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Grazie alle intercettazioni si è scoperto il papocchio di American Express per irregolarità sull’identificazione dei clienti operanti con banche insediate in alcuni Paesi “esteri” come la Repubblica di San Marino e la Città del Vaticano.

La Banca d’Italia ha imposto ad American Express service Europa lo stop all’emissione di nuove carte di credito in Italia. Il provvedimento avrà effetto dal 12 aprile. La decisione della banca centrale è intervenuta in seguito ai controlli effettuati sulla società nel contesto di un’indagine penale avviata dalla procura della Repubblica di Trani, con riferimento alle carte “revolving”.

La Banca d’Italia, in un documento consegnato alla magistratura pugliese, ha segnalato irregolarità e carenze rispetto alle disposizioni di contrasto al riciclaggio e contro l’usura. In particolare, sarebbero stati riscontrati la mancata verifica e registrazione della clientela da parte dell’intermediario finanziario, nonché l’utilizzo di nominativi di comodo.

Nel settembre scorso, la Banca d’Italia aveva bloccato l’emissione di carte di credito anche da parte del Diners Club Italia; del provvedimento si è appreso solo ieri dalla pubblicazione del bollettino di vigilanza di Via Nazionale.

Bankitalia giudica “di particolare gravità” le violazioni riscontrare sulle leggi contro riciclaggio e usura perché “configurano violazioni di norme di legge di carattere imperativo volte ad assicurare essenziali presidi di correttezza nell’interesse della clientela e di integrità del sistema finanziario da possibili coinvolgimenti di attività illecite”. Dalla verifica della Banca d’Italia risulta in particolare che “per quanto riguarda le carte revolving (al centro dell’inchiesta di Trani) l’assenza di procedure e controlli adeguati ha determinato frequenti superi del tasso di soglia nei casi di inadempimento contrattuale”.

Sull’antiriciclaggio, invece, “sono state riscontrate diffuse e rilevanti anomalie” e inosservanze in particolare per quanto riguarda gli obbligi di raccolta delle dichiarazioni sul “titolare effettivo” e per irregolarità sull’identificazione dei clienti operanti con banche insediate in alcuni Paesi “esteri” come la Repubblica di San Marino e la Città del Vaticano. Ulteriori critiche riguardano le “non acquisite copie dei documenti di riconoscimento degli utilizzatori di carte supplementari o aziendali”.

Proprio per il numero e la consistenza delle irregolarità, la Banca d’Italia, oltre alla misura cautelare di sospensione delle nuove carte, ha chiesto un preciso piano di intervento per correggere le anomalie e rafforzare i presidi di trasparenza. Beh, buona giornata.

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Attualità

Preto-pedofilia: “La Chiesa, dovrebbe essere attorno alle vittime, non al Santo Padre”.

L’attivista gay di Savona, sposato con il suo compagno dopo una lunga protesta, critica le parole dell’ex Segretario di Stato Vaticano Angelo Sodano che alla messa di Pasqua ha espresso solidarietà al Pontefice attaccato dopo lo scandalo dei sacerdoti pedofili. E svela: “All’età di 13 anni fu violentato da un parroco di Savona nascosto dall’omertà dela Chiesa”-i BRUNO PERSANO, genova.repubblica.it

“La Chiesa, dovrebbe essere attorno alle vittime, non al Santo Padre”. In una lettera aperta inviata al cardinale Angelo Sodano, Francesco Zanardi – attivista gay di Savona che il mese scorso si è sposato con il suo compagno dopo una lunga protesta – attacca la presa di posizione del cardinale e svela: “All’età di 13 anni ho subito violenze sessuali da parte di un prete di Savona. Finalmente la giustizia sta facendo il suo corso nei confronti di questo sacerdote che per anni è stato nascosto dall’omertà della Chiesa e della gente”.

Rompendo il protocollo della messa di Pasqua, domenica l’ex Segretario di Stato aveva rivolto un messaggio di vicinanza di tutta la Chiesa al pontefice dopo lo scandalo sulla pedofilia e aveva definito “chiaccericcio” le denunce contro il silenzio usato dal Vaticano per celare gli abusi sessuali commessi dai sacerdoti. “Ci stringiamo intorno a Lei”, aveva detto il cardinale rivolgendosi al Pontefice. “Il popolo di Dio non si lascia impressionare dal chiacchiericcio, dalle prove che talora vengono a colpire la comunità dei credenti”.

Zanardi critica le parole usate dall’ex Segretario di Stato Vaticano e si indigna “davanti alla pubblica offesa fatta alla presenza del Santo Padre”: “Quelle dichiarazioni – scrive l’imprenditore savonese – infangano non i colpevoli ma le vittime come me. Sono stato anche io abusato da un sacerdote pedofilo che da più di 30 anni miete vittime nel savonese. Un sacerdote che per anni è stato nascosto dall’omertà della Chiesa e della gente”.

La procura di Savona alla quale Zanardi si è rivolto, è la stessa che sta indagando sulla vicenda di don Luciano Massaferro, il prete di Alassio rinchiuso in carcere da più di 3 mesi con l’accusa di aver abusato di una undicenne. “Dal giudice – spiega Zanardi – ho accompagnato altre due vittime di quel parrocco. Frequentavamo la stessa parrocchia, una chiesa nel savonese. Io avevo 13 ani, loro qualche anno meno.

Tutti avevamo alle spalle famiglie sfasciate: chi non aveva il padre, chi la madre alcolizzata. Io non avevo né uno né l’altra. Facevamo i chierichetti in quella chiesa e lui ci portava a fare campeggio nei boschi, oppure ci ospitava in casa della madre anziana. Ci chiedeva di dormire con lui. Credevamo fosse il prezzo che dovevamo pagare per l’affetto che ci mostrava. Ci dava una famiglia, ci ascoltava, ci faceva giocare come un padre, a noi che non avevamo nessuno con cui vivere la nostra adolesenza.

E alla sera ci chiamava in tenda. Per anni ho vissuto con vergogna quei ricordi e anche ora, alcune vittime, pensano che sia sbagliato denunciare il proprio carnefice perché allora ci aveva amato, in una maniera assassina, ma ci aveva dato quell’affetto che un ragazzino ha bisogno per crescere. Ora basta però: chiedo a tutti di trovare la forza e denunciare alla magistratura queste atrocità come ho fatto io. Queste persone non devono fare ad altri, il male che hanno fatto a noi”.
(Be, buona giornata)

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Attualità Salute e benessere Società e costume

Il papa, la pedofilia, l’obbligo del celibato.

