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Un ‘altra vittima del terremoto o l’ennesima morte sul lavoro?

Il terremoto in Abruzzo ha un’altra vittima, ma stavolta si tratta di un operaio, che è morto a Cagnano Amiterno, travolto dal crollo di un fabbricato che stava demolendo. Secondo le prime notizie dei vigili del fuoco l’uomo si trovava in un cementificio, dove stava lavorando su un escavatore per demolire un fabbricato. L’uomo è poi sceso dal mezzo ed è stato travolto dalle macerie. Non è ancora chiaro se la demolizione fosse legata a lesioni dovute al sisma. Beh, buona giornata.

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Attualità

Terremoto: “Nicola, caro vice ministro Bertolaso, è stato ucciso come tutti gli altri dall’imprudenza delle istituzioni.”

da ilmessaggero.it

Nicola Bianchi era uno studente di 22 anni di Monte San Giovanni Campano, morto nel crollo della palazzina in via Gabriele D’Annunzio 11 distrutta dal terremoto. Il padre, Sergio Bianchi, operatore del 118, ha scritto oggi una lettera aperta al capo della Protezione civile Guido Bertolaso, per chiedere perché, nonostante si registrassero scosse sismiche fin da gennaio, nessuno abbia preso provvedimenti, a partire dalla chiusura dell’università «una settimana prima come hanno fatto le scuole ritenendo la situazione pericolosa».

«Non voglio fare polemiche – scrive Bianchi – ma sono addolorato e non bisogna dimenticare che in questa tragedia ci siamo anche noi: abbiamo perduto i nostri figli perché nessuno ci ha avvertiti del pericolo. Il mio ragazzo, insieme ad altre giovani vite ciociare spezzate, era all’Aquila per costruirsi un futuro. Ho visto i muri del palazzo-tomba di Nicola con alcuni lesioni. Ho chiesto spiegazioni a tutti, dal proprietario ai vicini e mi hanno risposto di stare tranquillo, che la situazione era sotto controllo. I nostri ragazzi che vivevano al civico 11 di via Gabriele D’Annunzio e gli altri che alloggiavano nelle palazzine vicine erano tranquilli, perché noi genitori gli avevamo trasmesso la serenità. Nicola, caro vice ministro Bertolaso, è stato ucciso come tutti gli altri dall’imprudenza delle istituzioni». (Beh, buona giornata).

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Attualità Popoli e politiche

Quello dell’Abruzzo non è un stato un “grande” terremoto. Perché ha provocato tanti morti?

IL TERREMOTO TRA VERA PREVENZIONE E FALSA FATALITA’
di Lapo Boschi e Elena Fagotto da lavoce.info
I terremoti si possono prevedere. Non alla maniera di Giuliani, però. Si capiscono studiando i movimenti delle placche tettoniche, prendendo in esame una zona che tende a fratturarsi e esaminando la frequenza degli eventi in quella zona. Perché nei terremoti c’è una certa regolarità, un ritmo. Ma la previsione non serve a ordinare un’evacuazione, serve a sapere dove le case vanno costruite secondo criteri antisismici. E il problema più grave dell’Italia è proprio l’inadeguatezza delle infrastrutture anche di fronte a un sisma di dimensioni relativamente modeste.

Quando lunedì il terremoto ha colpito l’Abruzzo, in molti si sono ricordati di Giampaolo Giuliani, il tecnico del laboratorio del Gran Sasso che una settimana prima aveva cercato di allertare le autorità.
Ci si è domandati se gli scienziati che Giuliani chiama “canonici” non avessero clamorosamente sbagliato a ignorare le sue indicazioni: ogni sismologo si è sentito domandare, da colleghi e da profani, se davvero il terremoto non si poteva prevedere.

