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La pubblicità italiana non esce dalla crisi.

Nielsen Media Research: la pubblicità a -16% nel periodo gennaio-settembre 2009.

Nei primi 9 mesi gli investimenti pubblicitari ammontano a 5.990
milioni di euro. A settembre 2009 verso settembre 2008 la variazione è
del -12,8%. In particolare la Televisione mostra una flessione del
-13,2% sul periodo cumulato, la Stampa da gennaio ha un calo del
-23,6%, la Radio diminuisce del -14,0%, l’Affissione del -26,0%. Segno
più per Internet (+5,2%) e per le Cards (+1,0%).

Nielsen Media Research comunica che da gennaio a settembre gli
investimenti pubblicitari ammontano a 5.990 milioni di euro con una
flessione del -16,0% rispetto al corrispondente periodo del 2008. A
settembre 2009 verso settembre 2008 la variazione è del -12,8%. A
livello di settori merceologici, considerando il periodo cumulato, si
registrano: -11,6% per gli Alimentari, -21,3% per le Auto e -5,7% per
le Telecomunicazioni.

Wind, Unilever, Vodafone, Telecom It. Mobile, Ferrero, Barilla,
Procter&Gamble, L’Oreal, Volkswagen e Fiat Div. Fiat Auto guidano la
classifica dei Top Spender nei primi nove mesi del 2009 con
investimenti pari 829 milioni di euro, in calo del -11,9% sul
corrispondente periodo dell?anno scorso.

La Televisione, considerando i canali generalisti e quelli satellitari
(marchi Sky e Fox), mostra una flessione del -13,2% sul periodo
cumulato e del -7,1% sul singolo mese.

La Stampa, nel suo complesso, da gennaio ha un calo del -23,6%. I
Periodici diminuiscono del -28,8% con l?Abbigliamento a -29,0%, la
Cura Persona a -24,3% e l’Abitazione a -31,7%.

I Quotidiani a pagamento mostrano una flessione del -19,5% con
l’Automobile, l’Abbigliamento e la Distribuzione, i tre settori più
importanti, che riducono la spesa rispettivamente del -34,5%, del
-24,1% e del -25,7%.

Sono in controtendenza l’Abitazione che aumenta del +8,8% sul cumulato
(e del +15,6% settembre 2009 su settembre 2008) e il Turismo/Viaggi
con il +7,5%. A livello di tipologie la Commerciale segna il -22,9%,
la Locale il -15,1% e la Rubricata/Di Servizio il -17,1%. In
contrazione anche la raccolta dei Quotidiani Free/Pay Press (-28,7%).

La Radio diminuisce da gennaio del -14,0% ed è in leggera crescita nel
confronto mensile settembre 2009 su settembre 2008 (+0,6%). Fanno
registrare variazioni negative anche: Affissioni (-26,0%), Cinema
(-12,4%), Out of Home Tv (-1,1%) e Direct Mail (-17,9%).

Performance positiva invece per Internet che cresce del +5,2%
raggiungendo i 421,4 milioni di euro e per le Cards (+1,0%).

Si aggiungono al mercato fin qui analizzato gli investimenti
pubblicitari sul Transit, la pubblicità dinamica gestita da IGPDecaux
su metropolitane, aeroporti, autobus e tram. Da gennaio a settembre
2009 l’advertising è di circa 71 milioni di euro.

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media Società e costume

L’Italia del 2009, il Paese che guarda la tv, non si accorge della crescente disoccupazione, e non dà lavoro ai giovani talenti.

Ho sognato la star del momento, un racconto di MATTIA D’ALESSANDRO
Esasperati ed esasperanti colpi di tosse. Fu così che mi svegliai. Note poco note di bassi baritonali. Ero perfino riuscito a creare una melodia nella mia mente. A colpi di polmone. Fuori non si vedeva, ma sembrava il solito lunedì d’ottobre. Scesi dal letto, la mia spina dorsale si drizzò. Una sensazione mai sentita prima. La parrucca della zia Ester galleggiava su un mare di inchiostro. Tutto galleggiava su un mare di inchiostro. Poi qualcosa mi azzannò la caviglia. Svenni.

