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La Chiesa Cattolica sempre contro la scienza. Fin dai tempi di Galileo Galilei, il Vaticano eppur non si muove.

Lo scherzo da preti del Nobel a Edwards,da il-non-senso-della-vita, blog di Giorgio Odifreddi-repubblica-it
Oggi è stato assegnato il premio Nobel per la medicina a Robert Edwards, per «lo sviluppo della fertilizzazione in vitro». Cioè, per intenderci, per la tecnica di fecondazione assistita che permette alle coppie sterili, che sono ben il dieci per cento di tutte le coppie, di non arrendersi e avere comunque figli «in provetta».

Le ricerche di Edwards erano cominciate negli anni ‘50, ma solo il 25 luglio 1978 egli potè annunciare al mondo la nascita di Louise Brown, la prima bambina concepita con la nuova tecnica e partorita con un cesareo. Da allora, circa quattro milioni di bambini sono nati in tal modo, e alcuni di essi sono già diventati genitori a loro volta: in particolare, la stessa Brown, che ha avuto un figlio in maniera «naturale».

Prima di Edwards, la fecondazione assistita era già stata sperimentata con successo nei conigli. Ma negli uomini presentava problemi particolari, e per poterla realizzare Edwards dovette capire meglio il processo di maturazione dell’ovulo, il modo in cui gli ormoni lo regolano, il periodo in cui esso diventa fecondabile, e le condizioni di attivazione dello sperma.

Nel 1969 egli riuscí a fecondare artificialmente il primo ovulo, ma non ad attivarne la divisione cellulare. Uní allora i suoi sforzi a quelli del ginecologo Patrick Steptoe, e quest’ultimo sviluppò una tecnica di ispezione delle ovaie mediante uno strumento ottico. Fu cosí possibile prelevare ovuli che erano già maturati nelle ovaie, e la loro fecondazione artificiale questa volta funzionò: i due scienziati ottennero cosí il primo embrione a otto cellule, pronto per essere reimpiantato nell’utero.

Immediatamente si scatenerano le polemiche. Le ricerche di Edwards e Steptoe persero i finanziamenti pubblici, ma furono salvate da successive donazioni private di fondi. Nove anni dopo, nel 1978, furono infine coronate dal successo. Nel 1986 erano ormai 1.000 i bambini nati con la nuova tecnica. E oggi essa, migliorata e raffinata, è diventata di uso comune nei paesi civili.

Non nel nostro, ovviamente, che civile non è per tanti motivi, compreso questo. Per chi se lo fosse dimenticato, infatti, il 19 febbraio 2004 il Parlamento italiano ha promulgato l’infame Legge 40, sulle «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita». E il 12 e 13 giugno 2005 gli elettori italiani hanno fatto fallire i quattro referendum che erano stati proposti per migliorarne l’obbrobrio.

A parte i sedicenti e ossimorici «cattolici adulti», guidati da Romano Prodi, la quasi totalità dei cattolici, immaturi per definizione, si adeguò infatti ai diktat del cardinal Ruini e dell’allora nuovo papa Benedetto XVI, astenendosi. Con loro si schierò uno sparuto gruppo di altrettanto sedicenti e ossimorici «scienziati» aderenti al Comitato Scienza e Vita, coordinato da Bruno Dallapiccola e Paola Binetti.

La quasi totalità dei laici, compresa ad esempio la Federazione delle Chiese Evangeliche, espressione dei protestanti italiani, seguí invece, senza successo, l’appello alla ragionevolezza dei nostri due premi Nobel per la medicina, Renato Dulbecco e Rita Levi Montalcini. Il che dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che il problema dell’Italia non è la religione, e neppure il Cristianesimo: è soltanto il Cattolicesimo, cosí come lo intendono la Chiesa e il Vaticano. E il Nobel di oggi a Edwards (non a Steptoe, che è morto nel 1988) non fa che confermarlo.

Oggi è stato assegnato il premio Nobel per la medicina a Robert Edwards, per «lo sviluppo della fertilizzazione in vitro». Cioè, per intenderci, per la tecnica di fecondazione assistita che permette alle coppie sterili, che sono ben il dieci per cento di tutte le coppie, di non arrendersi e avere comunque figli «in provetta».

