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Attualità

A tre giorni dalla fine del mese di agosto, siamo a 81 morti di lavoro.

Dopo un giorno di ricerche, martedì 27 agosto nella regione del Voralberg, nella parte più occidentale dell’Austria, è stato ritrovato il corpo di Luca Vinzoni, il pilota ligure di 58 anni precipitato lunedì 26 intorno alle 10 del mattino. Vinzoni era decollato alle 8,30 da Villanova d’Albenga (Imperia) con il suo Beechcraft Baron 58, diretto in Baviera per la periodica revisione.

Poi l’interruzione dei contatti, il via alle ricerche, ostacolate lunedì dalla nebbia, il ritrovamento dei resti dell’aereo e infine del corpo del pilota.

Lunedì 26 agosto si è spenta all’ospedale di Livorno la 50enne Filomena D’Elia, dopo una settimana di lotta per la vita. Cuoca al Bagno Nilo di Lido di Camaiore, nella notte tra il 18 e il 19 agosto aveva perso il controllo dello scooter tornando a casa a Viareggio, urtando un marciapiede e sbattendo la testa con violenza.

A Livorno era stata sottoposta a un intervento per ridurre la pressione di un vasto ematoma intracranico ma le sue condizioni erano progressivamente peggiorate, fino al decesso.

Mercoledì 28 luglio è morto a Corsano (Lecce), il pastore 70enne Biagio Nicolì, folgorato dal generatore che usava nel podere in cui teneva le pecore.

A trovarlo, uno dei figli, allarmato per il mancato rientro del padre.

Domenica 25 luglio è morto a Cassano Irpino (Avellino), il carabiniere 41enne Alex Boccella, che libero dal servizio stava facendo alcuni lavori nella masseria di famiglia.

Riportando al chiuso un trattore, è stato agganciato per i pantaloni da uno dei cingoli, subendo una ferita fatale alla testa.

#lucavinzoni#filomenadelia#biagionicolì#alexboccella#mortidilavoro

Agosto 2024: 81 morti (sul lavoro 55; in itinere 26; media giorno 2,8)

(Courtesy by Piero Santonastaso/Morti di lavoro).

Anno 2024: 756 morti (sul lavoro 574; in itinere 182; media giorno 3,1)

115 Lombardia (78 sul lavoro – 37 in itinere)

76 Campania (62 -14)

65 Veneto (44 -21)

61 Emilia Romagna (47 -14)

59 Sicilia (43 -16)

56 Lazio (35 – 21)

51 Toscana (42 – 9)

47 Puglia (33 – 14)

44 Piemonte (33 – 11)

27 Sardegna (24 – 3)

23 Abruzzo (19 – 4)

20 Marche (14 – 6), Calabria (17 – 3)

16 Trentino (13 – 3)

14 Estero (12 – 2)

13 Liguria (11 – 2)

11 Alto Adige (10 – 1), Umbria (11 – 0)

10 Friuli V.G. (8 – 2)

8 Basilicata (8 – 0)

5 Valle d’Aosta (5 – 0)

4 Molise (4 – 0).

Luglio 2024: 105 morti (sul lavoro 83; in itinere 22; media giorno 3,3)

Giugno 2024: 104 morti (sul lavoro 71; in itinere 33; media giorno 3,4)

Maggio 2024: 101 morti (sul lavoro 79; in itinere 22; media giorno 3,1)

Aprile 2024: 105 morti (sul lavoro 85; in itinere 20; media giorno 3,5)

Marzo 2024: 84 morti (sul lavoro 68; in itinere 16; media giorno 2,7)

Febbraio 2024: 95 morti (sul lavoro 75; in itinere 20; media giorno 3,2)

Gennaio 2024: 81 morti (sul lavoro 55; in itinere 26; media 2,6).

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Attualità

Il buttaForum Ambrosetti.

Non si può esprimere il dissenso verso le strategie finanziarie, imprenditoriali ed economiche.

È vietato manifestare un altro modo di vedere il mondo.

Con la complicità del ministro Piantedosi, del prefetto e del questore di Como, il 6,7 e 8 settembre, la democrazia è stata sospesa a Cernobbio.

Va in scena il ButtaForum Ambrosetti.

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Attualità

In memoria di Enzo Baldoni.

Ricevo e pubblico volentieri una ricordo di Till Neuburg.

Enzo Baldoni ( 08/10/1948-26/08/2004)

Ieri erano trascorsi esattamente vent’anni da quando il nostro collega (nel mio caso anche amico e complice di lavoro), Enzo Baldoni, era stato “censurato” per sempre nell’Iraq.

Appena una settimana prima della sua (ultima) partenza, avevamo pranzato in un ristorante argentino dalle parti di San Vittore.

Tra un boccone di Asado e una Carpada, alla mia domanda se temesse di più gli sciiti governativi di Ilyad Allawi, la minoranza sunnita guidata dal militare di origini giordane Abu Mus’ab al-Zarqawu, il califfo dello Stato islamico Abu Bakr al-Baghdadi, i miliziani comandati da Mouqtada al-Sadr o i combattenti della popolazione curda… la sua risposta era stata netta: «Gli unici che mi fanno paura sono gli americani».

Questa apparente forzatura, a soli diciotto giorni prima della sua uccisione, Enzo l’avrebbe poi confermata sul suo Blogdhad, scritto e postato quotidianamente e in diretta dall’Iraq:

«Fantastici americani. In un anno di arroganza, violenza, maltrattamenti in carcere, arresti illegali e disordini sono riusciti a sprecare tutto il capitale di credibilità che si erano costruiti con la cacciata di Saddam. Adesso anche chi li aveva festeggiati all’arrivo non aspetta altro che si tolgano dai coglioni».

Alla partenza della sua seconda missione di aiuti umanitari (acqua, viveri, medicinali) da Baghdad a Najaf, da portare ai miliziani sadristi trincerati in una moschea di quella città, Enzo annota nel suo blog: «In uno dei due camion c’è un alto esponente dell’esercito del Mahdi (gli uomini di Mouktada al-Sadr) che è la nostra assicurazione sulla vita. L’unica cosa che ci fa davvero paura sono gli americani».

Durante il secondo rientro a Bagdhad, nella colonna della Croce Rossa irachena consistente di alcune camionette contrassegnate con la Mezzaluna Rossa, il solo mezzo attaccato è la Nissan bianca noleggiata da Enzo e guidata dalla sua guida locale Ghareeb.

Poco prima del rapimento, il suo assaltatore e assassino Saad Erebi al-Ubaidy, era stato fotografato durante un confidenziale têta-à-tête con il vicepremier iracheno Bahram Saleh e il comandante supremo delle forze americane nell’Iraq, il generale David Petraeus (successivamente promosso comandante delle operazioni militari statunitensi in Afghanistan e poi a capo della stessa Cia). Per motivi insondabili di colpo quella foto era poi sparita dal web. L’unica testimonianza su quell’incontro rimane un articolo di Giuliana Sgrena apparso su Internazionale del 23 novembre 2007 che conferma appieno la circostanza.

Quando sabato 21 agosto 2004 la notizia del suo rapimento cominciava a diffondersi in Italia, il quotidiano Libero diretto da Vittorio Feltri usciva con il titolo a piena pagina “Vacanze intelligenti“. Il prosieguo di quella colata di fango Feltri lo affidò al giornalista Renato Farina che tre anni dopo sarebbe stato radiato dall’albo della categoria per aver collaborato con i servizi segreti militari fornendo, ovviamente a pagamento, notizie false sul rapimento milanese dell’Imam Hassan Mustafa Osama Nasr, organizzato dal Sismi per conto della Cia.

Farina e Feltri titolavano i loro pezzi su Baldoni con uno sprezzante “Il pacifista col Kalashnikov” e, ad assassinio avvenuto e confermato, con un sarcastico “I terroristi islamici uccidono il giornalista italiano che cercava i brividi in Iraq“.

Quattro anni dopo, Farina fu eletto deputato e divenne membro della Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera scrivendo biografie sul fondatore di Comunione e Liberazione Don Luigi Giussani, Giulio Andreotti, Francesco Cossiga e la vispa Teresa di Calcutta.

Appena quattro mesi prima dell’uccisione di Baldoni, a Baghdad il contractor militare Fabrizio Quattrocchi veniva rapito dalle autoproclamate Falangi Verdi di Maometto.

La sua presenza in Iraq s’inquadrava nel controllo militare del territorio nazionale tra le forze militari istituzionali ma in buona parte anche private, di varie nazionalità, guidate da un comando congiunto statunitense-britannico gestito di persona da Colin Powell e da Tony Blair.

Gli italiani presenti nell’operazione ammontavano a tremila unità. I rapitori lanciarono al governo italiano un ultimatum per un ritiro immediato dei nostri soldati e dei mercenari entro 48 ore dal rapimento.

Dopo il perentorio rifiuto della Farnesina, Quattrocchi veniva giustiziato in circostanze tali da indurre il Capo dello Stato dell’epoca a conferirgli la Medaglia d’Oro al Valor Civile. Alla richiesta collettiva di 14.000 cittadini (che comprendevano anche Gianni Barbacetto, Enzo Biagi, Giovanna Botteri, Lella Costa, Enrico Deaglio, Antonio Di Bella, Ottavia Piccolo, Pino Scaccia), di onorare anche Baldoni con la stessa medaglia, il massone Carlo Azeglio Ciampi e il ministro degli esteri Massimo D’Alema non avevano mai risposto, nemmeno tramite un portavoce di seconda fila.

Sulle cause che hanno portato al rapimento e all’uccisione di Enzo, più che leggere e sentire le tesi ufficiali in toto asservite ai portavoce del Pentagono, del Foreign Office britannico e della Croce Rossa Italiana, ricordo solo uno stanco clima d’indifferenza, sia politica che mediatica, che andava da uno stizzito «In fondo se l’è cercata…» fino a un apatico «Ma chi gliel’ha fatta fare!».