Al mio risveglio ero ancora nella stanza piena d’inchiostro. Mi affacciai dal letto per vedere a terra, tutto era stato pulito. Sui muri ancora i segni di quel mare nero. Cos’era stato? Di colpo ricordai del morso alla caviglia. Scalciai le coperte per vedere i segni. Quello che apparve da sotto le coperte era ed è ancora difficile a narrarsi. Un colpo di vento spalancò le finestre. Poi qualcosa di vivo mi avvolse e con me, tutta la casa. Non riuscii più a guardarmi le caviglie. L’aria era satura di polvere. Feci appena in tempo a rannicchiarmi sotto le coperte. Mi addormentai.

Rimasi un tempo infinito tra sonno e sogno. Continuavo a vedere le mie caviglie. Un mostro, mai visto prima, stava mordendole. Anzi peggio. Iniziava ad ingoiarmi, ma con lentezza. La sensazione era quasi piacevole, ogni tanto però, il mostruoso essere scaricava delle piccole dosi di elettricità sulle mie carni. Ero rapito da quella cosa. Non mi sarei mai più svegliato.

Salutai i miei piccoli, uno sguardo sfuggente alla foto di mia moglie. Entrai in macchina.

Temperatura interna: meno cinque gradi centigradi. Avvertii ancora un leggero mal di testa fino all’arrivo in azienda. Il posto auto, interno. Cancello automatizzato. Schiacciai il pulsante per l’apertura, nulla.

Dall’altro ingresso, grida e schiamazzi. Scesi dall’auto, mi avvicinai, nel gelo. Un cordone di polizia piantonava l’ingresso. I colleghi erano disperati. Alcuni cercavano di sfondare il cordone. Volò qualche manganellata.

Rientrai in macchina e tornai a casa. Mentre guidavo mi tornò in mente il mostro del sogno. Mi aveva già divorato, ero disoccupato.
Potrebbe continuare…
(Beh, buona giornata)

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Media e tecnologia

Addio agli 800 milioni promessi per portare la banda larga a 20 Megabit al 96% entro il 2012. Il Governo italiano non vuole lo sviluppo di Internet.

(fonte:repubblica.it)

L’annuncio è arrivato ieri da Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio: “I soldi per la banda larga li daremo quando usciremo dalla crisi”. Si riferisce agli 800 milioni che il governo aveva promesso di dare da mesi nell’ambito di un progetto da 1,47 miliardi di euro: il cosiddetto “piano Romani” – da Paolo Romani, viceministro per lo Sviluppo con delega alle Comunicazioni.

Era un piano per portare la banda larga 20 Megabit al 96% della popolazione entro il 2012, e almeno i 2 Megabit alla parte restante. Attualmente il 12% degli italiani non può avere nemmeno i 2 Megabit ed è afflitta da una crescente saturazione che rallenta le connessioni degli utenti.

Negli altri Paesi europei ci sono da anni piani nazionali per portare banda larghissima a 50-100 Megabit. Al 75% delle case entro il 2014 in Germania; a 4 milioni di case nel 2012 in Francia (che investirà 10 miliardi di euro).

Ma tant’è: il Governo italiano ha deciso che il nostro Paese deve rimanere ai minimi termini per la connessione internet. A nulla sono valse le pressioni, per sbloccare quei fondi, da parte di Telecom Italia, Agcom (Autorità garante delle comunicazioni), dello stesso Romani e del ministro per la Pubblica amministrazione e l’Innovazione, Renato Brunetta.

L’Italia rimane al palo, mentre l’Europa ha stimato che la banda larga porterà un milione di posti di lavoro fino al 2015 e una crescita dell’economia europea di 850 miliardi di euro. Si noti che di quei 1,47 miliardi, questi 800 milioni sono gli unici fondi assegnati dall’attuale governo alla banda larga. Gli altri vengono da altre fonti, stanziati dal governo Prodi oppure della Comunità europea. E allora?

Zitti tutti. Gianni Letta ha comunicato che la banda larga può aspettare. Beh, buona giornta.

