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Cose così.

In Nuova Zelanda, una turista inglese è stata allontanata da un casinò. Sembra avesse un seno troppo grande. Infatti, Helen Simpson è stata costretta a lasciare la sala da gioco di Christchurch. ”Mi hanno detto: o si copre o se ne va” . Ora, a parte il fatto che Christchurch significa “chiesa di Cristo” e quindi non si capisce come sia possibile che in codesta località si trovi un casinò, che non è esattamente un luogo pio, la cosa stupefacente è soprattutto il fatto che uno si immagina che non il seno grosso, semmai un gran culo potrebbe infastidire i giocatori d’azzardo di un casinò.

A un convegno nazionale dei Vigili urbani, che si è tenuto di recente a Riccione, un invitato a una tavola rotonda, durante il suo intervento, teso a dimostrare l’importanza della comunicazione per cambiare la cattiva opinione che i cittadini hanno dei vigili, ha raccontato di essere stato multato perché il suo furgone, che serviva alle riprese televisive di un documentario a favore di un comune del Veneto, era stato parcheggiato in un posto riservato ai portatori di handicap. Il relatore pretendeva di avere ragione, esattamente come tutti quelli che vengono multati per una infrazione al codice della strada. I vigili in sala sono sembrati alquanto perplessi sulla necessità di comunicare l’importanza del loro ruolo.

Una mia amica ha avuto un incidente stradale. Un Suv l’ha urtata e lei è caduta col motorino. Quello è scappato e lei si è fratturata un gomito. Durante la gessatura del suo braccio, al pronto soccorso ha sentito un gran dolore. E, per reazione, ha tirato un pugno in piena faccia al medico che la stava curando. Oggi mi ha inviato un sms lamentandosi della malasanità degli ospedali di Roma. Chissà che ne pensa quel poveretto che ancora si accarezza la mascella.

Ieri, mentre prendevo un aperitivo in un bar del centro, uno mi si avvicina e mi dice:” Ma guarda la combinazione, come diceva Arsenio Lupin.” Ed è scoppiato a ridere da solo. Ho guardato il barman, come a chiedere conferma che il tizio fosse ubriaco. Quello ha allargato le braccia e mi ha detto: “Abbia pazienza, dottò, quello è astemio.”

Di questi tempi, il mondo non sta troppo bene. Beh, buona giornata.

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Quanto ci mancherà il genio del silenzio.

Domenica è morto Marcel Marceau. Aveva 84 anni, spesi bene. Non si chiamava così. Il suo cognome divenne un nome d’arte, per via dell’ arte di sopravvivere alla persecuzione degli ebrei.

Marceau era nato a Strasburgo il 22 marzo del 1923, ma era cresciuto a Lilla. Nel 1944 si era unito alla Resistenza. Nonostante tutto, iniziò a studiare recitazione nel 1946 con Charles Dullin e il grande mimo Etienne Decroux.

Charles Chaplin e Buster Keaton furono i grandi geni del film muto. Invece Marceau continuò a usare il silenzio come potente strumento di comunicazione. Fino a domenica scorsa.

Marceau è stato scrittore, poeta, pittore, illustratore, celebre in tutto il mondo.

Marcel Marceau è stato un grande creativo, in un epoca in cui il fracasso, le urla, la bagarre, il cicaleggio, il bla-bla hanno via via preso il sopravvento.

Oggi che parliamo tutti troppo, cioè spesso a vanvera, Marceau ci mancherà, come ci mancano quei momenti di riflessione, di pausa, di introspezione che sono l’anticamera mentale dell’intuizione, quei momenti magici in cui si prefigura un’ idea, un approccio, nei quali prende forma la visione di un modo di agire.

Quel silenzio che segue il filo dei pensieri, che ci porta a sapere prima di tutti gli altri la cosa migliore da fare, che è sempre la più bella, interessante, spiazzante, innovativa, irrazionale, quindi poetica, promettente.