A parte il suo Blogdhad (tuttora accessibile a chiunque fosse interessato a leggere le sue corrispondenze dall’Iraq), all’epoca Baldoni collaborava con il settimanale Diario diretta da Enrico Deaglio. La cronaca di quei giorni l’ha appena raccontata, in modo civile, acuto e piuttosto dettagliato, lo scrittore e giornalista Giacomo Papi, in una sua rubrica sul quotidiano online Post:

Till Neuburg

Da parte mia aggiungo alcune considerazioni che ambiscono a chiarire le penombre più cupe della fine di Baldoni – certamente non riconducibili a fatalità astrologiche, al puro caso oppure all’insondabile volontà di Allah:

• A Najaf Enzo aveva visto e ahimè toccato con mano come la missione di pace yankee con le sue bombe intelligenti al napalm, al fosforo bianco e all’uranio impoverito, avevano agito sui civili iracheni.

Che presto quelle demo democratiche sarebbero state documentate sia su Diario che nel suo blog, lo davano per scontato non solo i militari e le cancellerie degli Stati occupanti, ma soprattutto i gazzettari più embedded e compromessi con la leggenda mesopotamica delle armi di distruzione di massa irachene.

• Enzo era presente quando i carri armati USA assediavano i ribelli sciiti rifugiati nella moschea di Najaf. Memori della complicità affaristica tra Bush senior e il padre di Bin Laden, quel luogo sacro non poteva assolutamente essere distrutto con armi americane e perciò il comando statunitense era intenzionato a stanare i ribelli con i gas – esattamente come appena due anni prima aveva fatto Putin con i ceceni nel teatro moscovita – ma la presenza di una bandiera con la Croce Rossa sventolata da un giornalista freelance – per giunta occidentale – in quel luogo, rese mediaticamente e politicamente impossibile una strage chimica hi-tech Made in USA. E tutto questo, Enzo lo sapeva benissimo.

• Che la storica combutta militare e finanziaria tra i governi italiani e USA non fosse solo una fantasiosa chimera anti-atlantista di Baldoni, è provato dal fatto di quando nel 1989 gli agenti del FBI entrarono nella sede di Atlanta dell’italianissima Banca Nazionale di Lavoro per scoprire che su indicazione dei tre porcellini dell’economia italiana dell’epoca, 1) Guido Carli (Ministro del Tesoro), 2) Giulio Andreotti (Presidente del Consiglio), 3) Carlo Azeglio Ciampi (Governatore della Banca d’Italia), la BNL aveva bonificato al dittatore Saddam Hussein la bella somma di 4 miliardi di dollari – per acquistare carri armati, missili e armi chimiche americane (per attuare la guerra santa contro l’odiato Iran e sterminare i Curdi).

La colpa di quell’operazione fu addebitata al direttore della sede americana Charles Drogoul che di lì a poco sarebbe morto di un cancro fulminante, ma fu subito chiaro che l’intera operazione era stata avviata dal Premio Nobel per la Pace Henry Kissinger.

Di fatto l’Italia (cioè noi tutti) avevamo finanziato il dittatore iracheno per acquistare armi Made in USA. Di quel plot, con Enzo avevo parlato a lungo, molto prima della sua partenza per l’Iraq.

• Enzo intendeva portare in Italia una lettera del leader sciita Mouqtada al-Sadr destinata al Papa per sollecitarlo a promuovere una tregua militare in Iraq – lettera che l’ambizioso affarista e commissario straordinario della Croce Rossa Italiana voleva a tutti i costi recuperare per consegnarla di persona a Wojtyla.

Nelle possibili trattative separate tra le forze ribelli sciite e gli USA, con quell’agognata intermediazione, il Derrick crocerossino meglio ignoto come Maurizio Scelli, (pieno di soldi estorti ai pellegrini bigotti e ignoranti che anno dopo anno s’erano recati a Lourdes), avrebbe di colpo assunto una visibilità di rilevanza internazionale.

• Era subito evidente che l’ultimatum dei rapitori per un immediato ritiro delle truppe italiane, era pretestuoso e irrealizzabile.

L’autista-guida Ghareeb fu ammazzato a poche ore dell’attacco e l’autorevolezza del Ministro degli esteri Frattini era notoriamente svuotata e sabotata dai nostri servizi segreti a soprattutto da Gianni Letta (sponsor politico dello stesso Scelli il quale, in amichevole combutta con il cardinale Ruini che a sua volta era culo e talare con Wojtyla), decidevano cosa fare e disfare nel ciapanò propagandistico giocato con i vari leader militari e politici musulmani.

Che prima di quel suo ultimo viaggio, Enzo avesse già sperimentato e raccontato tante altre esperienze in luoghi e circostanze che nulla avevano a che fare con il suo – e nostro – abituale entourage, lo poteva apprezzare solo chi era pienamente consapevole che nella sua testa riccioluta e soprattutto nella tastiera di uno dei più bravi copywriter italiani, si celava una straordinaria combinazione di coraggio, partecipazione umana e tanta curiosità:

• con oltre 100 racconti e réportage (e innumerevoli foto), Baldoni aveva raccontato la storia, la cultura, i contrasti e soprattutto l’incredibile lotta guidata dallo spericolato leader Xanana Gusmão, nell’isola di Timor Est

• un intero libro titolato “Piombo e tenerezza” sulle sue lunghe settimane vissute in Colombia, tra le truppe governative, l’esercito rivoluzionario FARC e la popolazione rurale

• un roadbook con una quarantina di inattese testimonianze umane, politiche e fotografiche sulla patria dell’Ejército Rebelde che sfatava buona parte della mitologia cubana

• il lungo racconto del suo avventuroso ritorno in Colombia nel 2003 attraverso 43 capitoli – uno più sorprendente dell’altro

• cinque pagine rivelatrici che raccontano il suo viaggio nella terra dei Chiapas messicani

• la Crociata dell’esercito Karen di adolescenti birmani guidati da due leader dodicenni

• il lebbrosario infernale-paradisiaco delle Hawaii

• le fogne di Bucarest dove convivono bambini drogati, prostitute e cani randagi

• il terremoto che scosse l’Umbria con una violenza dell’Ottavo grado Mercalli

• i suoi dieci giorni passati a Giacarta – la sconosciuta capitale dell’Indonesia

• l’incredibile avventura di Ingrid Betancourt – la miliardaria francese rapita e infine liberata dalle FARC colombiane

• Il comandante Ramón – il Kurz conradiano della Colombia

• …e tanti altri viaggi – fisici, mentali, fotografici, lavorativi e creativi – nel mondo dei fumetti, della scienza, della pedofilia, della pubblicità, di Batman, di Carosello e di B.C.

Sul piano personale, di coppia e di allegre bisbocce a tu per tu… con Enzo ho condiviso alcune esperienze che non sono facili da dimenticare:

• Con un budget impossibile (ma alla fine ce l’avevamo comunque fatta perché come produttore decisamente fuori ruolo e pure un tantino fuori di testa, avevo letteralmente – e numericamente – ricattato uno dei primi servizi per la realizzazione di video digitali europei) quando nel 1995 abbiamo prodotto – e messo in onda – il primo telecomunicato italiano interamente elettronico-virtuale.

Era uno spot per una nuova penna Bic nel quale non c’era nemmeno un unico frame di video girato su pellicola o video-registrato. Erano 750 immagini generate tutte quante con il computer e ogni fase di lay-out, prove, demo, visualizzazioni ed editing veniva digitata ed elaborata in quel di Zagabria – per essere presentata rigorosamente via internet (allora ancora sperimentala e lentissima) con domande, commenti e approvazioni espressi e commentati unicamente tramite una conference call telefonica.

Quell’esordio croato-meneghino di una tecnologia allora ancora del tutto inesplorata dalle nostre parti, indusse il piccolo-grandissimo Oreste Del Buono a dedicarci un commento piuttosto stupito e lusinghiero nella sua rubrica Spot & Dintorni su L’Espresso.

• Quando la mia casa di produzione Camera s’era dotata (tra le prime in Italia) di workstation Macintosh Plus + Laserwriter individuali, non tutto il know-how necessario per cliccare-navigare-stampare-inviare era easy, veloce e user friendly… come puntualmente il loquace Jobs prometteva nelle sue presentazioni trimestrali.

Perciò, per il sottoscritto e il mio mini-team, Enzo agiva – sempre gratis – come un tutorial vivente e sempre sorridente, perché in ambito Mac lui s’era da subito rivelato come un autentico pioniere italiano.

• Quando nel consiglio dell’Art Directors Club Italiano sostenni che per decidere le nostre Hall of Fame, era giunta la fatidica ora X (leggi: eleggere finalmente una donna), la mia proposta di onorare Fernanda Pivano ottenne subito un consenso plebiscitario.

Appena Pivano ricevette il nostro annual stampato con dentro la mia laudatio, me lo rispedì con una dedica molto cordiale. A questo punto le proposi una cena tra amici e – sorpresa! – la mitica Nanda accettò. Nel senso pivaniano-wendersiano l’amico più “americano” che poteva accompagnarmi era, obviously, Enzo.

All’inizio, per una buona oretta ascoltammo tutti estasiati i suoi ricordi su Pavese, Hemingway, i Beatnik, Miller, Bukowski, Dylan, De André, ma quando, finalmente, la Nanda si rivolse a Enzo dicendo «E tu, bel giovanotto, cosa combini nella vita?», lui iniziò a raccontare i suoi viaggi in giro per il mondo… e tutti rimanemmo di colpo ammutoliti, come se il nostro viandante avesse attizzato le braci di un fuoco intorno al quale noi altri stavamo solo ascoltando e sognando.

Alla fine della serata, Pivano abbracciò a lungo Enzo come se i suoi ottant’anni si sarebbero di colpo dimezzati.

Il giorno dopo, nel “suo” Creative Cafè (una mailing list tra un centinaio di creativi, da lui creata, gestita e moderata), Enzo riassunse quell’evento con parole di vibrante rispetto, affetto e candore: «Ieri sera a cena con amici e una signora ultraottantenne con gli occhi vivi. Guardavo quel volto rugoso che è stato molto bello e pensavo: Da queste rovine mi guardano sessant’anni di storia della letteratura americana».

