guai sulla Terra, figuriamoci nello spazio. Non è che uno va e la fa fuori. Spazio ce ne sarebbe, ma sai com’è: dietro a dove mi accuccio? Un meteorite? Un satellite?

Facile a dirsi: quei maledetti girano, e mentre mi scappa, quelli si muovono. E poi, anche volendo, uno la fa, ma gioca contro la forza di gravità. Lassù, la forza di gravità non c’è, dunque gioca sporco. Immaginate la scena: che schifo!

Pare che i tre astronauti della Stazione Spaziale abbiano usato negli ultimi giorni la toilette della navicella Soyuz, parcheggiata accanto al Laboratorio Orbitante. Come nelle case di ringhiera, sono andati a farla nel pianerottolo spaziale.

Però, sembra che quella tazza del gabinetto abbia una capacità limitata. Bisogna farla piccola. Ma se a uno gli scappa grossa? Situazione di “merda “per i tecnici della Nasa.

Si sono riuniti in un “gabinetto di crisi” e hanno deliberato. “Qui Huston, Nasa chiama Stazione Spaziale: per evitare intasamenti vi suggeriamo di adottare un sistema di emergenza nel bagno rotto. Usate i sacchetti collegati alla parte ancora funzionante della toilette spaziale.”

Miliardi di dollari per conquistare la nuova frontiera siderale, per costruire basi orbitanti, fior fiore di scienziati, di tecnologia di ultima generazione, i migliori cervelli del mondo che cosa sono riusciti a farsi venire in mente? Fatela nei sacchetti. Ma dai!

Non mi verrete mica a dire che l’agenzia spaziale americana si comporta come un’agenzia di pubblicità italiana. Beh, buona giornata.

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