Le ricerche di Edwards erano cominciate negli anni ‘50, ma solo il 25 luglio 1978 egli potè annunciare al mondo la nascita di Louise Brown, la prima bambina concepita con la nuova tecnica e partorita con un cesareo. Da allora, circa quattro milioni di bambini sono nati in tal modo, e alcuni di essi sono già diventati genitori a loro volta: in particolare, la stessa Brown, che ha avuto un figlio in maniera «naturale».

Prima di Edwards, la fecondazione assistita era già stata sperimentata con successo nei conigli. Ma negli uomini presentava problemi particolari, e per poterla realizzare Edwards dovette capire meglio il processo di maturazione dell’ovulo, il modo in cui gli ormoni lo regolano, il periodo in cui esso diventa fecondabile, e le condizioni di attivazione dello sperma.

Nel 1969 egli riuscí a fecondare artificialmente il primo ovulo, ma non ad attivarne la divisione cellulare. Uní allora i suoi sforzi a quelli del ginecologo Patrick Steptoe, e quest’ultimo sviluppò una tecnica di ispezione delle ovaie mediante uno strumento ottico. Fu cosí possibile prelevare ovuli che erano già maturati nelle ovaie, e la loro fecondazione artificiale questa volta funzionò: i due scienziati ottennero cosí il primo embrione a otto cellule, pronto per essere reimpiantato nell’utero.

Immediatamente si scatenerano le polemiche. Le ricerche di Edwards e Steptoe persero i finanziamenti pubblici, ma furono salvate da successive donazioni private di fondi. Nove anni dopo, nel 1978, furono infine coronate dal successo. Nel 1986 erano ormai 1.000 i bambini nati con la nuova tecnica. E oggi essa, migliorata e raffinata, è diventata di uso comune nei paesi civili.

Non nel nostro, ovviamente, che civile non è per tanti motivi, compreso questo. Per chi se lo fosse dimenticato, infatti, il 19 febbraio 2004 il Parlamento italiano ha promulgato l’infame Legge 40, sulle «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita». E il 12 e 13 giugno 2005 gli elettori italiani hanno fatto fallire i quattro referendum che erano stati proposti per migliorarne l’obbrobrio.

A parte i sedicenti e ossimorici «cattolici adulti», guidati da Romano Prodi, la quasi totalità dei cattolici, immaturi per definizione, si adeguò infatti ai diktat del cardinal Ruini e dell’allora nuovo papa Benedetto XVI, astenendosi. Con loro si schierò uno sparuto gruppo di altrettanto sedicenti e ossimorici «scienziati» aderenti al Comitato Scienza e Vita, coordinato da Bruno Dallapiccola e Paola Binetti.

La quasi totalità dei laici, compresa ad esempio la Federazione delle Chiese Evangeliche, espressione dei protestanti italiani, seguí invece, senza successo, l’appello alla ragionevolezza dei nostri due premi Nobel per la medicina, Renato Dulbecco e Rita Levi Montalcini. Il che dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che il problema dell’Italia non è la religione, e neppure il Cristianesimo: è soltanto il Cattolicesimo, cosí come lo intendono la Chiesa e il Vaticano. E il Nobel di oggi a Edwards (non a Steptoe, che è morto nel 1988) non fa che confermarlo.
(Beh, buona giornata).

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Attualità Popoli e politiche Società e costume

La Sindone esposta in questi giorni a Torino è un falso. Perché nel Terzo Millennio la fede cattolica ha bisogno di venerare relique e insistere ancora sugli aspetti feticistici e superstiziosi di questa come di tante altre «devozioni popolari»?

di Paolo Flores d’Arcais, da MicroMega 4/2010, in edicola

La Sindone esposta in questi giorni a Torino è un falso. O meglio, è un vero telo di lino di produzione medioevale, ed è vero – al di là di ogni ragionevole dubbio – che non ha nulla, ma proprio nulla a che fare con il corpo di un profeta ebraico itinerante in Galilea ai tempi dell’imperatore Tiberio, morto per crocefissione a Gerusalemme sotto l’imputazione di lesa maestà all’impero romano. (….) Eppure, basterebbe confrontare quanto sappiamo dalla lettura critica dei vangeli sulla sepoltura di Gesù, per escludere che la Sindone di Torino abbia qualcosa a che fare con il suo corpo.