Hans Küng: Ratzinger reciti il mea culpa sulla pedofilia, di Hans Küng, la Repubblica.
Si è detto che dopo aver ricevuto in udienza l`arcivescovo Robert Zollisch il Papa era «profondamente scosso» e «sconvolto» per i numerosi casi di abusi. Dal canto suo, il presidente [della Conferenza episcopale tedesca] ha chiesto perdono alle vittime, citando nuovamente le misure già adottate e quelle previste. Ma nessuno dei due ha risposto a una serie di domande di fondo che non è più possibile eludere. Stando ai risultati dell`ultimo sondaggio Emnid, solo il 10% degli interpellati trova soddisfacente l`opera di rielaborazione della Chiesa, mentre per l`86% dei tedeschi l`atteggiamento degli alti livelli della gerarchia ecclesiastica manca di chiarezza. Le loro critiche troveranno peraltro conferma nell`insistenza con cui i vescovi continuano a negare ogni rapporto tra l`obbligo del celibato e gli abusi commessi sui minori.

Prima domanda: Perché il Papa continua, contro la verità storica, a definire il «santo» celibato un «dono prezioso», ignorando il messaggio biblico che consente espressamente il matrimonio a tutti i titolari di cariche ecclesiastiche? Il celibato non è «santo», e non è neppure una grazia, bensì piuttosto una disgrazia, dal momento che esclude dal sacerdozio un gran numero di ottimi candidati, e ha indotto molti preti desiderosi di sposarsia rinunciare alla loro missione.
L`obbligo del celibato non è una verità di fede, ma solo una norma ecclesiastica che risale all`XI secolo, e avrebbe dovuto essere sospesa ovunque in seguito alle obiezioni dei riformatori dal XVI secolo.
In nome della verità, il Papa avrebbe dovuto quanto meno promettere un riesame di questa norma, da tempo auspicato dalla grande maggioranza del clero e della popolazione. Anche personalità come Alois Glück, presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi, o Hans-Jochen Jaschke, vescovo ausiliare di Amburgo, si sono espresse in favore di un rapporto più sereno con la sessualità e della possibilità di far coesistere fianco a fianco sacerdoti celibi e sposati.

Seconda domanda: È possibile che «tutti gli esperti» abbiano escluso l`esistenza di qualsiasi rapporto tra la pedofilia e l`obbligo del celibato sacerdotale, come ha nuovamente asserito l`arcivescovo Zollitsch? Chi mai può conoscere il parere di «tutti gli esperti»!? Di fatto si potrebbero citare innumerevoli psicoanalisti e psicoterapeuti che al contrario hanno sottolineato questo rapporto: mentre l`obbligo del celibato impone ai preti di astenersi da qualunque attività sessuale, i loro impulsi sono però virulenti, col rischio che il tabù e l`inibizione sessuale li induca a ricercare una qualche compensazione. In nome della verità, la correlazione tra l`obbligo del celibato e gli abusi non può essere semplicemente negata, ma va presa invece in seria considerazione.
Lo ha ben chiarito ad esempio lo psicoterapeuta americano Richard Sipe, che a questi studi ha dedicato un quarto di secolo (cfr. «Knowledge of sexual activity and abuse within the clerical system of the Roman Catholic church», 2004): la forma di vita del celibato, e in particolare la socializzazione che la prepara (il più delle volte nei convitti e successivamente nei seminari) può favorire tendenze pedofile. Richard Sipe ha individuato un tipo di inibizione dello sviluppo psicosessuale più frequente nei celibi che nella media della popolazione; ma spesso la consapevolezza dei deficit dello sviluppo psicologico e delle tendenze sessuali si raggiunge solo dopo l`ordinazione al sacerdozio.

Terza domanda. Oltre a chiedere perdono alle vittime, i vescovi non dovrebbero finalmente riconoscere anche le proprie corresponsabilità? Per decenni, dato il tabù sulla norma del celibato, hanno occultato gli abusi, limitandosi a disporre il trasferimento dei responsabili. Tutelare i preti era più importante che proteggere bambini. C`è poi una differenza tra i casi individuali di abusi commessi nelle scuole, al di fuori della Chiesa cattolica, e gli abusi sistemici, spesso reiterati e frequenti, all`interno stesso della Chiesa cattolica romana, in cui vige tuttora una morale sessuale quanto mai rigida e repressiva, che culmina nella norma sul celibato. In nome della verità, anziché porre un ultimatum di 24 ore al ministro federale della giustizia, sopravvalutando peraltro gravemente l`autorità ecclesiastica, il presidente della Conferenza episcopale avrebbe dovuto finalmente dichiarare con chiarezza che d`ora in poi, in caso di reati di natura penale le gerarchie della Chiesa non cercheranno più di eludere l`azione giudiziaria dello Stato. O dovremo aspettare che per ricredersi, la gerarchia sia costretta a pagare risarcimenti dell`ordine di milioni di euro? Negli Usa la Chiesa cattolica ha dovuto versare a questo titolo, nel 2006, ben 1,3 miliardi di dollari; e in Irlanda, nel 2009 il governo ha stabilito con gli ordini religiosi un accordo – rovinoso per questi ultimi – per un fondo risarcimenti di 2,1 miliardi di euro. Cifre del genere sono assai più eloquenti dei dati statistici sulle percentuali dei celibi tra gli autori di reati sessuali, citati nel tentativo di sdrammatizzare il dibattito.

Quarta domanda: Il papa Benedetto XVI non dovrebbe assumersi a sua volta le proprie responsabilità, anziché lamentarsi di una campagna che sarebbe in atto contro la sua persona? Nessuno finora, in seno alla Chiesa, si è mai trovato sulla scrivania un così gran numero di denunce di abusi. Vorrei ricordare quanto segue: Per otto anni docente di teologia a Regensburg e in stretti rapporti col fratello Georg, maestro della cappella del Duomo (Domkapellmeister), Joseph Ratzinger era perfettamente al corrente della situazione dei Domspatzen, i piccoli cantori di Regensburg. E non si tratta qui dei ceffoni, purtroppo all`ordine del giornoa quei tempi, bensì anche di eventuali reati sessuali.
Arcivescovo di Monaco per cinque anni, in un periodo durante il quale un prete, trasferito nel suo episcopato, perpetrò una serie di ulteriori abusi che oggi sono venuti alla luce. Anche se Mons. Gerhard Gruber, suo vicario generale (oltre che mio ex collega di studi) si è assunta la piena responsabilità di questi episodi, la sua lealtà non poteva bastare a scagionare l`arcivescovo, responsabile anche sul piano amministrativo.
Per 24 anni Joseph Ratzinger è stato prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nel cui ambito si prendeva atto dei più gravi reati sessuali commessi dal clero in tutto il mondo, per raccoglierli e trattarli nel più totale segreto («Secretum pontificium». Il 18 maggio 2001, con una lettera rivolta a tutti i vescovi sul tema delle «gravi trasgressioni», Joseph Ratzinger aveva confermato per gli abusi il «segreto pontificio», la cui violazione è punita dalla Chiesa).
Papa per cinque anni, non ha cambiato di una virgola questa prassi infausta.

