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Attualità democrazia

Avviso agli uomini della polizia italiana: e se i black block fossero nel governo?

(fonte: repubblica.it)

Il rapporto italiano sulla morte di Nicola Calipari in Iraq, almeno nella parte che definiva l’uccisione del funzionario dei servizi da parte di un posto di blocco americano come “non intenzionale”, era costruito “specificatamente” per evitare ulteriori inchieste della magistratura italiana. Lo si legge in un cable siglato dall’ambasciatore Usa a Roma, Mel Sembler, nel maggio 2005, diffuso dal Guardian, media partner di Wikileaks.

Il governo Berlusconi, secondo il documento, voleva “lasciarsi alle spalle” la vicenda, che comunque non avrebbe “danneggiato” i rapporti bilaterali con Washington. Nicola Calipari fu ucciso la notte del 4 marzo 2005. L’agente era in un’auto dei servizi assieme alla giornalista Giuliana Sgrena, appena rilasciata dai suoi rapitori dopo una lunga mediazione. L’auto si ndirigeva all’aeroporto di Bagdad quando dal check-point americano partirono alcuni colpi d’arma. Calipari fece scudo col suo corpo per difendere la giornalista e fu ucciso da un proiettile alla testa. Il soldato che sparò fu poi identificato in Mario Lozano, addetto alla mitragliatrice al posto di blocco.

ll cablo, datato 3 maggio 2005, il giorno dopo gli incontri a Palazzo Chigi tra l’ambasciatore Sembler e, tra gli altri, l’allora ministro degli Esteri Gianfranco Fini, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e il capo del Sismi Niccolò Pollari, per discutere del rapporto italiano sulla morte di Calipari. Il governo italiano, scriveva l’ambasciatore Sembler, “bloccherà i tentativi delle commissioni parlamentari di aprire indagini”, malgrado vi siano già delle precise richieste delle opposizioni in proposito, sostenendo la tesi del “tragico incidente”. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Il caso “Vieni via con me”: Che Paese meraviglioso è il nostro. Un unico, grande, materno ventre mollo partorisce il tutto e il contrario di tutto, a comando, col telecomando.

Il primo novembre di quest’anno è morto a New York a 82 anni Theodore Sorensen, autore dei più famosi discorsi pronunciati da John Kennedy negli anni alla Casa Bianca. Sorensen è stato il gost-write per eccellenza. Sua una delle più celebri frasi di JFK: “Non chiederti cosa possono fare gli Stati Uniti per te, ma cosa tu puoi fare per gli Stati Uniti”.

Anche dopo aver smesso di lavorare, Sorensen continuò a collaborare con Nelson Mandela e, più recentemente, contribuì alla campagna presidenziale di Barack Obama.

C’è da credere che Sorensen sarebbe inorridito al solo pensiero di scrivere anche una sola parola per Gianfranco Fini. E, probabilmente, sarebbe scoppiato a ridere se qualcuno gli avesse chiesto di scrivere un paio di brillanti battute per Pierluigi Bersani. Infatti, a Gianfranco e a Perluigi ci ha pensato qualcun altro. Non ci sarebbe niente di strano, se non fosse che questo qualcun altro sembrerebbe essere uno solo.

Insomma, nel circo mediatico di un Paese senza più idee, dunque anche senza parole, sembrerebbe che un epigono di Sorensen sia stato il gost- writer che ha scritto i due discorsetti: con una mano (destra?) quello di Fini, con una mano (sinistra!?) quello di Bersani. Tutto è successo nell’ormai famoso programma “Vieni via con me”, che ha sbancato gli ascolti per ben due volte consecutive. La cosa è straordinaria. E’ straordinario che un programma televisivo sulla Rai faccia il botto di ascolti.

E’straordinario che questo succeda dopo l’accanita opposizione del direttore generale della Rai. E’straordinario che quel direttore generale della Rai sia il direttore generale di qualsiasi cosa: a uno così si ribellerebbero anche i lacci delle scarpe. Ma la cosa più straordinaria è che il programma televisivo in questione sia targato Endemol, compagnia mondiale specializzata in format televisivi. E’ straordinario che il direttore generale della Rai abbia tentato di sabotare un format Endemol. Perché Endemol è di proprietà di Mediaset. E Mediaset è di proprietà di Berlusconi. Proprio come il direttore generale della Rai.

Ma la cosa straordinariamente straordinaria è che Endemol fa un programma che sbanca gli ascolti, che viene contro-programmato da RaiTre contro il Grande Fratello, che è l’ammiraglia della produzione Endemol. E l’ammiraglia della produzione Endemol ceda il passo al successo di RaiTre contro l’ammiraglia delle reti televisive private, cioè Canale 5. Riassumendo: Endemol fa “Vieni via con me” che da RaiTre batte “Il Grande Fratello” su Canale 5, programma di Endemol. E’ vero che Endemol perde nel mondo nel 2010 circa un miliardo di dollari, come certificano gli analisti di Wall Street. Dunque, tutto fa brodo pur di fare liquidi. In altri termini, il presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica italiana possiede Mediaset, controlla la Rai e a entrambi vende format tv, attraverso la sua società Endemol.

E’ il miracolo dei miracoli: egli è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo dell’audience. Mentre l’odiata Auditel viene sdoganata come metro di misura del successo di Fazio e Saviano, come se per incanto l’Auditel fosse diventata Santa Romana Chiesa della tv di qualità, i giornali, vittime sacrificali dello strapotere televisivo, certificherebbero grandi elogi al programma: nuovo, libero, fresco. Ma Endemol. Che fa tanto “altissima, purissima, Levissima”.

Che Paese meraviglioso è il nostro: un unico, grande, materno ventre mollo partorisce il tutto e il contrario di tutto, a comando, col telecomando. Cosa avrebbe potuto inventare, a questo proposito, Sorensen, il gost-writer per antonomasia? “Non chiederti cosa possono fare le tv per te, ma cosa tu puoi fare per i programmi tv”. Beh, buona giornata.

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Attualità Società e costume Sport

La calcificazione della politica italiana.

Lo sanno tutti quanto in Italia sia forte l’intreccio tra calcio e politica.
Tanto che negli stadi si fa politica e la politica usa spesso toni da
stadio. Fu la politica a designare Lippi, uomo dell’establishment che portò
al macello la Nazionale in Sud Africa. Fu sempre la politica a salvare i
vertici del calcio italiano: come se nulla fosse successo, ognuno è rimasto
al suo posto, dopo l’ignominiosa debacle africana. Fu il calcio a vaticinare
l’ingresso in politica, o meglio “la discesa in campo” del presidente del
Milan, che poi divenne il presidente del Consiglio. Fu il calcio ad
ammalarsi di politica, come abbiamo visto nelle vicende di Calciopoli.