Basterebbe confrontare quanto ricaviamo dalle sepolture ebraiche di quell’epoca per giungere ad analoga esclusione.

Basterebbe prendere atto che quando in epoca medioevale la Sindone compare per la prima volta, il primo vescovo che se ne occupa la presenta esplicitamente e tassativamente come un artefatto di un artista dell’epoca (dando perfino ad intendere che sia noto il «chi»). Basterebbe prendere atto che l’analisi del tessuto, delle fibre, della lavorazione, esclude che il telo sia collocabile per la sua produzione nella Palestina dell’occupazione romana, e affermi che le sue caratteristiche coincidono invece con i manufatti medioevali.

Basterebbe prendere atto che l’impronta di un volto umano avvolto in un lenzuolo, una volta che il lenzuolo venga steso, ha una larghezza pressoché doppia di quella della Sindone – è il noto effetto della maschera di Agamennone, che ciascuno può riprodurre con se stesso – e che lo stesso effetto di «dilatazione» dell’immagine, benché in misura minore, dovrebbe aversi anche per il resto del corpo.

Basterebbe riconoscere che i rivoli di sangue (presunto sangue) avrebbero dovuto colare in direzioni completamente diverse, e del tutto diversi dovrebbero essere i segni (presunti) della flagellazione. Basterebbe prendere atto che la prova regina per ogni datazione di reperto archeologico, quella del carbonio 14, affidata dalla curia di Torino a tre laboratori internazionali di sua scelta, ha dato unanime e inequivocabile risultato: epoca medioevale, tra metà del Duecento e metà del Trecento.

Basterebbe prendere atto che tutti i tentativi per rimettere in discussione questi risultati, scoprendo pollini o monete ad hoc, sono stati tutti ridicolizzati da riscontri critici attenti e circostanziati (che il lettore paziente potrà trovare in questo volume).

Basterebbe non dimenticare che la fede non dovrebbe aver bisogno di reliquie, come non smise mai di sottolineare la Riforma, che stigmatizzava il carattere feticistico e superstizioso di questa come di tante altre «devozioni popolari».

Basterebbe infine ricordare che fu il cardinal Ballestrero, arcivescovo di Torino, a riconoscere che l’esame al carbonio 14 segnava la parola fine ad ogni disputa e doveva essere accettata da tutti i credenti. Ma tutte queste evidenze, ciascuna delle quali già da sé risolutiva, non serviranno a nulla.

Chi oggi vive nell’Italia di Berlusconi e Ratzinger non vive in un paese dell’Europa moderna, tale perché ha metabolizzato tre secoli successivi all’illuminismo, ma in un luogo geostoricamente oscuro e indefinibile, dove l’unica cosa certa è che il modello di razionalità e di scienza, quando va bene, è un’incredibile trasmissione di superstizioni chiamata Voyager, mentre l’accertamento dei fatti, lo spirito critico, l’uso della logica, sono additati urbi et orbi come il nemico e il male da cui libera nos. Amen. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Ebrei deicidi? Risuona nelle parole di monsignor Babini l’antesimitismo congenito dei Cattolici. Per difendersi dalle accuse di pedofilia ogni scusa è buona.

Il vescovo emerito di Grosseto parla al sito cattolico Pontifex
Il Comitato Ebraico Usa chiede alla Cei una condanna formale
Pedofilia, attacco antisemita di monsignor Babini
“Sui media in corso una campagna sionista”
Poi una precisazione dello stesso monsignore: “Mai espresso giudizi antisemiti”

ROMA – Lo scandalo pedofilia sui media non è altro che “un attacco sionista, vista la potenza e la raffinatezza: loro non vogliono la Chiesa, ne sono nemici naturali. In fondo, storicamente parlando, i giudei sono deicidi”. A sostenerlo è il vescovo emerito di Grosseto monsignor Giacomo Babini, in un’intervista pubblicata dal sito Pontifex (che si presenta come un ‘blog di libera informazione cattolica’, e viene definito ‘tradizionalista’ da alcuni e “ultrà’ da altri). Parole che hanno suscitato l’indignazione del Comitato Ebraico Americano, che in un comunicato ufficiale diffuso a New York ha chiesto ai vescovi italiani di condannare immediatamente le dichiarazioni “antisemitiche” di monsignor Babin.

