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Alitalia: anche con un poco di zucchero la pillola non va giù.

Dice Bonaiuti, il ventriloquo di Berlusconi:
“Con il centrosinistra, Air France si sarebbe presa tutta l’Alitalia, ora solo una quota. E’ stato rispettato l’assunto fondamentale, è cioè l’italianità è stata mantenuta”. Lo afferma Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ai microfoni di Rainews 24.

 

Scrive Le Figaro:

Air France domina i cieli europei”, è il grande titolo in prima pagina di Le Figaro questa mattina. Il quotidiano francese celebra l’acquisizione del 25% di Alitalia e il fatto che, “con 99 milioni di passeggeri trasportati ogni anno nel mondo, la compagnia francese supera i suoi concorrenti British Airways e Lufthansa”.

Dice Gasparri, altro ventriloquo di Berlusconi:

“Mi auguro che senso di responsabilità e soprattutto fiducia nella nuova compagnia prevalgano presto sull’incoscienza di alcuni agitatori che oggi, limitando i servizi essenziali con proteste e scioperi, stanno causando gravi disagi per i viaggiatori. La soluzione che si è profilata per Alitalia era l’unica possibile per mantenere la nostra compagnia di bandiera e soprattutto per darle una prospettiva”. Lo dichiara il presidente del Pdl al Senato Maurizio Gasparri.

Scrive le Figaro:

“La compagnia franco-olandese sborserà 323 milioni di euro per acquistare il 25 per cento del capitale della sua omologa italiana, ottenendo tre sedie nel consiglio d’ amministrazione”. Lo scrive Le Figaro, sottolineando che “questa volta la notizia è veramente ufficiale”. Al suo fianco, prosegue il quotidiano francese, ci saranno “gli imprenditori italiani mobilizzati dal premier Silvio Berlusconi”. Per Le Figaro questa rappresenta “una bella vittoria per Air France-Klm”, ma soprattutto “per il suo presidente”.

 Dice Sacconi, altro ventriloquo di Berlusconi:

“Tutti i profeti di sventura sono stati smentiti: ce l’abbiamo fatta, la nuova Alitalia c’è” dice il ministro del Welfare Maurizio Sacconi. Di fronte alle agitazioni che hanno interessato alcuni aeroporti, per il ministro bisogna usare gli strumenti opportuni: “credo che si debba garantire la continuità del servizio – ha spiegato Sacconi – penso che sia davvero giunta l’ora di riformare la regolazione del diritto di sciopero nei servizi di pubblica utilità”.

A proposito di strumenti opportuni per “garantire la continuità del servizio”:

La terza sezione del tribunale civile di Roma si è riservata in merito alla possibilità di inviare gli atti alla Corte costituzionale, per decidere di una eventuale questione di legittimità costituzionale del decreto 138 del 2008, che ha modificato la legge Marzano e ha permesso il commissariamento e la vendita di Alitalia. Lo comunica il Codacons, che ha promosso un giudizio di fronte al tribunale civile per veder annullata “l’ammissione della società Alitalia alla procedura di amministrazione straordinaria”.

Beh, buona giornata.

 

 

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L’Antitrust e le banche italiane:”Un vero e proprio carattere nazionale che postula il prevalere della corporazione sulla concorrenza.”

Il conto al consumatore
 
di FRANCESCO MANACORDA da lastampa.it
E dunque – ci spiega l’Antitrust – i salotti buoni del capitalismo sono presumibilmente salotti dove ci si annoia parecchio: sempre le solite facce; sempre tutti assieme senza troppe distinzioni tra amici e nemici, concorrenti o alleati; sempre tante poltrone occupate da pochi noti e mai una ventata d’aria nuova.
Ci si annoia, ma – dato non secondario – si esercita un potere vero. E un potere tanto più forte perché autoreferenziale.

Basta mettere a confronto le tabelle dell’Autorità con le cronache finanziarie di questi anni – ma anche di qualche decennio fa, proprio a dimostrazione di un sistema bloccato – per vederlo con chiarezza. Sono le Assicurazioni Generali e Mediobanca i grandi gruppi dove si affolla il maggior numero di azionisti che sono anche concorrenti delle società, ossia che di lavoro fanno gli assicuratori o i banchieri. E ancora questi due nomi, assieme alla Premafin dei Ligresti, a Intesa Sanpaolo e alla roccaforte della finanza cattolica lombarda Ubi Banca, sono quelli che spiccano nella classifica delle società dove trionfano i recordmen delle cariche incrociate. Un’intesa cordiale che attraversa il fior fiore della finanza di casa nostra e il cui conto – questo l’indagine Antitrust non lo dice, ma i confronti internazionali sui costi dei servizi finanziari sono lì a dimostrarlo – lo paga il consumatore.

Certo, dopo le tempeste finanziarie che hanno spazzato via tanta finanza anglosassone con relativa pretesa di superiorità etica e funzionale, ci sarà anche chi cercherà di dimostrare che il rugginoso sistema italiano non è così malvagio: avremo pure banchieri inamovibili, ma da queste parti ancora non si è visto un Bernie Madoff. Il punto però non è questo, bensì il fatto che – patologie alla Madoff a parte – un sistema così bloccato è un sistema che in una certa misura assicura dai rischi, ma di sicuro elimina a monte molte opportunità: siano quelle di potenziali concorrenti che si vedono la strada bloccata da una concentrazione anche informale come quella che si crea nella riservatezza dei consigli d’amministrazione, e per questo ancor più difficile da affrontare, o quelle dei consumatori. E che il bilancio tra rischi evitati e opportunità perdute alla fine sia positivo è tutto da dimostrare.

Ma in fondo è miope anche gettare tutte le colpe sulle stanze chiuse del capitalismo. I risultati dell’indagine Antitrust si possono allargare ben oltre quei confini – per quanto significativi – arrivando a definire un vero e proprio carattere nazionale che postula il prevalere della corporazione sulla concorrenza, l’affermarsi della pura e semplice relazione su qualsiasi criterio di merito. Se ne trovano tracce ovunque, anche scendendo le scale che portano dall’empireo della grande finanza al mondo reale: dai piloti Alitalia sicuri che senza di loro non si vola, ai notai davanti ai quali si blocca ogni semplificazione burocratica, passando per farmacisti, tassisti, dinastie universitarie. E anche per i giornalisti, tuona chi propone di abolirne l’ordine professionale.

Poco da meravigliarsi, allora, se il tema civile prima ancora che politico del conflitto d’interessi è affondato in Italia per anni nella palude del dibattito a oltranza fino a scomparire definitivamente. L’affermarsi di quello che Guido Rossi ha chiamato il «conflitto endemico» nasce anche da un terreno assai propizio dove nessuno ha interesse a riconoscere il conflitto d’interesse altrui perché troppo spesso ne ha a sua volta un altro da difendere. E dove alla concorrenza si preferisce troppo spesso la connivenza: seduti nello stesso cda o magari in due botteghe o due scrivanie vicine. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche

Barak Obama:”Gli Stati Uniti saranno contro la tortura e rispetteranno la convenzione di Ginevra”.

Riprogongo “Torturare è giusto, torturare è possibile”, pubblicato su “Beh, buona giornata” il 22 agosto 2006. E’ bene ricordare che durante l’Amministrazione Bush c’è stata una rincorsa a giustificare guerre, torture e  violazioni delle norme internazionali a tutela dei diritti civili. Anche in Italia giornalisti e intellettuali di destra hanno fatto la loro parte, scrivendo pagine a sostegno della guerra di civiltà con ogni mezzo, compresa la tortura. I tempi cambiano, ma quelle ferite all’intelligenza rimangono. Non bisogna dimenticarle. Con l’augurio che gli intellettuali italiani embedded al bushismo da neo-cons diventino neo-scons(olati) nel nuovo corso inaugurato da Barak Obama. Chi criticava l’Amministrazione Bush era tacciato di anti-americanismo.  La domanda è: adesso che Obama ha detto” gli Stati Uniti saranno contro la tortura e rispetteranno la Convenzione di Ginevra”, chi è anti-americano?

Torturare è giusto, torturare è possibile.

Per sostenere il ripugnante principio secondo la quale ci vuole un “compromesso tra lo stato di diritto e la sicurezza nazionale”, qualche giorno fa sul Corriere della Sera, nei giorni immediatamente successivi all’allarme antiterrorismo lanciato negli aeroporti inglesi, Angelo Panebianco ha scritto:“Immaginiamo che tra qualche mese venga fuori che l’Apocalisse dei cieli, il grande attentato destinato a oscurare persino gli attacchi dell’undici settembre, con migliaia di vittime innocenti, sia stato sventato solo grazie alla confessione, estorta dai servizi segreti anglo-americani, di un jhadista coinvolto nel complotto, magari anche arrestato (sequestrato) illegalmente.”

Panebianco si è poi chiesto:”Chi se la sentirebbe in Europa di condannare quei torturatori? La risposta è: un gran numero di persone. In Italia più che altrove.”
A proposito di tortura e di giustificazione politico-giuridica della tortura, esemplare il caso di Craig Murray, che è stato recentemente intervistato per RaiNews24 da Mario Sanna e Maurizio Torrealta.

Craig Murray è stato ambasciatore britannico in Uzbekistan. Nel periodo cha va dall’agosto del 2002 all’ottobre del 2004 ha scoperto la tortura dei servizi segreti uzbeki sui prigionieri politici e ha denunciato l’uso che delle informazioni estorte, spesso inattendibili, facevano la Cia e il ‘Foreign Office’ inglese.