Dunque, se il calcio si è politicizzato e la politica si è calcificata (in
tutti i sensi), forse è proprio da questo binomio che può venire la
soluzione alla crisi del governo, che è poi la crisi del berlusconismo,
visto che l’attuale squadra di governo è ormai bollita, dunque
irrimediabilmente perdente.

Governo tecnico? Allargamento della maggioranza
conl’Udc? Un neo CLN da Fini a Vendola, passando per Rutelli, Casini, Luca
di Montezemolo? Tremonti, gioca all’attacco o in difesa? Berlusconi vuole
comprare Casini? Basterebbe leggere i titoli dei giornali di queste
settimane, per avere la netta sensazione della calcificazione (in tutti i
sensi) della politica italiana.

Cionondimeno, una soluzione ci sarebbe: è
sotto gli occhi di tutti. C’ è una squadra di calcio in Italia che è stata
capace di vincere tutto, sia sul piano nazionale che su quello europeo.
Proprio quello che servirebbe alla politica italiana, per vincere le
drammatiche difficoltà, in questi frangenti molto critici per l’economia,
per il vivere sociale, per il lavoro, per lo sviluppo. Questa squadra di
calcio ha introdotto un’innovazione che sarebbe molto salutare fosse copiata
pari pari dalla politica italiana. Parliamo dell’Inter di Moratti, nelle cui
fila militano solo giocatori stranieri, allenatore compreso. Ecco allora
l’idea che spariglierebbe le carte (un po’ sporche) della politica
italiana: un governo di soli ministri stranieri, capo del governo compreso.

Una ideale squadra di governo? Presto detto: Nelson Mandela (presidente del
Consiglio); Bono degli U2 (vice presidente); Dave Letterman (portavoce);
Sub Comandante Marcos (Difesa); Baltazar Garzòn (Giustizia); Mark Harmon,
alias Leroy Jethro Gibbs dell’NCIS (Interni); Al Gore (Ambiente); Joska
Fischer (Esteri); dott Hause (Sanità); Woody Allen (Cultura); Dalai Lama (Istruzione); Rigoberta
Manchu (Agricoltura); Aung San Suu Kyi (Pari Opportunità); Steve Jobs
(Sviluppo economico); Kofi Annan (Welfare); Íngrid Betancourt (Attività forestali);Michael Schumacher (Trasporti); Bernard Madoff (Economia);
Mike Tyson (Attuazione del Programma); Dan Brown (rapporti con la Santa
Sede).

La nostra Costituzione dice a chiare lettere che spetta al Capo dello
Stato, il presidente Napolitano, la scelta di chi incaricare per la
formazione di un nuovo governo. Noi rispettiamo la Costituzione e il ruolo
del Presidente della Repubblica.

Ci permettiamo solo di suggerire di lasciar
fuori ministri di nazionalità russa e libica. Niente di personale con i
cittadini di quei paesi, semmai con i rispettivi governanti. Infatti, viste
certe poco chiare frequentazioni, non vorremmo che alla fine Berlusconi
uscisse dalla porta, per poi rientrare negli spogliatoi, e magari tornare in
campo, con un colbacco o un turbante. Beh, buona giornata.

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democrazia

Da Kossiga a Berluskoni, l’Italia è in mezzo al guado (o al guano?).

Addio al Picconatore, al secolo Francesco Cossiga da Sassari, un mediocre funzionario della fu DC, promosso ai ranghi più alti dello Stato, non per meriti, ma per il fatto che non c’era nessuno in quel momento disponibile ai quei ruoli, l’Italia essendo al di qua della Cortina di Ferro. La cosa deve avergli talmente urtato i nervi da renderlo ciclotimico, verboso, narciso: insomma insopportabile.

E’ stato detto che fu uomo di Stato: sì, dello status quo che si voleva imporre all’Italia, all’epoca della Prima Repubblica. La qualcosa non gli ha impedito, allora ministro degli Interni di permettere e poi giustificare l’uso della forza contro gli studenti nel ’77: Francesco Lorusso, 25 anni di Bologna e Giorgiana Masi, 19 anni di Roma furono sparati a morte durante il suo dicastero. La qualcosa non gli ha impedito di far finta di non vedere la P2 annidarsi fra i ranghi alti delle Forze dell’Ordine durante il rapimento Moro. La qualcosa non gli ha impedito neppure di vanagloriarsi dell’ esistenza di Gladio, quella organizzazione paramilitare, nome in codice“staying behind” nata, con il consenso degli Usa, per impedire l’eventualità di una vittoria elettorale del Pci.

Il suo quasi settennale al Quirinale fu caratterizzato dall’attività di “picconatore”: il capo dello Stato si toglieva “sassolini” dalle scarpe criticando aspramente lo Stato, la magistratura, il sistema politico. Fu chiesto l’impeachement. Tutto finì a tarallucci e vino. Se Andreotti fu definito Belzebù (da Indro Montanelli), a buon titolo Cossiga può essere considerato Caronte, quello che traghetta le anime morte verso l’Ade, attraversando l’Acheronte verso la sponda della Seconda Repubblica.

Il suo modo di fare, di parlare e di agire, aldilà o oltre le regole scritte e non scritte della nostra democrazia parlamentare sono state e sono il traghetto tra la prima e la seconda Repubblica. Berlusconi che le “non regole” le ha imparate a memoria (prima nel business con l’appoggio della politica e poi in politica per sostenere meglio i suoi business) è il passeggero più famoso di questo traghetto.

Da Cossiga ha imparato che si può aprire bocca e dire qualsiasi cosa: tanto c’è sempre qualcuno disposto a “interpretare” le parole, farle diventare un fatto politico, sul quale far chiacchierare a lungo commentatori e politologi.

Ma Cossiga passa a miglior vita proprio mentre la barca di Caronte si è incagliata, in mezzo all’Acheronte. E i passeggeri proprio non sanno che fare, dunque barano. Berlusconi, Bossi, Fini, Tremonti, Montezemolo, Casini, Rutelli, Bersani, Di Pietro e Vendola, tutti sulla stessa barca, che non riesce a traghettarli dall’altra sponda del fiume, ingannano il tempo giocando una partita truccata.

Mentre Berlusconi dà le carte (truccate), ogni giocatore pensa di avere un asso nella manica. E allora volano ipotesi di terzo polo, volano desideri di governi di transizione, volano ricatti, volano killeraggi mediatici, volano auto-candidature, vola fango, ma più spesso piove merda.