Babini, nella stessa intervista, sempre riferendosi agli ebrei sostiene che “la loro colpa fu tanto grave che Cristo premonizzò quello che sarebbe accaduto loro con il ‘non piangete su di me, ma sui vostri figli'”. Una considerazione che di fatto rilancia l’idea del “deicidio”. Babini inoltre, premettendo che “l’Olocausto fu una vergogna per l’intera umanità”, dice che però Hitler fu mosso dal fatto che gli ebrei avevano strangolato la Germania, provocando la reazione nazista: “Gli eccessi e le malversazioni degli ebrei strozzarono l’economia tedesca”, si legge nell’intervista.

Monsignor Babini non è nuovo a prese di posizione che scatenano forti polemiche. In febbraio, sempre con dichiarazioni rilasciata al sito Pontifex, si era scagliato contro gli omosessuali, sostenendo che la loro è “una pratica aberrante”, un “vizio contro natura”, e schierandosi con gli ecclesiastici che sostengono che gli omosessuali, solo per il fatto di essere tali, non dovrebbero accostarsi alla comunione.

E infatti anche in quest’occasione, rispondendo a una domanda dell’intervistatore, (“Forse ci sta anche la lobby gay?”), afferma: “Non lo dubito, anche loro se possono tirano sulla Chiesa. Bisogna trattare coloro che hanno tendenze omosessuali con delicatezza e senza infierire, con misericordia. Ma accettino serenamente la loro croce e la malattia con santa rassegnazione. Altri invece praticano l’omosessualità e persino se ne vantano. A loro dico che persino gli animali rispettano l’ordine della natura e loro no, da questo punto di vista meglio la regolarità degli animali”.

La precisazione del monsignore. Nel pomeriggio mons. Babini, smentisce seccamente – attraverso un comunicato inviato dalla Cei – di aver mai espresso giudizi antisemiti, dai quali, anzi, prende le distanze. “In ordine ad alcune agenzie che mi attribuiscono dichiarazioni sui fratelli ebrei da me mai pronunciate, preciso che in alcun modo ho espresso simili valutazioni e giudizi da cui prendo nettamente le distanze”. “Rinnovo ai nostri fratelli maggiori nella fede la mia fraterna stima e piena vicinanza, in sintonia con il Magistero della Chiesa costantemente riaffermato dal Concilio Vaticano II in poi”. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto

Sulla pedofilia, il cardinale Joseph Ratzinger non ce la raccontava giusta. Adesso che è papa Benedetto XVI lo deve fare. Adesso.

La missiva del 1985 è firmata dall’allora cardinale che esprime preoccupazione
per gli effetti che un provvedimento avrebbe avuto sul “bene della chiesa universale”
Dagli Usa nuove accuse a Ratzinger
“Non rimosse un prete pedofilo”
Fonti della Santa Sede: “Continuano i tentativi di coinvolgere il Pontefice. Nella ricostruzione ci sono cinque inesattezze”
Il quotidiano canadese The Globe and Mail svela l’intervento del Vaticano per coprire un sacerdote che abusò di 13 minori-repubblica.it