Craig Murray è stato ascoltato dalla Commissione d’inchiesta dell’Europarlamento sui voli e i sequestri della Cia in Europa alla fine di aprile. Murray è stato ambasciatore britannico in Uzbekistan dal 2002 al 2004. Cosa ha dichiarato Murray alla Commissione? Ha detto che i servizi segreti americani e britannici hanno utilizzato testimonianze di detenuti ottenute mediante tortura e non ha escluso che i servizi segreti di molti paesi europei fossero informati di quanto facessero i loro colleghi in Uzbekistan.

L’ambasciatore ha parlato di “cooperazione” tra i servizi nazionali quando si è avuto a che fare con detenuti sospettati di terrorismo in Uzbekistan. L’alto funzionario si è detto certo del fatto che i servizi uzbeki torturassero i detenuti e che la CIA e l’MI6 britannico ottenessero le informazioni sebbene non partecipassero agli “interrogatori”.

Murray ha raccontato d’aver posto il problema al ministro degli esteri britannico, Jack Straw, il quale concluse, dopo un incontro con il capo dei servizi MI6, che ricevere informazioni ottenute sotto tortura non avrebbe contravvenuto alla Convenzione ONU contro la tortura. A proposito di una domanda posta dal relatore della commissione, Claudio Fava, l’ambasciatore Murray ha affermato di non avere informazioni sulla condivisione delle informazioni tra la CIA e i servizi segreti di Paesi occidentali: “Tuttavia – ha aggiunto – la Germania aveva particolari e stretti legami con i servizi di sicurezza uzbeki e credo che lo scambio di informazioni sia avvenuto”.

Murray ha raccolto le testimonianze di intere famiglie, rivoltesi a lui per assistere i loro congiunti ’scomparsi’ e sequestrati dai servizi segreti uzbeki. Ha condotto un’indagine e ritiene che oltre 7000 persone, oppositori del regime uzbeko guidato da Islam Karimov, siano state sequestrate e torturate per ordine del governo. Secondo Murray questa azione di feroce repressione interna è stata anche finalizzata alla raccolta di informazioni da parte della Cia.

Secondo la testimonianza di Murray, i prigionieri sotto tortura erano costretti a confessare di tutto: che erano membri di al Qaeda; che avevano contatti con l’Afghanistan e con lo stesso Bin Laden; che andavano in Afghanistan per incontrarlo o che conoscevano persone implicate in questo. Inoltre, chi era torturato era disposto ad ammettere che un gruppo uzbeko di opposizione fosse collegato ad al Qaeda e addirittura confessavano che persone che loro nemmeno conoscevano erano attivisti di Bin Laden.

Ecco un brano dell’intervista di Mario Sanna e Maurizio Torrealta per RaiNews24.

Craig Murray ha voluto raccogliere una dettagliata documentazione sulle violazioni dei diritti umani in tutto il mondo in suo sito e lo sta facendo anche in polemica con il sistema dei media. Come ha reagito la stampa inglese tradizionale davanti alla sua vicenda e alle sue denunce.

I media britannici hanno difficoltà a affrontare a viso aperto questo punto. Nessuno ha mai domandato in modo diretto: “Voi usate materiale di ‘intelligence’ ottenuto con la tortura?” , oppure: “Ma voi non istigate di fatto regimi come quello uzbeko, saudita, algerino? Non incoraggiate questi regimi alla tortura?”. Nessun giornalista ha posto mai queste domande difficili e così il ‘Foregn Office’ è stato in grado di manipolare l’opinione pubblica su questo punto.

Dopo l’11 settembre l’intero sistema dei media in Gran Bretagna è stato dominato dal timore di non mostrare immagini e a non porre sul tappeto questioni che fossero considerate poco patriottiche. Il direttore della BBC e’ stato mandato via perché aveva detto che in Iraq non c’erano armi di distruzione di massa. Ora sappiamo che ciò che diceva la BBC era vero, che non c’erano armi i distruzione di massa in Iraq, ma le due persone ai vertici della BBC sono state mandate via per aver detto una cosa del genere, quindi e’ comprensibile che i giornalisti non si sentano pronti a scavare in profondità su questo argomento nel Regno Unito.

La sua deposizione davanti alla commissione d’inchiesta che indaga sui voli Cia, non è passata inosservata, anzi, ha destato grande sensazione tra gli europarlamentari. Di tutta questa vicenda drammatiche che lei ha vissuto, che ci ha raccontato, qual è stato l’aspetto che più l’ha ferita?

La cosa peggiore per me è stata la scoperta che altri funzionari pubblici, persone che conoscevo da 20 anni erano al corrente di questa situazione. Sono rimasto sbalordito quando ho scoperto che Michael Wood che e’ una brava persona, un uomo che conoscevo da molto tempo trovava una giustificazione legale al modo in ui si poteva eludere il divieto giuridico contro la tortura

A questo punto inizi a pensare: “Perché le persone non si assumono la responsabilità morale delle loro azioni?”.

Se qualcuno riesce a trovare una giustificazione legale alla tortura, allora e’ facile capire come un funzionario pubblico in Germania possa avere ricevuto ordini di andare ad Auschwitz con i carri bestiame e dire: “io sto facendo solo il mio lavoro, sono solo un funzionario pubblico”.

L’articolo di Panebianco, accanto, fatte le debite proporzioni a quelli di Magdi Allam e di Giuliano Ferrara, per non parlare di quelli dell’agente Betulla, e di tutta la macchina propagandistica a favore della guerra di civiltà hanno segnato in questi anni il punto di non ritorno tra lo stato di diritto e la logica della guerra infinita al terrorismo. La testimonianza di Craig Murray è un balsamo per la coscienza critica di ciascuno di noi. Per questa azione in difesa dei diritti umani, Murray è stato costretto ad abbandonare la diplomazia. Beh, buona giornata.

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L’Obama-pensiero contro la crisi.

Obama: “Il mio attacco a più punte
contro il tracollo dell’America”

di JOHN HARDWOOD

Alla vigilia del suo discorso sull’economia, il presidente eletto degli Stati Uniti ha rilasciato un’intervista a John Hardwood per il New York Times e la CNBC. Ecco il testo integrale, da repubblica.it 

Pare che il suo pacchetto di incentivi all’economia si aggiri intorno ai 775 miliardi di dollari.
“È così”.
Il rischio è fare troppo poco… Perché dunque fermarsi a una cifra come 775 miliardi di dollari? Perché non arrivare a quell’1,2 trilioni di dollari che gli economisti hanno raccomandato? Forse perché crede che una cifra così sia troppo politicamente carica di significato? O pensa che spendere di più sarebbe più un finanziamento più che un incentivo? O crede di aver individuato la cifra esatta che serve?
“Penso che sia importante tener presente che ogni economista, conservatore o liberal che sia, a questo punto concorda sul fatto che dobbiamo predisporre un piano di recupero sostanziale, che ci aiuti a ridare slancio alla nostra economia, che sul breve periodo ci costerà caro, ma sarebbe estremamente più costoso veder l’economia avvitarsi su se stessa a vuoto come sta accadendo adesso.

“Abbiamo sentito parlare di fasce che vanno da 800 a 1,3 trilioni di dollari e il nostro approccio, considerato il processo legislativo nel quale ci troviamo è che se iniziamo dal basso, possiamo vedere come si evolvono le cose. Ci preoccupa…”.

Sicuramente (il pacchetto) aumenterà….
“Beh, ancora non lo sappiamo. Ma ciò che ci sta davvero a cuore è essere sicuri che i soldi siano spesi con saggezza, che ci sia controllo, trasparenza. Useremo questo denaro per alimentare temporaneamente l’economia, per creare o salvare tre milioni di posti di lavoro, ma anche per qualche anticipo per cose che avremmo già dovuto fare nel corso dei decenni passati che possono contribuire a creare un’economia statunitense più competitiva.


“Le faccio qualche esempio: accertarsi che raddoppiamo le energie alternative, creare edifici e sistemi di trasporto molto più efficienti dal punto di vista energetico, ridurre i costi dell’assistenza sanitaria utilizzando le tecnologie dell’informazione sanitaria, costruire scuole e classi all’altezza di quelle del resto del mondo, così che tutti i nostri bambini ne possano trarre giovamento e possano essere competitivi nell’economia globale.

“Vogliamo essere sicuri che il denaro che spendiamo sia, prima di tutto, utilizzato per creare posti di lavoro, stabilizzare l’economia, ma anche usato con prudenza, così che quando usciremo da questa fase difficile nella quale ci troviamo, vedremo un’economia più solida, migliore, più efficiente”.

Si sono fatti molti paralleli tra lei e John F. Kennedy, che ha anch’egli fatto la storia: era giovane, di una famiglia attraente e nella sua amministrazione si era circondato di cervelloni usciti da Harvard. Ma negli anni Sessanta abbiamo imparato che i migliori e i più intelligenti non sempre prevedevano correttamente le cose.
“Si deve stare attenti ai laureati di Harvard… ti sorprendono sempre!”.

Quanta fiducia ha che il suo piano funzioni davvero? Come eviterà il rischio di essere troppo fiducioso nelle sue possibilità?
“L’approccio che abbiamo scelto è quello di non limitarci a parlare con i soliti sospetti, ma di parlare con persone che di norma non sono d’accordo con me. Se l’ex consigliere economico di Ronald Reagan o l’ex consigliere economico di John McCain o l’ex consigliere economico di George Bush ti danno il medesimo consiglio di quello che i consiglieri di Bill Clinton o di Jimmy Carter ti stanno dando, allora puoi essere pressoché sicuro che in tutto lo spettro politico vi è del consenso.