La situazione politica italiana in questo furioso agosto 2010 è un paradosso, tipico del teatro dell’assurdo: io so che tu sai che io so che se il governo cade in Parlamento si va alle elezioni. Però, io so che tu sai che io so che se si va alle elezioni io le vinco ancora e tu le perdi un’altra volta. E allora? Allora ecco che io so che tu sai che non ti conviene andare al voto adesso. Quindi: io so che tu sai che faccio finta di presentare un bel programma di legislatura, ma guai a chi mi tocca lo “scudo” contro la magistratura. Che fai, caro Fini? La voti o non la voti la fiducia al governo Berlusconi? Che fai, caro Bossi, lo vuoi o non lo vuoi il federalismo? Che fate, cari Casini, Rutelli, Montezemolo, ve la sentite di prendere due spiccioli di voti? Che fai, caro Di Pietro, giochi al tanto peggio tanto meglio? Che fai, caro Bersani, cerchi alleanze con Confindustria, ma trovi Vendola che va cercando il posto tuo, magari solo nella finzione delle primarie (che tanto lo sanno tutti, ormai, che di fronte alla possibilità di andare al governo, quelle le primarie sono semplicemente secondarie.) Insomma, la barca scricchiola, arenata in mezzo al guado dell’Acheronte.

In questa estate infernale, mentre la bara del Picconatore viene tumulala al suono della fanfara della Brigata Sassari, la democrazia italiana sta giocando la partita più pericolosa della sua storia.

Perché chiunque vinca, i giovani senza lavoro, le donne pagate meno degli uomini, i cassaintegrati da 900 euro, i pensionati da meno di 1000 euro, gli italiani che non sono andati in vacanza per pagare il mutuo, i consumatori che non hanno neanche i soldi per fare la grande spesa del sabato, perché le tariffe sono andate su senza controlli, tutti, ma proprio tutti hanno già perso la partita contro la crisi economica. Figuriamoci se, con le regole truccate dall’attuale legge elettorale, riusciranno a vincere la partita contro la crisi profonda del governo Berlusconi.

Dunque? Che la barca vada alla deriva: forse solo allora qualcuno avrà il coraggio di buttarsi, far saltare il banco e rovesciare il tavolo dei bari. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Media e tecnologia Società e costume

Fini, Berlusconi e il “muck-raking” del Giornale di Feltri.

Feltri&Fini:giornalismo d’inchiesta e i “rimestatori del fango” in Italia, di Mimmo Càndito-lastampa.it

Nella tradizione del giornalismo americano (che non è affatto perfetto ma in larga parte segue standard elevati di professionalità e di indipendenza), una categoria di riferimento è quella del “muck-raking”, che letteralmente si può tradurre come “il rimestamento del fango”. Non è difficile capire che cosa s’intenda: un giornalismo che rimesta nei rifiuti – nella merda, verrebbe da dire – per scoprire che cosa ci sia dentro. Ora, la parte più nobile di questo raking è certamente il giornalismo d’inchiesta; la parte invece più volgare è il giornalismo scandalistico. La linea di demarcazione tra i due giornalismi non è sempre netta, e però alla fine non appare difficile trovare il campo di appartenenza, pur nelle inevitabili contaminazioni.

Facciamo un esempio concreto: alcuni mesi fa “la Repubblica” condusse una dura campagna di stampa contro certe abitudini del presidente B per l’ inveterato costume di mescolare con il suo privato la sua funzione pubblica e di farsi “utilizzatore finale” di prostitute, e di signore compiacenti, in una forma spregiudicata, che inquinava pesantemente l’esercizio del suo ruolo di capo di un governo.

La campagna era partita – o aveva comunque trovato una spinta decisa – dalla denuncia che la stessa moglie (oggi separata) di B aveva fatto pubblicamente, che il marito era “fortemente malato” e si accompagnava con ragazzine. Appare evidente come in quel caso si intervenisse sulla sfera privata del presidente B, ma – appunto – poichè non del “signor Berlusconi” si trattava ma del “presidente B” , le implicazioni politiche oltre che quelle etiche generali erano fortemente significative. Ricorderete: si discusse a lungo se ci fosse violazione della privatezza, e se fosse comunque un affare soltanto personale del signor Berlusconi, o se invece il pesidente B travolto dallo scandalo (si sussurrò a lungo di scelte politiche – perfino di nomine di ministre, non solo di selezione per le candidature al Parlamento, al Parlamento europeo, o a livello locale – dettate dalle compiacenze di letto o di sotto il tavolo, stile Clinton, che il signor B aveva ricevuto nel suo ruolo, non di Dongiovanni, ma di capo di governo oltre che di potentissimo uomo di potere: la televisione etc.), si discusse se B travolto dalla scandalo non dovesse avere la decenza minima di dimettersi per salvare l’immagine fortemente compromessa di istituzioni centrali dello Stato.

Finì che B non si dimise, anzi non fu nemmeno sfiorato dall’ipotesi che l’opinione pubblica intesamente dibatteva, ma certo l’ulteriore danno all’immagine della politica fu rilevante e significativo. Il giornalismo muck-raking de “la Repubblica” aveva svolto con efficacia il proprio lavoro, ma non aveva ottenuto il risultato, altrove inevitabile, del rimestamento del fango (l’analisi delle ragioni fu ampia e partecipata, resta la realtà di quella inefficacia).

Un altro caso concreto di muck-raking è quello che sta affollando molte pagine dei quotidiani ( e molti minuti televisivi) in questi giorni: la casa di Montecarlo affittata al “cognato” di Fini e con procedure che ancora non appaiano affatto chiare. Questa volta il raking è condotto dal quotidiano “il Giornale”, ma anche dal suo parente “Libero” (oltre che dal consanguineo “il Tempo”) ,tutte testate di proprietà o di forte contiguità con B, in una intensità d’intervento che non ha nulla da invidiare alla intensità messa in campo da “la Repubblica” nel caso delle “escort” (le puttane) con cui si accompagnava il capo del nostro governo. La similitudine appare evidente: uomo pubblico nell un caso e nell’altro, faccende poco edificanti nell’un caso e nell’altro, richiesta di dimissioni nell’un caso come nell’altro, giornali con linee editoriali schierate nell’un caso e nell’altro.

Tuttavia, essendo questo blog dedicato alla riflessione sui processi della comunicazione e non all’analisi dei fatti politici, mi pare utile, oltre che necessario, tralasciare l’analisi specificamente politica e tentare soltanto la decodifica dei due “messaggi”, che si mostrano simili nella loro “apparenza” e però mostrano disssimilituini rilevanti nella loro realtà. E’ soltanto la definizione delle diversità – ammmesso che ce ne sia una, e a me pare di sì – che può smontare il meccanismo perverso delle similitudini, e consentire dunque di colloccare con maggior esattezza questa operazione di muck-raking nel campo del giornalismo d’inchiesta o, invece, in quello del giornalismo scandalistico, pur con la inevitabilità delle contaminazioni.