TRA PROFEZIE E PREVISIONI

Quello dell’Abruzzo non è un stato un “grande” terremoto. In altri paesi, scosse più intense fanno meno danni, meno vittime. Nel 1989 il terremoto di Loma Prieta, a una cinquantina di chilometri da San Francisco, ha rilasciato dieci volte più energia di quello dell’Abruzzo. Quante vittime? Sessantatré i morti, circa 3mila i feriti, 10mila gli sfollati. I dati che arrivano dall’Abruzzo, ancora non definitivi, sono già peggiori. Eppure, la regione che circonda la baia di San Francisco è una delle aree metropolitane più densamente popolate degli Stati Uniti.
Oggi i sismologi che si sentono porre la classica domanda sulla possibilità di previsione, possono rispondere che, sì, i terremoti si possono prevedere. Non alla maniera di Giuliani, però. I terremoti si capiscono studiando i movimenti delle placche tettoniche: vicino all’Italia quella africana sprofonda sotto quella europea; l’attrito provoca fratture che percepiamo sotto forma di terremoti. E si prevedono prendendo in esame una zona che tende a fratturarsi, una zona sismica, e studiando la frequenza dei terremoti in quella zona. Da qualche decennio, esiste in Italia una rete di sismometri che misurano le oscillazioni del suolo, consentendo di misurare accuratamente e in tempo reale posizione e grandezza dei sismi. In questo modo è possibile, tra l’altro, inviare i primi soccorsi nelle località più colpite. Ai tempi del terremoto dell’Irpinia, in Italia questa tecnologia non esisteva. Oggi esiste, funziona e nei giorni scorsi ha salvato delle vite.
Altre misure si estrapolano da resoconti storici che descrivono terremoti vecchi di secoli. Messi insieme i dati, ci si accorge che nei terremoti c’è una certa regolarità, un ritmo: la velocità con cui le placche si spostano rimane uguale a se stessa per tempi “geologici”: milioni di anni. Il ritmo delle fratture è solo approssimativamente costante, però. Il prossimo “big one” potrebbe arrivare tra un mese, un anno, dieci anni. Differenze molto importanti, ma irrisorie nella scala temporale della tettonica a placche. Per colpa di queste differenze, le previsioni dei sismologi sono solo statistiche: mappe di pericolosità sismica, espresse “in termini di accelerazione massima del suolo con probabilità di eccedenza del 10 per cento in cinquanta anni”. Questo significa che un abitante di Messina o di Udine ha il 10 per cento di probabilità di essere colpito, nei prossimi cinquanta anni, da un terremoto grande come quello dell’Abruzzo, o ancora peggiore.
Oggi i terremoti si prevedono così. Questo tipo di previsione non serve a ordinare un’evacuazione, ma serve a sapere dove occorre costruire meglio le case. Meglio non si può fare, perché la frattura è un fenomeno caotico: basta una piccola perturbazione nelle condizioni iniziali e tutto (il luogo e l’ora del sisma, l’energia rilasciata) cambia, anche parecchio: decine di chilometri, mesi, punti di magnitudo. Per questo, anche lo sciame di piccoli terremoti registrati in Abruzzo negli ultimi mesi non è servito a prevedere quello più grande: esistono sciami di terremoti che non preludono a eventi più grandi, e grandi terremoti che arrivano all’improvviso.

DISCUTERE DI RADON NON RAFFORZA LE CASE

I ricercatori studiano, naturalmente, tutti i fenomeni che permettano di diagnosticare l’imminenza di un terremoto. Il radon, ad esempio, è un gas radioattivo sprigionato dalle rocce della crosta terrestre; da almeno trent’anni si sa che le emissioni tendono a essere più intense in corrispondenza di eventi sismici. Ci sono strumenti che rilevano il radon emesso dal suolo in un determinato punto, e su uno di questi strumenti Giampaolo Giuliani ha osservato, la settimana scorsa e in altre occasioni, che il suolo abruzzese stava emettendo più radon del normale. Ma come per gli sciami di piccoli terremoti, anche le emissioni anomale di radon non sono necessariamente segnali premonitori di un terremoto: c’è radon senza terremoti e ci sono terremoti senza radon. In assenza di un preciso modello scientifico, Giuliani non era nelle condizioni di lanciare un allarme.
Ad ogni modo, continuare a dibattere il caso del radon distoglie dal problema ben più grave dell’inadeguatezza delle infrastrutture di fronte a un sisma di dimensioni relativamente modeste. Ènecessario prevenirle adeguando le infrastrutture ai rischi naturali che ben conosciamo. Questa è la priorità numero uno. Una volta adeguate le infrastrutture ci si potrà occupare di early warning systems per attivare una serie di reazioni quando si presenta un sisma. (1)
I terremoti non sono fatalità, ma eventi cui è possibile far fronte preparandosi. Sapendo che la reazione a certi pericoli non è perfettamente razionale, è importante comunicare i rischi sismici in maniera chiara ed efficace alla popolazione, attraverso simulazioni per valutare che impatto avrebbero eventi del passato in condizioni attuali. Ad esempio, come reagirebbero la Messina e la Reggio di oggi a un sisma analogo a quello del 1908? Vi sono organizzazioni, fra cui Geohazard International, che sono impegnate su questo fronte. In zone ad alto rischio, l’educazione dei cittadini è fondamentale per trasmettere attraverso le generazioni l’esperienza e la cultura della prevenzione. Istituzioni che non riescono a prevenire rischi che in altri paesi vengono gestiti in maniera “normale” devono prendere atto del proprio fallimento.Ènecessario che comunichino con i cittadini in maniera trasparente, e stabiliscano meccanismi per far partecipare la popolazione alla gestione della ricostruzione, non solo nella fase progettuale, ma anche nella realizzazione degli interventi. Solo così ci sarà quell’accountability diffusa necessaria perché il prossimo terremoto non abbia conseguenze tanto drammatiche. (Beh, buona giornata).

(1) Attenzione, i segnali partono quando si verifica il sisma, allertando ad esempio i treni, per cui i tempi di reazione sono estremamente compressi.

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