In nome della verità Joseph Ratzinger, l`uomo che da decenni è il principale responsabile dell`occultamento di questi abusi a livello mondiale, avrebbe dovuto pronunciare a sua volta un «mea culpa». Così come lo ha fatto il vescovo di Limburg, Franz Peter Tebartz-van Elst, che in un`allocuzione trasmessa per radio il 14 marzo 2010 si è rivolto a tutti i fedeli in questi termini: «Poiché un`iniquità così atroce non può essere accettata né occultata, abbiamo bisogno di cambiare strada, di invertire la rotta per dare spazio alla verità.
Per convertirci ed espiare, dobbiamo incominciare col riconoscere espressamente le colpe, fare atto di pentimento e manifestarlo, assumerci le responsabilità e aprire così la strada a un nuovo inizio».
(Beh, buona giornata).

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Il Vaticano e la pedofilia: la “bolla” di papa Ratzinger è solo speculativa?

di Vania Lucia Gaito, da viaggionelsilenzio.ilcannocchiale.it
“Così, nel 2001, il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede dal 25 novembre 1981 fino alla sua nomina al soglio pontificio, promulgò un epistola nota come De Delictis Gravioribus o come Ad exsequandam. In essa richiamava il Crimen sollicitationis e avocava un diretto controllo, da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, sui “crimini più gravi”, compresi gli abusi sui minori.
Per quella lettera, il cardinale Ratzinger fu citato in giudizio dall’avvocato Daniel Shea davanti al tribunale dalla Corte distrettuale della contea di Harris (Texas), dove fu accusato di “ostruzione alla giustizia”. Secondo l’accusa, infatti, il documento della Congregazione avrebbe favorito la copertura di prelati coinvolti nei casi di molestie sessuali ai danni di minori negli Stati Uniti. Nel febbraio 2005 fu emanato dalla corte un ordine di comparizione per il cardinale Joseph Ratzinger. Il 19 aprile 2005, il cardinale Ratzinger fu eletto papa e i suoi legali negli Stati Uniti si rivolsero al Dipartimento di Stato chiedendo l’immunità diplomatica per il loro assistito. L’Amministrazione Bush acconsentì e Joseph Ratzinger fu esonerato dal processo.”

Fa specie sentire il portavoce del Vaticano, padre Federico Lombardi, parlare di tentativi accaniti di “coinvolgere personalmente il Santo Padre nella questione degli abusi” e dello scandalo della pedofilia. Non me ne voglia, padre Lombardi, ma non c’è bisogno di tentativi, i fatti parlano da soli, basta metterli in fila. A cominciare dal principio, sgomberando il campo dalle chiacchiere.

Il fatto che gli ecclesiastici abbiano pruriti pedofili fin dalla notte dei tempi non c’è bisogno di inventarselo, lo dice un papa, per la precisione Leone X, e lo dice in un atto ben conosciuto, la Taxa Camerae, un documento vergognoso che, ad onta del Vangelo che condanna la simonia come peccato imperdonabile, promette il perdono in cambio di denaro.
I primi due dei 35 articoli di cui si compone la Taxa Camerae riguardano proprio gli ecclesiastici e i loro “peccati”, in particolare il secondo articolo:
“Se l’ecclesiastico, oltre al peccato di fornicazione chiedesse d’essere assolto dal peccato contro natura o di bestialità, dovrà pagare 219 libbre, 15 soldi. Ma se avesse commesso peccato contro natura con bambini o bestie e non con una donna, pagherà solamente 131 libbre, 15 soldi.”
Correva l’anno 1517. Poco meno di cinquecento anni fa. E la Chiesa già sapeva. Solo che fa più comodo, adesso, contare sulla memoria fallace o sulla non conoscenza di chi ascolta le chiacchiere dei vari portavoce.

Ho cominciato da troppo lontano? Veniamo ai giorni nostri, allora. Nel 1962 il cardinale Ottaviani redige un documento noto come Crimen Sollicitationis. Questo documento, prescrive ai vescovi come comportarsi quando un sacerdote viene denunciato per pedofilia. Nel documento c’è scritto, in stampatello e ben evidente: “Servanda diligenter in archivio secreto curiae pro norma interna. Non publicanda nec ullis commentariis augenda”, che vuol dire “Da conservare con cura negli archivi segreti della Curia come strettamente confidenziale. Da non pubblicare, né da integrare con alcun commento”

Il Crimen, in pratica, stabiliva una serie di norme da seguire nei casi di pedofilia clericale. Il processo canonico al sacerdote accusato era un processo diocesano, e a condurlo era il vescovo della diocesi cui il sacerdote apparteneva. Il Crimen va analizzato e “studiato” con cura, poichè è il vademecum che hanno seguito sempre i vescovi nei casi di pedofilia clericale. E fin dal principio risulta chiaro che la stessa esistenza del documento deve essere mantenuta segreta. Perchè?

Analizzando il testo nel dettaglio se ne comprende perfettamente il motivo. Intanto viene definito cosa intendere come peccato di provocazione: “Il crimine di provocazione avviene quando un prete tenta un penitente, chiunque esso sia, nell’atto della confessione, sia prima che immediatamente dopo, sia nello svolgersi della confessione che col solo pretesto della confessione, sia che avvenga al di fuori del momento della confessione nel confessionale, che in altro posto solitamente utilizzato per l’ascolto delle confessioni o in un posto usato per simulare l’intento di ascoltare una confessione.” Insomma, praticamente sempre.

Un’altra prerogativa del Crimen è quella di accomunare l’abusatore all’abusato: entrambi peccatori per aver “fornicato”, anche se l’abusato è stato circuito, plagiato, e, in molti casi, violentato. Nel testo, infatti, (art.73, pag.23 del documento in latino) parlando di “crimine pessimo”, intendendo l’abuso di un bambino o gli atti sessuali con un animale (perchè la Chiesa continua a paragonare, accomunare ed equiparare i bambini agli animali, come ai tempi della Taxa Camerae, a meno che il bambino non sia ancora nato e lì allora la sua vita diventa sacra e inviolabile), si legge che tale peccato è commesso dal sacerdote “cum impuberibus”, cioè “con” il bambino, non “contro”. Perchè, prima di tutto, viene la condanna del sesso, anche quando è fatto contro la propria volontà; poi tutto il resto.

Nei 74 articoli di cui è composto il Crimen, si impartiscono direttive precise. Quella più pressante riguarda sicuramente la segretezza, di cui tutto il documento è imbevuto. Ma cosa prescrive il Crimen? Fondamentalmente questo: coprire, celare, trasferire. L’articolo 4 dice infatti che non c’è nulla che impedisca ai vescovi “se per caso capiti loro di scoprire uno dei loro sottoposti delinquere nell’amministrazione del sacramento della Penitenza, di poter e dover diligentemente monitorare questa persona, ammonirlo e correggerlo e, se il caso lo richiede, sollevarlo da alcune incombenze. Avranno anche la possibilità di trasferirlo, a meno che l’Ordinario del posto non lo abbia proibito perché ha già accettato la denuncia e ha cominciato l’indagine.” Quindi, se si sa che il sacerdote è un pedofilo ma non è stato aperto un processo canonico a suo carico, non c’è nulla che impedisca al vescovo di trasferirlo.