Qual è la dissimilitudine più rilevante? Che nel caso 1 si trattava di realtà denunciate e sostenute da prove inattaccabili,oggettive, documentali, mentre nel caso 2 ci troviamo di fronte a ipotesi ancora non confermate e anzi, in alcuni episodi, addirittura inquietanti per l’a’mbiguità o, peggio, la scorrettezza nell’uso delel “fonti” (penso al dipendente del mobilificio romano che se ne va via dal lavoro e – subito dopo! – spiffera a “il Giornale” che Fini ha comprato i mobili “per Montecarlo” mentre altri quotidiani intervistano il titolare del mobilificio che assicura che mai si è detto di spedire quei mobili a Montecarlo:uso scorretto, o poco professionale, delle fonti; e penso a questa dichiarazione di ieri, di un testimone che “Fini andò a visitare la casa di Montecarlo”, dichiarazione che poi il testimone smentisce con controreplica parziale de “il Giornale” e con accertamenti presso la nostra ambasciata che, anche loro, smentiscono la denuncia de “il Giornale”: e anche qui, lavoro assai poco professionale dell’inchiestista, che non incrocia mai le “fonti”, unico metodo invece per garantirsi l’attendibilità delle testimonianze, come ben sanno tutti gli studenti di giornalismo prima ancora di diventare giornalisti ).

Nel caso 1 come nel caso 2 ci troviamo di fronte a un’aspra lotta politica, ma l’evidenza delle prove del caso 1 non si manifesta nel caso 2 e, anzi, solleva molte perplessità per le forme e i tempi dell’attacco de “il Giornale”, forme e tempi assai simili a quelli del “caso Boffo” (il direttore de “l’Avvenire” costretto alle dimissioni) quando alla fine venne dimostrato che la campagna de “il Giornale” era stata basata su documenti palesemente falsi e usati strumentalmente come mezzi di denigrazione di un direttore, Boffo, che stava manifestando critiche severe ai comportamenti pubblici/privati di B. Anche qui – cioè nel caso 2 – ci troviamo di fronte a forme e tempi che si mostrano rigidamente legati al ruolo critico che Fini si è scelto nei confronti di B, e “il Giornale” appare dunque come uno strumento servile, più che della denuncia e della ricerca della verità, di un attacco spregiudicato contro chi “ha osato” attaccare il presidente B.

Qual è il punto di rottura della spregiudicatezza? Quando il muck-raking abbandona il campo del giornalismo d’inchiesta e si sposta nel terreno del giornalismo scandalistico o, peggio ancora, del giornalismo servile? E’ possibile immaginare una indagine dell’Ordine dei giornalisti che definisca con autorevolezza se vengano rispettati i principi ai quali l’Ordine lega la’ttività giornalistica?
Sono domande complessse, e anzi, meglio ancora, sono domande cui appare molto difficile dare risposte chiare e univoche, proprio per quella ambiguità delle “contaminazioni” tra le due identità del muck-raking. Lascio a voi l’invito a discuterne, con una notazione che è utile fare, perchè attiene direttamente all’anslisi dei processi della comunicazione: la teoria dell'”effetto consumato”, che sostiene che, un a volta emesso il messaggio, questo consuma il suo risultato, e questo risultato non sarà più cancellato (o comunque sarà cancellato solo in minima parte) anche qaundo il messaggio venga successivamente smentito. In aggiunta: chi ricorda più le ragioni – la difesa della legalità nell’azione politica – che hanno mosso Fini alla sua denuncia critica? chi le ricorda più, dopo la campagna de “il Giornale”?

Una sola osservazione finale: se il potere politico può usare con tanta spregiudicatezza al proprio servizio il giornalismo, allora davvero questi si vanno facendo tempi bui assai, non solo per il giornalismo ma anche per il ruolo di una opinione pubblica che è tale – come insegnava Pulitzer – soltanto quando è informata correttamente. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Lavoro Popoli e politiche

Ferragosto a Magic Italia.

di Marco Ferri-3DNews, inserto del quotidiano Terra

In un Paese in cui, secondo stime recenti, 6 italiani su 10 quest’anno non andranno in vacanza, per via della crisi economica, le migliori ferie di agostane le faranno i tre operai della Fiat licenziati a Melfi il 14 luglio scorso. Reintegrati dal giudice del lavoro, si presenteranno in fabbrica il 23 agosto, alla riapertura degli stabilimenti.

Quella volpe di Marchionne, amministratore delegato della Fiat, gli ha regalato la bellezza di quaranta giorni di vacanze pagate. Non se lo sarebbero mai sognato. Beati loro.

Vacanze sul filo, invece per Presidente della Repubblica che da Stromboli si dice preoccupato per il “bailamme” della politica italiana, dopo lo strappo tra Berlusconi e Fini che ha aperto di fatto la crisi di governo, con tanto di scontro istituzionale tra il capo del governo e il presidente della Camera, la terza carica dello Stato.

Vacanze avvelenate per Fini ad Ansedonia, messo in mezzo dalla “tribù dei Tulliani”, sottoposto, all’olio di ricino mediatico (potenza della legge del contrappasso per un ex fascista), somministrato dal Giornale di Feltri, per via della casa di Montecarlo.

Vacanze livide e rancorose di Berlusconi, che, asserragliato nel castello di Tor Crescenza, pilucca dossier freschi di stagione per”polverizzare” i suoi ex alleati di governo e costringerli alla resa incondizionata. Che siccome le crisi di governo si sa come cominciano, ma non si può mai dire come finiscono (Andreotti docet), Berlusconi ha una gran paura di non arrivare in sella alla sentenza della Consulta che potrebbe cancellare lodi, scudi e salvacondotti: e allora sì che sarebbero dolori per lui e i suoi guai giudiziari.

In questa estate pazza, che puzza di complotti di Stato e di congiure di Palazzo, c’è il lato comico, quello più divertente perché involontario. Infatti, all’inizio di luglio il ministero del Turismo, quello diretto da Michela Vittoria Brambilla, ha messo in onda uno spot pubblicitario per promuovere il turismo in Italia. La voce narrante era di un testimonial d’eccezione: Silvio Berlusconi. Il quale, fuori campo, invitata gli italiani a visitare la “nostra magic Italia”.

Fatto sta che l’appello a passare le vacanze in Italia non è stato ascoltato dallo stesso ministro del Turismo, committente dello spot. Michela Vittoria Brambilla, infatti, le sue vacanze le ha passate in Francia, a Menton, in Provenza. Beccata in flagrante ha detto di essere in “missione”. Che missione? Non si è capito. Anche se il sindaco di Siena, imbizzarrito come un cavallo selvaggio per le dichiarazione della Brambilla contro il Palio ha minacciato vie legali per il danno di immagine alla città e al suo turismo.

Mentre, il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, in una pepata dichiarazione pubblicata sul suo profilo Facebook, prima definisce la Brambilla “ministro animalista che fa ridere i polli”, poi aggiunge: “Dopo lo spot con la voce del premier un’altra ideona: abolire il Palio. Ma c’e’ un Paese straniero che la paga?”.