Era l’ennesima prova che Enzo (e tantomeno il sottoscritto) non ce l’aveva con gli americani, ma solo con una trascurabile maggioranza di un impero che colpisce ancora, ancora e ancora… 

I guess.

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Attualità

Morire di lavoro in itinere.

Lunedì 26 agosto sono morti quattro lavoratori, tre dei quali sulle strade italiane, cioè in itinere o sul mezzo usato per lavoro.

Alle 5,30 del mattino la prima vittima è stata il 52enne Martino Albanese, che con la sua vecchia Punto si è scontrato frontalmente con una Jeep alla periferia di Cisternino (Brindisi), mentre raggiungeva la masseria di Fasano di cui era dipendente. L’uomo è morto sul colpo, mentre l’altro conducente è rimasto illeso.

A metà mattina il 58enne Alberto Braga ha perso la vita a Cadelbosco di Sotto (Reggio Emilia) in un incidente che ha coinvolto tre automezzi e una moto.

Il furgone sul quale viaggiava, guidato da un ventottenne moldavo, dopo un primo urto con un’auto che cercava di evitare una moto, è stato tamponato da un secondo furgone e si è schiantato contro un albero.

Braga è stato elitrasportato all’ospedale Maggiore di Bologna, dove è morto poco dopo il ricovero.

Alle 13,30 la 54enne Simona Gusmini, residente ad Albino (Bergamo), infermiera all’ospedale Bolognini di Seriate, era diretta al lavoro con la sua vettura quando a Torre de Roveri si è scontrata frontalmente con un camion lungo la 671.

Per la violenza dell’impatto il mezzo pesante si è ribaltato su un fianco, mentre l’auto di Gusmini si è accartocciata. La lavoratrice è morta sul colpo. Ricoverato in gravi condizioni l’autista del camion.

Il 36enne Marco Ponghellini, elettricista di Monticelli d’Ongina (Piacenza), è morto cadendo da un ponteggio alto 6 metri all’interno di un capannone della Vetropadana di Castelvetro Piacentino.

L’artigiano stava lavorando sulle plafoniere ed è caduto battendo con violenza la testa. I soccorritori nulla hanno potuto.

#martinoalbanese#albertobraga#simonagusmini#marcoponghellini#mortidilavoro

Agosto 2024: 73 morti (sul lavoro 48; in itinere 25; media giorno 2,8)

(Courtesy by Piero Santonastaso/Morti di lavoro).

Anno 2024: 748 morti (sul lavoro 567; in itinere 181; media giorno 3,1)

113 Lombardia (76 sul lavoro – 37 in itinere)

75 Campania (61 -14)

64 Veneto (43 -21)

61 Emilia Romagna (47 -14)

59 Sicilia (43 -16)

56 Lazio (35 – 21)

50 Toscana (42 – 😎

46 Puglia (32 – 14)

43 Piemonte (32 – 11)

27 Sardegna (24 – 3)

23 Abruzzo (19 – 4)

20 Marche (14 – 6), Calabria (17 – 3)

16 Trentino (13 – 3)

13 Liguria (11 – 2), Estero (11 – 2)

11 Alto Adige (10 – 1), Umbria (11 – 0)

10 Friuli V.G. (8 – 2)

8 Basilicata (8 – 0)

5 Valle d’Aosta (5 – 0)

4 Molise (4 – 0).

Luglio 2024: 105 morti (sul lavoro 83; in itinere 22; media giorno 3,3)

Giugno 2024: 104 morti (sul lavoro 71; in itinere 33; media giorno 3,4)

Maggio 2024: 101 morti (sul lavoro 79; in itinere 22; media giorno 3,1)

Aprile 2024: 105 morti (sul lavoro 85; in itinere 20; media giorno 3,5)

Marzo 2024: 84 morti (sul lavoro 68; in itinere 16; media giorno 2,7)

Febbraio 2024: 95 morti (sul lavoro 75; in itinere 20; media giorno 3,2)

Gennaio 2024: 81 morti (sul lavoro 55; in itinere 26; media 2,6).

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Attualità

Non è mica tutta colpa sua.

Gli avete fatto credere di essere stato un vero soldato, perché ha fatto la guerra in Somalia, Afghanistan, Iraq e Libia. 

Perché non gli avete detto chi l’Italia ripudia la guerra? Colpa vostra. 

Se poi gli aveste detto chiaro e tondo che le guerre cui ha partecipate le ha pure perse tutte, avrebbe forse intuito che è il suo mondo che fa rovesciare. 

Almeno non si sarebbe montato la testa, fino a credersi un leader politico, di quelli che manco Mario Monicelli avrebbe avuto voglia di prendere per i fondelli in “Vogliamo i colonnelli”.

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Attualità

Sette morti di lavoro, la strage continua.

Laura Chiricuta, 46 anni, romena, domenica 25 agosto si è svegliata all’alba per andare al lavoro. Da Torre del Lago Puccini (Lucca), dove viveva con il marito e il figlio, avrebbe raggiunto in scooter il bar Universo 24 a Lido di Camaiore, poco più di 12 chilometri.

Non è mai arrivata: alle 6,30, attraversando Viareggio, è stata investita dall’auto guidata da un 28enne italiano ubriaco, che ha saltato uno stop e colpito in pieno la lavoratrice, morta sul colpo.

Intorno alle 7 di domenica 25 agosto Gianfranco Ciarrocchi, 69 anni, commerciante ambulante, stava allestendo il suo banco alla fiera di San Bartolomeo, a Castelraimondo (Macerata).

Mentre scaricava il furgone è stato colto da malore ed è crollato a terra. I soccorsi sono stati rapidi ma Ciarrocchi, al quale mancavano solo 4 mesi alla pensione, non ha più ripreso conoscenza. La fiera è stata annullata.

Sabato 24 agosto il 24enne Michele Murenu, agente del Corpo forestale della Sardegna, è morto a Santadi (Sud Sardegna), mentre interveniva per spegnere un incendio.

Il Defender guidato da una collega è uscito di strada e si è ribaltato. Murenu è morto sul colpo. Leggere ferite per la conducente.

Venerdì 23 agosto il 32enne albanese Klevis Bardo ha perso la vita tra Turi e Casamassima (Bari), mentre con il trattore rientrava da una giornata di lavoro nei campi.

Il mezzo ha sbandato lungo una strada interpoderale e si è schiantato contro un muretto a secco.

Giovedì 22 agosto il 57enne Lucio Penzo, operatore sociosanitario della Usl 3 Serenissima, è stato stroncato da un malore a Sottomarina (Chioggia, Venezia), mentre nel caldo afoso raggiungeva a piedi la sede di lavoro.

Il caldo afoso è probabilmente la causa della morte di Onorato Lorenzoni, 55 anni, operaio edile, che intorno alle 14 di giovedì 22 agosto ha accusato un malore nel cantiere di un’abitazione privata a Camporgiano (Lucca).

Giuliano Bassi, 63enne allevatore di Agazzano (Piacenza), è morto folgorato nella serata di giovedì 22 agosto mentre cercava di ripristinare l’elettricità nel capannone dell’azienda agricola rimasto al buio.

#laurachiricuta#gianfrancociarrocchi#michelemurenu#klevisbardo#luciopenzo#onoratolorenzoni#giulianobasso#mortidilavoro

Agosto 2024: 69 morti (sul lavoro 46; in itinere 23; media giorno 2,7)

(Courtesy by Piero Santonastaso/Morti di lavoro).

Anno 2024: 744 morti (sul lavoro 565; in itinere 179; media giorno 3,1)

112 Lombardia (76 sul lavoro – 36 in itinere)

75 Campania (61 -14)

64 Veneto (43 -21)

59 Emilia Romagna (45 -14), Sicilia (43 -16)

56 Lazio (35 – 21)

50 Toscana (42 – 😎

45 Puglia (32 – 13)

43 Piemonte (32 – 11)

27 Sardegna (24 – 3)

23 Abruzzo (19 – 4)

20 Marche (14 – 6), Calabria (17 – 3)

16 Trentino (13 – 3)

13 Liguria (11 – 2), Estero (11 – 2)

11 Alto Adige (10 – 1), Umbria (11 – 0)

10 Friuli V.G. (8 – 2)

8 Basilicata (8 – 0)

5 Valle d’Aosta (5 – 0)

4 Molise (4 – 0).

Luglio 2024: 105 morti (sul lavoro 83; in itinere 22; media giorno 3,3)

Giugno 2024: 104 morti (sul lavoro 71; in itinere 33; media giorno 3,4)

Maggio 2024: 101 morti (sul lavoro 79; in itinere 22; media giorno 3,1)

Aprile 2024: 105 morti (sul lavoro 85; in itinere 20; media giorno 3,5)

Marzo 2024: 84 morti (sul lavoro 68; in itinere 16; media giorno 2,7)

Febbraio 2024: 95 morti (sul lavoro 75; in itinere 20; media giorno 3,2)

Gennaio 2024: 81 morti (sul lavoro 55; in itinere 26; media 2,6).

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Attualità

“Quanti morti ci vogliono per disturbare la nostra coscienza democratica?”

di Alessandro Portelli, Il manifesto.

Il 12 maggio 1996, a un intervistatore televisivo che le chiedeva se mezzo milione di bambini morti in Iraq fossero un prezzo che valeva la pena pagare, Madeleine Albright – ambasciatrice degli Stati uniti all’Onu e segretaria di stato durante la guerra in Iraq – rispose: «È una scelta difficile ma pensiamo che fosse un prezzo che valeva la pena».

Il 10 agosto scorso, Kamala Harris – prossima, speriamo, presidente degli Stati uniti – ha detto che i civili uccisi a Gaza sono «far too many», davvero troppi.

In modo più confuso e ambiguo, anche il presidente uscente Joe Biden ha detto la stessa cosa nel suo discorso alla convention democratica a Chicago.