Finché il pandemonio del presente non riprende il comando della nostra mente, e il frastuono della mediocrità cerca di rendere arido ciò che il silenzio avrebbe reso fertile.

Seppe misurasi anche con la pubblicità, quando la creatività pubblicitaria era ben accolta tra chi ne voleva sperimentare il linguaggio fresco e disincantato, popolare e snob. Oggi si preferirebbe una calciatore o il “lato b” di una velina.

Una volta Marceau partecipò a“Silent Movie”di Mel Brooks, buffo film muto in cui lui fu l’unico a parlare. Pronunciò una sola parola: “No”.

Che è un’altra cosa che dovremmo imparare a dire più spesso. Adieu, monsieur Bip. Beh, buona giornata.

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Abbiamo di nuovo sfondato il fondo del barile?

Se fosse vero, e sottolineo se, come nella famosa canzone di Mina, se fosse vero, dunque, che una importante agenzia italiana, filiale di un’altrettanto importante network che reca il nome di un celeberrimo pubblicitario, e che fa parte di un’enorme holding quotata nella principale Borsa europea, se fosse vero, insomma, che l’importante agenzia in questione ha vinto una gara pubblica, per un ente di primaria importanza per i cittadini italiani, rilanciando, fuori tempo massimo, una commissione pari a un zero virgola qualcosa, la notizia sarebbe più sensazionale dello storico flop che la pubblicità italiana ha ricavato durante l’ultima edizione del Festival di Cannes, in occasione della quale ebbi a scrivere che avevamo sfondato il fondo del barile.

Se fosse vero, e sottolineo se, significherebbe che forza di fare dumping, stiamo facendo profondi buchi, fin nel sottosuolo della professione, fin nelle viscere del terra-terra, stiamo scavando caverne buie e senza uscita al comune senso del pudore nel gestire new -business, creatività, relazione con i clienti.

Sarebbe una sorta di tragi-comica sindrome cinese, capace di bucare da parte a parte ogni considerazione che i committenti dovrebbero avere del nostro lavoro, del nostro talento, del nostro ruolo nella comunicazione commerciale. Se fosse vero, e sottolineo se. Beh, buona giornata.

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L’incoscienza di Zeno.

Un pupazzetto dalla faccia espressiva, capace di riconoscere alcune fisionomie e di reagire alla loro presenza. E’ il figlio-robot, inventato in Texas da David Hanson, 37 anni, ingegnere responsabile alla Hanson Robotic.

La piccola creatura meccanica non sa ancora camminare e parlare, ma “impara” e questo è il grande vantaggio illustrato dal suo creatore. Il bambolotto intelligente pesa tre chili ed è alto 43 centimetri, e si è anche pensato a dotarlo di un vestitino per farne un «compagno interattivo».

Il suo cervello non è dentro il pupazzo ma fuori, attivato da un complicatissimo programma software su un apposito computer che sa imparare.

E’ l’ultima frontiera in fatto di intelligenza artificiale, perchè è la realizzazione più avanzata di quella che il suo creatore definisce «compagnia sintetica». A suo avviso potrebbe diventare un nuovo settore di mercato «dalle incredibili possibilità di espansione».

Vuoi che tuo figlio ti obbedisca? Che faccia quello che vuoi tu? Che non si metta grilli in testa, che non frequenti cattive compagnie? Temi che prima o poi si metta a ragionare con la sua testa, e si metta a criticate te, il tuo stile di vita, il modo in cui ti guadagni da vivere? Comprati un figlio robot.

Il bambolotto tecnologico si chiama Zeno, come il figlio piccolo del suo inventore. Beata incoscienza. L’incoscienza di Zeno. Beh, buona giornata.

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Una legge anti-pirla.

A un maestro violento della scuola elementare “Buon fanciullo” di Siracusa è stata confermata la condanna in Cassazione.

Secondo la sentenza i metodi di educazione rigidi e autoritari sono pericolosi, ma anche dannosi per la salute psichica degli allievi. Specie se si tratta di bambini piccoli, per i quali sembrerebbe ormai assodato che metodi che “utilizzino comportamenti punitivi, violenti o costrittivi” siano dannosi.