E se invece c’è una denuncia al vescovo? Prima di tutto, la segretezza. Viene fatto giurare a tutti (esistono formule apposite, riportate nel Crimen) di mantenere il segreto, sotto pena di scomunica. Devono mantenere il segreto i membri del tribunale diocesano che “indagano” sulla denuncia, deve mantenere il segreto l’accusato e devono mantenere il segreto anche gli accusatori e i testimoni, pena la scomunica immediata, ipso facto e latae sententiae. Sì, certo, anche la vittima ed eventuali testimoni: “Il giuramento di segretezza deve essere in questi casi fatto fare anche all’accusatore o a quelli che hanno denunciato il prete o ai testimoni.” (Crimen sollicitationis, art. 13, pag. 8 del testo in latino)

“Prometto, mi obbligo e giuro che manterrò inviolabilmente il segreto su ogni e qualsiasi notizia, di cui io sia messo al corrente nell’esercizio del mio incarico, escluse solo quelle legittimamente pubblicate al termine e durante il procedimento” recita la formula A del Crimen. Tuttavia, all’articolo 11 viene specificato che tale silenzio deve essere perpetuo: “Nel trattare queste cause la cosa che deve essere maggiormente curata e rispettata è che esse devono avere corso segretissimo e che siano sotto il vincolo del silenzio perpetuo una volta che si siano chiuse e mandate in esecuzione. Tutti coloro che entrino a far parte a vario titolo del tribunale giudicante o che vengano a conoscenza dei fatti per la propria posizione devono osservare il rispetto più assoluto del segreto – che dev’essere considerato come segreto del Santo Uffizio – su tutti i fatti e le persone, pena la scomunica ‘lata sententiae’ ‘ipso facto’ e senza nessuna menzione sulla motivazione della scomunica che spetta al Supremo Pontefice, e sono obbligati a mantenere l’inviolabilità del segreto senza eccezione nemmeno per la Sacrae Poenitentiariae.”

Tutto questo si è tradotto per decenni in una prassi vergognosa che includeva il trasferimento dei preti pedofili di parrocchia in parrocchia e la richiesta alle vittime di mantenere il segreto, magari tacitandole con piccole somme, sapendo che in molti casi le vittime venivano da ambienti già disagiati e mai avrebbero affrontato la vergogna e le spese di una denuncia alle autorità civili.
Una volta concluso il processo diocesano, se c’erano prove sufficienti a condannare il prete pedofilo (e, caso strano, pare non si siano quasi mai trovate), gli atti dovevano essere trasmessi, sempre in totale segretezza, all’allora Santo Uffizio, poi divenuto Congregazione per la Dottrina della Fede. In caso non ci fossero prove sufficienti, gli atti dovevano invece essere distrutti.

Ma come mai così poche condanne da parte dei tribunali diocesani? Anche qui, il Crimen detta prescrizioni precise. Innanzitutto, a decidere se la denuncia è fondata o meno è l’ordinario diocesano, cioè il vescovo. Inoltre il documento prescrive: “Se comunque ci sono indicazioni di un crimine abbastanza serie ma non ancora sufficenti a instituire un processo accusatorio, specialmente quando solo una o due denunce sono state fatte, o quando invece il processo è stato tenuto con diligenza, ma non sono state portate prove, o queste non erano sufficienti, o addirittura si sono trovate molte prove ma con procedure incerte o con procedure carenti, l’accusato dovrebbe essere ammonito paternamente, seriamente, o ancora più seriamente secondo i diversi casi, secondo le norme del Canone 2307 […] gli atti, come sopra, dovrebbero essere tenuti negli archivi e nel frattempo dovrebbe essere fatto un controllo morale sull’accusato.”
Chi decide se le prove sono consistenti e sufficienti? Sempre l’ordinario diocesano.

Il Crimen prescrive anche cosa fare nel caso in cui il sacerdote sia stato ammonito ma il vescovo riceve nuove denunce contro di lui: “Se, dopo la prima ammonizione, arrivano contro lo stesso soggetto altre accuse riguardanti crimini di provocazione precedenti l’ammonizione, l’Ordinario dovrebbe vedere, secondo la propria coscienza e giudizio, se la prima ammonizione può essere considerata sufficiente o se procedere a una nuova ammonizione oppure ad eventuali misure successive.”

Con queste premesse, è ovvio che siano in pochissimi i sacerdoti condannati dai tribunali diocesani: i vescovi si limitavano ad ammonire e trasferire, molto spesso solo a trasferire. E la tutela dei bambini? Mai presa in considerazione.

A fare un bilancio della situazione a posteriori, il Crimen non è servito in alcun modo ad arginare il problema della pedofilia clericale, è stato invece utile alla Chiesa a “lavare i panni sporchi in famiglia”. Solo che, con l’andare del tempo, i panni sporchi sono aumentati in maniera sproporzionata. La politica dello struzzo non paga mai, e in questo caso si è dimostrata letale. Negli anni, infatti, gli abusi non sono diminuiti, anzi, il problema si è incancrenito e le vittime sono diventate migliaia.

Non è neppure lontanamente credibile la professione di ignoranza fatta da vescovi e prelati chiamati a rispondere nei tribunali penali, e non diocesani, del loro operato. E sono sempre i fatti a smentirli. Primo fra tutti l’esistenza di una congregazione religiosa dedicata esclusivamente alla cura dei sacerdoti: i Servi del Paraclito. Poco nota, se non agli “addetti ai lavori”, la congregazione dei Servi del Paraclito viene fondata nel 1942 dal sacerdote statunitense Gerald Fitzgerald, a Jemez Springs (Nuovo Messico), con lo scopo di dedicarsi all’assistenza ai sacerdoti in particolare condizioni giuridiche e morali.

Inizialmente, arrivavano a Jemez Springs soprattutto sacerdoti con problemi di alcolismo, ma dal 1965 i Servi del Paraclito cominciarono a trattare anche i sacerdoti pedofili. Con scarsissimi, se non nulli, risultati. Lo stesso fondatore, che dal principio si era opposto alla possibilità di accogliere preti con tali problematiche, fin dagli anni cinquanta inviò numerose lettere a vescovi, arcivescovi ed esponenti della Curia Romana in cui faceva presente la necessità di allontanare dal sacerdozio i preti coinvolti in casi di pedofilia. In una di queste lettere, indirizzata anche al cofondatore della congregazione, scriveva:

“Reverendissimo e Carissimo Arcivescovo,
Carissimo cofondatore

Spero che Sua Eccellenza sia d’accordo e approvi quello che io considero una decisione vitale, da parte nostra: per prevenire uno scandalo che potrebbe danneggiare il buon nome di Via Coeli, non offriremo ospitalità ad uomini che abbiano sedotto o tentato di sedurre, bambini o bambine. Eccellenza, questi uomini sono diavoli e l’ira di Dio ricade su di essi e, se io fossi un vescovo, tremerei se non facessi rapporto a Roma per chiedere la loro forzata riduzione allo stato laicale. E’ blasfemo lasciare che celebrino il Santo Sacrificio. Se i singoli vescovi fanno pressione su di lei, Eccellenza, può dire loro che l’esperienza ci ha insegnato che questi uomini sono troppo pericolosi per i bambini della parrocchia e per il vicinato, sicchè siamo giustificati nel nostro rifiuto di accoglierli qui. Sua Eccellenza può inoltre dire, se lo desidera, che non intende interferire con la regola che l’esperienza ha dettato.
Proprio per queste serpi ho sempre auspicato il ritiro su un’isola, ma anche un’isola è troppo per queste vipere di cui il Gentile Maestro ha detto che sarebbe stato meglio se non fossero mai nati; il che è un modo indiretto di maledirli, non crede?
Quando vedrò il santo padre, dirò a Sua Santità che devono essere ridotti ipso facto allo stato laicale, immediatamente.”

