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La sconfitta della sinistra-governo.

Con la sconfitta della sinistra di governo si chiude un ciclo storico.

Quando nacque la Lega Nord, che nonostante abbia recentemente cassato il riferimento geografico per prestidigitazioni elettoralistiche è pur sempre il più “settentrionale”partito rappresentato in Parlamento, la politica italiana e di conseguenza i media ebbero un atteggiamento di scherno e repulsa.

La qual cosa determinò due fenomeni: favorì il suo radicamento tra i ceti popolari, a cominciare dalla classe operaia del triangolo di industriale; spinse la Lega nelle braccia della destra ciarlatana di Berlusconi, “sceso in campo” per salvare il suo perimetro di business della tv commerciale. Che poi divenne un partito, Forza Italia, che riuscì a governare, aggregando pezzi della vecchia Dc, qualche ex socialista, i radicali di Pannella e sdoganando la destra fascista, guidata da Fini.

La sinistra, comunista e socialista di allora commise l’errore storico di non raccogliere le istanze sociali dell’elettorato leghista, non capendo che il secessionismo fiscale era una semplice forma di protesta, non la sostanza delle aspirazioni della base leghista, che invece intuiva il pericolo che il progressivo crollo dei pilastri del welfare avrebbe impoverito la capacità di difendere il reddito.

Quel pericolo divenne via via certezza. Il crollo del CAF (I’accordo Craxi-Andreotti-Forlani), che fu il periodo di più alto accumulo di deficit pubblico, fu poi spazzato via da “Tangentopoli” favorì la nascita del berlusconismo. I cui governi favorirono le classi medio alte, oltre che i suoi interessi aziendali. Le tasse non scesero, i salari non aumentarono, il welfare continuò la sua lenta e inesorabile logoramento.

All’errore storico di sottovalutare le spinte centrifughe dalla coesione sociale prodotte dalla Lega di Bossi, si aggiunse la scelta letale di abbandonare l’idea del partito di lotta per imboccare la via a senso unico del partito di governo. Infatti per due volte Prodi tentò di sistemare i conti pubblici, non senza assegnare “sacrifici” al lavoro e allo stato sociale. Ogni volta che avrebbe voluto dare vita alla “fase 2”, cioè una qualche redistribuzione della ricchezza, fatalmente cadde. Per via del “fuoco amico” della sinistra alleata al centrosinistra.

Col Pd, il centrosinistra va al governo dopo il disastro dell’ultima compagine berlusconiana. Ma continua a essere forza di governo e non più protagonista e interlocutore del profondo disagio, dell’impoverimento, dell’insicurezza sociale: è nella miscela esplosiva, composta da meno stato sociale e meno reddito, che vien fuori, in tutta la sua pirotecnica forza distruttiva, il movimento di Grillo.

E di nuovo l’errore storico si riaffaccia nella linea politica del Pd: sottovalutazione delle radici sociali del M5s, denigrazione, mancanza di una vera e propria strategia per gestire le contraddizioni che le politiche neoliberiste hanno prodotto nel tessuto sociale, fina a strapparne a brandelli la stessa idea di democrazia.

Gli errori storici del Pd vengono da lontano, ma, al contrario di quello che sosteneva Togliatti, non vanno lontano. Si sono fermati domenica 4 marzo.

La debacle elettorale marca a fondo la sconfitta dell’idea della “sinistra di governo”.

Dalla teoria del “compromesso storico” che diede vita al “governo di unità nazionale” propugnato da Moro e Berlinguer,ma guidata da Andreotti, fino all’esperienza dell’Ulivo di Prodi, per arrivare al Pd di Renzi, la lunga marcia di avvicinamento al potere ha lasciato dietro di sé, sempre più distanti, milioni di italiani che riponevano nelle idee incarnate dalla Sinistra la speranza, ma anche la convinzione di una sempre realizzabile uguaglianza sociale.

È successo l’esatto contrario: proprio negli anni del cosiddetto “renzismo”, la fotografia mostra ricchi più ricchi e poveri più poveri. I famosi “80 euro” sono stati la paghetta che ha confermato in pieno la sensazione in molti della propria condizione miserevole.

D’altro canto, il declino della sinistra di governo ha travolto come una valanga anche le esperienze della sinistra meno istituzionale – detta “radicale” con un ossimoro inventato da Bertinotti – fino alla sinistra antagonista, come si definisce l’arcipelago dei sindacati di base, dei centri sociali, delle associazioni che si occupano del sociale.