“Certo, tutto ciò non avverrà nell’arco di una sola notte. La situazione è complessa e sappiamo che, indipendentemente da quanto riusciremo a fare dal punto degli investimenti e della ripresa, dovremo nondimeno fare molte altre cose per essere sicuri che l’economia sia in forma migliore. Una delle cose più importanti che dovremo fare è riformare il modo col quale funzionano i nostri sistemi finanziari. Dobbiamo far sì che il flusso del credito ricominci. Questo significa ripristinare la fiducia, ripristinare le aperture nel sistema. Significa che il nostro contesto normativo deve essere riformato profondamente…

“C’è un pacchetto consistente di riforme che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi renderò noto. Significa che dobbiamo occuparci molto più seriamente della crisi immobiliare che c’è al momento e stabilizzarla. Significa che dovremo pensare a quale approccio avere nei confronti della responsabilità fiscale. Ecco perché ho annunciato che nominerò un funzionario capo addetto alla performance, incaricato di attuare l’impegno che ho sottoscritto in campagna elettorale di andare a fondo nel budget federale, riga dopo riga, pagina dopo pagina, e determinare quali programmi funzionano e quali programmi non funzionano, eliminando di conseguenza quelli che non funzionano e facendo sì che quelli che funzionano funzionino ancora meglio.

“Si tratta dunque di un attacco a più punte nei confronti di questo enorme tracollo al quale stiamo assistendo al momento. L’obiettivo a lungo termine è essere certi che salveremo e proteggeremo i posti di lavoro, e che le imprese e le famiglie americane siano in grado di beneficiare del flusso del credito nuovamente. Non voglio aumentare le dimensioni del governo a lungo termine: preferirei che fosse il settore privato a fare tutto ciò per conto suo. Ma credo che ci sia un consenso pressoché unanime tra le persone, anche quelle che non sono andate ad Harvard, e che è necessario varare iniziative coraggiose adesso per essere sicuri che facciamo il possibile per evitare che accada il peggio”.

 
Non ha preoccupazioni su questa eccessiva fiducia?
“No, anzi, mi sento schiacciato dalle sfide che ci stanno di fronte. Ma ho fiducia in una cosa: sono un buon ascoltatore, sono bravo a sintetizzare i consigli provenienti da prospettive e ottiche diverse e prenderò le migliori decisioni possibili pensando proprio a che cosa andrà bene per i comuni americani”.

Il presidente Bush ha dovuto per parecchi anni rispondere alle domande sulla sua strategia di disimpegno dall’Iraq. La stessa domanda vale per gli attacchi su più fronti ai quali lei accennava. Pertanto le chiedo: qual è la sua strategia di uscita dalla crisi dell’auto, delle assicurazioni, del settore finanziario? Come decide quando è tempo di smettere di concentrarsi sul breve periodo? Come deciderà che i suoi programmi hanno dato buoni frutti e che è giunto il momento di concentrarsi sulla responsabilità fiscale a lungo termine?

“Deve essere chiaro che non agiremo in fasi successive, ma agiremo su binari paralleli. Pertanto prepareò un budget che sottoporrò al Congresso a febbraio e quel budget conterrà proiezioni a medio termine, a lungo termine come pure a breve termine”.

“Non aspetteremo che passino due anni per iniziare a preoccuparci di quello che dobbiamo fare per il deficit. Vogliamo vedere tutte le cose che possiamo fare durante il mio mandato iniziare a influire riducendo il deficit. In sostanza, io credo che quando si vedrà che il settore privato riprenderà a erogare prestiti, quando il flusso del credito arriverà alle famiglie e alle aziende, quando si potranno acquistare automobili a rate, quando si potrà essere in grado di onorare le rate del mutuo, quando il mercato del lavoro si sarà stabilizzato allora piano piano ci tireremo indietro. Ed è per questo che è estremamente importante per noi monitorare i progressi con grande attenzione.

“Cerchiamo però di capire che le migliori previsioni che abbiamo al momento sono che malgrado tutti gli sforzi più grossi che possiamo fare ancora adesso abbiamo davanti la prospettiva di una disoccupazione considerevole. Non sarà pari a un numero a due cifre come accadrebbe se non facessimo assolutamente nulla… ma potrebbe occorrere buona parte del prossimo anno prima di vedere l’economia riprendere a funzionare come dovrebbe”.

Ci sarà una crescita nella seconda metà del 2009 secondo lei?
“Non ho una sfera di cristallo… ma sono fiducioso in una cosa: se non facessimo niente, le cose peggiorerebbero, e di molto. Con il piano che abbiamo predisposto, le cose andranno in ogni caso meglio di come sarebbero andate altrimenti. Sono fiducioso che potremo creare o salvare tre milioni di posti di lavoro.
Ne abbiamo già persi almeno due milioni. Alla fine di questa settimana potremo leggere un rapporto sui posti di lavoro, dal quale probabilmente emergerà che ne abbiamo persi quanto meno un altro mezzo milione. Se iniziamo a vedere che l’anno prossimo si perderanno tre, quattro, cinque milioni in più di posti di lavoro, allora possiamo stare certi che si tratta di una crisi come non ne abbiamo mai viste e dovremo intervenire e stroncare questo processo sul nascere”.

Parliamo di tasse: quando ci siamo incontrati a giugno lei mi disse che avrebbe potuto posporre alcuni aumenti di tasse che lei ha proposto per far fronte all’attuale situazione economica. Sappiamo che nel suo programma si parla all’incirca di tagli alle tasse pari a 300 miliardi di dollari, ma le chiedo: è pronto adesso a dirci che non procederà alla revoca immediata degli sgravi fiscali apportati dal presidente Bush ai contribuenti che guadagnano più di 250.000 dollari e lasciare la situazione così come è fino al 2010?

 

“Non posso in questo momento qui con lei prendere un impegno così importante e in modo così rapido, John, ma le ripeto che mi preoccupa meno se ciò accade quest’anno o l’anno prossimo. La cosa che più mi preme è riportare parità e equità nel sistema contributivo.

“Ecco perché abbiamo presentato precisi sgravi fiscali nell’ambito del pacchetto delle nostre proposte. Il 95 per cento delle famiglie che lavorano avranno uno sgravio fiscale. Vogliamo anche studiare altri modi con i quali far sì da rimettere quei soldi in tasca velocemente alle famiglie senza dover attendere la prossima dichiarazione dei redditi dell’anno prossimo, perché altrimenti non si avrà quel genere di effetto incentivo che invece occorre.

“Ma vogliamo altresì essere sicuri che teniamo bene sotto controllo il deficit. Per persone come lei e come me, che guadagnano più di 200-250.000 dollari l’anno, i tagli alle tasse voluti da Bush non erano necessari…. non sono tuttora necessari e pertanto faremo sì che non continuino a essere parte del nostro codice tributario ancora a lungo”.

Non so che cosa intenda lei con i termini importanti e rapido, ma mi sembra che lei non procederà a modificare le cose quest’anno.
“Non ho ancora preso una decisione finale in proposito. Oltretutto ciò rientra tra le cose sulle quali dovremo consultarci con il Congresso”.

In tema di politiche bipartisan: mi sembra che almeno per un momento il dialogo tra i due partiti sia diverso. Quando conta per lei il dialogo bipartisan? È pronto ad accettare idee dalla controparte, anche se non pensa che quelle siano le idee migliori?

“Vede, io la penso in questi termini: la cosa più importante è che cosa serve a ottenere il risultato voluto. Questa è l’ottica dalla quale io considero ogni cosa. È creare tre milioni di posti di lavoro o salvare tre milioni di posti di lavoro? Ci stiamo preparando? Stiamo gettando le fondamenta della nostra indipendenza energetica? Stiamo riducendo le spese della nostra assistenza sanitaria, che sono di importanza cruciale per affrontare il nostro deficit sul lungo periodo? Stiamo creando un sistema scolastico di prima classe? Queste sono le mie priorità assolute.

“Quindi: io non reputo affatto che il partito democratico abbia il monopolio delle buone idee. I repubblicani hanno molto da offrire. Ciò che farò sarà ascoltare e imparare dai miei colleghi repubblicani. Ogniqualvolta saranno in grado di dimostrazione e addurre valide motivazioni a favore di qualcosa che sarà proficuo per il popolo americano, solo perché non ci hanno pensato prima i democratici ma lo promuovono i repubblicani non per questo ignorerò i loro suggerimenti.

“Ci saranno occasioni, naturalmente, nelle quali saremo in disaccordo. E se qualcuno mi presenta un progetto al quale è legato ideologicamente, ma non è in grado di persuadermi che sarà effettivamente buono e positivo per l’economia, allora non se ne farà nulla. Ci saranno anche altre occasioni nelle quali dovremo combattere. Ma dal mio punto di vista io non sono alla ricerca di battaglie: a me interessa quanta più cooperazione possibile. Sono aperto a qualsiasi idea che mi sarà presentata”.

Prevede che la quota di sgravi fiscali del suo piano aumenterà dopo le consultazioni con i repubblicani al Congresso, nel momento in cui lei cercherà di ottenere maggiore supporto per il suo programma?
“L’atteggiamento che intendo avere nei confronti degli sgravi fiscali è il medesimo che intendo applicare al pacchetto degli investimenti. Ovvero: si tratta di denaro speso bene? Questi sono soldi dei contribuenti, che vanno ad aumentare il deficit sul breve periodo. Se non saremo in grado di giustificarli, allora non si spenderanno decine o centinaia di miliardi di dollari soltanto per fare felice qualcuno. E la stessa regola l’applicherò anche a tutto il resto”.

Si concorda pressoché unanimemente che il settore immobiliare è alla radice del problema economico che oggi ci assilla. Pensa che la priorità più assoluta ora sia di far ripartire il settore immobiliare, forse tramite crediti fiscali, o di limitare i pignoramenti?

“Quando si parla di mercato immobiliare, il Consiglio della Federal Reserve ha fatto quello che poteva per abbassare i tassi, quanto più era possibile. Quindi abbiamo visto qualche attività sui rifinanziamenti. Questo non risolve certamente il problema del calo del valore degli immobili.