Inutile dire come andò a finire: la politica dello struzzo prevalse e la congregazione accolse i preti pedofili per quello che, caritatevolmente, può essere definito un tentativo di cura. Un caso fra tutti può essere esemplificativo: padre James Porter arrivò a Jemez Springs nel 1967, dopo essere stato destituito da tre incarichi, ogni volta per problemi di pedofilia. Eppure, padre John B. Feit, superiore dei Servi del Paraclito, scrisse per lui accorate lettere di raccomandazione che gli fecero ottenere, alla fine del “trattamento” una diocesi nel Minnesota, dove, appena arrivato, ricominciò gli abusi.
In realtà, Jemez Springs divenne nota come “il carcere dei preti” e funzionò come un “parcheggio” per i sacerdoti su cui pendevano denunce di abusi. Nel 1994, la congregazione dovette chiudere l’esperimento di riabilitazione dei preti pedofili: 17 preti furono coinvolti nel ’91, in 140 cause per abusi sessuali e la Curia pagò 50 milioni di dollari in accordi stragiudiziali.

Identica politica fu seguita dalla Chiesa ogni qualvolta fu messa di fronte alla problematica della pedofilia clericale. Nel maggio 1985 a tutti i vescovi statunitensi fu consegnato un documento noto come “Il manuale”, redatto da due preti e un avvocato: padre Michael Peterson, psichiatra della clinica di S. Luke, il domenicano canonista padre Thomas Doyle e l’avvocato Ray Mouton. Il manuale analizza il problema della pedofilia clericale e le conseguenze, economiche e morali, per la chiesa cattolica. Fornisce direttive per affrontare il problema, ma viene totalmente ignorato. Il risultato anche in questo caso è evidente: milioni di dollari in risarcimenti, diocesi in fallimento o prossime alla bancarotta, un drastico calo di fedeli e soprattutto delle loro generose donazioni.

Lo scandalo, venuto a galla negli Stati Uniti, è solo l’inizio. Altrettanti scandali travolgono l’Australia, il Sudamerica, il Messico, il Canada, l’Alaska, la Polonia, l’Irlanda, la Spagna, l’Inghilterra, la Germania, l’Olanda e moltissimi paesi africani. Una vergogna dietro l’altra, si svelano i retroscena di sacerdoti che hanno molestato, abusato, violentato decine di bambini, alcuni piccolissimi.

Così, nel 2001, il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede dal 25 novembre 1981 fino alla sua nomina al soglio pontificio, promulgò un epistola nota come De Delictis Gravioribus o come Ad exsequandam. In essa richiamava il Crimen sollicitationis e avocava un diretto controllo, da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, sui “crimini più gravi”, compresi gli abusi sui minori.
Per quella lettera, il cardinale Ratzinger fu citato in giudizio dall’avvocato Daniel Shea davanti al tribunale dalla Corte distrettuale della contea di Harris (Texas), dove fu accusato di “ostruzione alla giustizia”. Secondo l’accusa, infatti, il documento della Congregazione avrebbe favorito la copertura di prelati coinvolti nei casi di molestie sessuali ai danni di minori negli Stati Uniti. Nel febbraio 2005 fu emanato dalla corte un ordine di comparizione per il cardinale Joseph Ratzinger. Il 19 aprile 2005, il cardinale Ratzinger fu eletto papa e i suoi legali negli Stati Uniti si rivolsero al Dipartimento di Stato chiedendo l’immunità diplomatica per il loro assistito. L’Amministrazione Bush acconsentì e Joseph Ratzinger fu esonerato dal processo.

Tuttavia, anche non tenendo conto di questo “incidente di percorso”, sorgono naturali molti interrogativi sull’operato di Ratzinger come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. E, altrettanto naturali, sorgono molti dubbi sulla sua “presa di posizione” drastica e rigorosa nei confronti della pedofilia clericale.
Che fosse ben informato di quanto fosse grave e profonda la piaga degli abusi fra il clero lo afferma lo stesso Ratzinger, nella memorabile nona stazione della Via Crucis del 2005, quando sostituì Giovanni Paolo II ormai morente: “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!”

E tuttavia, pur consapevole della “sporcizia”, il Prefetto non si armò mai di ramazza per far pulizia. Anzi, in molti casi “celebri” la Congregazione fu assurdamente lenta e le vittime dovettero ricorrere ai giornali per avere almeno una parvenza di giustizia.
Il caso più tristemente famoso è senza dubbio quello che riguarda il fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel Degollado. Il Vaticano era a conoscenza di molte ombre sull’operato del sacerdote, fin dal 1956, quando il cardinale Valeri lo trovò nella clinica romana Salvator Mundi molto malridotto per l’abuso di morfina. Tuttavia, i procedimenti a carico del fondatore dei Legionari di Cristo non ebbero mai alcun esito, neppure quando, nel 1978 l´ex presidente dei Legionari negli Stati Uniti, Juan Vaca, con un esposto a papa Giovanni Paolo II, accusò Maciel di comportamenti peccaminosi con lui quand´era ragazzo.
Nel 1989 Vaca ripresenta a Roma le sue accuse. Senza risposta, sebbene Ratzinger fosse già dal 1981 a capo dell’ex Santo Uffizio. A febbraio del 1997 con una denuncia pubblica, otto importanti ex Legionari accusano Maciel di aver abusato di loro negli anni Cinquanta e Sessanta.
Nel 1998, il 17 ottobre, due degli otto accusanti, Arturo Jurado Guzman e José Barba Martin, accompagnati dall´avvocato Martha Wegan, incontrano in Vaticano il sottosegretario della Congregazione vaticana per la dottrina della fede, Gianfranco Girotti, e chiedono la formale apertura di un processo canonico contro Maciel. Il 31 luglio del 2000 Barba Martin, assieme all’avvocato Wegan, incontra di nuovo in Vaticano monsignor Girotti. Ma sempre senza alcun risultato.
Finchè, nel 2006, appena cinquant’anni dopo le prime denunce, finalmente la Congregazione per la Dottrina della Fede prende una risoluzione esemplare: invita padre Maciel a ritirarsi ad una vita di preghiera e meditazione. Oggi, a distanza di pochi anni, continuano a spuntare scandali che riguardano Maciel e i Legionari, come la presenza (accertata) di una figlia in Spagna, frutto di una violenza ad una minorenne, diversi presunti figli in Messico, dei quali, tra l’altro, non si sarebbe fatto scrupolo di abusare. Insomma, il Vaticano ha aperto un’inchiesta. Molto rassicurante.