Insomma, quello di “Magic Italia” è stato un successone. Certificato, tra l’altro dal ministro della Difesa Ignazio La Russa, che siccome è fermamente convinto di essere anche il ministro dell’Interno, ha denunciato la ripresa massiccia degli sbarchi clandestini sulle coste siciliane. Il che è senza dubbio la prova provata di un grande successo di marketing turistico, suggestionato proprio dallo spot del duo Berlusconi&Brambilla. Sei italiani su dieci a “Magic Italia” non ci credono. Ma i migranti sì. E allora: welcome to magic Italy. (Beh, buona giornata).

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democrazia Media e tecnologia

Come il direttore del Tg Uno si guadagna lo stipendio.

L’Osservatorio di Pavia realizza per la Commissione di Vigilanza sulla Rai i un rapporto mensile. Secondo l ‘Osservatorio nel mese di Aprile il il Tg1 (il tv governativo, diretto da Augusto Minzolini) ha riservato a tutti i partiti di opposizione (Pd, Udc e Idv in particolare) il 19,6% degli spazi. Il resto se lo spartiscono il governo (43,2%) e i partiti di maggioranza (15%). Ancora più evidente lo squilibrio se si guarda ai politici più presenti in video: sui primi tre gradini del podio ci sono tre esponenti del centrodestra: al primo posto c’è ovviamente Berlusconi, che sul Tg1 delle 20 ha parlato per 667 secondi. Più del doppio del tempo riservato al secondo classificato, il presidente della Camera Gianfranco Fini, che ha fatto sentire la sua voce per 314 secondi, tallonato dal ministro degli Esteri Franco Frattini con 294 secondi. Beh, buona giornata.

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Attualità

La Russa, il ministro repubblichino della repubblica di Arcore rinnega Fini.

(da repubblica.it)
“Fini ha sbagliato? Non ci interessa dire chi ha ragione e chi ha sbagliato: dico che personalmente con grande sacrificio e amarezza ho dovuto rilevare che fosse giusta una strada diversa, quella di rimanere nel Pdl”. Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, nel corso di un convegno a Milano sul tema “la nostra destra nel Pdl”, dove ha riunito di quadri della parte ex An del Pdl.

“La strada – ha detto La Russa – è di far crescere il Pdl, di migliorarlo, e di non aprire una crisi che fa piacere solo alla sinistra in un momento in cui vinciamo tutte le elezioni, in un momento in cui stiamo costruendo un partito nuovo che Fini e Berlusconi hanno voluto insieme”. La Russa ha spiegato di auspicare un destra “rispettosa della nostra storia, della cultura e della nostra tradizione, ma nel contempo una destra che sa interpretare anche la realtà di oggi, quindi una destra moderna come quella che abbiamo voluto a Fiuggi. Ma un destra che non rifugga dalla sensibilità che gli uomini di destra hanno sempre portato nella politica”.

Alla domanda se ci fosse febbre nel Pdl, La Russa ha risposto: “Non c’è febbre, c’è solo un po’ di amarezza almeno da parte nostra, da parte di chi ha una storia in An perché quello che è successo poteva facilmente essere evitato. Non c’erano ragioni profonde, non si viene da una sconfitta, anzi si viene da una innumerevole serie di successi elettorali, da un solo anno di vita del Pdl. Credo che se non ci fosse stato lo spauracchio, l’annuncio da parte di Fini di voler creare gruppi autonomi e quindi di aprire la strada alla secessione si sarebbe potuto arrivare a soluzioni completamente diverse e noi stessi avremmo assunto atteggiamenti diversi”. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Media e tecnologia Società e costume

Signore e signori, trasmettiamo ora il “partito dell’amore, contro l’odio e l’invidia”: http://tv.repubblica.it/dossier/direzione-pdl-fini-berlusconi/berlusconi-vs-fini-il-remix-su-youtube/46053?video=&pagefrom=1

http://tv.repubblica.it/dossier/direzione-pdl-fini-berlusconi/berlusconi-vs-fini-il-remix-su-youtube/46053?video=&pagefrom=

(Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Fini voleva la corrente, Berlusconi è andato in corto-circuito.

A carte scoperte di Gianpasquale Santomassimo-il Manifesto
La direzione del Pdl è stata organizzata come una cerimonia di umiliazione pubblica per il Presidente della Camera, affiancato a Rotondi e Giovanardi (e altri sette politici di cui molti ignoravano l’esistenza) come cofondatore del partito, in una assise volta ufficialmente a celebrare la vittoria elettorale e i successi del governo.
Nel suo intervento Fini ha rivolto critiche esplicite a Berlusconi, di fronte a una platea di dipendenti non abituati ad ascoltare critiche pubbliche al padrone da cui – qualunque sia loro provenienza – dipendono interamente carriere presenti e prospettive future.

Sono confluite nel discorso di Fini idee antiche e tradizionali, unità nazionale, coesione del paese, senso dello stato e della legalità, e quest’ultimo è fra tutti il vero nervo scoperto del berlusconismo, come si è visto dalle reazioni del personaggio, mai così teso e insofferente in pubblico. Ma si sono innestate, nel discorso di Fini, anche le questioni nuove che da qualche anno sostanziano le sue prese di posizione pubbliche: diritti individuali e civili, laicità delle istituzioni, costruzione di un percorso inclusivo di cittadinanza per gli immigrati.

Tutto quello che, attraverso l’ultimo Fini e il lavoro della sua Fondazione Farefuturo, dovrebbe costruire il volto di una destra italiana moderna e di tipo europeo, che entra in rotta di collisione inevitabile con ideologia e pulsioni della Lega, ma anche con sostanza e identità profonda della destra reale in Italia.
Perché Fini sia uscito allo scoperto proprio ora e nelle condizioni per lui peggiori è facilmente intuibile: di fronte a progetti di riforma istituzionale decisi nelle cene di Arcore con Calderoli, Bossi, e il figlio di Bossi, non reagire avrebbe significato condannarsi a una irrilevanza politica sempre più evidente, mentre la campagna acquisti dei suoi ex colonnelli da parte di Berlusconi è virtualmente conclusa, e resa esplicita dalla conta impietosa di questi giorni.

Il destino di Fini, ormai sessantenne, non è più certamente quello di un delfino che può attendere l’uscita di scena del leader indiscusso: se ci sarà un successore di Berlusconi non sarà lui. A Fini resta un notevole capitale di stima e di consenso, rilevato dai sondaggi, ma che difficilmente può tradursi in voti fuori della gabbia di questa destra.
Certamente non accetterà senza reagire lo sfratto dalla Presidenza della Camera intimatogli da Berlusconi, ma la prospettiva di una corrente organizzata in un partito di questo tipo (“carismatico” è la definizione ufficiale) è affidata a un esile filo di probabilità, e non è neppure detto che questa libertà di manovra gli venga concessa.