RICONOSCIAMOLO: ci vuole del coraggio, con l’aria che tira, a suggerire che possa esistere un limite a quello che lo stato di Israele ha diritto di fare in qualunque momento e in qualunque parte del globo.

Però forse, visto che ci sono, Harris e Biden potrebbero fare un passo avanti e, sulla scia di Madeleine Albright, chiarire: esattamente a che punto diventano «troppe» le vittime civili?

Quale sarebbe un numero non eccessivo di persone ammazzate – ventimila, diecimila, cinquemila…?

Quanti morti ci vogliono per disturbare la nostra coscienza democratica? Qual è la soglia statistica oltre la quale le persone smettono di essere umane e diventano numeri? Qual è la soglia statistica oltre la quale i «danni collaterali» diventano crimini?

Riconoscendo che le cifre delle vittime fornite dal ministero della sanità di Gaza sono «generalmente accurate», un portavoce dell’esercito israeliano spiegava che però almeno 12mila erano combattenti terroristi (cito da Times of Israel).

Ora, non so se dodicimila combattenti uccisi sono «troppi»; ma quello che colpisce è che le fonti israeliane dichiarano con orgoglio di avere ucciso anche almeno 25mila non combattenti.

Dopo due mesi di guerra, una fonte militare israeliana citata dalla Cnn dichiarava che due civili uccisi per ogni combattente è una quota «tremendamente positiva». Ok, il prezzo è giusto?

Dipende. Siamo tutti d’accordo che dei 695 civili israeliani uccisi nel raid di Hamas il 7 ottobre anche uno solo è uno di troppo (a me paiono «troppi» anche i 373 delle forze di sicurezza, e pure i dodicimila presunti «combattenti» palestinesi. Ma forse sono contaminato da residui di ideologia non-violenta).

Comunque, a proposito di proporzioni: fino adesso, il rapporto fra vittime palestinesi e vittime israeliane – variabile a seconda delle fonti usate – è di circa 40 a uno. «Tremendamente positiva»?

Ovviamente, tutto questo vale se continuiamo a contare come vittime solo le persone direttamente uccise in azioni di guerra.

Ma – come sapeva l’intervistatore di Madeleine Albright nel 1996 e come ci hanno insegnato eloquentemente Gino Strada e Emergency – la guerra ammazza anche in tanti altri modi e continuerà ad ammazzare anche quando diremo che «è finita».

Secondo la Geneva Declaration on Armed Violence and Development del 2008, approvata da 113 paesi, nelle aree di conflitto armato «per ogni persona che muore per violenza diretta, muoiono per cause indirette da tre a quindici persone».

Basta pensare alle crisi sanitarie in atto, tifo, poliomielite, fame e agli ostacoli posti agli aiuti umanitari.

Su questa base una lettera pubblicata dalla rivista medica inglese Lancet ipotizzava un fattore di quattro a uno che porterebbe a 186mila il numero dei morti a Gaza. Forse esagerano. Ma se fossero la metà andrebbe bene, Ms. Harris? Novantamila sono un prezzo che vale la pena, Mr. Biden? Con i nostri soldi, con le nostre armi – che facciamo, continuiamo a mandarle?

E noi, quand’è che cominciamo a sentirci turbati? In Cisgiordania, dove in teoria non c’è nessuna guerra, dal 7 ottobre in poi esercito e coloni hanno approfittato dell’attenzione rivolta a Gaza per ammazzare 594 persone. Sono «troppi»?

Per capirci: abbiamo commemorato in questi giorni la strage nazifascista di Sant’Anna di Stazzema, 560 persone uccise. Per noi, è una ferita insanabile nella nostra memoria e nella nostra coscienza civile, come ogni crimine simile.

E LA CISGIORDANIA?Persino le autorità israeliane parlano di pogrom; ma i nostri media tacciono e i governi farfugliano qualche parola di biasimo mentre continuano a mandare armi a chi li uccide. E ancora: sappiamo se qualcuno sta contando i morti – «civili» o «combattenti» – in Libano?

Nel frattempo, a proposito di antisemitismo, il più grande arresto in massa di ebrei avvenuto dopo la seconda guerra mondiale in un paese occidentale ha avuto luogo il 22 luglio scorso a Washington.

Circa duecento partecipanti a una manifestazione indetta da Jewish Voice for Peace, in occasione del trionfo annunciato di Netanyahu al Congresso, sono stati arrestati per manifestazione non autorizzata.

Duecento ebrei arrestati farebbe notizia dovunque; ma questi non contano. Volevano la fine dei bombardamenti, gridavano che i morti erano troppi. Ma forse, a essere di troppo, erano loro.

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Attualità

Il funerale sbagliato.

I Volti di Chiozza, Trieste.

All’altezza dei volti di Chiozza, vidi in lontananza il convoglio e mi parve persino di riconoscere la carrozza di un amico mandato al funerale per Ada. 

Saltai col Nilini in una vettura di piazza, dando ordine al cocchiere di seguire il funerale. E in quella vettura il Nilini ed io continuammo a succhiellare. 

Eravamo tanto lontani dal pensiero al povero defunto che ci lagnavamo dell’andatura lenta della vettura. Chissà quello che intanto avveniva alla Borsa non sorvegliata da noi? 

Il Nilini, a un dato momento, mi guardò proprio con gli occhi e mi domandò perché non facessi alla Borsa qualche cosa per conto mio.

– Per il momento — dissi io, e non so perché arrossissi, — io non lavoro che per conto del mio povero amico.
Quindi, dopo una lieve esitazione, aggiunsi:
– Poi penserò a me stesso. — Volevo lasciargli la speranza di poter indurmi al giuoco sempre nello sforzo di conservarmelo interamente amico. 

Ma fra me e me formulai proprio le parole che non osavo dirgli: «Non mi metterò mai in mano tua!» Egli si mise a predicare.
– Chissà se si può cogliere un’altra simile occasione! — Dimenticava d’avermi insegnato che alla Borsa v’era l’occasione ad ogni ora.

Quando si arrivò al posto dove di solito le vetture si fermano, il Nilini sporse la testa dalla finestra e diede un grido di sorpresa. La vettura continuava a procedere dietro al funerale che s’avviava al cimitero greco.
– Il signor Guido era greco? — domandò sorpreso.

Infatti il funerale passava oltre al cimitero cattolico e s’avviava a qualche altro cimitero, giudaico, greco, protestante o serbo.
– Può essere che sia stato protestante! — dissi io dapprima, ma subito mi ricordai d’aver assistito al suo matrimonio nella chiesa cattolica.
– Dev’essere un errore! — esclamai pensando dapprima che volessero seppellirlo fuori dal posto.

Il Nilini improvvisamente scoppiò a ridere di un riso irrefrenabile che lo gettò privo di forze in fondo alla vettura con la sua boccaccia spalancata nella piccola faccia.
– Ci siamo sbagliati! – esclamò. Quando arrivò a frenare lo scoppio della sua ilarità, mi colmò di rimproveri. Io avrei dovuto vedere dove si andava perché io avrei dovuto sapere l’ora e le persone ecc.

Era il funerale di un altro!
Irritato, io non avevo riso con lui ed ora m’era difficile da sopportare i suoi rimproveri. Perché non aveva guardato meglio anche lui? Frenai il mio malumore solo perché mi premeva più la Borsa, che il funerale. […] (“La coscienza di Zeno”, Italo Svevo, – courtesy by Roberta Marchetti).

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Attualità

In memoria del cugino Ales.

Alessandro Pellegrini,

(Venezia 1945-Nepi 2024).

“La Morte viene a coricarsi al fianco di Ulisse;

ha vagato tutta la notte e ha le palpebre pesanti,

vuole stendersi in riva al fiume con il vecchio amico

all’ombra dell’agnocasto, dormire anche lei un poco;

posa lievemente le mani ossute sul petto dell’Arciere,

e così avvinta la valorosa coppia si addormenta.

Dorme la Morte, e sogna che esistano uomini vivi,

che sulla terra s’innalzino case, palazzi e regni,

che sorgano giardini fioriti, e che alla loro ombra

passeggino donne nobili e cantino le schiave.

Sogna che sorga il sole, e che la luna illumini,

che giri la ruota della terra, e che ogni anno porti

erbe e fiori, frutti d’ogni sorta, piogge dolci e neve;

che la ruota giri ancora, e che la terra si rinnovi.

La Morte ride di nascosto, o sa ch’è solo un sogno,

vento multicolore, fantasia della mente stanca,

e tollera imperturbabile che l’incubo l’assilli.

Piano piano la vita si fa sfrontata, la ruota prende slancio,

la terra avida apre le viscere alla pioggia e al sole,

infinite uova si schiudono, il mondo brulica di vermi;

si muovono folti eserciti, uomini, uccelli, fiere,

e pensieri, si avventano per divorare al Morte.

Una coppia di umani si rannicchia nelle sue nari,

accende il fuoco e lo attizza per prepararsi il pranzo,

e sul suo labbro appende la culla del neonato.

Ha un solletico sulle labbra, formicolano le nari,

la Morte si scuote all’improvviso e svanisce il sogno.

Nel sonno fulmineo ha avuto un incubo: la vita.

(“Odisea”, Canto VI, versi 1265-1290, Nikos Kazantzakis, Crocetti Editore 2021).

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Attualità

La Lombardia sempre saldamente in testa alla tragica classifica delle morti di lavoro in Italia.

Quattro vittime del lavoro in Lombardia, mercoledì 21 luglio, che portano il totale della regione nell’anno a 112 morti, quasi un sesto del totale nazionale.

Di due di loro non conosciamo ancora il nome, come nel caso del 22enne operaio egiziano assunto con contratto di somministrazione lavoro alla Corioni servizi ambientali di Monza.

Il ragazzo è stato letteralmente inghiottito da una macchina compattatrice dei rifiuti e i vigili del fuoco hanno dovuto lavorare ore per recuperarne il corpo.