Stessa sorte subita, più o meno, da procedimenti a carico di sacerdoti italiani. Celebre il caso di don Cantini in Toscana, per esempio. Stranamente, la Congregazione guidata da Ratzinger ha sempre impiegato decenni ad indagare sui sacerdoti pedofili, soprattutto quando si trattava di sacerdoti influenti, salvo poi scoprire che, a causa del tempo trascorso, il delitto era caduto in prescrizione. Ad onor del vero, c’è da dire che in alcuni casi sono anche state comminate condanne da far tremare i polsi: litanie alla Madonna, rosari, perfino divieto di celebrare messa in pubblico. Se non è “tolleranza zero” questa…

Poi viene fuori che il fratello del papa distribuiva scapaccioni ai membri del coro da lui diretto e che sapeva che il rettore dell’Internat, il convitto in cui i coristi vivevano, li picchiava sistematicamente, con durezza e spesso persino senza alcun motivo che potesse spingerlo a decidere una punizione. E tuttavia non aveva mai fatto nè detto nulla perchè, essendo il convitto un’istituzione indipendente, non aveva il potere di denunciarlo. Certo, perchè serve “essere autorizzati” per denunciare violenze e abusi. Non basta l’amore per il prossimo, quello per cui Cristo s’è fatto mettere in croce. Non basta il senso di giustizia, non basta il desiderio di tutelare i bambini. Salvo poi scusarsi, vent’anni, trent’anni dopo, e solo dopo che si è sollevato lo scandalo. Questo desiderio di scusarsi come mai non è mai stato avvertito prima che l’ex direttore del coro finisse nell’occhio del ciclone e sulle pagine dei giornali?

Senza parlare delle prese di posizione nettissime di papa Ratzinger. Un esempio? Il suo ultimo viaggio negli Stati Uniti, nel corso del quale, tra i festeggiamenti del suo compleanno con Bush alla Casa Bianca e la visita a Ground Zero, il Papa ha sostenuto l’inconciliabilità tra il sacerdozio e la pedofilia. Praticamente la scoperta dell’acqua calda.

Senza contare che in quella visita non era stato neppure previsto un incontro con le vittime. Ratzinger fu spinto dall’opinione pubblica e dai media americani ad un incontro estemporaneo con quello che i giornali italiani hanno caritatevolmente definito “un gruppo di vittime”: cinque persone ricevute in piedi, meno di mezz’ora in tutto, nella cappella privata della nunziatura apostolica di Washington. Contemporaneamente, però, ospiti del papa durante quel viaggio sono stati tre vescovi celebri per aver coperto i preti pedofili: il cardinale Egan e il cardinale Mahony, che sono stati gli anfitrioni di

Ratzinger durante i giorni trascorsi a New York, e il cardinale Francis George, che ha accolto il papa a Washington.
Dunque, fuori dalle chiacchiere e dai proclami, i fatti, nudi e crudi, parlano da soli.
E’ questa la “tolleranza zero” di cui il Vaticano fa tanto parlare? (Beh, buona giornata).

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Attualità Popoli e politiche Scuola Società e costume

Libera Chiesa in libero Stato (in libera scuola).

Ci siamo tolti anche questa croce di GIORGIA SPINA.

Una mattina l’Italia si sveglia e vede smontato un altro mito.
Dopo i giorni dei Lodi di un premier che si è guadagnato, da solo, anche tante infamie e delle sentenze che dichiarano che i “Primi super pares” vengano lasciati nei libri di latino, finalmente questo Paese mette una croce sopra un altro dei grandi dilemmi degli ultimi tempi.

Con buona pace della Santa Sede, l’oggetto simbolo del culto cristiano, da questa mattina, non assisterà più alle lezioni nelle scuole italiane.

Impossibile pensare che la sentenza della Corte dei Diritti dell’Uomo non scatenasse il putiferio. Beh, cosa ci aspettavamo? Gli ultimi eventi ci avevano fatto credere in segnali di miglioramento, ma mica a un miracolo?
Il Dizionario della Lingua Italiana Garzanti, alla voce “croce” , scrive, in prima definizione quanto segue: “antico strumento di supplizio fatto con due pali di legno incrociati. […]”. Beh, che si trattasse di una rogna lo avevamo capito, visto tutto il polverone sollevato dal caso.

In seconda definizione, sempre il Garzanti, continua: “ riproduzione della croce di Cristo, assurto a simbolo della religione cristiana”. Ecco, leggiamo bene: simbolo della religione cristiana.
Ora, in un libretto che molti hanno cercato di interpretare a proprio favore e piacimento, dal titolo di Costituzione, all’articolo 7 si legge: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. […]”.

A questo punto, la domanda nasce spontanea (come diceva qualcuno in un vecchio programma tv): c’è ancora qualcuno che sa dell’esistenza di una Costituzione e di un Dizionario della Lingua Italiana come testi realmente esistenti e non come il fantasma del Bau bau? Perché prima di fare tanto chiasso da pollaio, non lasciamo il libro di Moccia sul comodino e ci avviciniamo a qualcosa che potrebbe ben indirizzare le nostre opinioni e le nostre eventuali proteste?

Se non fosse ancora del tutto chiaro il concetto, la presenza di un simbolo di culto religioso all’interno di un’istituzione laica, in quanto statale (chiamasi proprietà transitiva. In matematica la si studiava suppergiù in terza elementare.), come la scuola, non è giustificata.
Per essere esaurienti e corretti fino in fondo: l’articolo 7 sopra citato recita, inoltre, che i rapporti tra lo Stato e la Chiesa sono regolati dai Patti Lateranensi. Tali Patti trattano anche dell’istruzione, nella Scuola Italiana, alla religione cattolica.

La religione è quindi, da considerarsi, una materia di insegnamento all’interno dell’istituzione scolastica. Liscio come l’olio.

Ma nelle aule compaiono forse poster di Manzoni e Leopardi? Foto di Pitagora? Quadri delle battaglie e dei personaggi che hanno fatto la Storia? Dipinti di Monet, Caravaggio e Warhol? Piuttosto che classi sembrerebbero bazar! Eppure anche la Letteratura, la Matematica, la Storia e l’Arte sono materie d’insegnamento della nostra Scuola Italiana. Se poi ci dice sfiga e la Scuola è un Liceo, come la mettiamo con tutti i filosofi?

E ancora: se consideriamo che molte religioni sono da considerarsi, per i non praticanti, delle filosofie, Maometto, Buddah e il dio Piripicchio, o chi per lui, li mettiamo in girotondo accanto alla croce, o sotto braccetto a Hegel?
Qui non si discutono credenze personali, non si vuole rinnegare o disprezzare alcun culto, ma semplicemente sottolineare, se ancora ce ne fosse bisogno, che a Scuola si impara, non si prega. Per quello hanno costruito le chiese.