Si apre un periodo di inevitabile assestamento e riposizionamento, e la prospettiva, del tutto inedita, di una rottura dell’unanimismo forzato all’interno della destra italiana. Nell’incontro con Berlusconi all’origine dello strappo, veniva attribuita a Fini la dichiarazione per cui la propaganda da sola non può bastare, e la politica non può venire sostituita dalla propaganda stessa. Pensiero giudizioso, che in ogni paese occidentale apparirebbe scontato. Ma molto meno scontato nell’Italia modellata da Berlusconi a sua immagine e somiglianza, con questa legge elettorale. Questo sistema può durare ancora a lungo, in una decadenza avvilente e rovinosa.
(Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Alla fine Fini è diventato doroteo. Berlusconi può dormire sonni tranquilli. E D’Alema (e Casini, e Rutelli e Bersani) ancora con un palmo di naso.

Roma, 20 apr. (Adnkronos/Ign) – “Ho posto questioni di tipo politico, non sull’organigramma interno” né “per gelosia”, e “non ho intenzione di togliere il disturbo e di stare zitto”. Così il presidente della Camera Gianfranco Fini durante la riunione con i parlamentari ex An che si è svolta oggi nella sala Tatarella di Montecitorio.

“Non credo di attentare al governo e al partito se dico che c’è distacco con la nostra gente – ha detto Fini -. Il dissenso è legittimo o siamo il partito del predellino in cui bisogna dire che le cose vanno bene?”. Arriva un momento in cui “ci si deve guardare allo specchio”. “Se non si è disposti a rischiare per le proprie idee o non valgono le idee o non vale chi le esprime”. Il presidente della Camera ha però criticato “chi ha cercato di interpretare il pensiero di Fini, incendiando il dibattito politico”.

“Il progetto – ha proseguito Fini parlando del Pdl – non è in sintonia con quanto stabilito all’inizio. C’è una scarsa attenzione alla coesione sociale, alla coesione nazionale, il Sud è scomparso dal dibattito politico, sono temi che una grande forza deve trattare, per garantire i suoi valori strategici”. Non si tratta, ha precisato, di “una riproposizione degli attriti con Tremonti, che ha fatto un ottimo lavoro, anzi senza Tremonti saremmo come la Grecia”.

Quanto alla Lega, “è un alleato strategico importantissimo e leale, ma in questo momento sta dimostrando di essere il dominus”.

Per quanto riguarda gli equilibri interni tra le due anime del Pdl, “si apre una nuova fase, anche per quanto riguarda la ripartizione 70-30, chi ha più filo da tessere, tesserà”. Fini ha quindi espresso “soddisfazione perché per la prima volta è stata convocata la direzione del partito”. Inoltre, “pare che si vada verso un congresso e questo è positivo”.

Gli ex di An hanno ascoltato la relazione del presidente della Camera e hanno firmato un ordine del giorno per assicurare il loro sostegno a Gianfranco Fini e per dire no a scissioni e al voto ancipato. Il documento è stato firmato da 50 parlamentari, 36 deputati e 14 senatori. Lo si apprende dagli uomini più vicini al presidente della Camera secondo le quali ”altri parlamentari, oggi assenti per vari motivi, non hanno potuto firmare il documento, ma hanno dato il loro assenso”.

Ora è il momento di ”riportare il confronto su un piano costruttivo – si legge – isolando quanti più o meno consapevolmente stanno in queste ore lavorando per destabilizzare il rapporto tra i cofondatori del Pdl. Per questi motivi confermiamo la fiducia al presidente Fini a rappresentare tali istanze”. ”In merito alle polemiche che l’incontro Fini-Berlusconi ha suscitato nei media e nell’opinione pubblica – scrivono gli ex di An – riteniamo necessario esprimere soldiarietà a Fini contro il quale sono stati espressi giudici ingenerosi con toni a volte astiosi. Per parte nostra, riteniamo che le questioni poste da Fini meritino un approfondimento e una discussione attenta nelle competenti sedi di partito”. ”Nel corso della Direzione di giovedì prossimo – sottolineano – sarà lo stesso presidente della Camera a chiarire le sue proposte, aprendo un dibattito che ci consentirà di articolare e aggiornare un progetto di rilancio del Pdl, aperto alla partecipazione di tutte le componenti del partito”. ”La prospettiva di una escalation e anche il solo parlare di scissioni ed elezioni anticipate risultano incomprensibili per noi e per l’opinione pubblica che invece si aspetta una fase più incisiva dell’azione del nostro governo. Bisogna, quindi, riportare il confronto su un piano costruttivo”.

A stretto giro la replica di 75 ex parlamentari di Alleanza nazionale non di ‘osservanza finiana’ che hanno firmato un documento in cui si definisce il Pdl una scelta ”giusta e irreversibile”. Pur senza sottovalutare i problemi ”politici e organizzativi” che il partito deve affrontare”. Le stesse posizioni espresse da Fini dovranno trovare nei luoghi di discussione del partito la possibilità di essere discusse. Nel Pdl deve esserci un ”costante, libero, proficuo confronto di idee”, garantendo al massimo ”la democrazia interna”. Tra le firme, quelle degli ex colonnelli Gianni Alemanno, Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa, Alterno Matteoli, più il ministro Giorgia Meloni, a lungo a capo dell’organizzazione giovanile di An.

Nel testo si afferma, tra l’altro, che occorre superare “definitivamente” le “quote di provenienza” tra gli ex di An e di Forza Italia attraverso “la convocazione di un nuovo congresso nazionale del Pdl da celebrare nei tempi più rapidi possibili”. Per i firmatari del testo, inoltre, ”deve essere difeso il sistema bipolare, aprendo la stagione delle riforme istituzionali per il rafforzamento della democrazia diretta”. In particolare, scrivono i parlamentari non finiani, ”è necessario attuare, insieme al presidenzialismo, il federalismo fiscale in modo efficace e solidale”. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Botte da “orbace” tra finiani e berluscones in tv.

DAGOREPORT-dagospia.com
“Con questi mai più!” È il commento secco come una lapide che si chiude dello stato maggiore di Berlusconi commentando la trasmissione “L’ultima parola” di Gian-gigione Paragone in onda ieri notte su ‘Rai-bue’ che ha tenuto sveglio il nano di Arcore fino all’una di notte. Da un lato due finiani doc come Italo Bocchino (faresiluro) e Adolfo Urso (Farefuturo), dall’altra la nemica più intima di Fini, alias Daniela Santadeché e Maurizio Lupi, proconsole meneghino di Comunione e Fatturazione.

“Bocchino e Urso come Travaglio e Di Pietro. Nessuna argomentazione politica, solo attacchi personali sotto la cintura a Lupi e alla Santanchè”, la reazione di stamane tra i berluscones.