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Attualità Popoli e politiche Scuola Società e costume

Libera Chiesa in libero Stato (in libera scuola).

Ci siamo tolti anche questa croce di GIORGIA SPINA.

Una mattina l’Italia si sveglia e vede smontato un altro mito.
Dopo i giorni dei Lodi di un premier che si è guadagnato, da solo, anche tante infamie e delle sentenze che dichiarano che i “Primi super pares” vengano lasciati nei libri di latino, finalmente questo Paese mette una croce sopra un altro dei grandi dilemmi degli ultimi tempi.

Con buona pace della Santa Sede, l’oggetto simbolo del culto cristiano, da questa mattina, non assisterà più alle lezioni nelle scuole italiane.

Impossibile pensare che la sentenza della Corte dei Diritti dell’Uomo non scatenasse il putiferio. Beh, cosa ci aspettavamo? Gli ultimi eventi ci avevano fatto credere in segnali di miglioramento, ma mica a un miracolo?
Il Dizionario della Lingua Italiana Garzanti, alla voce “croce” , scrive, in prima definizione quanto segue: “antico strumento di supplizio fatto con due pali di legno incrociati. […]”. Beh, che si trattasse di una rogna lo avevamo capito, visto tutto il polverone sollevato dal caso.

In seconda definizione, sempre il Garzanti, continua: “ riproduzione della croce di Cristo, assurto a simbolo della religione cristiana”. Ecco, leggiamo bene: simbolo della religione cristiana.
Ora, in un libretto che molti hanno cercato di interpretare a proprio favore e piacimento, dal titolo di Costituzione, all’articolo 7 si legge: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. […]”.

A questo punto, la domanda nasce spontanea (come diceva qualcuno in un vecchio programma tv): c’è ancora qualcuno che sa dell’esistenza di una Costituzione e di un Dizionario della Lingua Italiana come testi realmente esistenti e non come il fantasma del Bau bau? Perché prima di fare tanto chiasso da pollaio, non lasciamo il libro di Moccia sul comodino e ci avviciniamo a qualcosa che potrebbe ben indirizzare le nostre opinioni e le nostre eventuali proteste?

Se non fosse ancora del tutto chiaro il concetto, la presenza di un simbolo di culto religioso all’interno di un’istituzione laica, in quanto statale (chiamasi proprietà transitiva. In matematica la si studiava suppergiù in terza elementare.), come la scuola, non è giustificata.
Per essere esaurienti e corretti fino in fondo: l’articolo 7 sopra citato recita, inoltre, che i rapporti tra lo Stato e la Chiesa sono regolati dai Patti Lateranensi. Tali Patti trattano anche dell’istruzione, nella Scuola Italiana, alla religione cattolica.

La religione è quindi, da considerarsi, una materia di insegnamento all’interno dell’istituzione scolastica. Liscio come l’olio.

Ma nelle aule compaiono forse poster di Manzoni e Leopardi? Foto di Pitagora? Quadri delle battaglie e dei personaggi che hanno fatto la Storia? Dipinti di Monet, Caravaggio e Warhol? Piuttosto che classi sembrerebbero bazar! Eppure anche la Letteratura, la Matematica, la Storia e l’Arte sono materie d’insegnamento della nostra Scuola Italiana. Se poi ci dice sfiga e la Scuola è un Liceo, come la mettiamo con tutti i filosofi?

E ancora: se consideriamo che molte religioni sono da considerarsi, per i non praticanti, delle filosofie, Maometto, Buddah e il dio Piripicchio, o chi per lui, li mettiamo in girotondo accanto alla croce, o sotto braccetto a Hegel?
Qui non si discutono credenze personali, non si vuole rinnegare o disprezzare alcun culto, ma semplicemente sottolineare, se ancora ce ne fosse bisogno, che a Scuola si impara, non si prega. Per quello hanno costruito le chiese.

A oggi quel che conta è che hanno tolto i crocifissi dalla Scuola. Andate in pace. (Beh, buona giornata)

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Finanza - Economia - Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media Società e costume

Consumare meno, consumare meglio. La crisi insegna.