L’altro lavoratore ancora senza nome è un camionista ligure di 57 anni, ribaltatosi con il suo mezzo sulla provinciale 596 a Gropello Cairoli (Pavia), in un incidente stradale che per il momento non ha spiegazioni, visto che non sono coinvolti altri automezzi.

È morto in strada anche il frontaliere 31enne Marco Gazzana, siciliano trasferitosi per lavoro a Solbiate con Cagno (Como).

Alle 6 del mattino era in scooter diretto in Canton Ticino quando ad Albiolo è stato investito da un’autovettura. È morto poco dopo il ricovero all’ospedale di Circolo di Varese.

Ha lottato 9 giorni per la vita al Poliambulanza di Brescia il 53enne Paolo Gatta, di Gardone Val Trompia (Brescia), dipendente del Banco nazionale di prova per le armi da fuoco.

Lunedì 12 è caduto da un’altezza di circa 5 metri mentre ispezionava gli aeratori, riportando diverse lesioni. Mercoledì 21 agosto si è arreso alla gravità dei danni fisici.

Non ha un nome il 53enne romeno trovato privo di vita mercoledì 21 in un terreno di San Donato di Ninea (Cosenza), dove stava potando degli alberi. Lascia la moglie e tre figli piccoli. La magistratura ha disposto l’autopsia.

Dopo tre giorni di affannose ricerche, mercoledì 21 agosto è stato ritrovato il corpo del 23enne Lorenzo Colasanti, dipendente di un locale di Rieti, che sembrava svanito nel nulla dopo aver lasciato il lavoro alle 5 del mattino di domenica 18 agosto.

Era nella macchina finita fuori strada alla periferia della città, caduta alcuni metri al di sotto del piano stradale e nascosta dalla vegetazione.

Incidente nelle prime ore di lunedì 19 agosto anche per il 26enne Rosario Pace, cameriere in un agriturismo di Comiso (Ragusa), che si è scontrato frontalmente con un’altra vettura dopo aver terminato il lavoro.

Martedì 20 agosto il 67enne Stefano Falco è morto nel cantiere di un’abitazione privata ad Airola (Benevento), vittima di un malore probabilmente legato alle alte temperature.

Il 77enne Michele Graziosi, agricoltore di Sovicille (Siena), è morto martedì 20 agosto nel ribaltamento del trattore con il quale stava operando.

#marcogazzana#paologatta#lorenzocolasanti#rosariopace#stefanofalco#michelegraziosi#mortidilavoro

Agosto 2024: 60 morti (sul lavoro 39; in itinere 21; media giorno 2,8)

(Courtesy by Piero Santonastaso/Morti di lavoro).

Anno 2024: 735 morti (sul lavoro 558; in itinere 177; media giorno 3,1)

112 Lombardia (76 sul lavoro – 36 in itinere)

75 Campania (61 -14)

63 Veneto (43 -20)

58 Emilia Romagna (44 -14), Sicilia (42 -16)

56 Lazio (35 – 21)

47 Toscana (40 – 7)

44 Puglia (31 – 13)

43 Piemonte (32 – 11)

26 Sardegna (23 – 3)

23 Abruzzo (19 – 4)

20 Calabria (17 – 3)

19 Marche (13 – 6)

16 Trentino (13 – 3)

13 Liguria (11 – 2), Estero (11 – 2)

11 Alto Adige (10 – 1), Umbria (11 – 0)

10 Friuli V.G. (8 – 2)

8 Basilicata (8 – 0)

5 Valle d’Aosta (5 – 0)

4 Molise (4 – 0).

Luglio 2024: 105 morti (sul lavoro 83; in itinere 22; media giorno 3,3)

Giugno 2024: 104 morti (sul lavoro 71; in itinere 33; media giorno 3,4)

Maggio 2024: 101 morti (sul lavoro 79; in itinere 22; media giorno 3,1)

Aprile 2024: 105 morti (sul lavoro 85; in itinere 20; media giorno 3,5)

Marzo 2024: 84 morti (sul lavoro 68; in itinere 16; media giorno 2,7)

Febbraio 2024: 95 morti (sul lavoro 75; in itinere 20; media giorno 3,2)

Gennaio 2024: 81 morti (sul lavoro 55; in itinere 26; media 2,6).

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Attualità

Come nacque il patriarcato.

“Quando le guerre trascinarono in esilio i valorosi, dal nord calarono a sud gli uomini dalle barbe bionde, e videro donne e vedove chinate a faticare:

-È duro il lavoro della terra, lascia che ti aiuti.

-Parli bene straniero, ma che salario posso darti?

-Ho fame, un po’ di pane, e un bacio per companatico.

La vedova accetta la proposta, e l’accordo è fatto.

Arata la terra incolta e seminato, i mercenari arano anche le viscere incolte della donna.

E tutti insieme, campi e corpi danno dolci frutti.” (“Odissea”, Nikos Kazantzakis).

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Attualità

Più che differenziata, è autonomia discriminata.

Facciamo chiarezza sui residui fiscali, “GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO”, 19 agosto 2024

di Guglielmo Forges Davanzati

Nel dibattito sull’autonomia differenziata, si solleva spesso la questione del calcolo dei cosiddetti residui fiscali, cioè della differenza fra il gettito fiscale prodotto in una Regione e la spesa pubblica erogata nella stessa a beneficio dei residenti.

Un residuo fiscale positivo indica che le spese eccedono le entrate.

I sostenitori dell’autonomia differenziata mettono in evidenza la presunta ingiustizia fiscale su base territoriale, ovvero il fatto che le Regioni del Sud hanno un residuo fiscale positivo e negativo lo hanno quelle del Centro-Nord.

Questa evidenza servirebbe a mostrare che, pur ricevendo ingenti risorse dallo Stato centrale, il Mezzogiorno è incapace di gestirle in modo efficiente, così che la sua arretratezza è da imputare proprio alla scarsa qualità del suo ceto politico e della sua dirigenza amministrativa.

Il calcolo dei residui fiscali ha, poi, anche una connotazione per così dire etica, di matrice meritocratica, dal momento che tende a mostrare che chi produce di più (le Regioni del Nord) riceve meno servizi e che lo Stato italiano è eccessivamente generoso verso i territori più poveri.

Posta la questione in questi termini, viene dedotto che la responsabilizzazione della classe politica meridionale – da realizzarsi mediante il decentramento istituzionale – è il solo strumento adatto a produrre sviluppo del Mezzogiorno, evitando la reiterazione delle fallimentari politiche basate sui trasferimenti su base centralizzata.

È all’economista statunitense James Buchanan che si deve, nel 1950 (Federalism and fiscal equity, in “American Economic Review”), l’origine della categoria del residuo fiscale, concepita inizialmente sulla base del principio dell’uguale trattamento fra pari: l’equità distributiva si realizzerebbe quando l’ammontare di spesa pubblica che si riceve eguaglia ciò che si trasferisce allo Stato in termini di tasse pagate.

L’argomento merita un approfondimento, tenendo conto degli studi pubblicati sull’argomento negli ultimi anni.

Le fonti più recenti e più accreditate alle quali si può fare riferimento sono il Rapporto sulle economie regionali del 2020 di Banca d’Italia (pp.43-45), una ricerca collettiva delle Università della Campania (Regionalismo differenziato: razionalizzazione o dissoluzione. Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane. 2023) e uno studio dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano (OCPI, Autonomia differenziata e conti pubblici: qualche simulazione, scritto da Rossana Arcano, Alessio Capacci e Giampaolo Galli del 20 luglio 2024).

I principali problemi che derivano dalla quantificazione dei residui fiscali sono i seguenti.

a) Come messo in evidenza nello studio di Banca d’Italia, il calcolo dei residui fiscali “richiede cautela”, soprattutto in ragione del fatto che le stime variano in modo significativo a seconda della base dei dati utilizzata (Ragioneria generale dello Stato oppure Sistema informativo delle operazioni degli enti pubblici, oppure Conti pubblici territoriali).

b) La tesi dell’ingiustizia fiscale – che è alla base della rivendicazione autonomistica – potrebbe, al più, derivare dall’adozione implicita – niente affatto scontata – di un principio di giustizia distributiva di tipo meritocratico (è da ritenersi giusta una distribuzione del reddito basata sul contributo individuale alla produzione).

Questo principio, tuttavia, ignora le diverse posizioni di partenza (il diverso grado di sviluppo è, in larga misura, ereditato dalla Storia dei singoli territori e non imputabile interamente agli attuali contribuenti) ed è in conflitto con il principio costituzionale della progressività dell’imposizione fiscale.

In più, da questo principio deriva l’assegnazione dei residui fiscali ai territori non, come dovrebbe essere, ai singoli cittadini (la capacità contributiva, infatti, per definizione, è individuale).

c) È vero che i residui fiscali cosiddetti primari – ovvero al netto degli interessi sui titoli del debito pubblico – sono di segno positivo per tutte le Regioni del Centro-Nord e negativi per tutte le Regioni meridionali, ma ciò non è altro che l’ovvia manifestazione delle funzioni redistributive che l’operatore pubblico esercita su materie basilari (difesa, istruzione, sanità, scuola, giustizia) in un’economia dualistica.

Ma, anche ammettendo questo, le enormi differenze quantitative e qualitative nell’accesso ai diritti di cittadinanza sono ben difficilmente imputabili interamente agli sprechi registrabili solo in quelle meno sviluppate.

Per comprendere l’ordine di grandezza dei divari su questi aspetti, si può ricordare che, su fonte ISTAT, la spesa statale per i servizi socioeducativi destinati ai bambini pugliesi ammonta a circa un sesto rispetto a quella sostenuta per i coetanei nati in Emilia-Romagna.

In Lombardia è circa tripla e in Veneto doppia. A Milano circa il 90% dei bambini può usufruire del tempo pieno a scuola, a fronte del solo 4% di Palermo.

Il 17.1% delle scuole italiane del primo ciclo è privo di palestre e strutture sportive, con una percentuale che sale al 23.4% al Sud.