A una prima parziale lettura, appare una buona notizia per tutti, forse un po’ meno per il maestro di Siracusa, della cui vicenda allo stato non mi è dato di sapere niente altro che la notizia di questa sentenza.

Però, siccome sappiamo che il mobbing nei luoghi di lavoro attende ancora una legge che punisca il capo sadico, viene da pensare che ci sia qualcosa che non funziona: a scuola i guanti bianchi, poi vai a lavorare e allora calci nel sedere, o magari lo sguardo indiscreto, la “mano morta” sul didietro, la proposta indecente, la vessazione, l’accanimento gerarchico.

Ho forte l’impressione che metodi che “utilizzino comportamenti punitivi, violenti o costrittivi” siano dannosi a tutte le età. La tolleranza nei confronti di questi comportamenti sfocia spesso nell’auto-esaltazione: un capo terribile si sente un figo, un vero eroe, un pilastro dell’azienda. Essere temuti appare come un modo virile di fare il proprio dovere, tanto addirittura da vantarsene.

Non so se una legge sia il metodo più adatto a modificare comportamenti da piccolo satrapo, ma credo che da qualche parte bisognerebbe pur cominciare. Fare il forte coi deboli e il debole coi forti non è essere cazzuto, è semplicemente essere pirla. Per legge. Beh, buona giornata.

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In memoria della headline.

Nella cronaca di Roma di ieri del quotidiano la Repubblica, si può leggere un titolo sublime: “baby prostitute, in cella coi clienti”. Straordinario: a prenderlo alla lettera, ci sarebbe la fila.

Non pago, non la baby prostituta, ma il quotidiano medesimo scrive in didascalia della foto della sottosegretario al Ministero dell’Interno, una dichiarazione della sottosegretario medesima, che invoca “pene severe”. E’ l’apoteosi del doppio senso.

Ora, lo sappiamo tutti che i titoli dei giornali, per via della ricerca dell’effetto sull’attenzione del lettore, si espongono spesso a esilaranti interpretazioni. C’è chi ha scritto più di un libricino che ne raccoglie antologie. Ricordo un titolo dell’Eco di Bergamo che urlava a caratteri cubitali: “In 600 contro un albero, tutti morti.” ( La 600 era una vettura molto in voga a quei tempi).

Il fatto è, però, che il doppio senso giocoso, il rovesciamento dei significati, che rimandavano ad altri beffardi significanti, erano il pane quotidiano del titolo pubblicitario, spesso il talento del copy writer, il brodo primordiale della head- line.

Ma in tempi di ottundimento delle menti, alla pubblicità e al pubblicitario viene chiesto, imposto, subornato di scrivere righe notarili. Che ne no la gente non capisce.

Mentre, per fortuna, può ancora succedere di leggere titoli sbarazzini sulle pagine dei quotidiani, meglio se pagine meno sottocontrollo, tipo quelle della cronaca cittadina.

Il che è un invito a leggerli i giornali, soprattutto da parte di chi vorrebbe fare il creativo pubblicitario. Beh, buona giornata.

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Lavoro

Dal welfare allo Stato asociale. Come contrastare le politiche neoliberiste del governo Prodi. Di Fabrizio Tomaselli.

Ospito su questo blog un intervento di Fabrizio Tomaselli, coordinatore nazionale di Sdl, sindacato dei lavoratori. I temi trattati, il welfare e i diritti dei lavoratori sono di grande attualità.

Sdl è un sindacato di base e come tale ha grande difficoltà ad accedere ai media.

Dunque, più che aderire alla proposta di un Referendum che ripristini i contenuti delle Stato sociale, aderisco all’idea che le opinioni di Tomaselli e di Sdl debbano essere conosciute, magari anche solo per confutarle. Beh, buona giornata.