A oggi quel che conta è che hanno tolto i crocifissi dalla Scuola. Andate in pace. (Beh, buona giornata)

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Pubblicità e mass media Società e costume

Demonio di un Vaticano, ha boicottato le riprese romane di “Angeli e demoni” di Ron Howard.

“Il Vaticano ha fatto pressioni perché non mi fossero messe a disposizione le location per girare ‘Angeli e demoni’ a Roma”. L’accusa giunge attesa e senza preamboli da parte di Ron Howard, registra premio Oscar, che ha presentato oggi alla stampa a Roma in anteprima mondiale il suo ultimo film, “Angeli e demoni”, tratto dal best seller di Dan Brown.

Pierfrancesco Favino, uno degli interpreti del film spiega che a suo giudizio un film che parli’ cosi’ di Roma non si vedeva dai tempi di Fellini. Uno ‘spot’, dunque, fatto ‘a dispetto dei Santi’. “Sapevo che non era possibile girare nelle chiese – spiega Ron Howard -. Gia’ col ‘Codice da Vinci’ mi era stato proibito di girare in Inghilterra, Scozia e Irlanda. Mi aspettavo, quindi, di avere problemi a portare il set nelle chiese romane. Cio’ che non credevo, invece, e’ che non ci fosse alcuna collaborazione per girare in citta’. Ci hanno spiegato che era dovuto alle pressioni fatte dal Vaticano”. Segno dei tempi. Beh, buona giornata.

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Leggi e diritto Popoli e politiche

“Mi chiedo, che c’entra con il messaggio Biblico evangelico l’imposizione a TUTTI, con legge dello Stato di una propria personale intima scelta etica e antropologica?”

di don Andrea Gallo

I tempi sono cattivi, o almeno mutevoli ed aspri. Il volto della Chiesa è tornato arcigno. Il Cardinale Walter Kasper ha detto che dopo la stagione conciliare la Chiesa ha ripreso ad aver paura del proprio coraggio. Abbiamo bisogno di essere in tanti a pensare e credere, a immaginare il futuro ed affrontarlo con gioia e coraggio, senza presunzioni di conquista ma senza timidezze. Un dialogo aperto e franco, nella Carità, è la strada giusta.

Il clima generale della Società e della Chiesa è oggi piuttosto depresso,scoraggiato. Abbiamo molta paura. I giovani temono l’assenza di futuro. Il Vangelo riscaldi il cuore di tutti i Cristiani e lo renda così generoso da sopportare di buon grado tutti i vicini, senza esclusioni,e da amare i lontani…Le accuse, gli insulti, le polemiche, sono sterili, altrimenti si finisce per non vedere neppure più le cose belle e talora straordinarie che pure accadono, nella Chiesa: è mirabilia Dei.

Si vuole una legge sul testamento biologico che nega i principi di libertà e dignità della Persona stabiliti dalla nostra Costituzione.
Siamo davanti ad una feroce truffa.
Mi domando: se tra cento anni i principi bioetici affermati oggi con granitica sicurezza della Chiesa, sostenuta dal centro-destra e da zelanti parlamentari cattolici del PD, UDC, saranno i medesimi, o se invece finiranno per essere rivisti, come lo sono stati i principi della morale “sociale” che sono stati condannati per secoli e che “ora” invece la Chiesa stessa riconosce : libertà di stampa, libertà di coscienza, libertà religiosa e in genere i diritti delle democrazie liberali. Sono pienamente d’accordo con il teologo Vito Mancuso (Repubblica 9-3).

I cattolici intransigenti che oggi parlano della libertà di autodeterminazione definendola “relativismo cristiano”, dovrebbero estendere l’accusa al Vaticano II il quale afferma che “l’Uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà (Gaudium et spes . 17)”
E’ del tutto chiaro che per ogni credente che la libertà non è fine a se stessa ma all’adesione al bene e al vero; ma è altrettanto chiaro che non si può dare adesione umana se non libera.
Dalla libertà che decide non è possibile esimersi, e questo non è relativismo, ma il cuore del giudizio morale.
Da cittadino ultra-ottantenne, cristiano, prete di Santa Madre Chiesa dal 1959, con Papa Giovanni felicemente sulla Cattedra di Pietro, coordinatore di Comunità degli ultimi, dei perdenti, dei sofferenti, non mi sento di cantar vittoria col Ministro Sacconi, al grido:”D’ora in poi non sarà possibile un altro caso Englaro”.
Vorrei citare a questo proposito, il Parroco di Paluzza al funerale di Eluana “Chi sono io per giudicare?”.

I Cristiani non chiedano ai non credenti quello che essi non possono dare: non chiedano atti di Fede, trasformati in Legge nelle loro proprie posizioni legittime. Non chiedano di accogliere convinzioni dogmatiche nella politica,ma sappiano presentare il loro messaggio in termini antropologici tali che i non credenti possano percepire in essi la volontà e il progetto del servizio reso all’Uomo e alla Società.
Che significato abbiano, in questo quadro interpretativo, vite ridotte a pura biologia, è una irrinunciabile interrogazione.
Chi può dire, dalla Gerarchia al Parlamento, alla Scienza di avere le uniche risposte ultimative e convincenti?
Mi chiedo, che c’entra con il messaggio Biblico evangelico l’imposizione a TUTTI, con legge dello Stato di una propria personale intima scelta etica e antropologica?
Il Dio che mi hanno trasmesso e in cui ho imparato a credere, il Dio che nutre la mia difficile, ma amata speranza cristiana, sicuramente non è un Dio che sa dire soltanto NO alla libertà, alla coscienza, ad ogni forma d’autonomia personale. Non è un Dio che fa del dono gratuito della vita, una clava, un carcere.

Desidero con tutto il cuore e doverosamente verificarmi col Vescovo, con le sorelle e i fratelli davanti alla Croce nella prossima Settimana Santa. La porta di San Benedetto è aperta.
Decisamente affermo, anche con sofferenza,: non sono disponibile per nessuna “crociata”integralista.
E’ per imitare, anche se malamente, l’atteggiamento misericordioso di Cristo che rinnovo oggi il mio Battesimo Cristiano, altrimenti la mia appartenenza alla Chiesa non avrebbe senso. (Beh, buona giornata).

Don Andrea Gallo
Coordinatore Comunità San Benedetto al Porto

Genova, 28 marzo 2009

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Attualità Popoli e politiche

Quando il Papa parla.

di BARBARA SPINELLI da lastampa.it

C’è forse una parte di verità in quello che si dice delle ultime parole e azioni di Benedetto XVI: comunicare quel che pensa gli è particolarmente difficile. Sempre s’impantana, mal aiutato da chi lo circonda. Sempre è in agguato il passo falso, precipitoso, mal capito. Il pontefice stesso, nella lettera scritta ai vescovi dopo aver revocato la scomunica ai lefebvriani, enumera gli errori di gestione sfociati in disavventura imprevedibile. Confessa di non aver saputo nulla delle opinioni del vescovo Williamson sulla Shoah («Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l’Internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema»). Ammette che portata e limiti della riconciliazione con gli scismatici «non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro». Poi tuttavia sono venuti altri gesti, e l’errore di gestione non basta più a spiegare. È venuta la scomunica ai medici che hanno fatto abortire una bambina in Brasile, stuprata e minacciata mortalmente perché gravida a 9 anni.