La prima scintilla quando Bocchino ha chiesto maggiore democrazia all’interno del Pdl. Pronta la replica della Fantanchè: “Ricordati la democrazia ai tempi di An. Veniva gestita solo dalle sopracciglie di Gianfranco…E tu lo sai meglio di me”.

Da quel momento per due ore accuse personali che hanno spinto Charlotte Rossella, presente in studio a chiedere ai finiani due o tre cose che vi vanno bene visto che sembra che siete contro tutto

Urso paonazzo, tanto da apparirere più un esagitato ultrà che un viceministro, ha detto che comunque loro votano sempre per la maggioranza. “Vorrei pure vedere che in consiglio dei ministri votare contro. Quello è un vostro dovere…”, gli ha risposto seccamente la Santanchè.

Il culmine della telerissa, che ha sancito difatto la scissione è andato in onda quando Bocchino ha dato del lottizzato di Comunione e Liberazione a Lupi che gli ha risposto chiedendogli le immediate dimissioni da presidente vicario dei deputati del Pdl. Con Bocchino che replicava “squadrista, fascista, questo è il vostro modo di governare “e, rivolto a Paragone, “tu sei un servo di Bossi”.

Come ha sibilato il Banana stappando champagne: ‘Se andasse via, sarebbe la fine di un incubo’.
(Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Fini e l’attacco “Arcore” della maggioranza.

PDL: BERLUSCONI INCONTRA COORDINATORI, NESSUNO SEGUIRA’ FINI.
(AGI) – Roma, 15 apr. – E’ gia’ partita la ‘caccia all’uomo’.
Secondo quanto si apprende da fonti parlamentari del Pdl, Silvio Berlusconi avrebbe incaricato i vertici del partito di contattare tutti i deputati legati in qualche modo al presidente della Camera per far capire che dar vita a un gruppo autonomo “e’ un’iniziativa suicida”. Nel comunicato, redatto al termine dell’incontro a Palazzo Grazioli, si parla di stupore e di atteggiamento incomprensibile da parte della terza carica dello Stato. Espressioni e stati d’animo che il premier ha rimarcato piu’ volte durante l’incontro. “Non credo – ha osservato il premier secondo quanto viene riferito – ci sara’ qualcuno disposto a seguire Fini”. Dalle parti della presidenza della Camera si ritiene che siano piu’ di 70 tra deputati e senatori pronti a sottoscrivere un nuovo patto. Il premier con i vertici avrebbe fatto ‘la conta’. “In tutto non sono neanche venti”, questa e’ la considerazione del premier sempre secondo quanto viene riferito. (Beh, buona giornata).
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Attualità

Che succede nella pancia del Governo italiano?

L’uomo in grigio- di Marco Damilano-http://damilano.blogautore.espresso.repubblica.it/
Gianfranco Fini è questa sera a un passo dallo strappo finale: l’uscita dal Pdl e la costituzione di gruppi parlamentari autonomi alla Camera e al Senato. Servono almeno venti deputati e dieci senatori. I deputati ribelli lasciano Montecitorio dopo la riunione con il presidente della Camera e annunciano battaglia. «Berlusconi pretende di fare la Terza Repubblica mentre canta una canzone francese con il figlio di Bossi, la Trota. Noi con questa gente non ci stiamo!», sbotta Italo Bocchino, e pazienza se ci sono stati per sedici anni. «Quanti siamo? Molti di più di quanto immaginate», minaccia.

Sono le ore della conta. Viespoli c’è, anzi, no. Barbareschi ci sta. Il ministro Meloni non si sa. Ronchi tentenna. Granata, invece, è un uomo felice. «Il Pdl non esiste», grida a tarda sera un altro deputato finiano, il siciliano Carmelo Briguglio. Una liberazione. Il 25 aprile di Fini, con dieci giorni di anticipo.

La miccia sono state le dichiarazioni di Bossi di ieri sera: la richiesta del potere nelle banche e l’annuncio che la Lega si sente in corsa per Palazzo Chigi nel 2013 hanno spinto il presidente della Camera a rompere gli indugi. Ora o mai più: invecchiare da notabile impagliato come un gufo su una parete di Montecitorio, mentre Berlusconi e Lega si spartiscono il paese, fare la fine della sinistra democristiana, sempre sul punto di uscire dalla Dc e sempre rimasta dentro, fino al crollo del partito. Oppure rischiare il tutto per tutto, agire subito anche a costo di finire nel bel mezzo di una disputa sulle poltrone, chi comanda nel Pdl. Ma sarebbe una lettura riduttiva. Nel comunicato con cui il presidente della Camera ha dato l’ultimatum a Berlusconi si parla di «un partito nazionale, attento alla coesione sociale dell’intero Paese, capace di dare risposte ai bisogni economici del mondo del lavoro e delle famiglie, garante della legalità e dei diritti civili, motore di riforme istituzionali equilibrate e condivise». Insomma, tutto quello che l’attuale Pdl berlusconiano non è.

Anni fa il filosofo Remo Bodei in “Il noi diviso” definì «passioni grigie», per distinguerle dalle passioni rosse, bianche, nere che hanno caratterizzato le grandi culture politiche, le virtù del partito d’Azione o degli eroi borghesi, inevitabilmente minoritarie: «scarsamente diffuse in Italia, respingono il fanatismo e l’estremismo, prediligono l’efficienza e la normalità. Pongono in primo piano i diritti e i doveri, la ragionevolezza, l’onestà, la serietà. Si presentano grigie e impiegatizie, modeste e di routine soltanto a coloro che considerano la democrazia un regime orientato dai gusti volgari e dalle opinioni superficiali delle folle o retto da potenti lobbies che manipolano spregiudicatamente il consenso».

Per decenni Gianfranco Fini è stato considerato un politico incolore, il leader Facis, il politico dal pensiero Lebole. Ora per salvare il suo futuro politico si trova a sfidare la montante marea berlusconian-leghista. Un fronte fragilissimo che già domani mattina potrebbe essere spazzato via dalla minaccia di elezioni anticipate, fatta recapitare dal presidente del Senato Renato Schifani. Ma questa sera Fini è al bivio della sua carriera politica. Tornare nei ranghi come un capocorrente sconfitto o portare la scommessa fino alle estreme conseguenze.
Rimanere un uomo in grigio. O restituire un leader all’Italia delle passioni grigie. Incredibile che a candidarsi a farlo sia l’ex segretario del Msi.
(Beh, buona giornata)

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Attualità democrazia

Fascistelli.

Gianfranco Fini e soci corrono ai ripari. Sotto l’ala protettiva del Cavaliere. Hanno tentato un 25 Luglio ’43, ma siccome il 29 marzo 2010 gli ha dato torto, essi corrono, eccome corrono. Il Duce è il duce: magari mandan giù un poco di olio di ricino, ma poi vanno (non solo di corpo) ma anche con l’anima verso il Capo. Son fascisti, mica cazzi. E’ solo qualche buontempone della sinistra che aveva creduto nella leggenda metropolitana di una Destra democratica. Democratica? Ma chi se ne frega della democrazia: quella era solo Polverini per gli occhi. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia

Elezioni regionali: ha vinto l’antiberlusconismo dei berlusconisti.