(fonte:repubblica.it)
La crisi cambia il consumo e gli italiani fanno di necessita’ virtu’. Guariti dalla smania dell’acquisto i cittadini hanno imparato a comprare meno, meglio e ottenere piu’ soddisfazione dalla spesa “competente”. E, dall’equazione “piu’ consumi uguale piu’ felicita'” si e’ passati alla formula “meno consumo piu’ vivo meglio” (79,7%). Il ritratto del nuovo consumatore e’ stato dipinto dall’Osservatorio sui consumi degli italiani, indagine annuale di Consumers’ Forum, l’associazione che riunisce le maggiori associazioni dei consumatori e le piu’ grandi aziende italiane, curata da Giampaolo Fabris e Ipsos e presentata stamane in occasione del decennale. “I consumatori sono diventati piu’ esperti, chiedono alle aziende piu’ qualita’ e alle associazioni che li rappresentano piu’ presenza”, ha spiegato Sergio Veroli, presidente di Consumers’ Forum. “Il nuovo consumatore e’ per necessita’ piu’ attento a non sprecare, al rapporto prezzo-qualita’ e piu’ responsabile verso l’ambiente. In altri termini, si puo’ definire un consumatore virtuoso”. Beh, buona giornata.

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media Salute e benessere

Aspettando il vaccino contro la pandemia della mezza bugia.

Nel tentativo di tranquillizzare l’opinione pubblica, il vice ministro del Welfare, con delega alla Salute, ha detto: “Sono 16 o 17 le vittime italiane ad oggi – ha detto Fazio – contro 44 vittime in Francia, 137 in Gran Bretagna, 63 in Spagna. In Europa sono 317 su 500 milioni di abitanti, un’incidenza di 0,062 per 100.000, mentre in Italia la media è 0,027 per centomila, quindi la metà”.

Veda, caro vice ministro, se lei cita con esattezza le vittime in Europa e le percentuali al millesimo, perché dice che in Italia “sono 16 o 17”?
Sa com’è, uno si preoccupa, non tanto dell’influenza maiala, ma del pressappoco con cui si sta affrontando la situazione. Tanto per fare un esempio, tra 16 e 17 vittime, magari ce n’è una che neanche viene calcolata. Senza contare quel “ad oggi”,che come minimo porta sfiga. Beh, buona giornata.

P.s.: E’ per questo pressapochismo che il governo italiano ha fatto una campagna per la prevenzione dell’influenza A/H1N1 con Topo Gigio?

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Attualità democrazia Media e tecnologia Pubblicità e mass media

“Le leggi ad personam? Le fa per proteggersi. Se non fai la legge ad personam vai dentro.” Il presidente di Mediaset parla del presidente del Consiglio.

Confalonieri alla Stampa: “A Berlusconi danno fastidio i freni della democrazia”-blitzquotidiano.it

Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset e amico di Silvio Berlusconi dagli anni del liceo, racconta il suo rapporto con il premier in un’intervista a Claudio Sabelli Fioretti su La Stampa in edicola oggi lunedì 2 novembre. Ovvio – dato anche il nome che porta – che difenda il premier, cui si accontenta di passare la palla visto che uno come lui “è come Pelè”.

Fedele Confalonieri l’ha visto vincere ogni sfida, un vero fuoriclasse, ma qualche difficoltà la soffre anche lui, specie quegli ostacoli che le società democraticamente avanzate pongono all’esercizio del potere: “Gli riesce difficile prendere atto che la democrazia pone dei freni. Silvio è un uomo del fare. I freni gli danno fastidio. Ma non è un dittatore come dicono”

“Le leggi ad personam? Le fa per proteggersi – dice Confalonieri – Se non fai la legge ad personam vai dentro. Una volta dentro, poi non ti chiedono scusa. E’ il sistema della giustizia in Italia. I magistrati sono gli unici che non pagano mai: irresponsabili. L’errore di Berlusconi è pensare che tutti i magistrati siano rossi – aggiunge – Sbaglia e io glielo dico… come anche che i comunisti non ci sono più… ma bisogna ammettere che è un ottimo argomento di vendita”.