Una lettera del 1985 firmata dal cardinale Joseph Ratzinger dimostra la resistenza opposta dal futuro Papa alla rimozione di un sacerdote californiano, Stephen Kiesle, che aveva molestato dei bambini. Nella missiva, scritta in latino, l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede esprimeva preoccupazione per l’effetto che una la riduzione allo stato laicale del sacerdote avrebbe avuto sul “bene della chiesa universale”. A rivelarlo è l’Associated Press, entrata in possesso di una fitta e lunghissima corrispondenza sul caso tra la diocesi di Oakland e il Vaticano. L’agenzia riferisce che la Santa sede ha confermato la firma di Ratzinger sulla lettera, ma ha rifiutato di commentarne il contenuto: “L’ufficio stampa non ritiene necessario rispondere a ogni singolo documento preso fuori contesto che riguarda particolari situazioni legali – ha detto all’Ap padre Federico Lombardi, portavoce vaticano – Non è strano che ci siano singoli documenti con la firma di Ratzinger”. In seguito il vicedirettore della sala stampa vaticana, padre Ciro Benedettini, ha precisato che “l’allora cardinale Ratzinger non coprì il caso ma, come si evince chiaramente dalla lettera, fece presente la necessità di studiare il caso con maggiore attenzione”.

Le spiegazioni di fonte vaticana. Secondo fonti della Santa Sede, “con accanimento continuano i tentativi di coinvolgere Joseph Ratzinger nello scandalo della pedofilia”. Nella missiva, sostengono, Ratzinger consigliava “di avere la massima cura paterna” non tanto per il sacerdote “quanto per le vittime e per i bambini che mai più avrebbe dovuto poter avvicinare”, definiva gli argomenti a favore della riduzione allo stato laicale di “grande significato”, suggeriva prudenza al vescovo di Oakland, John Cummins, sottolineando di considerare “il bene della Chiesa universale” e il “danno che concedere la dispensa può provocare nella comunità dei credenti in Cristo, in particolare vista la giovane età” del religioso. Il sacerdote, all’epoca trentottenne, era accusato di aver compiuto diversi abusi a cavallo degli anni ’70-’80. Fu ridotto allo stato laicale nel 1987, due anni dopo la lettera. Le fonti aggiungono che il sacerdote non veniva riammesso al lavoro pastorale, tema che comunque non era all’epoca di competenza della Congregazione della Dottrina della Fede, che divenne competente su questi casi nel 2001. I tempi intercorsi si spiegano con la lentezza delle comunicazioni in quell’epoca. E sembra che alcuni commentatori confondano la rimozione di un sacerdote dall’incarico – all’epoca di competenza del vescovo locale – con la riduzione allo stato laicale che deve essere autorizzata dalla Santa Sede.

A questo proposito un esperto di diritto canonico segnala cinque inesattezze nella ricostruzione della vicenda:
1) Nel 1985 la Sacra (allora c’era ancora questo aggettivo per le Congregazioni romane) Congregazione per la Dottrina della Fede non era competente per i casi di pedofilia, ma lo era per le richieste di dispensa dal sacerdozio.
2) Il sacerdote Stephen Miller Kiesle chiedeva appunto la dispensa dal sacerdozio; la richiesta era appoggiata dal vescovo, ma era del sacerdote.
3) Non si trattava quindi di una riduzione allo stato laicale di tipo “penale” (cioè di una punizione per gli atti di pedofilia), ma di una domanda del sacerdote stesso. Non risulta, dalla lettera, se il vescovo aveva intrapreso procedimenti punitivi nei confronti del sacerdote.
4) Era ed è tuttora prassi che non si concedano dispense dal sacerdozio a coloro che le richiedono, se non al compimento dei 40 anni di età (salvo casi particolari, come l’esistenza di figli). Al reverendo Kiesle la dispensa fu concessa nel 1987, cioè proprio quando raggiunse i 40 anni.
5) La responsabilità dell’intera vicenda – e di eventuali ritardi nelle decisioni – non può essere addossata alla Santa Sede, che fino al 2001 non aveva competenza per i casi di pedofilia se non implicavano la “sollecitazione” della vittima nel confessionale.

Nyt e caso Murphy. Il New York Times torna sulla vicenda Murphy e scrive che il sacerdote che negli anni Novanta istruì e avviò il processo canonico contro il prete accusato di aver molestato sessualmente 200 bambini sordomuti in Wisconsin, ha ammesso che gli fu ordinato di fermare il processo nel 1998, dopo una richiesta del Vaticano.