Silvio Berlusconi giosce dopo il risultato elettorale che ha visto il centrodestra vincere in sei regioni. E non esita a dare la sua lettura del voto: l’attività di governo è stata premiata, ora avanti con le riforme.

Però, fa finta di non capire l’avanzata dello “tsunami Lega” in Veneto, Lombardia e Piemonte: “L’alleanza è garanzia di rinnovamento”, taglia corto il premier. Poi lo slogan degli ultimi mesi: “L’amore ha vinto sull’invidia e sull’odio, gli elettori ci hanno dato ragione”. Invidia e odio? E la finiana Polverini nel Lazio? Beh, buona giornata.

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democrazia Media e tecnologia

Qualcuno dica a La Russa che è un ministro della Repubblica italiana, non di quella di Salò. Presidente Fini, ci pensa lei, oppure ne ha perso completamente il controllo?

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Attualità democrazia

La lista del Pdl non è stata ammessa a Roma e provincia: “I notabili del Pdl hanno fatto flop sull’abc di un professionista della politica, la presentazione delle liste alle elezioni.”

Il Parapiglia della libertà. da il blog di marco Damilano-http://damilano.blogautore.espresso.repubblica.it/

«Siamo in una situazione paradossale: nella capitale d’Italia il Pdl non esiste». Paradossale, soprattutto, che a dirlo sia il coordinatore regionale del partitone berlusconiano che-tremare-il-mondo-fa, l’ex an Vincenzo Piso. Però la notizia è vera: a un mese dal voto, il Pdl a Roma non c’è. La sua lista non è stata ammessa. Se non ci saranno novità gli elettori berlusconian-aennini dovranno trovarsi un altro partito da votare.

Disguidi burocratici, giurano, e tanta confusione. Dopo la rissa al tribunale di Roma di ieri, la conferma che per ora il Pdl è fuori. E surreale conferenza stampa al comitato di Renata Polverini all’ora di pranzo, in una Roma domenicale sonnacchiosa e deserta. Nel quartier generale della destra romana, invece, gli animi sono surriscaldati. C’è tutto lo stato maggiore schierato in prima fila: il sindaco Alemanno e la moglie Isabella Rauti, il capogruppo Fabrizio Cicchitto, il ministro Giorgia Meloni, il senatore Andrea Augello. La candidata Polverini con le Hogan ai piedi e il coordinatore laziale, il buon Piso. Nervi a fior di pelle. La deputata Saltamartini aggredisce i giornalisti: per forza, il marito Pietro Di Paolo candidato alle regionali ha già mandato in fumo svariate centinaia di migliaia di euro in manifesti. Minacce: «non indietreggeremo». Applausi della claque prontamente convocata. E ricostruzione della vicenda affidata a un comunicato ufficiale. «Alcuni soggetti, urlando in maniera scomposta, creavano un clima di forte tensione e confusione. A seguito del parapiglia…». Una prosa da un giorno in questura, che non nasconde la verità. I notabili del Pdl hanno fatto flop sull’abc di un professionista della politica: la presentazione delle liste alle elezioni.

Colpa dei poveri Milioni e Polesi, i due incaricati di presentare le liste che si sono assentati al momento sbagliato, due militi ignoti come Gassman e Sordi nella Grande Guerra, spediti sul fronte della battaglia elettorale: «due persone perbene che si sono fatti intimorire da alcuni facinorosi» per la Polverini, «due coglioni», per tutti gli altri. Colpa del «parapiglia», insomma. Ma il caos è politico, tutto interno al Pdl. È bastata una buccia di banana per scatenare la resa dei conti tra le varie anime del partito: il ministro Rotondi contro «la banda di incapaci» che guida il Pdl, Fini furibondo, Berlusconi che alcuni raccontano «fuori dalla grazia di Dio» e altri intimamente soddisfatto per una debacle che in fin dei conti riguarda il partito romano, cioè An, dunque Fini.
Solo Renata Frangetta Nera, beata lei, è contenta: «se non c’è il Pdl si potrà votare la lista Polverini». Vallo a dire ai candidati che si sono già indebitati per manifesti e cene e si ritrovano fuori dalla competizione.

Fino a ieri i radicali rompevano le scatole sugli autenticatori delle liste e tutti ad alzare le spalle, Alemanno in testa. Ora è il Pdl a radicalizzarsi: i capi del primo partito italiano annunciano gazebo, una maratona oratoria dei parlamentari fino a quando «la democrazia non sarà ripristinata», la Polverini si trasforma in Bonino, si appella a Napolitano in nome della legalità e chissà che non arrivi anche lei a digiunare.
Di certo, il Pdl per ora a Roma non c’è. Al suo posto, il Parapiglia della libertà.
(Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Finanza - Economia

Fini copre il Governo per mettere fuori gioco l’opposizione sulla nuova legge Finanziaria: dopo il fuori onda, rientra nei ranghi. Più veloce della luce.

In Parlamento si discute di corsa della nuova legge Finanziaria. C’è poco tempo: Berlusconi ha altri problemi. La maggioranza della Commissione bilancio taglia corto sugli emendamenti dell’opposizione.”Il rispetto del regolamento è stato totale”. Gianfranco Fini dixit. Ancora una volta, il futuro leader del centrodestra conferma la sua attitudine all’obbedienza. Con buona pace degli estimatori di una alternativa all’interno dello schieramento di destra: da Almirante a Berlusconi, lui, Fini, non è mai stato fuori linea, semmai fuorionda. Beh, buona giornata.

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democrazia Popoli e politiche

Saluti parigini e saluti romani.

“Difficilmente riuscirò ad avere buoni rapporti anche con Gianni Alemanno che è stato accolto al Campidoglio con i saluti fascisti”. Bertrand Delanoë confessa ad alta voce quello che molti suoi collaboratori sanno da tempo. Al teatro dell’Odéon, davanti a Dario Franceschini e ad altri membri del Pd arrivati con il “Treno per l’Europa”, il sindaco di Parigi ammette tutta la sua distanza politica dal primo cittadino di Roma. Delanoë e Alemanno non si sono ancora mai conosciuti, fatto anomalo per due città gemellate in modo esclusivo da oltre mezzo secolo. Né è previsto un incontro a breve. L’anno scorso, subito dopo la sconfitta di Rutelli e l’elezione del nuovo sindaco di Roma, l’Hotel de Ville aveva preferito non invitare l’esponente di An per le celebrazioni del 25 agosto, festa della Liberazione. Beh, buona giornata.

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