In più, oltre a essere estremamente controversa l’ipotesi di una quantificazione oggettiva degli sprechi, la Storia italiana delle cosiddette spending review – che il Ministro Calderoli richiama come fonti di finanziamento dei LEP – ne certifica il sostanziale fallimento, a decorrere dal primo tentativo di attuarle, nell’ormai lontano 1981 (si veda: https://osservatoriocpi.unicatt.it/ocpi-pubblicazioni…).

d) Più complicato è il calcolo dei residui fiscali definiti secondari, cioè quelli che includono gli interessi sul debito pubblico.

Esiste, come è ovvio, asimmetria territoriale nella distribuzione dello stock di debito pubblico e degli interessi percepiti da individui residenti nelle diverse Regioni italiane: al crescere della ricchezza, crescono gli investimenti finanziari e i guadagni che ne derivano.

I guadagni associati a questa tipologia di investimento dipendono dall’andamento dei tassi di interesse. È stato calcolato che i residui fiscali secondari sono la metà di quelli primari, a ragione del fatto che il flusso di interessi che arriva nelle Regioni più ricche si somma alla spesa pubblica che esse già ricevono.

La sola conclusione che è possibile far discendere da queste considerazioni rinvia alla confusione concettuale relativa sia alla necessità di selezionare criteri di giustizia distributiva unanimemente condivisi prima di poter quantificare i residui fiscali, sia alla fattibilità tecnica del loro calcolo.

Da cui, contrariamente alla posizione governativa, discende l’inammissibilità di un calcolo puramente contabile – e, dunque, oggettivo e neutrale – delle differenze fra spesa pubblica ricevuta e tasse versate su base territoriale.

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Attualità

Quattro le vittime del lavoro nel terzo fine settimana di agosto.

Quattro vittime del lavoro nel terzo fine settimana di agosto,tutte nel settore agricolo, tre in Puglia.

La quarta è un bracciante indiano di 54 anni, Delvir Singh, una morte che richiama alla mente quella del connazionale Satnam Singh, il 19 giugno.

Lo scenario è lo stesso, l’agro pontino, Borgo Santa Maria per Satnam, Borgo Piave per Delvir. Quest’ultimo, che viveva da solo a Cori (Latina), venerdì 16 agosto era arrivato presto nell’azienda di silvicoltura in cui era regolarmente assunto dal 2020, per irrigare la piantagione di eucalipti; poi si era fermato in un capanno per non rifare in bici i 23 chilometri che lo separavano da casa (da ripetere per tornare al lavoro).

Alla ripresa delle operazioni, intorno alle 17.30, si è sentito male ed è crollato a terra. Così lo ha trovato il datore di lavoro, che ha chiamato i soccorsi, ma per il bracciante non c’era più nulla da fare. Il magistrato ha ordinato l’autopsia.

Giuseppe Russo aveva appena 23 anni e viveva a Collepasso (Lecce), con i genitori e la sorella. Il 13 luglio, lavorando nei campi, aveva lamentato la puntura di una zanzara a una gamba, senza dare peso alla cosa.

Nei giorni successivi però la situazione si era complicata, infezione e necrosi, tanto da farlo ricoverare prima all’ospedale di Tricase, poi nel più attrezzato nosocomio di Lecce e infine al Policlinico di Bari.

In tutti gli ospedali è stato sottoposto a cure e interventi, ma la situazione non è mai migliorata. Il 17 agosto Giuseppe Russo è morto per shock settico. Sui media campeggia la teoria del ragno violino, tutta da dimostrare. Sarà l’autopsia a stabilire le cause della morte.

Fernando Cagnazzo aveva 79 anni e viveva a Leverano (Lecce). Sabato 17 agosto ha dato fuoco alle stoppie in un campo di sua proprietà ma qualcosa è andato storto e il suo corpo è stato trovato dai vigili del fuoco, chiamati per l’incendio che era divampato.

L’ipotesi più accreditata è che i fumi inalati abbiano fatto perdere conoscenza all’uomo. Anche qui sarà l’autopsia a stabilire le cause.

A 87 anni Cosimo Leuzzi, di Francavilla Fontana (Brindisi), si occupava ancora dei suoi terreni. Venerdì 16 agosto era sul suo Apecar diretto in campagna quando si è scontrato con un’automobile sulla provinciale per Ceglie Messapica. L’Apecar è stata scaraventata contro un muretto a secco e Leuzzi è morto sul colpo.

#delvirsingh#GiuseppeRusso#fernandocagnazzo#cosimoleuzzi#mortidilavoro

Agosto 2024: 49 morti (sul lavoro 32; in itinere 17; media giorno 2,7)

(Courtesy by Piero Santonastaso/Morti di lavoro).

Anno 2024: 724 morti (sul lavoro 551; in itinere 173; media giorno 3,1)

108 Lombardia (73 sul lavoro – 35 in itinere)

73 Campania (60 -13)

63 Veneto (43 -20)

58 Emilia Romagna (44 -14)

56 Sicilia (41 -15)

55 Lazio (35 – 20)

46 Toscana (39 – 7)

44 Puglia (31 – 13)

43 Piemonte (32 – 11)

26 Sardegna (23 – 3)

23 Abruzzo (19 – 4)

19 Marche (13 – 6), Calabria (16 – 3)

16 Trentino (13 – 3)

13 Liguria (11 – 2), Estero (11 – 2)

11 Alto Adige (10 – 1), Umbria (11 – 0)

10 Friuli V.G. (8 – 2)

8 Basilicata (8 – 0)

5 Valle d’Aosta (5 – 0)

4 Molise (4 – 0).

Luglio 2024: 105 morti (sul lavoro 83; in itinere 22; media giorno 3,3)

Giugno 2024: 104 morti (sul lavoro 71; in itinere 33; media giorno 3,4)

Maggio 2024: 101 morti (sul lavoro 79; in itinere 22; media giorno 3,1)

Aprile 2024: 105 morti (sul lavoro 85; in itinere 20; media giorno 3,5)

Marzo 2024: 84 morti (sul lavoro 68; in itinere 16; media giorno 2,7)

Febbraio 2024: 95 morti (sul lavoro 75; in itinere 20; media giorno 3,2)

Gennaio 2024: 81 morti (sul lavoro 55; in itinere 26; media 2,6).

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Attualità

Verso l’egemonia reazionaria, antidemocratica, tecno-feudale.

di Mario Ricciardi, Il manifesto.

Si è molto discusso dell’incontro tra Donald Trump ed Elon Musk. L’attenzione dei commenti si è concentrata prevalentemente sui passaggi più grotteschi e politicamente inquietanti della conversazione. Chi si attendeva il peggio non è stato deluso.

Per quanto abbiano certe cose in comune, Trump e Musk hanno un rapporto diverso con la politica e bisogna dunque chiedersi quali erano gli scopi dell’uno e dell’altro nell’organizzare l’evento e se questi scopi siano nel lungo termine convergenti.

Cominciamo dal punto di vista di Trump. La sua ricchezza non viene da un settore di frontiera dell’economia. Suo padre ha fatto i soldi nel business immobiliare, e l’innovazione del figlio è consistita nell’intuizione che il mondo della comunicazione – che, per la sua generazione, voleva dire la tv – era diventato così importante da essere un potenziale volano per ulteriori investimenti. In questo senso, Trump appartiene a un genere di politica che in Italia conosciamo bene, perché Silvio Berlusconi ne è stato un pioniere.

Di fatto, la maggior parte delle imprese in cui Donald Trump si è lanciato non ha avuto successo, ma l’intuizione di fondo si è rivelata felice. 

Diventando un “personaggio” il tycoon è riuscito a rimanere a galla nonostante i suoi insuccessi come imprenditore, giocando sul glamour del suo stile di vita, e sulla capacità di proporsi come l’incarnazione di un mito dell’immaginario statunitense, quello del «genio degli affari» che riesce sempre a trarre profitto da ogni cosa (non a caso, The art of the deal è il titolo del libro che ha contribuito a renderlo famoso). La sua relazione con la politica è stata quindi strumentale. 

Democratico ai tempi di Clinton, Trump si è spostato a destra quando si è reso conto che le cose stavano cambiando, e che nel partito Repubblicano si era creato uno spazio per mettere a frutto le proprie doti di comunicatore.

Anche se la sua candidatura alla presidenza ha mobilitato i settori più radicali della destra, quelli che si richiamano allo slogan nazionalista Maga (Make America great again) Trump è stato per questi ambienti un partner inaffidabile, guidato dal proprio tornaconto più che dall’agenda ideologica.

Ancora oggi, è difficile dire quale sia l’idea del futuro che ha il tycoon. La sua campagna è simile a quella fatta quando si è candidato per la prima volta alla presidenza: cerca di vendere il proprio prodotto, convinto che per una parte consistente dell’elettorato sia ancora attraente.

DIVERSA è, sotto questo profilo, la figura di Elon Musk.

Un imprenditore che si è imposto in un settore emergente, quello delle nuove tecnologie e della rete, che negli ultimi anni ha visto emergere diversi personaggi accomunati da una visione catastrofista della società statunitense, e del sistema politica democratico (un fenomeno documentato dallo storico Quinn Slobodian nel suo secondo libro sulla storia del neoliberalismo).

Gli interventi pubblici di Musk, da quando è proprietario di Twitter, ora X, hanno ripreso buona parte dei talking points della destra radicale – la crisi demografica, i temi identitari, l’ostilità nei confronti della cultura woke – e ne hanno fatto uno dei punti di riferimento dei settori più estremi dell’individualismo radicale e del superomismo narcisista che sono gli elementi centrali dell’ideologia di diversi imprenditori della Silicon Valley.

Sotto questo profilo, Musk ha molto più in comune con Peter Thiel che con Trump. Questa nuova generazione di «imprenditori politici» ha ambizioni più grandi del «tirare a campare» trumpiano, e sono dunque molto più pericolosi per il futuro delle istituzioni democratiche.