“Penso che la cosa più importante sia, in tema di calo del valore degli immobili, evitare ulteriori pignoramenti. Ecco perché penso che quanti tra noi stanno ancora pagando un mutuo…. sì, insomma si sente talvolta qualcuno nel Paese che dice: ‘Bene, io sono stato responsabile, perché dovrei dare aiuto a chi forse ha sottoscritto un mutuo che non poteva permettersi?’.

“Questa domanda ci riporta a un adagio secondo il quale se la casa del tuo vicino sta bruciando, la tua prima preoccupazione deve essere quella di spegnere le fiamme, anche se il tuo vicino ha agito irresponsabilmente. Penso che questo è vero anche per i pignoramenti. Dobbiamo evitare questo continuo deterioramento del mercato immobiliare. E ciò inizia proprio con i pignoramenti. Questo non significa che non possiamo anche fornire assistenza, magari non sarà tutta sotto forma di assistenza ai mutui.

“Una delle cose che reputo molto importante nel nostro piano di reinvestimento è fornire gli incentivi per coibentare le case di tutto il Paese. Si tratta di un tipo di investimento a lungo termine che può tagliare drasticamente le bollette energetiche del Paese, aumentare la nostra indipendenza energetica, ridurre i gas serra globali. Quindi, come vede, ci sono alcune aree nelle quali possiamo fare progressi, fornendo sollievo alle famiglie, aiutando i proprietari di casa.

“Ma occuparci della crisi dei pignoramenti dei beni ipotecati è qualcosa che dobbiamo assolutamente fare. Prevedo di rendere noti i miei piani su come evitare i pignoramenti dopo essermi consultato con Barney Frank e Chris Dodd, che hanno fatto un ottimo lavoro da questo punto di vista, in un periodo imprecisato entro il prossimo mese o i prossimi due”.

Nell’ambito della seconda parte del suo pacchetto di interventi di salvataggio finanziari?
“Nell’ambito del nostro attacco a più punte alla crisi”.

Si è molto parlato di Larry Summers, l’ex segretario del Tesoro che dirige la sua commissione economica nazionale e si ipotizza che lei lo sceglierà per sostituire Ben Bernanke come presidente della Federal Reserve, quando il suo mandato scadrà nel 2010. È questa la sua intenzione o lei intende rinnovare la nomina ancora a Ben Bernanke?
” Larry Summers non ha ancora ottenuto questo posto… Io ho fatto il suo nome ma non è ancora iniziata la nostra amministrazione. Penso che sia del tutto prematuro per me fare congetture e speculare sulle nomine di qui a due anni, nel momento in cui ancora non ho la mia squadra pronta”.

Mi permetta una domanda sugli enti di controllo. Ci troviamo oggi in un edificio che un tempo ospitava la Sec. Quanto grosso è l’intervento di riforma dell’apparato normative finanziario che lei propone e appoggia? Quando lo varerà? Pensa che vi sia la necessità di creare un apparato normativo globale? Ad aprile dovrà prendere parte al G-20 a Londra…

“Per quando dovrò prendere parte al G-20 credo che di sicuro avrò presentato il nostro approccio alle normative finanziarie. Penso che una certa coordinazione internazionale ci voglia. Ma al momento noi dobbiamo occuparci della nostra. Wall Street non ha funzionato come doveva, e il nostro sistema normativo di controllo non ha funzionano come si supponeva dovesse fare. Quindi si impone un intervento drastico e sostanziale.

“Dovremo occuparci di farlo applicare meglio, di avere migliori controlli, migliore chiarezza, migliore trasparenza. Dovremo controllare questo insieme di sigle di agenzie varie e escogitare come farle funzionare più efficacemente. Dobbiamo smettere di spezzettare le varie funzioni in modo tale che il capitale sotto una forma è trattato in un modo e il capitale sotto un’altra forma è trattato in un altro, perché in questi tempi di mercati finanziari globali, sono tutti fungibili .

“Ci sono rischi sistemici in agguato, sia sotto forma di derivati, sia di assicurazioni sia di depositi bancari tradizionali. Quindi dobbiamo aggiornare il nostro intero sistema per rispondere alle esigenze del XXI secolo. Questo è un compito sul quale il mio team sta già lavorando e credo che avremo, in tempi abbastanza brevi, un pacchetto da presentare al popolo americano al quale ho lavorato insieme a Barney Frank e Chris Dodd”.

Dick Parsons sarà il suo prossimo segretario del Commercio?
“Non ho ancora preso una decisione finale su chi sceglierò per essere il prossimo segretario del Commercio. Quando lo saprò, te lo farò sapere, John”.

Ma Parsons è un candidato?
“Non farò commenti in proposito. Dick Parsons è una persona in gamba ed è anche mio amico”.

E’ fiducioso di avere ormai alle spalle questo breve periodo di controversia sulla scelta di Lon Panetta come capo della Cia? Quanto crede che sarà difficile per lei cercare di tradurre in pratica il suo impegno a porre fine al concetto che gli Stati Uniti ammettono la tortura?
“Prima di tutto io non ho fatto alcuna dichiarazione ufficiale su Leon Panetta. Quando lo farò sarà perché avrò qualcosa di più da dire in proposito. Posso soltanto dire che Leon Panetta è un funzionario pubblico eccezionale, che ha un’integrità impeccabile. È una persona che ha lavorato ai più alti livelli per la sicurezza nazionale e se dovessi sceglierlo penso che svolgerebbe meravigliosamente il suo lavoro.

“C’è una questione più ampia di cui occuparsi, però. Come ricominciamo, come rietichettiamo le nostre operazioni di intelligence? Nella Cia, nel nostro Dipartimento dell’Intelligence Nazionale ci sono persone straordinarie che hanno fatto un lavoro incredibile e voglio che abbiano tutto ciò di cui necessitano per poter lavorare in modo efficiente. Voglio anche essere sicuro che tutte queste persone che lavorano così duramente per fornire le migliori intelligence all’apparato della nostra sicurezza nazionale, che operano nel segreto e conformemente alle politiche scelte, non si trovino sotto i riflettori e accusati, o finiscano col portare il peso delle conseguenze di quello che facciamo se non dovessimo vivere all’altezza dei nostri ideali e dei nostri valori più alti”.

Prevede che sarà difficile cambiare queste cose?
“Sì”.

Ci vorrebbe qualcosa di preciso che stabilisse che cosa esattamente è etichettabile come tortura, non crede?
“Mi permetta di farle un esempio. Io credo che ci siano alcune cose che non sono difficili. Noi ottemperiamo alle Convenzioni di Ginevra: questo non dovrebbe essere difficile. Noi abbiamo contribuito a redigerle. Le abbiamo sostenute e ci sono servite bene.

“Penso che chiuderò Guantanamo. Come lo faremo non è facile a dirsi, perché ci saranno persone che sono state recluse lì, e molte di loro di fatto potrebbero essere molto pericolose. Dovremmo averle processate , prima di ogni altra cosa, ma adesso a causa delle circostanze nelle quali ci siamo trovati per svariati anni, è molto più difficile perché alcune delle prove contro di loro possono essere alterate dalle modalità con le quali sono state ottenute. Quindi dovremo procedere a una revisione molto attenta di come procedere.

“Tuttavia il mio impegno è questo: nessuna tortura, adesione totale alla legalità, adesione totale alla nostra Costituzione, adesione totale alle Convenzioni di Ginevra. Queste cose sono state messe a punto non soltanto per farci sentire bene, ma sono state concepite per essere sicuri che continueremo a comunicare che noi abbiamo una solida morale, che l’America vive secondo standard più elevati. Questo nel lungo periodo ci porterà sicuramente benefici, e ci renderà più sicuri”.

Lei ha spesso instaurato confronti…. O meglio, le sfide alle quali lei deve far fronte hanno fatto sì che si instaurassero paragoni anche con Franklin Roosevelt…
“Esatto”.

… con i tempi della peggiore crisi finanziaria dalla Grande Depressione. Quando Franklin Delano Roosevelt fece il suo discorso inaugurale egli disse al popolo americano: “L’unica cosa che dobbiamo temere è la paura stessa”.
“Esatto”.

Quando il 20 gennaio lei farà il suo discorso inaugurale crede che dovrà ricoprire questo medesimo ruolo? Rassicurare il popolo americano? Come bilancerà questo messaggio con la necessità di trasmettere l’urgenza di ciò che si dovrà fare?
“È interessante…. Come può immaginare di recente ho letto vari discorsi inaugurali. Se si legge il primo discorso di Franklin Delano Roosevelt l’unica frase che ci si ricorda è quella, “L’unica cosa che dobbiamo temere è la paura stessa”, ma di fatto il grosso del suo discorso si incentrava sulla necessità di agire e agire subito. Poi Roosevelt spiegava, credo, la natura della crisi, sia nel suo discorso inaugurale, sia nelle sue famose chiacchierate accanto al caminetto, tanto quanto chiunque altro.

“Questo è un consiglio che ho ricevuto da un ex presidente, che mi ha detto: “Barack, parte del tuo successo e di come stai agendo bene al momento è che tu non parli con mezzi termini con il popolo americano, tu dici le cose come stanno, spiegando ciò che sta accadendo e come sta accadendo”. Io ho fiducia nel popolo americano: se gli si parla chiaramente, se ci si spiega chiaramente, dicendo testualmente “Questa è la nostra sfida, siamo arrivati a questo punto perché abbiamo fatto questo, e questa è la direzione che secondo me dobbiamo imboccare”, allora io sono assolutamente fiducioso che il popolo americano sarà all’altezza della sfida. Quindi il mio compito, sia nel discorso inaugurale, sia nei mesi che seguiranno, sarà semplicemente quello di spiegare quanto più onestamente e sinceramente possibile quali sono le circostanze, quali sono le idee migliori che abbiamo per far fronte a queste sfide. Se ci riuscirò sono sicuro che saremo uniti per risolvere questi problemi”.