La scomunica, che colpisce anche la madre, è stata pronunciata da Don Sobrinho, arcivescovo di Olinda e Recife: il Vaticano l’ha approvata. Infine è venuta la frase del Papa sui profilattici, detta sull’aereo che lo portava in Africa: profilattici giudicati non solo insufficienti a proteggere dall’Aids – una verità evidente – ma perfino nocivi. C’è chi comincia a vedere patologie. Una quasi follia, dicono alcuni. L’ex premier francese Juppé parla di autismo. Sono spiegazioni che non aiutano a capire. C’è del metodo in questa follia. C’è il riaffiorare possente di un conservatorismo che ha seguaci e non è autistico. Sono più vicini al vero coloro che stanno tentando di resuscitare il Concilio Vaticano II, nel cinquantesimo anniversario del suo annuncio, e vedono nella disavventura papale qualcosa di più profondo: l’associazione Il Nostro 58, sorretta da Luigi Pedrazzi a Bologna, considera ad esempio la presente tempesta una prova spirituale.

Una prova per il Papa, per i cattolici, per la pòlis laica: l’occasione che riesumerà lo spirito conciliare o lo seppellirà. Non si è mai parlato tanto di Concilio come in queste settimane che sembrano svuotarlo. Le figure di Giovanni XXIII e Paolo VI risaltano più che mai. Chi legga l’ultimo libro di Alberto Melloni sul Papa buono capirà più profondamente quel che successe allora, che succede oggi. Capirà che quello straordinario Concilio è appena cominciato, e avversato oggi come allora. Quando Papa Roncalli lo annunciò, il 25 gennaio ’58 nella basilica di San Paolo, solo 24 cardinali su 74 aderirono (7 nella curia). Inutile invocare un Concilio Vaticano III se il secondo è ai primordi. Eppure son tante le parole papali che contraddicono errori, avventatezze. Il filosofo Giovanni Reale sul Corriere della Sera ne ricorda una: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Enciclica sull’Amore). Se in principio non c’è un dogma ideologico diventa inspiegabile la durezza vaticana sul fine vita, conclude Reale. Diventa inspiegabile anche la chiusura su profilattici e controllo delle nascite in Africa, dove Aids e sovrappopolazione sono flagelli. In realtà il Papa sostiene, nella lettera ai vescovi, che «il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini, e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento».

È un annuncio singolare, perché chi certifica la catastrofe? E il certificatore non tenderà a un potere fine a se stesso? Se Dio davvero scompare, tanto più indispensabile è l’autorità del suo vicario: una tentazione non del Papa forse – che nell’orizzonte nuovo pareva credere – ma di parte della Chiesa. L’auctoritas diventa più importante dell’incontro con Gesù: urge affermarla a ogni costo. Così come più importante diventa la gerarchia, rigida, astratta, dei valori. In un orizzonte vuoto non restano che astrazione e potere. L’arcivescovo brasiliano afferma il monopolio sui valori, innanzitutto: «La legge di Dio è superiore a quella degli uomini»; «L’aborto è molto più grave dello stupro. In un caso la vittima è adulta, nell’altro un innocente indifeso». E si è felicitato degli elogi del cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione dei vescovi. Né Sobrinho né Re vedono l’uomo: né l’uno né l’altro vedono che la bambina ingravidata non è adulta. Non vedono l’essere umano, il legno storto di cui è fatto: proprio quello che invece vide Giovanni XXIII, alla vigilia del Concilio. Melloni ricorda l’ultima pagina del Giornale dell’Anima di Roncalli, scritta il 24 maggio ’63, pochi giorni prima di morire: «Ora più che mai, certo più che nei secoli passati, siamo intesi a servire l’uomo in quanto tale e non solo i cattolici; a difendere, anzitutto e dovunque, i diritti della persona umana e non solo quelli della chiesa cattolica. (…) Non è il Vangelo che cambia: siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio». Comprenderlo meglio era «riconoscere i segni dei tempi».

O come dice Melloni: indagare l’oggi. Vedere nell’uomo in quanto tale il vangelo che parla alla Chiesa, e «non semplicemente il destinatario del messaggio, o il protagonista di un rifiuto, ovvero – peggio ancora – il mendicante ferito di un “senso” di cui la Chiesa sarebbe custode indenne e necessariamente arrogante» (Papa Giovanni, Einaudi, 2009). Questi mesi erranti e maldestri sono una prova perché gran parte della Chiesa non pensa come il Papa: dà il primato alla libertà, alla coscienza, sul dogma. Indaga l’oggi, specie dove l’uomo è pericolante come in Africa o nelle periferie occidentali. Ricordiamo Suor Emmanuelle, che a 63 anni decise di vivere con gli straccivendoli nei suburbi del Cairo, e un giorno scrisse una lettera a Giovanni Paolo II in cui illustrò la necessità delle pillole per bambine continuamente ingravidate. Lo narra in un libro scritto prima di morire (J’ai 100 ans et je voudrais vous dire, Plon). Distribuiva profilattici senza teorizzare su di essi. Giovanni Paolo II non rispose alla lettera. La sintonia con Ratzinger era forte. Ma il silenzio ha un pregio inestimabile, è un’apertura infinita all’umano. Suor Emmanuelle gli fu grata: disse che il suo silenzio era un balsamo. È il silenzio che oggi manca in Vaticano. Il silenzio che pensa, ha sete di sapienza, ascolta. Che non vede orizzonti vuoti. Il Vangelo è sempre lì, va solo compreso meglio. Contiene una verità che sempre riaffiora, quella detta da Gesù a Nicodemo: «Lo spirito soffia dove vuole. Ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va» (Giovanni 3,8). Soffia come il fato delle tragedie greche: innalzando gli impotenti, spezzando l’illusione della forza. Chi fa silenzio o è solitario lo lascia soffiare, afferrato dal mistero.

In Africa, il Papa ha accennato al «mito» della sua solitudine, dicendo che «gli viene da ridere», visto che ha tanti amici. Perché questo ridere? Come capire il dolore umano, senza solitudine? Cosa resta, se non l’ammirazione della forza (la forza numerica dei lefebvriani, evocata nella lettera del 12 marzo) e l’oblio di chi, impotente, incorre nell’anatema come il padre di Eluana, la madre della bambina brasiliana, i malati che si difendono come possono dall’Aids? Per questo quel che vive il Papa è prova e occasione. Prova per chi tuttora paventa gli aggiornamenti giovannei, e sembra voler affrettare la fine della Chiesa per rifarne una più pura. Prova per chi difende il Concilio come rottura e riscoperta di antichissima tradizione. La tradizione del rinascere dall’alto, dello spirito che soffia dove vuole: vicino a chi crede nei modi più diversi. (Beh, buona giornata).

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