L’autoritarismo è certamente un filo conduttore che collega queste figure a precursori come Berlusconi e Trump, ma nel caso di Thiel e Musk c’è anche un’ideologia che porta alle estreme conseguenze temi che si sono lentamente fatti strada nella cultura della destra Usa.

UNA CONFERMA della serietà di questa minaccia si trova nella lunga intervista a Thiel pubblicata nel novembre del 2023 da The Atlantic. 

Nonostante insistesse sul fatto che non aveva intenzione di sostenere una nuova campagna di Trump, il cofondatore di PayPal e Palantir Technologies (che è stato in passato un finanziatore delle campagne di J.D. Vance) non si tirava indietro nel descrivere una visione del futuro secondo la quale solo cambiamenti radicali e profondi, ispirati da un gruppo ristretto di «illuminati» dotati di straordinarie capacità, possono salvare una società che è stata indebolita da decenni di egemonia degli ideali democratici e egualitari che negli Stati uniti sono stati esemplificati dal New Deal, e che in qualche modo sono rimasti un punto di riferimento per i settori più progressisti del partito Democratico e della sinistra statunitense.

La democrazia rappresentativa è, per Thiel (e per Musk, che in questo momento si sta prestando a fare da battistrada) un sistema obsoleto, da sostituire con un nuovo ordine in cui i «migliori» siano messi in condizione di emergere e di plasmare la società a propria immagine e somiglianza.

C’è chi parla a questo proposito di «tecnofeudalismo», ma questa espressione non cattura appieno il potenziale distruttivo di una nuova, e molto più insidiosa, forma di suprematismo con chiare analogie con il fascismo e il nazismo.

Se Trump vede in Musk soltanto una «celebrità» che può tornargli utile per vincere le elezioni, il suo interlocutore ha probabilmente un’agenda più ambiziosa.

Una vittoria repubblicana a Novembre potrebbe aprire la strada a un vero e proprio cambiamento di regime dalle conseguenze spaventose per la democrazia non solo negli Stati uniti.

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Attualità

Non dite alla ministra Calderone che in Italia si muore di lavoro anche a Ferragosto.

Si muore di lavoro anche a Ferragosto. Nel Cremonese, alla Cascina Miglio di Motta Baluffi, un 76enne residente ad Altido è stato investito dal trattore che il figlio manovrava in retromarcia.

Per l’agricoltore inutili i soccorsi.

A Verona una badante romena di 48 anni, Lacrimioara Radulescu, tornava a Sommacampagna con l’autobus dopo l’assistenza notturna a un’anziana del quartiere Parona, quando il mezzo è uscito di strada e si è schiantato contro un muro.

L’autista e la badante, che sedeva dietro il posto di guida, sono rimasti intrappolati tra le lamiere.

I vigili del fuoco hanno lavorato quattro ore per liberarli, ma per la donna era ormai troppo tardi.

Antonio Craba, un 68enne di Siapiccia (Oristano), è morto durante la notte sulla piattaforma costruita sugli alberi dalla quale controllava i suoi campi.

Un malore la probabile causa della morte, scoperta dai familiari preoccupati per non averlo visto rientrare.

#lacrimioararadulescu#antoniocraba#mortidilavoro

Agosto 2024: 45 morti (sul lavoro 29; in itinere 16; media giorno 3)

(Courtesy by Piero Santonastaso/Morti di lavoro).

Anno 2024: 720 morti (sul lavoro 548; in itinere 172; media giorno 3,1)

108 Lombardia (73 sul lavoro – 35 in itinere)

73 Campania (60 -13)

63 Veneto (43 -20)

58 Emilia Romagna (44 -14)

56 Sicilia (41 -15)

54 Lazio (34 – 20)

46 Toscana (39 – 7)

43 Piemonte (32 – 11)

41 Puglia (29 – 12)

26 Sardegna (23 – 3)

23 Abruzzo (19 – 4)

19 Marche (13 – 6), Calabria (16 – 3)

16 Trentino (13 – 3)

13 Liguria (11 – 2), Estero (11 – 2)

11 Alto Adige (10 – 1), Umbria (11 – 0)

10 Friuli V.G. (8 – 2)

8 Basilicata (8 – 0)

5 Valle d’Aosta (5 – 0)

4 Molise (4 – 0).

Luglio 2024: 105 morti (sul lavoro 83; in itinere 22; media giorno 3,3)

Giugno 2024: 104 morti (sul lavoro 71; in itinere 33; media giorno 3,4)

Maggio 2024: 101 morti (sul lavoro 79; in itinere 22; media giorno 3,1)

Aprile 2024: 105 morti (sul lavoro 85; in itinere 20; media giorno 3,5)

Marzo 2024: 84 morti (sul lavoro 68; in itinere 16; media giorno 2,7)

Febbraio 2024: 95 morti (sul lavoro 75; in itinere 20; media giorno 3,2)

Gennaio 2024: 81 morti (sul lavoro 55; in itinere 26; media 2,6).

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Attualità

Paolo, Nicholas, Alessandro, Antonio, Mauro, Sossio, Paolo, tutti morti di lavoro.

Domenica 11 agosto è morto un uomo che un lavoro non ce l’aveva più ma che va considerato vittima del lavoro, anche se non finirà mai nelle casistiche dell’Inail.

Si chiamava Paolo Michielotto, aveva 55 anni e per 27 anni, fino al 31 luglio scorso, era stato un dipendente Metro nel negozio di Marghera, a Mestre.

L’azienda lo aveva messo alla porta contestandogli un ammanco di 280 euro per non aver fatturato a un cliente le spese di trasporto. Michielotto si era rivolto subito alla Filcams Cgil di Venezia per impugnare il licenziamento, ritenendolo immotivato perché contestava l’accusa – confortato da una carriera inappuntabile e dalla stima generale– e comunque riteneva sproporzionata la sanzione.

Metro durante un primo incontro con il sindacato aveva fatto muro, confermando il licenziamento. Dopo Ferragosto la Filcams avrebbe messo all’opera i suoi avvocati, ma Paolo Michielotto non ha retto il peso delll’ignominia e domenica scorsa si è tolto la vita.

Metro se l’è cavata con un comunicato peloso, dichiarando di aver «appreso con molto dolore della scomparsa improvvisa dell’ex collega del punto vendita di Venezia. Ci stringiamo attorno alla famiglia, ai suoi cari e agli amici in questo triste momento. Da inizio agosto non era più un dipendente dell’azienda. Siamo vicini a tutte le persone del punto vendita di Venezia».

Nicholas Colombini aveva 32 anni, moglie e 2 figli piccolissimi, e faceva l’elettricista alla Gigli e Pacifici, azienda con 80 dipendenti di Terni, la sua città.

Sabato 10 agosto era al lavoro in un impianto di A2A per il trattamento del vetro a Quarto d’Asti in Piemonte, uno dei vari appalti della ditta umbra.

Nessuno sa cosa sia successo esattamente perché Nicholas stava lavorando da solo al secondo piano di un edificio, ma i compagni di lavoro hanno sentito dei lamenti e si sono precipitati, trovando il giovane riverso vicino a un quadro elettrico, vittima di folgorazione.

Colombini è stato ricoverato nella rianimazione del Cardinal Massaia di Asti, dove si è spento martedì 13 agosto. Commovente il messaggio del padre: “Caro figlio mio, mai e poi mai avrei pensato di dover piangere la tua morte. Come tanti altri genitori, questa volta è toccata a me, a noi tutti. Grazie, amore di papà, di ciò che sei stato, 32 anni insieme mi hai solo dato soddisfazioni, ci hai regalato due nipoti stupendi. Mancherai, mancherai a tutti perché eri la bellezza in persona dentro e fuori. Fai buon viaggio figlio mio e prenditi il posto più bello del paradiso”.

Aveva moglie e due figli anche Alessandro Ruggiero, 43 anni, barese, di professione imbianchino.

Venerdì 9 agosto sarebbe stato l’ultimo giorno di lavoro prima delle ferie, ma al lavoro non è mai arrivato.

Sulla provinciale 91, nei pressi di Santo Spirito, è stato travolto in monopattino da un pirata della strada, che l’ha lasciato esanime, con gravi ferite alla testa. Ricoverato in rianimazione al Policlinico di Bari, è morto nelle prime ore di mercoledì 14 agosto.

La famiglia ha deciso di donare gli organi. Nel frattempo il pirata, un 80enne, è stato individuato e denunciato.

Antonio Capasso, 28 anni, di Crispano (Napoli), sposato, dipendente del caseificio Autieri, è morto mercoledì 14 agosto dopo aver perso il controllo del furgone aziendale sulla Nola-Villa Literno nei pressi dello svincolo di Carinaro (Caserta).

Mauro Porrino, autotrasportatore 60enne di Montegrosso d’Asti, sposato, un figlio, ha perso la vita mercoledì 14 agosto uscendo di strada con il suo camion sulla A21, tra i caselli di Alessandria est e ovest.

Sossio Bencivenga, luogotenente dei carabinieri di 58 anni, aveva deciso di usare le ferie per aiutare il padre nei campi di famiglia a Grumo Nevano (Napoli). Lunedì 12 agosto stava usando il trattore in una serra quando ha colpito uno degli archi metallici di sostegno, che si è spezzato e lo ha ferito al collo. L’uomo è morto sul colpo.

Paolo Colombo, 63 anni, corriere di medicinali, è morto lunedì 12 agosto a Sesta Godano (La Spezia), mentre era impegnato in una consegna. È rimasto vittima dello scontro frontale tra il suo furgone e un mezzo che proveniva in direzione opposta.