Girano un sacco di voci nella cultura americana contemporanea. Si discute della sinistra, della destra, in televisione, continuamente, e anche del sistema finanziario. Per lei è importante o è più importante astrarsi da tutto ciò e decidere ancora prima che non avranno peso?
“Io credo che sia importante non vivere in una bolla. Quindi bisogna essere aperti alle informazioni che arrivano da fuori, in particolare le critiche. Io leggo di rado la stampa, ma spesso leggo la “cattiva” stampa, non perché sia d’accordo con quella, ma perché voglio capire in quali aree sto agendo male e dove posso migliorare”.

Finora non ci sono stati articoli cattivi su di lei…
“Sono sicuro che arriveranno… per quanto riguarda i mercati, però, la situazione è leggermente diversa. Per il momento, considerata la sua vulnerabilità, dovrò prestare attenzione all’aspetto psicologico del mercato, perché parte di ciò a cui stiamo assistendo nasce da una perdita di fiducia sia nel mercato sia nel governo che ripristina tale fiducia.

“Pertanto ripristinare la fiducia è una prima cosa estremamente importante. Quello che farò sarà essere sicuro di comunicare a scadenze regolari con gli attori più importanti del mercato e di spiegare loro con esattezza quali sono i nostri piani chiedendo loro di mettere a disposizione i loro suggerimenti migliori. Nel complesso, comunque, una delle cose dell’essere presidente che mi sono abbastanza chiare è che dovrò guardare oltre l’orizzonte. Non posso guardare i titoli dei notiziari di oggi perché se lo facessi allora probabilmente non prenderei le decisioni sulla base di ciò che è meglio per il Paese. Sprecherei molto tempo a preoccuparmi della politica di tutti i giorni, giorno dopo giorno, e questo è qualcosa che devo cercare di evitare”.

Visto che parliamo di come evitare i problemi legati al fatto di vivere in una bolla, ha ancora in tasca uno di questi? (Estrae dalla tasca un BlackBerry).
“In realtà l’ho messo da parte per questa intervista, ma mi porto ancora dietro il mio BlackBerry. Dovranno strapparmelo dalle mani!”.

Riuscirà ad accettare questa idea anacronistica, forse, di un presidente che non può utilizzare i mezzi più moderni?
“Ecco quello che sono giunto a capire: credo che riuscirò ad avere accesso a un computer, da qualche parte. Non sarà proprio nello Studio Ovale! La seconda cosa che spero è di vedere se in qualche modo riusciranno a consentirmi di continuare ad avere accesso al mio BlackBerry. So che…”

In questo momento lei ha ancora il BlackBerry?
“In questo momento ancora sì. Ma devo aggiungere che crea preoccupazione non soltanto ai Servizi Segreti, ma anche agli avvocati. Come sa, questa città pullula di avvocati. Non so se se ne è accorto…”.

Sì!
“E tutti questi avvocati hanno un sacco di opinioni diverse. Quindi, sto ancora lottando… ma senta, forse è la cosa più difficile dell’essere presidente: come rimanere in contatto con il flusso della vita quotidiana? Sa quando eravamo in vacanza alle Hawaii mi sono sentito molto scoraggiato dall’essere tenuto d’occhio costantemente dalle guardie del corpo. Anche solo andare a prendere una granita è stata un’impresa…”

E le hanno detto di non andarsene in giro senza maglietta?
” Quello l’ho imparato sin dal primo giorno, ma credo che… ”

E’ stato imbarazzante per lei? Se ne è preoccupato? Ci sono stati molti commenti su questo.
“Lo so, è stato sciocco, ma si sa, in questo lavoro ci sono molti aspetti sciocchi”.

Ha ricevuto bei complimenti, però.
“Mia moglie ha ridacchiato quando sono arrossito. In ogni caso… di che cosa stavamo parlando? Siamo usciti fuori argomento, John…”

Stava dicendo che pare proprio che dovrà lottare per tenersi il suo BlackBerry…
“Non so se la spunterò, ma mi sto battendo ancora… Ma il punto è un altro… Immagino che non è solo il flusso di informazioni. Voglio dire, potrò sempre chiedere a qualcuno di stamparmi le notizie di agenzia e potrò leggere i giornali. Quello che mi sta a cuore è avere meccanismi con i quali interagire con le persone che sono fuori dalla Casa Bianca in modo significativo.

“Dovrò cercare ogni opportunità possibile per farlo…. modi che non sono complicati, che non sono controllati, in cui la gente non cerchi solo di farti i complimenti o di alzarsi in piedi quando entro in una stanza, modi di stare con i piedi per terra. Se riuscirò a gestire questa cosa nei prossimi quattro anni, credo che mi aiuterà a servire il popolo americano meglio, perché sarò in grado di sentire quello che dice, la voce di tutti. Non dovranno tacere per il fatto che io sono alla Casa Bianca”.

Un’ultima domanda: la Florida domanica gioca in Ocklaohoma in quella che da tutti è considerata la partita determinante del campionato nazionale. Lei ha parlato della necessità di un playoff nel football universitario. Pensa che l’Utah, che ha terminato il campionato senza essere sconfitta dalla squadra dell’Alabama che ha sconfitto tutti, abbia buoni motivi per dichiararsi campione di questo campionato nazionale?
“Penso che l’Utah abbia ottimi motivi. Penso che gli USC, che hanno un grande Rose Bowl, hanno battuto di brutto Penn State. Hanno ottimi motivi per dichiararsi vincitori. Florida e Ocklahoma, penso l’abbiano entrambi. Il Texas a questo punto deve sentirsi un po’… come dire … ‘Beh, ci siamo comportati bene anche noi’. Insomma, io credo che il sistema dei playoff nel football sia utile… Ne ho parlato e ne parlo già da un pezzo e credo che se chiede a chi se ne intende di sport ed è un tifoso ne troverà molti d’accordo con me. Ma io posso scegliere e decidere in quali battaglie lanciarmi: credo che probabilmente mi concentrerò a creare tre milioni di posti di lavoro in più!”.  (Beh, buona giornata).

Copyright New York Times News Service/CNBC – Traduzione di Anna Bissanti

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Panebianco di ieri, ovvero la denuncia di Richard Falk.

di Richard Falk* – «The Nation»

Gli attacchi aerei sulla Striscia di Gaza rappresentano delle gravi e massicce violazioni del diritto internazionale umanitario definito dalle Convenzioni di Ginevra, sia in relazione agli obblighi di una Potenza Occupante, sia ai requisiti del diritto bellico.
Tali violazioni implicano:

• Punizione collettiva: l’intera popolazione composta da un milione e mezzo di persone che vivono nell’affollata Striscia di Gaza viene punita per le azioni di pochi militanti.

• Civili come obiettivo: gli attacchi aerei sono stati rivolti verso aree civili in una delle porzioni di terra più affollate del mondo, certamente la più popolata del Medio Oriente.

• Reazione militare sproporzionata: Gli attacchi aerei non hanno soltanto distrutto ogni ufficio di polizia e di sicurezza del governo eletto di Gaza, ma hanno ucciso e ferito centinaia di civili; è stato riferito che almeno uno dei bombardamenti ha colpito gruppi di studenti in attesa di mezzi di trasporto da casa all’università.

Le precedenti azioni israeliane, in particolare la completa sigillatura della Striscia di Gaza in entrata e in uscita, hanno portato a una grave scarsità di medicine e carburante (così come di cibo), fino a causare l’impossibilità per le ambulanze di soccorrere i feriti, l’incapacità degli ospedali di fornire adeguatamente le medicine o le necessarie attrezzature per i pazienti, e l’impossibilità per i medici e gli altri operatori sanitari sotto assedio di Gaza ad assistere sufficientemente le vittime.

Certamente gli attacchi con razzi contro obiettivi civili in Israele sono illegali. Ma tale illegalità non fa sorgere in capo a Israele, né in veste di Potenza Occupante né di Stato sovrano, alcun diritto a violare il diritto internazionale umanitario o commettere crimini di guerra o crimini contro l’umanità nella sua reazione. Prendo atto che la progressione di attacchi militari di Israele non ha reso i civili israeliani più sicuri; al contrario, l’unico israeliano ucciso oggi dopo la recrudescenza della violenza israeliana è il primo da oltre un anno.

Israele ha altresì ignorato le recenti iniziative diplomatiche di Hamas miranti a ristabilire la tregua o il cessate il fuoco a partire dal suo termine del 26 dicembre

Gli attacchi aerei di oggi, con i catastrofici costi umani che hanno causato, sfidano quei paesi che sono stati e restano complici, sia direttamente sia indirettamente, nei confronti delle violazioni del diritto internazionale da parte di Israele. Tale complicità comprende quei paesi che notoriamente forniscono l’equipaggiamento militare, tra cui aerei di guerra e missili usati in questi attacchi illegali, così come quei paesi che hanno sostenuto e partecipato nell’assedio di Gaza che di per se stesso ha causato una catastrofe umanitaria.

Ricordo a tutti gli Stati Membri delle Nazioni Unite che l’Onu continua a essere vincolata a un indipendente obbligo di proteggere qualsiasi popolazione civile che si trovi a fronteggiare massicce violazioni del diritto internazionale umanitario, a prescindere da quale paese sia responsabile di tali violazioni. Faccio appello a tutti gli Stati Membri, nonché a tutti i funzionari e a ogni organo rilevante del sistema Onu, affinché si muovano sulla base dell’emergenza non solo per condannare le serie violazioni israeliane, ma per sviluppare nuove misure volte a fornire una reale protezione del popolo palestinese. (Beh, buona giornata).