“Berlusconi parla troppo – dice poi Confalonieri – Prenda la vicenda D’Addario. Se non diceva un cavolo in tre giorni finiva”. Le dieci domande di Repubblica? “Dissi a Silvio: Fregatene, non le legge nessuno e invece lui va a parlare a Porta a Porta”.

Nell’intervista a tutto campo Confalonieri definisce poi Eugenio Scalfari “l’unico giornalista che ha il senso degli affari”, di Nanni Moretti dice che gli sta “sulle palle” e di Giulio Tremonti “che è legittimo che pensi al dopo”.

Sulla proposta di non pagare il canone Rai il presidente Mediaset osserva che “é una sciocchezza e che Berlusconi sbaglia”.

“Se Berlusconi si fosse limitato alla televisione – conclude Confalonieri – oggi avrebbe più del 90% dei consensi. Ma ha voluto giocare in prima persona. E ha spaccato in due il Paese”. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia - Lavoro

Ripresa? Negli Usa si è rotta un’altra banca.

Usa, fallisce Cit group: è la quinta maggior bancarotta di tutti i tempi-ilmessaggero.it

Cit Group chiede la bancarotta pilotata: a poche ore dal via libera alla richiesta del Chapter 11 da parte del consiglio di amministrazione, il gruppo finanziario americano specializzato nei prestiti commerciali presenta al tribunale per la bancarotta del Southern District di New York la documentazione, denunciando debiti per 65 miliardi di dollari e asset per 71 miliardi di dollari.

La richiesta di bancarotta pilotata della società potrebbe tradursi – riporta il Wall Street Journal – per il Tesoro americano nella prima perdita nell’ambito del programma di salvataggi messo in atto. Il Dipartimento guidato da Timothy Geithner ha investito 2,3 miliardi di dollari di soldi dei contribuenti nella società nel tentativo di stabilizzarla. Dallo scorso anno il Tesoro ha investito 400 miliardi di dollari in diverse aziende americane in tutti i settori di attività: molte società, come Goldman Sachs, hanno già provveduto a restituire i fondi ottenuti.

Cit Group si presenta in tribunale con i creditori che hanno già dato il loro via libera al piano di riorganizzazione della società, che potrà avvalersi di una linea di credito da 1 miliardo di dollari accordato dall’investitore Carl Icahn come prestito debtor-in-possession. Cit Group punta a uscire dalla bancarotta in due mesi.

Con il Chapter 11 Cit Group mira a riddure il proprio debito di 10 miliardi di dollari. «La decisione di procedere con il nostro piano di riorganizzazione – spiega in una nota il presidente e amministratore delegato Jeffrey Peek – consentirà a Cit Group di continuare a fornire fondi alle piccole e medie imprese, un settore di importanza vitale per l’economia americana». Cit Group, vittima ‘credit crunch’ e la recessione, ha tentato in tutti i modi di evitare la bancarotta, ma senza successo. I creditori hanno bocciato seccamente l’ultima offerta di swap avanzata: il 90% ha invece appoggiato il piano per la bancarotta pilotata.

Secondo Brian Charles, analista di R.W. Pressprich & Co, anche se Cit Group emergesse intatta dalla bancarotta la sua capacità di concedere prestiti si ridurrebbe di circa il 20% in due anni. Il Chapter 11 «è rischioso: non c’è certzza che Cit Group ne emergerà» osserva Donald Workman, dello studio legale Baker Hostetler. Ma per altri osservatori il piano di riorganizzaizone di Cit Group mette la società in una buona posizione: «Se l’accordo è già concordato – mettono in evidenza alcuni osservatori – i problemi possono essere risolti in bancarotta senza perdere i clienti». (Beh, buona giornata)

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

“Se mettiamo a confronto tre famiglie medie: una cinese, una svizzera e una spagnola, ci rendiamo subito conto di quanto importante sia la politica economica dei governi sul bilancio familiare di fronte alla crisi economica.”