Il definitivo sganciamento dalla complessità sociale della sinistra di governo ha fatto insorgere un sentimento minoritario tra i giovani, i lavoratori più coscienti, i militanti della vertenza sul diritto all’abitare. In un primo momento si è anche creduto possibile un dialogo tra la sinistra antagonista e parte del M5s. Ma poi le strade si sono biforcate.

Oggi la situazione è che le spinte sociale della Lega sono andate spedite a destra. Quelle del M5s al centro, pur con un linguaggio estremista, che via via tenderà a stemperarsi.

Con la sconfitta della sinistra di governo, si chiude un ciclo.

La Sinistra, in tutte le sue espressioni politiche, culturali e sociali è in crisi. Il neoliberismo, forma della propaganda economico-politica del Capitalismo, è riuscito nell’intento di capovolgere il paradigma della lotta di classe, conquistando un vantaggio competitivo sugli stessi sentimenti dei ceti sociali più numerosi e a basso reddito. Non è successo solo in Italia.

Il problema è che in gioco non c’è la tattica migliore per andare al governo, al Parlamento, o nei consigli regionali o comunali. Né è in gioco cosa fare per conquistare spazi di rappresentanza nelle istituzioni.

L’odierno “Che fare?” riguarda quale risposta dare alla domanda di giustizia sociale. Cioè quale capacità critica del sistema capitalistico sia possibile sviluppare, in teoria e in pratica.

C’è un unico modo concreto per capirlo, teorizzarlo e metterlo in pratica: stare all’opposizione è il laboratorio di una nuova visione. E questo vale per la sinistra tutta.

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Una donna minuta, un impegno maiuscolo.

Luigina Di Liegro è una persona minuta, con un bel sorriso e un paio di occhi penetranti. Tuttavia, è capace di sprigionare un’energia e una vitalità davvero invidiabili.
La incontro nel suo ufficio di Roma, presso la Fondazione Luigi Di Liegro, in via Ostiense. Per accedervi bisogna attraversare il cortile della mitica Centrale Montemartini che fu, agli inizi del Novecento, la prima centrale termoelettrica di Roma e oggi è invece un importante museo in cui statue e mosaici di età romana sono esposte nel suggestivo scenario dell’archeologia industriale di questo strabiliante luogo della Capitale.

Conosco Luigina da molti anni. È nipote di don Luigi, fondatore e animatore della Caritas diocesana di Roma, ammirato e stimato oltre gli ambiti del suo impegno religioso. Luigina, che ha dato origine alla Fondazione intestata a don Luigi, si è più volte impegnata in politica.

“Sono l’unica donna candidata nel mio collegio tra i principali schieramenti”, mi dice subito, con quel delizioso e inconfondibile accento italo-americano, che fece dire una volta a Veltroni, durante un’assemblea pubblica al teatro Valle: “Vi presento una candidata che parla come Stanlio e Ollio”. “Le donne che mi voteranno festeggeranno la giornata della donna il 4 marzo”.

D.: Luigina, la politica di questi tempi fa fatica a mostrare i suoi lati positivi. Volano parole grosse, polemiche spesso perniciose, si esagerano dettagli risibili, si sottovalutano cose semplici, ma importanti: per esempio la vita, il lavoro, la salute dei cittadini. Perché hai deciso di accettare una candidatura alle prossime elezioni politiche?

R.: Non c’è dubbio vi sia una brutta sintassi nel discorso politico odierno. Si fatica a sostenere anche un contradittorio, perché subito il livello si ferma ad affermazioni apodittiche, per non dire smaccatamente propagandistiche. Succede tutti i giorni da qualche anno, ma il livello trascende proprio durante le campagne elettorali. È un’abitudine pericolosa, perché influisce sulla capacità di scelta dei progetti politici su cui i cittadini sono chiamati a esprimersi col voto. Ma non si possono abbandonare le persone in balìa di questi momenti confusi.

D.: È come se tu stessi parlando di disagio.