#paolomichielotto#nicholascolombini#alessandroruggiero#antoniocapasso#mauroporrino#sossiobencivenga#paolocolombo#mortidilavoro

Agosto 2024: 42 morti (sul lavoro 27; in itinere 15; media giorno 3)

(Courtesy by Piero Santonastaso/Morti di lavoro)

Anno 2024: 717 morti (sul lavoro 546; in itinere 171; media giorno 3,1)

107 Lombardia (72 sul lavoro – 35 in itinere)

73 Campania (60 -13)

62 Veneto (43 -19)

58 Emilia Romagna (44 -14)

56 Sicilia (41 -15)

54 Lazio (34 – 20)

46 Toscana (39 – 7)

43 Piemonte (32 – 11)

41 Puglia (29 – 12)

25 Sardegna (22 – 3)

23 Abruzzo (19 – 4)

19 Marche (13 – 6), Calabria (16 – 3)

16 Trentino (13 – 3)

13 Liguria (11 – 2), Estero (11 – 2)

11 Alto Adige (10 – 1), Umbria (11 – 0)

10 Friuli V.G. (8 – 2)

8 Basilicata (8 – 0)

5 Valle d’Aosta (5 – 0)

4 Molise (4 – 0).

Luglio 2024: 105 morti (sul lavoro 83; in itinere 22; media giorno 3,3)

Giugno 2024: 104 morti (sul lavoro 71; in itinere 33; media giorno 3,4)

Maggio 2024: 101 morti (sul lavoro 79; in itinere 22; media giorno 3,1)

Aprile 2024: 105 morti (sul lavoro 85; in itinere 20; media giorno 3,5)

Marzo 2024: 84 morti (sul lavoro 68; in itinere 16; media giorno 2,7)

Febbraio 2024: 95 morti (sul lavoro 75; in itinere 20; media giorno 3,2)

Gennaio 2024: 81 morti (sul lavoro 55; in itinere 26; media 2,6).

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Attualità

Brecht, Barthes, Pasolini e il rapporto tra significato e significante.

 “Il segno dominante di ogni arte metonimica – e quindi sintagmatica – è la volontà dell’autore a esprimere un «senso», piuttosto che dei significati.

Quindi a far succedere sempre qualcosa nella sua opera.

Quindi a evocare sempre direttamente la realtà, che è la sede del senso trascendente i significati. «…Certo, l’opera ha sempre un senso: ma è proprio la scienza del senso, che gode attualmente di una espansione straordinaria (per una sorta di snobismo fecondo), a insegnarci paradossalmente che il senso, per così dire, non è racchiuso nel significato.

Il rapporto tra significante e significato (cioè il segno) sembra da principio il fondamento stesso di ogni riflessione «semiologica»: ma in seguito si è portati ad avere del «senso» una visione molto più ampia…»

E ancora: «…Il “senso” è una tale fatalità per l’uomo, che l’arte, in quanto libertà, sembra adoperarsi, soprattutto oggi, non a fare del senso ma, al contrario, a sospenderlo; non a costruire dei sensi ma a non riempirli esattamente».

«Sospendere il senso»: ecco una stupenda epigrafe per quella che potrebbe essere una nuova descrizione dell’impegno, del mandato dello scrittore.

E infatti a questo punto Barthes, pensa subito a Brecht. «In rapporto a questo problema del senso, il caso di Brecht è molto complicato.

Da un lato, ha avuto, come ho detto, una coscienza acuta delle tecniche del senso (posizione, la sua, originalissima in rapporto al marxismo, poco sensibile alla responsabilità della forma); conosceva la responsabilità totale dei più umili significanti, come il colore di un costume o la collocazione di un proiettore…

Infine, abbiamo visto con quale minuzia lavorava, e voleva che si lavorasse, alla responsabilità semantica dei «sintagmi» (l’arte epica, da lui predicata, è del resto un’arte fortemente sintagmatica); naturalmente tutta questa tecnica era pensata in funzione di un senso politico.

“In funzione di, ma forse non in vista di; ed è qui che tocchiamo il secondo aspetto dell’ambiguità brechtiana.

Io mi domando se questo senso impegnato dell’opera di Brecht non è in fin dei conti, a modo suo, un senso sospeso…

C’è senz’altro nel teatro di Brecht un senso, un senso fortissimo, ma questo senso è sempre una domanda.»

Vorrei, infine, che il lettore non sorvolasse, ma leggesse anzi con molta attenzione, le due citazioni conclusive:

«Qui ritorniamo a quello che dicevo all’inizio: il film è bello perché c’è una storia; una storia con un inizio, una fine, una suspense. Attualmente la modernità appare troppo sovente come un modo di barare con la storia e con la psicologia.

Il criterio più immediato della modernità, per un’opera, è di non essere “psicologica”, nel senso tradizionale del termine.

Ma, nello stesso tempo, non si sa bene come espellere questa psicologia, questa famosa oggettività tra gli esseri, questa vertigine relazionale di cui (è questo il paradosso) non sono più ora le opere d’arte a occuparsi, ma soltanto le scienze sociali e la medicina: la psicologia, oggi, sta soltanto nella psicanalisi che, per quanta intelligenza, per quanta apertura ci mettano, è praticata dai medici: l’“anima” è diventata in sé un fatto patologico.

C’è una sorta di rinuncia delle opere moderne di fronte al rapporto interumano, interindividuale.

I grandi movimenti di emancipazione ideologica – diciamo, per parlare chiaramente, il marxismo – hanno lasciato da parte l’uomo privato, e senza dubbio non potevano fare diversamente.

Ora, si sa benissimo che in questo c’è ancora della frode, c’è ancora qualcosa che non va; fino a quando ci saranno scene coniugali, ci saranno domande da porre».

E più avanti: «Ma se agisce… la legge strutturalistica di rotazione dei bisogni e delle forme, noi dovremmo arrivare presto a un’arte più esistenziale.

Vale a dire che le grandi dichiarazioni anti-psicologiche di questi ultimi dieci anni (dichiarazioni alle quali ho partecipato io stesso, come si deve) dovrebbero ribaltarsi e passare di moda». Ora, che cos’è, in concreto, questo «senso» delle cose al di là del loro significato, se confrontato col concreto momento della vita e della storia che stiamo vivendo?” (da “Empirismo eretico” di Pier Paolo Pasolini).

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Attualità

Ma davvero pensate che siamo così fessi da non capire quello che scrivete?

Nel gergo della malavita romana degli anni settanta, andava di bocca in bocca un detto, che riguardava quelli che parlano troppo con la “madama”: “uno schiaffo per farlo parlare, quattro per farlo star zitto”.

E infatti succede che Gianluca Di Feo di Repubblica, nella foga di smentire la presenza di blindati italiani nell’invasione ucraina a Kursk, scrive: “gli MLS Shield prodotti dall’azienda abruzzese Tekne non sono stati regalati dallo Stato: furono acquistati nell’estate 2022 da una fondazione guidata dall’ex presidente Petro Poroshenko e donati a una brigata di paracadutisti. Si trattava in tutto di undici fuoristrada blindati (…)”.

Adesso che quello inquadrato da un drone russo a Kursk non sia italiano passa in secondo piano, di fronte alla questione vera. Che è così chiara che equivale, appunto, ai famosi quattro schiaffoni per fare star zitto il reo confesso, nello specifico il povero Di Feo.

Cioè: l’Italia all’Ucraina le armi per invadere la Russia non gliele ha regalate, gliele ha semplicemente vendute. Come recita un altro detto romanesco: tiè, piglia, pesa, incarta (con i fogli di Repubblica) e porta a casa.

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Attualità

Quando in Italia la cultura andava di moda.

“Che cos’è, che, in Italia, ha sbloccato le masse di consumatori di films, riportandoli nelle sale cinematografiche?

E che cosa ha fatto decadere certi interessi che parevano essersi svegliati negli anni scorsi, per i films dotati di qualità espressive e di problematicità?

“Credo di poter rispondere a queste domande con scandaloso semplicismo: in Italia la causa di tutto questo è il fatto che, per esprimermi con eufemismo mondano, il marxismo è passato di moda; e con ciò voglio dire che la cultura marxista, nel suo momento reale, è rivolta a se stessa, a criticarsi, a riflettersi, a ripensarsi, mentre, nel suo momento ufficiale, finge che nulla sia successo, si stringe intorno alla bandiera del suo vecchio operaismo, adopera parole e forme di un’ars dictandi quatriduana: e quindi interviene a vuoto – con qualche piccolo insuccesso elettorale.

Nell’Italia della Resistenza e dell’impegno, ossia del momento vitale del marxismo, sia pure attraverso le vie del tatticismo e dell’ufficialità comunista, si era attuata una vasta operazione di diffusione culturale: era diventata «di moda» la cultura.

E perfino le borghesie più conservatrici e ignoranti, per una specie di snobismo, erano attratte nel gioco: erano cioè consumatrici di films e di libri, che il PCI e la cultura di sinistra consideravano impegnati, perché l’impegno era al centro della discussione culturale e quindi mondana.

Ora, dunque, i partiti e le organizzazioni marxiste non avrebbero più la forza di imporre la moda di certi prodotti culturali: sarebbero esautorati e flebile suonerebbe la loro parenesi.” (da “Empirismo eretico” di Pier Paolo Pasolini).

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Attualità

La forza del teatro.

Eugenio Barba (1936, Brindisi).

“Non siamo noi che possiamo definire il valore dei nostri spettacoli, il messaggio che essi porteranno.

A volte è la Storia, con la maiuscola, che si incarica di generare il senso profondo che il frutto dell’azione di far teatro può assumere.

Sklovskij racconta d’una recita filodrammatica per soldati, durante la prima guerra mondiale, nelle retrovie del fronte russo.

Si recitò Il matrimonio di Cˇechov, una farsa di piccolo-borghesi, uno schizzo satirico e realistico, senza alcun intento eversivo. Ma alla fine, quando il protagonista fugge via dalla casa volgare e opprimente della promessa sposa, tutti i soldati in platea, come se all’improvviso qualcuno avesse aperto loro gli occhi, si alzarono e disertarono.

Jan Kott racconta di quando le notizie che filtravano a Varsavia sugli avvenimenti del XX Congresso del Pcus davano improvvisamente un significato bruciante a una pièce d’avanguardia ch’era sembrata puro sentimentalismo e ora invece si rivelava allegorica e politica: En attendant Godot.” (da “Teatro. Solitudine, mestiere e rivolta” di Eugenio Barba)

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