Dal welfare allo Stato asociale. Come contrastare le politiche neoliberiste del governo Prodi.
Di Fabrizio Tomaselli.

L’accordo del 23 luglio scorso tra Governo e sindacato confederale non ha fatto altro che evidenziare, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che la deriva liberista che in questi anni ha travolto l’Europa, non ha ancora dispiegato tutti i suoi nefasti effetti.
Nonostante le privatizzazioni e le liberalizzazioni non abbiano di fatto avuto alcun effetto benefico nei confronti dello sviluppo economico, come anche delle tasche e delle condizioni di vita del cittadino, abbiamo assistito e vissuto una “sbornia da mercato” alimentata in modo artificioso da una valanga di informazioni false che hanno a loro volta foraggiato aspettative ancor più distorte.
Il falso mito del “mercato che tutto risolve al suo interno, che si autoregola e che assicura sviluppo infinito” si è infranto contro una realtà che sbatte violentemente in faccia a tutti, da una parte la contraddizione di uno sviluppo infinitesimale del continente europeo e dell’Italia rispetto a Paesi come Cina ed India che stanno rapidamente sconvolgendo ogni “regola” commerciale imposta dal club dei “ricchi” paesi occidentali e dall’altro la distruzione dell’ambiente, il rapido ed incontrollato aumento del disagio sociale, della precarietà, dell’abbandono di ogni riferimento al welfare quale elemento di emancipazione e giustizia sociale.

Il mondo della politica e quello sindacale sono sempre più lontani dal ruolo che dovrebbero svolgere: la massima e spesso unica preoccupazione, oltre a quella di perpetuare se stessi ed il proprio ruolo, diventa il tentativo di convincere il cittadino ed il lavoratore dell’ineluttabilità dei processi sociali ed economici che lo coinvolgono e lo travolgono.
Senza più indicare valori alternativi, senza individuare alcuna via di uscita da un meccanismo che tutto comprime, senza esprimere e sollecitare alcuna pulsione che vada quanto meno verso una ricerca collettiva di ipotesi diverse.

A questo punto, per superare la “sbornia da mercato” e tentare una analisi sobria che possa però rappresentare una iniezione di entusiasmo, di valori ed obiettivi concreti e condivisi, si deve necessariamente operare una semplificazione ed una sintesi.

Le privatizzazioni non hanno prodotto benefici rilevanti alle casse dello Stato, hanno distrutto interi settori industriali, hanno creato disoccupazione e dilapidato un patrimonio di professionalità acquisite, spesso hanno consegnato ad avventurieri della finanza le chiavi di parti importanti dell’economia nazionale che hanno semplicemente applicato la regola per nulla industriale del “prendi i soldi e scappa”.

Le liberalizzazioni, sbandierate anche in quest’ultimo anno come la panacea per tutti i mali della società, hanno di fatto relegato il cittadino a spettatore inerme di giochi che avevano tutt’altro scopo che quello di tutelarli. I costi dei prodotti e dei servizi, salvo poche eccezioni pagate però in altro modo, non sono diminuiti e l’unica cosa che ha registrato un reale calo è stata la qualità e l’efficienza dei servizi, a cominciare da quelli relativi alla salute, all’istruzione, ai trasporti, ecc.

I salari sono diminuiti sia in termini diretti, cioè il valore reale della busta paga, sia indiretti, cioè per tutti quei servizi che sino a ieri, proprio perché vissuti e gestiti come valore sociale, rappresentavano un concreto valore aggiunto al 27 di ogni mese.

Le pensioni sono state falcidiate e rese “complementari” alla rendita attraverso i fondi pensione, il lavoratore obbligatoriamente dovrebbe assicurarsi la vecchiaia giocando in borsa parte della busta paga.

La precarietà, infine, sta subendo una mutazione genetica, assumendo sempre più le sembianze della normalità, piuttosto che della straordinarietà. Vecchi giovani che devono convivere ormai stabilmente con uno stato di disagio complessivo ed economico che porta al degrado morale, alla desolazione sociale e distrugge spesso gli stimoli al cambiamento.