R.: Diciamo che sono abituata a non tirarmi indietro di fronte alle difficoltà delle persone. Io credo che non sia facile essere un elettore. Da un lato grava su di lui il peso di scelte importanti, che riguardano non solo la sua vita, ma quella dei suoi cari, del suo ambiente, del suo futuro. Abbiamo passato anni molto duri, sotto la peggiore crisi economica, forse ancora più tremenda di quella che precedette la catastrofe della Seconda Guerra Mondiale. La crisi del 2008 ha inciso sulla carne e sulla mente delle persone. Un trauma terribile: assistere al proprio impoverimento, non sapere cosa fare col mutuo, veder infrangersi le aspirazioni per un miglior benessere dei figli, veder vacillare il proprio futuro lavorativo e quindi la stessa dignità del proprio ruolo nella società.

D.: Pensi sia questa la causa scatenante del populismo?

R.: Sai, “populismo” è una definizione corretta, ma rischia di diventare un vocabolo del dizionario del politichese. Più semplicemente, direi che la portata della crisi economica globale ha scatenato reazioni tanto comprensibili quanto micidiali: rabbia, rancore, invidia, vendetta. Questi sentimenti, diffusi presso larghi strati di popolazione, che si è sentita abbandonata a sé stessa, hanno gonfiato le vele di idee orribili come le nostalgie delle dittature del passato, ma anche illusioni non fondate sulla realtà dei fatti concreti.

D.: Per esempio?

R.: Un diffuso sentimento xenofobo e addirittura razzista. Eppoi, il ritorno a un’idea di nazionalismo, oggi marcata dal neologismo “sovranismo”, quella tendenza che si esprime con l’idea di “prima gli italiani”. Il nazionalismo ha provocato la terribile sciagura europea della Prima Guerra Mondiale. Quanto all’idea di una stirpe più importante, quella “italica”, essa è stata alla base della tragedia storica della Seconda Guerra Mondiale, della quale l’Italia fu tra i fautori. La propaganda è pericolosa: inventa truci figure retoriche, dall’Irredentismo al Fascismo bastarono pochi anni. Pensare oggi che si possa andare “a battere i pugni sul tavolo” delle istituzioni internazionali per favorire “gli interessi nazionali” è comico, direi grottesco. Ci vogliono idee, forti e condivise per cambiare le cose. Altro che facili slogan propagandistici.

D.: Sembra stia tornando il leitmotiv “meno tasse”.

R.: Il dissesto dei conti pubblici italiani è noto. C’è un macigno fiscale che pesa sulle spalle di tutti. Siamo il paese dell’illegalità, della corruzione e dell’evasione fiscale. Ma quello che mi preoccupa è che immaginare di pagare di meno non tiene conto dell’impoverimento delle risorse pubbliche per il welfare. Una delle ragioni del disagio, sfociato in vero e proprio malessere privato e collettivo sta nella tenaglia che ha stretto le persone: mentre guadagnavano di meno, aumentavano le spese per i servizi sanitari, i costi per l’istruzione, i biglietti dei trasporti, mentre si sono dilatati i tempi per godere della previdenza sociale. Stiamo parlando dei pilastri dello stato sociale. Pagare meno tasse e pagare di più i costi sociali significa dare con una mano e togliere con l’altra. In realtà, favorirebbe solo i ceti sociali forti. Che sono proprio quelli che hanno pagato meno la crisi e in qualche clamoroso caso se ne sono avvantaggiati. La tassazione progressiva è il metodo democraticamente corretto, bisogna calibrarlo in modo flessibile alla ripresa economica.

D.: Un’altra parola chiave è stata “onestà”.

R.: Fammi dire una cosa chiara: questo è un artificio retorico, piuttosto stucchevole. Mio zio, don Luigi, era una persona onesta, infatti non aveva tempo di andare in giro a dire “io sono onesto”. Come tutte le persone oneste, del resto. E in Italia sono molte più di quanto certa propaganda non voglia farci credere. La corruzione è una conseguenza del modo sbagliato di governare i processi di crescita e di sviluppo. Non il contrario. C’è un modo un poco spaccone di vedere le cose: “adesso vado lì e glielo faccio vedere io”. Non funziona così. È vero che ci sono modi sbagliati di affrontare i problemi. Ma spesso sono proprio le soluzioni che non corrispondono più ai risultati che si speravano.

D.: Stai dicendo che mancano idee?

R.: Sto dicendo che le ricette non guariscono il malato. Sono le cure che combattono la malattia. Fare politica significa prendersi cura delle persone. Sono tempi in cui vecchie e non risolte contraddizioni hanno la capacità di presentarsi sotto nuove e inedite forme. Come certe infezioni non più aggredibili cogli antibiotici. E vecchie formule non sono efficaci. E allora bisogna stare lì e non demordere, stare vicino alle persone, perché la loro voglia di stare meglio sia una delle formidabili forme di autoaiuto per trovare le soluzioni adatte e durature. Senza preconcetti, ma neanche accontentandosi di piccoli segnali di ripresa. Che anzi, vanno valorizzati perché da semplici segnali diventino robusti passi in avanti.