C’erano una spagnola, una svizzera e una cinese. Tre modi di vivere la Crisi
di Loretta Napoleoni – lanapoleoni.ilcannocchiale.it.

A un anno dallo scoppio della crisi, l’impatto della recessione altera il bilancio familiare e costringe le famiglie a modificare il livello di vita. Questo processo varia da paese a paese in funzione dell’impatto che la recessione ha sull’economia nazionale.
Se mettiamo a confronto tre famiglie medie: una cinese, una svizzera e una spagnola, ci rendiamo subito conto di quanto importante sia la politica economica dei governi sul bilancio familiare di fronte alla crisi economica.

Gli spagnoli si trovano nella situazione peggiore. Spagna e Irlanda sono le economie europee maggiormente colpite dalla recessione e questo perche’ negli ultimi 10 anni hanno abbracciato in toto il modello neo-liberista. Questo e’ stato l’artefice di una crescita fittizia che ha proiettato questi due paesi nella rosa di quelli maggiormente industrializzati creando la bolla immobiliare. In Spagna poi il boom del turismo di massa l’ha ulteriormente gonfiata. E’ quindi facile intuire perche’ il tasso di disoccupazione spagnolo sta per superare il 20%, una cifra da grande depressione, segue a ruota quello irlandese pari al 15%.

Anche se gli emigranti dell’area del Magreb – gente che ha lasciato la famiglia nel nord Africa e che quindi possiede una mobilita’ del lavoro molto elevata – incidono sul numero di disoccupati spagnoli, il problema dell’occupazione rimane centrale all’economia della famiglia. Gran parte dei nuovi disoccupati finiscono per essere mantenuti da quella d’origine: i piu’ giovani tornano a vivere a casa e le coppie vengono aiutate economicamente dai genitori. Questo processo impoverisce la popolazione e allo stesso tempo erode le riserve di risparmio della famiglia. Tutto cio’ porta alla caduta dei livelli di benessere. I dati della bilancia dei pagamenti spagnola ce lo confermano.

A luglio il deficit della bilancia commerciale e’ sceso a 2 mila miliardi di euro da piu’ di 7 mila appena un anno prima. Negli anni della grande crescita corrispondeva al 10% del Pil, oggi si sta velocemente riducendo al punto che entro il primo trimestre del 2010 la bilancia dovrebbe andare in pareggio. A monte c’e’ una forte contrazione delle importazioni. Se si considera che durante gli ultimi 12 mesi le esportazioni sono aumentate ci accorgiamo che la famiglia media spagnola sta riducendo drasticamente i propri consumi.

La disoccupazione riduce anche la domanda di nuovi alloggi, se ne vedono a centinaia di migliaia, tutti vuoti, nei nuovi quartieri alla periferia delle citta’ spagnole. La stagnazione del mercato immobiliare ha ripercussioni serie sul credito nazionale. La gran parte dei non performing loans NPL, i mutui non pagati, appartiene a questo settore. Si tratta di piu’ di 80 miliardi di euro, di cui circa un 70% sono stati ristrutturati e dovranno presto essere ripagati. Ancora piu’ preoccupante e’ il totale di crediti accumulato dal settore immobiliare spagnolo: 470 miliardi di euro, pari al 50% del Pil del paese. Di questi circa 320 miliardi di euro sono stati accesi per costruire immobili commerciali: uffici, negozi, cinema e centri commerciali. Se la famiglia spagnola non riprende a spendere questi mutui andranno ad aumentare i NPL delle banche e ci sara’ sempre meno liquidita’ per l’impresa e la famiglia.

In Svizzera, invece, la situazione e’ ben diversa. La recessione e’ stata meno seria di quanto ci si aspettasse al punto che il paese soffre meno della vicina Germania il suo partner commerciale piu’ importante. La contrazione delle esportazioni e la crisi finanziaria, con in testa le due maggiori banche la UBS e il Credit Suisse, hanno fiaccato l’economia. Ma la reputazione del paese, quale centro bancario internazionale, ha retto bene e le aspettative per il 2010 sono per una modesta crescita, pari allo 0.5%. E questa ripresa sara’ guidata proprio dal settore finanziario.