Per fare tutto ciò si è spinto l’acceleratore non soltanto dal punto di vista della forzatura legislativa ed economica, non soltanto agendo su rapporti di forza sociali sempre meno equilibrati, ma anche e soprattutto imprimendo una svolta “culturale” che ha investito in modo violento ed avvolgente l’intero corpo sociale del Paese.

E così, ad esempio, nessuno si stupisce più quando si afferma che “aumentare l’età pensionabile favorisce l’occupazione dei giovani” ! Ma come è possibile ? Il buon senso e la matematica ci dicono l’esatto contrario e cioè che se un anziano va in pensione il suo posto deve essere preso da un giovane e se invece rimane al lavoro per più tempo avremo più disoccupati e più precarietà !

Nessuno registra in modo critico che le liberalizzazioni non hanno prodotto alcun beneficio al cittadino, neanche alle sue tasche, ma si continua a credere alla favola della ineluttabilità di questo processo economico che invece è finalizzato alla destrutturazione dei rapporti di lavoro, all’aumento della precarietà e alla riduzione del costo del lavoro, a tutto beneficio del profitto di pochi.

E che cosa dire dell’altra “buona novella” delle privatizzazioni. Pur criticando tutti gli effetti che hanno avuto sulla quasi totalità delle aziende che hanno vissuto questo processo di trasformazione, si continua ad assorbire la logica per la quale “il pubblico non funziona e privato è meglio”.

A tutto ciò è necessario opporsi in modo concreto, oltre che teorico e culturale. Le contraddizioni della grande bugia del “dio mercato” sostenuta dai “grandi sacerdoti politici e finanziari” custodi della sua fede, sono ormai evidenti: non resta che renderle ancor più esplicite ed iniziare a proporre, uno dopo l’altro, una serie di elementi e di iniziative concrete che indichino la strada da seguire per uscire dal tunnel.

Per questi motivi il Sindacato dei Lavoratori avanza la proposta di un insieme omogeneo di QUESITI REFERENDARI che parta dalla PRECARIETA’ e dalla LIBERTÀ SINDACALE, che potrebbe interessare altri argomenti quali la previdenza, la salute, l’istruzione, i servizi pubblici, ecc., e che ponga all’attenzione dell’intera opinione pubblica e dei lavoratori, del mondo politico e sindacale, della società civile, l’estrema necessità di un cambiamento, di una svolta radicale che indichi un nuovo modello di sviluppo sostenibile dal punto di vista sociale ed ecologico e che al tempo stesso spazzi via i falsi miti di questi ultimi anni.

IL Referendum diventerebbe quindi uno strumento:
1. per accendere i riflettori su un problema, su un processo sociale, su un sistema economico;
2. per far discutere il cittadino sulla sua condizione sociale, sul modello di vita al quale si raffronta ed al quale aspira, sulla sua busta paga, sulla sua pensione, sulla condizione di suo figlio precario;
3. per evidenziare che i servizi che non funzionano sono troppo spesso quelli che sono stati liberalizzati e privatizzati;
4. per capire tutti insieme che una strada diversa è possibile, oltre che auspicabile;
5. per provare a vincere una battaglia importante che coinvolge tutti.

Il problema da affrontare e risolvere non è tanto quello dei costi della politica e del sindacato di cui si parla in questi ultimi mesi, quanto quello della efficacia della politica e dell’azione sindacale, intesi come strumenti che devono ridiventare onesti e trasparenti, e che devono perseguire ed assicurare emancipazione, sviluppo e cambiamento, ma anche e soprattutto giustizia sociale.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

I furbetti del lay-out-tino.

La scorsa domenica, Eugenio Scalfari ha scritto che il problema del cinema italiano è la perdita di un linguaggio comune e condivisibile. L’affermazione ha la sua importanza, poiché cade durante il festival di Venezia. Ma il suo ragionamento è estendibile a altri settori della comunicazione, come si definiscono oggi tutte le discipline, i mestieri, le professioni che hanno a che fare col comunicare un idea, un pensiero, un punto di vista.