* Richard Falk, professore emerito di diritto e pratica internazionale alla Princeton University, è relatore speciale dell’Onu sui diritti umani nei territori palestinesi occupati e fa parte del comitato editoriale di «The Nation».

Fonte: http://www.thenation.com/doc/20090112/falk?rel=hp_currently
[29 dicembre 2008]

Traduzione di Pino Cabras- megachip.info

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche

Panebianco di ieri, ovvero l’espulsione da Israele di Richard Falk.

La mia espulsione da Israeledi Richard Falk – da comedonchisciotte.org

 

Quando sono arrivato in Israele come rappresentante delle Nazioni Unite sapevo che vi potevano essere dei problemi all’aeroporto. E c’erano. Il 14 Dicembre sono arrivato all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv per svolgere il mio incarico di relatore speciale per le Nazioni Unite sui territori palestinesi.

Stavo conducendo una missione che aveva lo scopo di visitare la Cisgiordania e Gaza per preparare un rapporto sull’osservanza da parte di Israele dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario. Erano stati fissati degli incontri al ritmo di uno l’ora durante i sei giorni previsti, a cominciare da quello, il giorno seguente, con Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità Palestinese.

Sapevo che vi potevano essere dei problemi all’aeroporto. Israele si era fortemente opposta al mio incarico alcuni mesi prima e il suo ministro degli esteri aveva rilasciato una dichiarazione secondo cui avrebbe proibito il mio ingresso se fossi venuto in Israele nel mio ruolo di rappresentante dell’Onu.

Allo stesso tempo, non avrei fatto il lungo viaggio dalla California, dove vivo, se non fossi stato ragionevolmente ottimista sulle mie possibilità di riuscire a entrare. Israele era stata informata che avrei guidato la missione e avrei fornito una copia del mio itinerario, e aveva rilasciato i visti alle due persone che mi assistevano: un addetto alla sicurezza e un assistente, che lavorano entrambi nell’ufficio dell’alto commissario per i diritti umani a Ginevra.

Per evitare un incidente all’aeroporto, Israele avrebbe potuto o rifiutarsi di accettare i visti o comunicare alle Nazioni Unite che non mi avrebbero permesso di entrare, ma non è stata presa nessuna delle due misure. Sembra che Israele abbia voluto impartire a me, e in modo assai più significativo alle Nazioni Unite, una lezione: non vi sarà nessuna collaborazione con coloro che esprimono forti critiche sulla politica di occupazione israeliana.

Dopo che mi è stato negato l’ingresso, sono stato tenuto in custodia cautelare insieme a circa altre 20 persone con problemi d’ingresso. Da questo momento, sono stato trattato non come un rappresentante delle Nazioni Unite, ma come una sorta di minaccia per la sicurezza, sottoposto ad una perquisizione corporale minuziosa e alla più puntigliosa ispezione dei bagagli che abbia mai visto.

Sono stato separato dai miei due colleghi delle Nazioni Unite, a cui è stato permesso di entrare in Israele, e condotto nell’edificio di detenzione dell’aeroporto, distante circa un miglio. Mi è stato chiesto di mettere tutti i miei bagagli, insieme al cellulare, in una stanza e sono stato portato in un piccolo locale chiuso a chiave che puzzava di urina e di sudiciume. Conteneva altri cinque detenuti e costituiva uno sgradito invito alla claustrofobia. Ho passato le successive 15 ore rinchiuso in questo modo, il che è equivalso ad un corso intensivo sulle miserie della vita carceraria, inclusi lenzuola sporche, cibo immangiabile e luci che passavano dal bagliore all’oscurità, controllate dall’ufficio di guardia.

Naturalmente, la mia delusione e la mia dura reclusione sono cose insignificanti, non meritevoli di notizia per sé stesse, date le serie privazioni sopportate da milioni di persone in tutto il mondo. La loro importanza è soprattutto simbolica. Sono una persona che non ha fatto nulla di sbagliato, se non esprimere la propria forte disapprovazione per la politica di uno stato sovrano. Soprattutto, l’ovvia intenzione era di umiliare me come rappresentante dell’Onu, e di mandare perciò un messaggio di sfida alle Nazioni Unite.

Israele mi ha sempre accusato di essere prevenuto e di aver fatto accuse incendiarie sull’occupazione dei territori palestinesi. Nego di essere stato prevenuto ma insisto invece che ho cercato di essere obbiettivo nel valutare i fatti e la legislazione di pertinenza. Il carattere dell’occupazione è di dare adito ad aspre critiche sull’atteggiamento israeliano, specialmente sul rigido blocco imposto a Gaza, che ha come conseguenza la punizione collettiva di un milione e mezzo di abitanti. Prendendo di mira l’osservatore, invece di quello che viene osservato, Israele gioca una partita scaltra. Distoglie l’attenzione dalle realtà dell’occupazione, praticando in modo efficace una politica di diversione. Il blocco di Gaza non assolve nessuna funzione legittima da parte di Israele. Si dice che sia stato imposto come rappresaglia per alcuni razzi di Hamas e della Jihad islamica che sono stati lanciati oltreconfine sulla città israeliana di Sderot. L’illegalità di lanciare questi razzi è indiscutibile, ma non giustifica in alcun modo l’indiscriminata rappresaglia israeliana contro l’intera popolazione di Gaza.
Lo scopo dei miei rapporti è di documentare a nome delle Nazioni Unite l’urgenza della situazione a Gaza e altrove, nella Palestina occupata. Questo lavoro è di particolare importanza ora che vi sono segnali di una rinnovata escalation di violenza e persino di una minacciata rioccupazione da parte di Israele.

Prima che una tale catastrofe accada, è importante rendere la situazione il più trasparente possibile, e questo è quello che avevo sperato di fare esercitando il mio compito. Nonostante l’ingresso negato, il mio sforzo sarà di continuare a utilizzare tutti i mezzi disponibili per documentare la realtà dell’occupazione israeliana nel modo più veritiero possibile. (Beh, buona giornata).

Richard Falk è professore di diritto internazionale alla Università di Princeton e relatore speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi.

Titolo originale: “My Expulsion from Israel “

Fonte: http://www.guardian.co.uk

Traduzione da andreacarancini.blogspot.com

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Attualità Leggi e diritto Pubblicità e mass media

Pubblicità ingannevole? No, ingannata.

 E’ una brutta notizia scoprire che la liberalizzazione del mercato dell’energia, avvenuta operativamente nel luglio del 2007, invece che benefici abbia al contrario dato vita ad abusi ai danni dei consumatori, che poi sono la totalità delle famiglie italiane.

 

La  brutta notizia è che l’Antitrust ha condannato nove società di vendita di elettricità e gas per pratiche commerciali scorrette, infliggendo loro multe per un totale di un milione e 275 mila euro. Secondo l’Autorità, le aziende multate hanno attuato pratiche commerciali scorrette nelle modalità di pubblicizzazione dei prezzi praticati nel mercato libero dell’energia e del gas.
Le sanzioni decise dall’Antitrust ammontano in particolare a 250 mila euro per Enel Energia, 260 mila per Eni, 135 mila per AceaElectrabel Elettricità, 140 mila per Aem Energia, 110 mila per Asm Energia e Ambiente, 90 mila per Trenta, 95 mila per Enia Energia, 100 mila per Mpe Energia e 95 mila per Italcogim Energie.

E’ una bruttissima notizia scoprire, scorrendo l’elenco delle società sanzionate, che due di loro sono, per esempio a partecipazione azionaria pubblica: Eni ed Enel. Altre due sono, sempre per esempio aziende municipalizzate: Acea di Roma e Aem di Milano. Cosa farà il ministero dell’Economia, azionista di Eni ed Enel? Cosa faranno i sindaci di Roma e Milano, azionisti di Acea e Aem? Come minimo, c’è una bella “questione morale” a carico dei manager delle rispettive società, visto che le nomine sono, per prassi, “politiche”.

 

E’ una pessima notizia scoprire di aver comprato sul mercato azionario titoli di aziende che ingannano il mercato. Che faranno gli azionisti delle società sanzionate, visto che le ammende comminate pesano sui bilanci e quindi impoveriscono i dividendi?

 

C’è poi la questione della pubblicità ingannevole. Secondo l’Antitrust, le nove società sanzionate hanno organizzato campagne pubblicitarie, attraverso diversi mezzi di comunicazione, in grado di indurre in errore i consumatori sul prezzo complessivo applicato per l’erogazione del servizio richiesto, con indicazioni non rispondenti al vero, inesatte o incomplete. Le campagne hanno riguardato in particolar modo le offerte “prezzo fisso”, “prezzo certo”, “prezzo bloccato” e quelle relative alla tariffa bioraria di energia elettrica e gas. Insomma, alle agenzie di pubblicità è stato affidato l’incarico di mentire ai consumatori. Un bel danno alle loro reputazioni. Ma soprattutto una danno grave alla credibilità della pubblicità italiana, che già di suo non vive momenti esaltanti.

 

Ma ciò che ne esce a pezzi è la fiducia nel libero mercato. In epoca di crisi economica, con la concomitanza proprio della crisi energetica, scoprire che trucchi e inganni sono stati resi possibili proprio dalle liberalizzazioni, che sembravano semplificare e rendere trasparenti le regole è un colpo ferale alla fiducia degli utenti, cioè dei cittadini italiani.

 

Le aziende dell’energia sono state sanzionate. Ma il danno attuale e pregresso a carico degli utenti chi lo risarcisce? Chi e come si farà carico di rimettere le cose a posto? E in quanto tempo? La correttezza delle tariffe avrà la stessa vistosa pubblicità che hanno avuto le campagne pubblicitarie, sanzionate come ingannevoli dall’Antitrust?

 

C’è da sperarlo. Ma c’è poco da sperare se non c’è un intervento deciso e definitivo sul tassativo rispetto delle regole del mercato. Beh buona giornata.