Molti addirittura credono che nel lungo periodo la crisi del credito sara’ positiva per la Svizzera perche’ rafforzera’ la solidita’ delle banche. I valori del NPL rispetto al totale dei prestiti sono scesi sotto l’1%, segno che il sistema e’ solido. Questi dati dovrebbero facilitare la penetrazione dei mercati esteri, condizione importantissima affinche’ il paese continui a crescere. A quanto pare la crisis del credito ha fatto crollare la fiducia nei confronti del settore bancario americano e britannico, i due principali rivali di quello Svizzero. Secondo il WEF Competitive Network, che compila una lista mondiale della competitivita’ dei settori finanziari, l’America e’ scesa a quota 108, al pari della Tanzania. La Svizzera ha retto ed si e’ stabilizzata al 44esimo posto mentre le banche inglesi sono precipitate al 126esimo.

E’ facile capire perche’ l’impatto economico della recessione sulla famiglia media svizzera e’ stato quasi nullo. Le spese non sono cambiate anche perche’ la disoccupazione rimane relativamente bassa rispetto al resto dell’Europa, 4,1% quando un anno fa’ era di 3,4%. Gli indicatori economici ci dicono che a sostenere l’economia e’ stata la domanda interna che e’ rimasta stabile, i consumi e l’investimento immobiliare che non sono crollati come in altri paesi ma si sono mantenuti a livelli medio alti. L’impatto psicologico invece c’e’ stato e ce ne accorgiamo quotidianamente. Nel paese si risparmia di piu’.

Dall’altra parte del mondo, in Cina, la crisi si e’ diventata fonte di grandi opportunita’. La famiglia media cinese oggi vive meglio che un anno o due anni fa’ perche’ ha piu’ denaro a disposizione. Il pacchetto di stimoli lanciato dal governo all’indomani del crollo della Lehman Brothers ha sostenuto la domanda interna, al punto che questa e’ riuscita a compensare la caduta di quella estera. Lo stato ha aperto linee di credito a tassi vantaggiosissimi per chi viveva in campagna e voleva acquistare beni di consumo durevoli, dalle lavatrici ai televisori al plasma. La domanda di piccole autovetture nelle campagne, ad esempio, e’ cresciuta al punto che la Cina oggi acquista piu’ macchine degli Stati Uniti. A giugno piu’ di un milione di nuove vetture hanno lasciato i concessionari, pari a un aumento del 36% rispetto all’anno precedente. E questo senza un programma di rottamazione simile a quello occidentale.

L’economia cinese si e’ contratta solo nel quarto trimestre del 2009 per poi riprendere a crescere subito dopo. Il governo ha immesso ingenti quantita’ di denaro nel circuito delle banche e le ha incoraggiate a concedere prestiti a chi ne avesse bisogno. Le prime ad attingere a questo credito sono state le piccole e medie imprese. Questa strategia e’ stata possibile perche’ la Cina negli ultimi quindici anni ha accumulato riserve monetarie ingenti che ammontano a piu’ di 2 mila miliardi di dollari, le piu’ alte al mondo. Allo stesso tempo il settore bancario e’ arrivato alla crisi con livelli di indebitamento bassissimi. I valori dei NPL sono tali da permettere alle banche di alzare la soglia del rischio, alla fine del 2009 ammonteranno a meno del 4% del Pil del paese.

La famiglia media cinese non si e’ quindi neppure resa conto della recessione che c’e’ stata solo per un brevissimo periodo di tempo. La disoccupazione, che rimane bassa, e’ aumentata nel 2007 e parte del 2008 tra i lavoratori migranti, quelli che lasciano le campagne per cercare lavoro nelle zone industriali speciali del sud del paese e in quelle a ridosso di Pechino e Shanghai. A far cadere l’occupazione non e’ stata la recessione a le imprese straniere che si sono de localizzate a seguito della nuova legislazione del lavoro che protegge maggiormente la manodopera cinese dallo sfruttamento dell’impresa. Lo stato e’ riuscito ad assorbire gran parte di questa manodopera impiegandola in lavoro pubblici di ogni tipo, dalla pulizia delle facciate dei palazzi di Shanghai alla costruzione di una nuova ed efficientissima rete ferroviaria.