Non è una caso, che Eugenio Scalari citi il giornale di cui è stato il fondatore come un esempio di innovazione del linguaggio della carta stampata.

Le riflessioni di Scalfari hanno provocato un piccolo ragionamento sul linguaggio della pubblicità italiana. Il ragionamento è questo.

1) La pubblicità italiana è tra le più mediocri del mondo occidentale, dal punto di vista creativo: lo dicono tutti i più importanti appuntamenti di confronto tra le diverse culture della comunicazione commerciale;

2) la pubblicità italiana è tra le più eccellenti del mondo occidentale dal punto di vista economico, con particolare riferimento alla pubblicità televisiva: chi possiede un network televisivo fa e disfa a suo piacimento;

3) la pubblicità italiana è la più politica del mondo occidentale: il sistema televisivo, mezzo principe in Italia è regolato da alchimie di tipo politico, dunque anche l’accesso a budget di questa o quella azienda si muove rispetto a queste regole. Basti pensare all’equazione tra il maggiore partito rappresentato in Parlamento, sia pur attualmente all’opposizione e il maggiore network televisivo commerciale, attualmente maggioritario nella raccolta pubblicitaria;

4) la pubblicità italiana oggi non ha un linguaggio culturale, ma economicista, lobbysta, spartitorio, furbastro: basta leggere i comunicati stampa che si vantano di questa o quella acquisizione di budget pubblicitari, di cui sono pieni i news-magazine del settore, ogni giorno.

Non c’è un linguaggio unitario, condivisibile, formativo, innovatore della creatività italiana per il semplice motivo che le idee sono l’ultima ruota del carro, nella santa processione del business della pubblicità italiana.

A questo contribuiscono, in piena flagranza del reato di eccesso colposo di buona volontà molti creativi pubblicitari italiani. Tra loro c’è chi eccelle nel cinismo della loro mediocrità, professionale e culturale. Di quella umana, boh!

Sono coloro che furono allievi di grandi maestri dell’advertising italiano, ma che del loro maestro hanno creduto di imitare gli aspetti esteriori, non quelli intrinseci, che ne hanno fatto, giustamente, punti di riferimento professionali per più di una generazione di creativi. Anzi, candidandosi ad esserne epigoni, dicono in giro del loro disturbo psicanalitico: uccidi il padre è il loro leit-motive.

Ben presto dimentichi degli insegnamento più preziosi, tra cui l’onestà intellettuale che accompagna ogni minuto la creazione di una campagna pubblicitaria, per il semplice fatto che va sotto gli occhi di milioni di persone, i nostri furbetti del lay-out-ino inanellano sciocchezze: si vantano di una campagna scema e già vista, non distinguono il buono dal marcio, ascoltano il suono delle loro parolette e si credono di alta statura professionale, scambiando il sistema metrico decimale con lo spessore professionale.

Ai tempi dell’odiato Gavino Sanna, che li apostrofava con la dicitura “piscia-letto”, nascosti tra la piccola folla del popolo dei creativi fischiavano in platea i suoi successi.

Oggi che “il popolo dei creativi”, come Pirella definì la moltitudine di copy e art che negli Ottanta entrarono nel mondo della pubblicità italiana, attirati, appunto da quel linguaggio che oggi non sembra più esserci, ecco che i furbetti del lay-out-ino sono feroci come caporali napoleonici, al tempo di Sant’Elena.

I furbetti del lay-out-tino non rispettando i loro maestri, non rispettano il loro lavoro, quindi non sanno del rispetto verso i lettori, gli ascoltatori, i telespettatori.

In ultima analisi, essi non sanno nulla del rispetto che si deve al committente, alla disciplina umana e professionale che si deve a chi paga il conto della creatività. Li prendono in giro con la loro prosopopea e con l’altisonanza dei titoli sui biglietti da visita, magari, come bagarini, con la promessa di un posto comodo per godersi la partita.