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche

La Costituzione, i diritti e l’uguaglianza. Allegato a “I diritti civili in un paese che quasi non ne sente più il dovere”.

Gustavo Zagrebelsky, ex presidente della Corte Costituzionale ha scritto questo intervento pubblicato su «la Repubblica» del 26 novembre 2008. L’importante riflessione di Zagrebelsky sulla «Costituzione in bilico» è un contributo al mio molto più modesto “I diritti civili in un paese che quasi non ne sente più il dovere”. (Beh, buona giornata).

Regime o non-regime? Un confronto su questo dilemma, pur così tanto determinante rispetto al dovere morale che tutti riguarda, ora come sempre, qui come ovunque, di prendere posizione circa la conduzione politica del paese di cui si è cittadini, non è neppure incominciato. La ragione sta, probabilmente, in un’associazione di idee. Se il “regime”, inevitabilmente, è quello del ventennio fascista, allora la domanda se in Italia c’è un regime significa se c’è “il” o “un” fascismo; oppure, più in generale, se c’è qualcosa che gli assomigli in autoritarismo, arbitrio, provincialismo, demagogia, manipolazione del consenso, intolleranza, violenza, ecc.
Così, una questione seria, anzi cruciale, viene attratta sul terreno, che non si presta all’analisi, della demonizzazione politica, funzionale all’isteria e allo scontro.

Ma “regime” è un termine totalmente neutro, che significa semplicemente modo di reggere le società umane. Parliamo di “Ancien Régime”, di regimi repubblicani e democratici, monarchici, parlamentari, presidenziali, liberali, totalitari e, tra gli altri, per l’appunto, di regime fascista.
Senza qualificazione, regime non ci dice nulla su cui ci sia da prendere posizione, perché l’essenziale sta nell’aggettivo. Così, assumendo la parola nel suo significato proprio, isolato dalle reminiscenze, la domanda iniziale cambia di senso: da “esiste attualmente un regime” in “il regime attuale è qualcosa di nuovo, rispetto al precedente”? Che l’Italia viva un’esperienza costituzionale, forse ancora in divenire e dall’esito non scontato, che mira a non lasciarsi confondere con quella che l’ha preceduta: almeno di questo non c’è da dubitare. Lo pensano, e talora lo dicono, tanto i favorevoli, quanto i contrari, cioè lo pensiamo e lo diciamo tutti, con definizioni ora passatiste ora futuriste.
Non lo si dice ufficialmente e a cifra tonda, perché il momento è, o sembra, ancora quello dell’incubazione. La covata è a mezzo. L’esito non è scritto. La Costituzione del ‘48 non è abolita e, perciò, accredita l’impressione di una certa continuità. Ma è sottoposta a erosioni e svuotamenti di cui nessuno, per ora, può conoscere l’esito.

Forze potenti sono all’opera per il suo superamento, ma altre forze possono mobilitarsi per la sua difesa. La Costituzione è in bilico. Che cosa significa “costituzione in bilico”?

Innanzitutto, che non si vive in una legittimità costituzionale generalmente accettata, cioè in una sola concezione della giusta costituzione, ma in (almeno) due che si confrontano. Ogni forma di reggimento politico si basa su un principio essenziale, una molla etica, il ressort di cui parla Montesquieu, trattando delle forme di governo nell’Esprit des lois. Quando questo principio essenziale è in consonanza con l’esprit général di un popolo, allora possiamo dire che la costituzione è legittima e, perciò, solida e accettata. Quando è dissonante, la costituzione è destinata crollare, a essere detronizzata. Se invece lo spirito pubblico è diviso, e dunque non esiste un esprit che possa dirsi général, questo è il momento dell’incertezza costituzionale, il momento della costituzione in bilico e della bilancia che prima o poi dovrà pendere da una parte. È il momento del conflitto latente, che non viene dichiarato perché i fautori della rottura costituzionale come quelli della continuità non si sentono abbastanza sicuri di sé e preferiscono allontanare il chiarimento.

I primi aspettano il tempo più favorevole; i secondi attendono che passi sempre ancora un giorno di più, ingannando se stessi, non volendo vedere ciò che temono.
Tutti attendono, ma i primi per prudenza, i secondi per ignavia.

Non voler vedere, significa scambiare per accidentali deviazioni quelli che sono segni di un mutamento di rotta; significa sbagliare, prendendo per lucciole, cioè per piccole alterazioni che saranno presto dimenticate come momentanee illegalità, quelle che sono invece lanterne, cioè segni premonitori e preparazioni di una diversa legittimità. Così, si resta inerti. L’accumulo progressivo di materiali di costruzione del nuovo regime procede senza ostacoli e, prima o poi, farà massa. Allora, non sarà più possibile non voler vedere, ma sarà troppo tardi.

* * *

Ciò che davvero qualifica e distingue i regimi politici nella loro natura più profonda e che segna il passaggio dall’uno all’altro, è l’atteggiamento di fronte all’uguaglianza, il valore politico, tra tutti, il più importante e, tra tutti però, oggi il più negletto, perfino talora deriso, a destra e a sinistra. Perché il più importante? Perché dall’uguaglianza dipendono tutti gli altri. Anzi, dipende il rovesciamento nel loro contrario.

Senza uguaglianza, la libertà vale come garanzia di prepotenza dei forti, cioè come oppressione dei deboli.
Senza uguaglianza, la società, dividendosi in strati, diventa gerarchia.
Senza uguaglianza, i diritti cambiano natura: per coloro che stanno in alto, diventano privilegi e, per quelli che stanno in basso, concessioni o carità.
Senza uguaglianza, ciò che è giustizia per i primi è ingiustizia per i secondi.
Senza uguaglianza, la solidarietà si trasforma in invidia sociale.
Senza uguaglianza, le istituzioni, da luoghi di protezione e integrazione, diventano strumenti di oppressione e divisione.
Senza uguaglianza, il merito viene sostituito dal patronaggio; le capacità dal conformismo e dalla sottomissione; la dignità dalla prostituzione.

Nell’essenziale: senza uguaglianza, la democrazia è oligarchia, un regime castale. Quando le oligarchie soppiantano la democrazia, le forme di quest’ultima (il voto, i partiti, l’informazione, la discussione, ecc.) possono anche non scomparire, ma si trasformano, anzi si rovesciano: i diritti di partecipazione politica diventano armi nelle mani di gruppi potere, per regolare conti della cui natura, da fuori, nemmeno si è consapevoli.

Questi rovesciamenti avvengono spesso sotto la copertura di parole invariate (libertà, società, diritti, ecc.). Possiamo constatare allora la verità di questa legge generale: nel mondo della politica, le parole sono esposte a rovesciamenti di significato a seconda che siano pronunciate da sopra o da sotto della scala sociale. Ciò vale a iniziare dalla parola “politica”: forza sopraffattrice dal punto di vista dei forti, come nel binomio amico-nemico; oppure, dal punto di vista dei deboli, esperienza di convivenza, come suggerisce l’etimo di politéia. Un uso ambiguo, dunque, che giustifica la domanda a chi parla di politica: da che parte stai, degli inermi o dei potenti? La ricomposizione dei significati e quindi l’integrità della comunicazione politica sono possibili solo nella comune tensione all’uguaglianza.

* * *
Ritorniamo alla questione iniziale, se sia in corso, o se si sia già realizzato, un cambiamento di regime, dal punto di vista decisivo dell’uguaglianza.
In ogni organizzazione di grandi numeri si insinua un potere oligarchico, cioè il contrario dell’uguaglianza. Anzi, più i numeri sono grandi, più questa è una legge “ferrea”.

E’la constatazione di un paradosso, o di una contraddizione della democrazia. Ma è molto diverso se l’uguaglianza è accantonata, tra i ferri vecchi della politica o le pie illusioni, oppure se è (ancora) valore dell’azione politica.
La costituzione – questa costituzione che assume l’uguaglianza come suo principio essenziale – è in bilico proprio su questo punto.

Noi non possiamo non vedere che la società è ormai divisa in strati e che questi strati non sono comunicanti. Più in basso di tutti stanno gli invisibili, i senza diritti che noi, con la nostra legge, definiamo “clandestini”, quelli per i quali, obbligati a tutto subire, non c’è legge; al vertice, i privilegiati, uniti in famiglie di sangue e d’interesse, per i quali, anche, non c’è legge, ma nel senso opposto, perché è tutto permesso e, se la legge è d’ostacolo, la si cambia, la si piega o non la si applica affatto. In mezzo, una società stratificata e sclerotizzata, tipo Ancien Régime, dove la mobilità è sempre più scarsa e la condizione sociale di nascita sempre più determina il destino.

Se si accetta tutto ciò, il resto viene per conseguenza. Viene per conseguenza che la coercizione dello Stato sia inegualmente distribuita: maggiore quanto più si scende nella scala sociale, minore quanto più si sale; che il diritto penale, di fatto, sia un diritto classista e che, per i potenti, il processo penale non esista più; che nel campo dei diritti sociali la garanzia pubblica sia progressivamente sostituita dall’intervento privato, dove chi più ha, più può.
Né sorprende che quello che la costituzione considera il primo diritto di cittadinanza, il lavoro, si riduca a una merce di cui fare mercato.

Analogamente, anche l’organizzazione del potere si sposta e si chiude in alto. L’oligarchia partitica non è che un riflesso della struttura sociale. La vigente legge elettorale, che attribuisce interamente ai loro organi dirigenti la scelta dei rappresentanti, escluso il voto di preferenza, non è che una conseguenza. Così come è una conseguenza l’allergia nei confronti dei pesi e contrappesi costituzionali e della separazione dei poteri, e nei confronti della complessità e della lunghezza delle procedure democratiche, parlamentari. Decidere bisogna, e dall’alto; il consenso, semmai, salirà poi dal basso. E’una conseguenza, infine, non la causa, la concentrazione di potere non solo politico ma anche economico-finanziario e cultural-mediatico. L’indipendenza relativa delle cosiddette tre funzioni sociali, da millenni considerata garanzia di equilibrio, buon governo delle società, è minacciata.

