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Salute e benessere

Alzando il gomito.

Bere da un minimo di un drink a un massimo di sette a settimana, riduce il rischio di morte ed eventi cardiovascolari negli anziani.

Lo dimostra l’Istituto sull’Invecchiamento della University of Florida, in uno studio che conferma che un consumo eccessivo di alcol, aumenta il rischio di morte e di infarto e altre malattie cardiovascolari.

Però, un consumatore moderato di alcol rispetto a chi non lo consuma affatto, ha un rischio di decesso ridotto del 26%.

Cesare Musatti, il padre della psicoanalisi italiana, diceva che il super Io è solubile in alcol. La qual cosa spiegherebbe, per esempio, come il super Io di George Walker Bush si sia enormemente ingigantito, dopo che ha smesso di bere: forse sarebbe stato meglio che continuasse a vedere doppio, invece di conquistare il doppio mandato alla Casa Bianca.

Il fatto è che questi studi hanno l’insopportabile vocazione a prescrivere, sancire, censurare o approvare i comportamenti degli individui, con un moralismo di sottofondo ben più pericoloso degli stessi comportamenti a rischio. Con il sospetto che siano ben accetti dalle grandi compagnie che producono alcol per il consumo di massa e che hanno diretto interesse a una attenuante: un bicchiere al giorno, sette bicchieri la settimana allungano la vita del 26%.

E’ del tutto evidente che sono lo stile di vita, l’alimentazione, il peso, l’emotività, nonché la qualità della bevanda alcolica i possibili parametri di valutazione dell’effetto più o meno nocivo dell’alcol. Ma lo stesso varrebbe per la più vitale delle attività umane: non è forse il cibo una delle cause di malattia mortale?

Una cattiva alimentazione accorcia la vita, allo stesso modo di una eccessiva attività fisica. Il che rimanda direttamente al valore sociale dei comportamenti umani.

Un famosa battuta spiritosa, che a proposito di drink suona bene, dice: chi crede di affogare i guai nell’alcol, non sa che i guai sanno nuotare. Beh, buona giornata.

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