I furbetti del lay-out-ino sono come cavallette che distruggono, per via della loro ingordigia, dell’ansia di fama, del loro ego, magari di un bonus di fine anno, che distruggono reputazioni delle persone prima e delle marche poi, con il sorriso ammiccante dalla fotina che per piaggeria campeggia sull’articoletto del giornaletto di settore.

Ignari, o forse cinicamente noncuranti, addirittura consapevoli, che tanto di questa o quella testata non gliene frega un bel niente, gli si può raccontare ogni fandonia, che tanto quelli la pubblicano, che se no, magari, gli togliamo l’abbonamento. E così si chiude il circolo vizioso della mancanza di rispetto del lavoro degli altri.

Lo sappiamo tutti che la fretta (di apparire) passa, ma la merda (di certi comportamenti) rimane. Ma a loro che gliene importa. Sono i furbetti del lay-out-ino. Beh, buona giornata.

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Più Spazio alla politica.

Secondo il sito web News.ru.com, sarà Vladimir Gruzdev deputato al Parlamento russo, magnate della grande distribuzione, nonché ex ufficiale dei servizi segreti sovietici, il KGB, il primo riccastro russo a fare da passeggero in una missione spaziale.

Gruzdev avrebbe già firmato a Luglio il contratto per un addestramento di 13 mesi e avrebbe superato tutti i test medici per trascorrere una settimana in orbita, salendo a bordo di una stazione spaziale internazionale.

Mi pare una buona notizia: invece che fare inutili inchieste giornalistiche sui politici, tipo Casa nostra de l’Espresso; invece che inventare strampalati V Day, come avrebbe voluto fare Beppe Grillo; invece tediarci con le performance delle Iene sulle droghe, piuttosto che sull’ignoranza in Storia dei parlamentari italiani, facciamo anche noi qualcosa di molto moderno e tecnologico: spariamoli nello spazio.

Tredici settimane di addestramento alla forza di gravità, più una settimana fuori dalle nostre orbite, risolverebbero un sacco di problemi della politica, della tv, del giornalismo italiano, per non dire della pubblicità.

Come dire: meglio una stazione orbitante che il loro costo esorbitante. Dice: ma poi alla fine ritornano. Sì, ma almeno per tre mesi e mezzo non li vediamo né a Porta a Porta, né a Ballarò, né a Matrix, né da Fede. Né al Billionaire né all’ Hotel Flora.

Insomma, meglio che girino intorno alla Terra che ci facciano girare tutti i santi giorni i nostri due globi.

Beh, buona giornata.

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Il mondo non è più quello di una volta.

“Possiamo letteralmente vedere il disastro ambientale consumarsi sotto i nostri occhi. Temiamo che in un prossimo futuro paesaggi celebri spariranno per sempre”, ha detto Nick Ashworth, direttore dell’Atlante di Time 2007. “I contorni di certe regioni – ha aggiunto – cambiano. Per esempio in Bangladesh. Il livello del mare sale di 3 millimetri l’anno e ciò ha vari effetti sulle coste.

Gli effetti del riscaldamento globale sulle regioni costiere sono già visibili e implicano la necessità di modificare le carte geografiche. Lo affermano i cartografi di Time, che rappresentano un punto di riferimento mondiale in materia di Atlanti. I suoi autori hanno detto di essersi visti costretti a cambiare la linea delle coste in alcune zone rispetto alle ultime carte, fatte nel 2003.

Ci sono casi lampanti, come il fiume Giallo, in Cina, che non arriva più fino alla costa. In alcune aree, per esempio in Alaska, il mare avanza sulle coste basse di almeno tre metri l’anno. Non meno preoccupante è che grandi fiumi, dal Rio Grande al Colorado al Tigri, per la crescente siccità, perdono dei bracci, che in estate si seccano completamente.

La siccità dei fiumi modifica le coste. Speriamo modifichi anche le teste. Beh, buona giornata.

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