Ma il tema delle incompatibilità, cioè del conflitto di interessi, a destra come a sinistra, è stato accantonato. La causa è sempre e solo una: l’appannamento, per non dire di più, dell’uguaglianza e la rete di gerarchie che ne deriva. Qui si gioca la partita decisiva del “regime”. Tutto il resto è conseguenza e pensare di rimettere le cose a posto, nelle tante ingiustizie e nelle tante forzature istituzionali senza affrontare la causa, significa girare a vuoto, anzi farsene complici.

Nessun regime politico si riduce a un uomo solo, nemmeno i “dispotismi asiatici”, dove tutto sembrava dipendere dall’arbitrio di uno solo, khan, califfo, satrapo, sultano, o imperatore cinese.
Sempre si tratta di potere organizzato in sistemi di relazioni. Alessandro Magno, il più “orientale” dei signori dell’Occidente, perse il suo impero perché (dice Plutarco), mentre trattava i Greci come un capo, cioè come fossero parenti e amici, «si comportava con i barbari come con animali o piante», cioè meri oggetti di dominio, «così riempiendo il suo regno di esìli, destinati a produrre guerre e sedizioni».
Sarà pur vero che comportamenti di quest’ultimo genere non mancano, ma non vedere il sistema su cui si innestano e li producono significa trascurarne le cause per restare alla superficie, spesso solo al folklore.

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Leggi e diritto

Fumus criminis.

Secondo la Cassazione una madre che, per difendere il figlio, rilascia dichiarazioni false e reticenti alle forze dell’ordine non è punibile. La Cassazione che ha annullato senza rinvio una decisione del gup del tribunale di Udine ha sentenziato che “non andava ritenuta punibile, essendo evidente che la sua condotta fu determinata dalla necessità di evitare al figlio le gravi ed inevitabili conseguenze sulla libertà e sull’onore che gli sarebbero derivate”.

Cambiando argomento, senza cambiare discorso, è successo che a Perugia un parroco è stato arrestato dalla Guardia di Finanza lunedì scorso, nella sua abitazione vicino alla chiesa. I militari hanno trovato marijuana e cocaina. Mezzo chilo, recita il verbale, “la droga era piuttosto pura”, ha detto un finanziere. Piuttosto?

Nicola Di Mario, avvocato del parroco ha detto:” Si è solo reso disponibile a consentire il recapito presso il suo domicilio di un pacco del quale ignorava il contenuto. Ha fatto un piacere a un soggetto che stava seguendo nell’ambito di un cammino di natura spirituale.” Un modo per dire che il parroco non intende fare il nome del destinatario del pacco, perché “per lui è imposto l’ordine del silenzio più rigoroso.”

Non sappiamo se una madre può tacere per salvare il figlio e se un parroco, padre spirituale può farlo per salvare un figliolo. Decideranno i magistrati. Sappiamo però a chi dovrebbero essere girate tutte le spese processuali per i piccoli processi per droga: all’on. Fini, estensore della legge omonima, detta anche “tanto fumo e niente arrosto”, una delle più stupide e inconcludenti leggi sulla tossicodipendenza mai sottoscritte da un ministro nella storia della Repubblica. Beh, buona giornata.

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Lavoro Leggi e diritto Media e tecnologia

Gli sfruttati della comunicazione.

Crea imbarazzo nel governo e nella maggioranza il caso Atesia, una delle principali società italiane di call center, alla quale l’Ispettorato del lavoro ha imposto di assumere con contratto a tempo indeterminato 3200 lavoratori attualmente “a progetto”.

Prudente il commento del ministro del Lavoro Cesare Damiano: “Mi riservo di esaminare i documenti su Atesia, ma per cò che concerne i call center in generale, 250 mila persone occupate in 700 aziende, l’obiettivo è di regolarizzare tutto il settore”.

Il presidente dell’associazione di categoria Assocontact (Fita-Confindustria), Umberto Costamagna, avverte: “Se la decisione fosse estesa si minerebbe l’intero settore, mettendo in ginocchio le aziende e obbligandole a fare a meno di 50-60 mila collaboratori e mettendo a rischio altri 20-30 mila addetti assunti a tempo indeterminato”.

Giorgio Cremaschi, membro della segreteria della Fiom, dice che “è necessario che il governo assuma ed estenda queste interpretazioni in tutto il settore dei call center”. Il gruppo Cos-Almaviva di cui fa parte Atesia (che lavora per Tim e Wind), ma anche per altre società (Alicos con Alitalia e InAction con Fiat) è una creazione dell’imprenditore Alberto Tripi.

Alberto Tripi, è un sostenitore dell’Ulivo della prima ora, vicino alla Margherita e in particolare al vicepremier Francesco Rutelli. Tripi nel 2005 ha fatto il salto di qualità acquistando da Telecom la società di software Finsiel, cambiandole il nome in Almaviva. Oltre a servire le principali aziende private, si è aggiudicato commesse con ministeri e società pubbliche come i Monopoli di Stato.
Lo Stato produce precariato? E’ atipico. Beh, buona giornata.

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democrazia Leggi e diritto

Speriamo che piova.

Claudio Scajola è il nuovo presidente del Copaco. E’ stato eletto oggi all’unanimità nel corso della prima riunione del Comitato parlamentare di controllo sui Servizi segreti. Il diessino Massimo Brutti è stato eletto vicepresidente ed Emanuele Fiano, dell’Ulivo, è stato eletto segretario. Anche Brutti e Fiano sono stati eletti all’unanimità. Scajola vanta una onorevole, breve ma significativa presenza nel governo Berlusconi come Ministro dell’Interno. Può vantare l’operato delle forze dell’ordine durante il G8 di Genova: con l’ausilio di importanti esponenti di An, tra cui la fulgida presenza del vice primo ministro, on. Gianfranco Fini, che andavano e venivano nelle sale operative della Polizia e dei carabinieri, la gestione dell’ordine pubblico fu esemplare. Piazza Alimonda, la caserma Bolzaneto, la scuola Diaz sono i luoghi di un testimonianza imperitura. Claudio Scajola si è ulteriormente distinto in un’affermazione lusinghiera nei confronti di Marco Biagi, ucciso dalle nuove Br a Bologna. A proposito della richiesta ignorata di una scorta per Biagi, Scajola disse che Biagi era niente altro che un “rompicolglioni” ( testuale). Dopo un breve pausa, lo Scajola rientrerà nel governo Berlusconi bis. In un momento, quanto meno “delicato” del rapporto tra i servizi segreti e l’ordinamento democratico del paese, di cui alle recenti inchieste sull’operato del Sismi, in ordine al rapimento di Abu Omar, la nomina di Claudio Scajola a presidente del Comitato parlamentare di controllo sui Servizi segreti assume un significato di grande rilevanza metereologica: un colpo di caldo della attuale maggioranza, per il momento inspiegabile, come il il colpo di testa di Zidane a Materazzi. Speriamo che piova.

Beh, buona giornata,

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Lavoro Leggi e diritto

Quando i numeri sono neri.

Siamo talmente abituati al valzer delle cifre, delle percentuali, delle ricerche e delle statistiche che non ci rendiamo conto della gravità di certe notizia. Prendiamo, come esempio una recentissima indagine sul lavoro nero nell’edilizia.

Gli immigrati impiegati nell’edilizia sono sempre di più, spesso lavorano in nero e sono retribuiti peggio dei colleghi italiani. Così li fotografa l’ultima indagine Cgil-Fillea, il sindacato dei lavoratori edili che denuncia un aumento del lavoro nero: nel 2005 le posizioni di lavoro irregolari sono state quasi sei milioni, 286 mila in più rispetto all’anno precedente, pari al 16% dei lavoratori dipendenti. Gli extracomunitari, che guadagnano il 24% in meno degli italiani, sono quadruplicati nell’ultimo periodo.

Bene, cioè molto male: sappiamo quanto guadagnano in meno rispetto agli altri (24%,) sappiamo quanto il fenomeno sia in aumento (16%). Sappiamo che sono quasi 6 milioni, cioè tanti quanto sono gli abitanti di Roma e Milano messi insieme. Adesso che sappiamo tutto questo, c’è da chiedersi: il lavoro nero è una moda o un reato? E se è un reato che va di gran moda, visto che sappiamo tutto, che si aspetta a perseguirlo?

Insomma, se ne conosciamo così bene le caratteristiche, tanto da trarne numeri e percentuali, vuol dire che sappiamo anche dove si consumano questi reati e chi li compie. Che si aspetta a perseguirli, l’aggiornamento delle prossime tabelle?

Tutta questa storia ha dell’incredibile, se si pensa che, fino a non molto tempo fa, c’era nel governo precedente chi sosteneva che il lavoro nero e il guadagno sommerso era da considerarsi come una ricchezza per il paese. Però, fa anche riflettere che, come ebbe a dire un giornalista tedesco tempo fa, in Italia gli scandali non sono fatti, sono opinioni. Tanto è vero che, invece che tenerli nascosti, censurando, come si sarebbe fatto un tempo, oggi il modo migliore per occultare la verità è fare statistiche, snocciolare cifre e percentuali.

Così, attratti dal fascino dei numeri, perdiamo di vista che a ognuna di quelle cifre corrispondono persone in carne e ossa, alle quali si negano diritti, si comminano frustrazioni, si assegnano umiliazioni.

Una volta si diceva che la matematica non è un’opinione. In realtà, nella comunicazione moderna, la matematica è diventata una pessima abitudine.
Beh, buona giornata.

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