Tre storie e tre realta’ diverse che ci ricordano quanto sia importante la protezione dello stato dagli abusi di ogni tipo, non solo quelli finanziari. Il mercato funziona, su questo non c’e’ dubbio, ma come tutti i meccanismi economici non e’ infallibile e quando sbaglia le conseguenze ricadono sulla societa’. Lo stato deve essere sempre pronto a proteggerci da questi cataclismi. (Beh, buona giornata).

(tratto da il Caffè-Link: http://lanapoleoni.ilcannocchiale.it/2009/10/22/crisi_e_famiglie.html.)

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Conti in rosso, futuro nero per la pubblicità: Interpublic Group a -18%.

Il terzo trimestre 2009 si chiude con il segno meno per Interpublic Group. L’utile netto della società guidata dal si è infatti attestato a 17,2 milioni di dollari contro i 38,7 milioni dello stesso periodo dello scorso anno.

A 1,43 miliardi di dollari (-18%) il fatturato. La crescita organica invece è diminuita del 14,2%. Considerando i primi nove mesi dell’anno, la perdita netta di Interpublic Group si è attestata a 35,8 milioni di dollari rispetto ai 56,7 milioni di dollari di utile netto del 2008. Il fatturato è stato pari a circa 4,23 miliardi (-17% sullo scorso anno), mentre la crescita organica nei primi nove mesi è calata dell’11,8%.

“La crisi economica continua ad incidere negativamente sui conti della società – ha commentato Michael Roth, Ceo di Interpublic Group- Tra gli investitori regna ancora la cautela ed è molto difficile fare previsione per il prossimo anno”. Beh, buona giornata.

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Conti in rosso, futuro nero per la pubblicità: Publicis perde terreno anche nel terrzo trimestre 2009.

Per il Gruppo Publicis la performance peggiore è stata registrata lo scorso giugno. Ora pare che sia in atto una lenta ma progressiva ripresa.

Nel terzo trimestre il fatturato consolidato è stato di 1.047 milioni di euro, in calo del 5,3% rispetto al terzo trimestre 2008, mentre la crescita organica è diminuita del 7,4%.

Anche se la crisi ha investito tutti i Paesi europei, si sottolineano le buone perfomance di Publicis Worldwide in Francia e dei centri media del Gruppo nell’Europa occidentale e in Polonia. Tutte le attività in Inghilterra e nel Sud Europa, tra cui l’Italia hanno subito invece un calo significativo.

Il fatturato consolidato nei primi nove mesi del 2009 si è attestato a 3,256 miliardi di euro, in calo del 2,3% rispetto ai 3,332 miliardi dello stesso periodo del 2008. Il mercato dell’advertising ha subito una flessione di circa il 13%, stando alle stime correnti, la contrazione della crescita organica di Publicis Groupe si è fermata al 6,9%. Il calo è stato limitato anche grazie al 5,5% di crescita organica raggiunto nelle comunicazioni digitali, che nei primi nove mesi del 2009 hanno contribuito al fatturato consolidato del Gruppo per il 21,3%, ovvero in misura maggiore rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, quando erano valse per il 18,5% delle revenue. Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia - Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Conti in rosso, futuro nero per la pubblicità: Wpp in difficoltà.

Secondo Martin Sorrell è ancora presto per stappare le bottiglie di champagne. Anche se tra i clienti si registra un maggiore grado di fiducia e di ottimismo infatti, per il Ceo di WPP, colosso mondiale del marketing, non si può ancora parlare di ripresa del mercato dell’advertising.

Come si legge oggi sulla stampa internazionale, per Sorrell “è sbagliato parlare di fine della recessione basandosi su miglioramenti sequenziali”. Il top manager ha affermato che per dichiarare finita ufficialmente la crisi aspetterà la crescita delle vendite same-store. Beh, buona giornata.

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