D.: Sei candidata nello schieramento di centrosinistra. Non hai niente da rimproverargli?

R.: L’elenco degli errori e delle contraddizioni è tanto lungo quanto a tutti noto. Non riguarda solo l’Italia. Ho vissuto a lungo negli USA e vedere, per esempio, che dopo Obama è arrivato Trump la dice lunga sulla poca capacità della politica di costruire su solide e durature basi. Tuttavia io non ne è ho mai fatto una mera questione di etichette. Chi dice che destra e sinistra non esistono più sa bene di dire una sciocchezza, infatti spesso è un artificio retorico per giustificare brusche sterzate a destra, cioè nel conservatorismo, nell’ineguaglianza, nella brutalità del ragionamento e delle scelte politiche. La semplificazione può portare a situazioni aberranti, come considerare qualcuno come meno umanamente importante di qualcun altro. Come se non fossimo tutti esseri viventi, e quindi titolari di diritti e di dignità di persone.

D.: Dimmi un errore grave del centrosinistra.

R.: Aver ceduto alla tentazione della personalizzazione della politica.

D.: Però sei candidata in un collegio uninominale, ben quattro formazioni politiche si concentrano sul tuo nome.

R.: Una bella responsabilità. Di cui sento il peso. Soprattutto per le aspettative che il mio nome può aver creato tra chi mi voterà. E poi certo, anche in quelle di chi mi ha offerto la candidatura. Sai che sono l’unica donna candidata tra i tre principali schieramenti nel mio collegio elettorale? Mi sento anche la responsabilità di essere un punto di riferimento per le elettrici.

D.: Secondo te chi potrebbe vincere?

R.: L’astensione potrebbe essere il primo “partito”.

D.: Che fare?

R.: No, guarda io non faccio appelli. Posso solo dire che per me non è il tempo né dell’astensione per rabbia e rancore, né del disimpegno per disillusione e amarezza. Sono tutti sentimenti che comprendo e rispetto. Il fatto è che non possiamo pensare che ci sia qualcun altro che risolva le cose se questi non siamo noi stessi. In prima persona. Tra l’ottimismo e il pessimismo, io da tempo ho scelto il cammino: una passo dietro l’altro verso un obiettivo raggiungibile. E poi, di nuovo in marcia. Lo faccio nella vita. Lo farò alla Camera.

D.: Il tuo slogan elettorale, chiamiamolo così, recita “competenza e sensibilità”. Perché?

R.: In realtà lo dice il mio curriculum. La mia competenza specifica deriva dal mio incarico presso l’Anci, l’associazione dei comuni italiani. Grazie a questa esperienza conosco opportunità e procedure per attingere ai fondi utili al sostegno delle attività utili a Pomezia e a Ciampino. Ma anche come assistere i municipi per il miglioramento della qualità dei servizi nei territori compresi tra i il VI e il IX municipio. La mia sensibilità deriva da gran parte della mia vita, dedicata ai disagi psichiatrici, attività svolta da anni dalla Fondazione Luigi Di Liegro.
Competenza politica e sensibilità sociale sono le caratteristiche salienti della mia storia personale e pubblica. Non è uno slogan è la semplice verità.

Luigina vola via, inseguita dai martellanti impegni che la campagna elettorale impone ai candidati. Mi ha lasciato una sensazione positiva. Ha le idee chiare, ma non le urla, non te le vuole imporre. Certo ha molta energia, la qual cosa si confà con il luogo in cui si è svolta la nostra conversazione, cioè la più antica Centrale termoelettrica di Roma.
Il fatto è che mentre parla con te hai la sensazione che in realtà sia lei a essere in ascolto. Che mi sembra la buona dote di una donna che presta alla politica attitudini che si sono formate nel sociale,

Luigina Di Liegro è candidata alla Camera nel collegio Uninominale Roma 7.
Personalmente faccio ancora parte di quei dieci milioni di elettori che non hanno ancora deciso se e chi votare.
E comunque, non avrei la fortuna di avere Luigina Di Liegro tra i candidati del mio collegio elettorale.
Roma, 15.02.18

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