Accuse anche dal Canada. Dal Canada emerge intanto un nuovo caso di abusi ai danni di minori che sarebbero stati compiuti da un sacerdote, le cui azioni sarebbero state “coperte” dalle gerarchie ecclesistiche. La vicenda risale agli anni Novanta ed è stata ricostruita dal quotidiano canadese The Globe and Mail, secondo il quale alcuni vescovi della regione dell’Ontario, alti funzionari vaticani e un nunzio apostolico avrebbero coperto un sacerdote, Bernard Prince, risultato poi colpevole di abusi su tredici minorenni e, per questo, condannato dalla giustizia canadese a quattro anni di reclusione. Non solo: per sottrarlo a eventuali sospetti, Prince fu richiamato a Roma dove ricoprì l’incarico di segretario generale della Pontificia opera missionaria della Propagazione della fede, organismo della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. E ancora, nel 1994 venne elevato al rango di prelato d’onore di Sua Santità. Fu poi Benedetto XVI a ridurlo allo stato laicale, lo scorso anno.

La vicenda raccontata dal The Globe and Mail era già in parte nota al pubblico ma dalla ricostruzione del quotidiano emerge un particolare importante: la lettera che monsignor Jospeh Widle, vescovo di Pembroke – la diocesi dove si erano svolti i fatti – inviò a monsignor Carlo Curis (nunzio in Canada dal 1990 al 1999), nella quale si fa esplicito riferimento alle strategie da mettere in atto per insabbiare la storia prima che danneggiasse gravemente “non solo la Chiesa canadese ma tutta la Santa Sede”. Non solo: dalla lettera emerge anche che informato – almeno in parte – dei fatti era anche l’allora prefetto della Congregazione per il clero, il cardinale Josè Sanchez. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche

‘Sta volta il Papa ha “benedetto” non Urbi et Orbi, ma orbi e ciechi di fronte allo scandalo della preto-pedofilia.

(fonte: ilmessaggero.it)
“Il messaggio di Pasqua del papa ignora lo scandalo degli abusi sessuali”, titola The Times, evidenziando che il pontefice «non ha fatto mea culpa sulla crisi della pedofilia mentre il cardinale Sodano ha insistito sul fatto che la Chiesa non si lascerà intimidire dal chiacchiericcio» delle opinioni dominanti. Nella cattedrale di St. Mary, a Edimburgo, il capo della Chiesa cattolica scozzese Keith O’Brien «ha difeso il Vaticano, affermando che simili problemi dovrebbero essere affrontati a livello locale, ma ha comunque suggerito che il papa dovrebbe tornare a chiedere scusa per la crisi degli scandali sessuali». A Dublino, invece, la messa pasquale è stata segnata dalle proteste dei fedeli: «Alcuni hanno collocato sull’altare delle scarpe da bambino per ricordare le vittime degli abusi. Altri, durante la funzione, hanno gridato “vergogna” all’arcivescovo irlandese Diarmuid Martin», scrive il Times.

Anche il Guardian, in un articolo dal titolo “Il papa incurante degli abusi sessuali sui minori”, sottolinea come, mentre «i vescovi in tutta Europa abbiano approfittato della Pasqua per chiedere scusa e riconoscere i danni causati dagli scandali, il pontefice sia rimasto impenitente». L’unico riferimento al «tumulto» degli ultimi giorni, scrive il Guardian, è giunto dal cardinale Sodano, che ha «lodato il pontefice per la sua fortezza d’animo».

Il Washington Post, in un editoriale di Timothy Shriver, si chiede se «il Papa potrà ristabilire la purezza del cattolicesimo» e paragona la crisi che sta attraversando la Chiesa «allo scandalo Watergate che inghiottì gli Usa negli anni Settanta». Alla fine «il presidente degli Usa fu coinvolto e costretto a lasciare l’incarico. La Chiesa cattolica è su una strada simile per le dimissioni del pontefice?». Shriver è figlio di Eunice Kennedy Shriver, sorella di Jfk, ed è presidente e amministratore delegato di Special Olympics, i giochi riservati ai disabili mentali.

Il New York Times, in un articolo intitolato “Il supporto pasquale per il papa, e qualche scusa”, mette in risalto l’intervento di Angelo Sodano e scrive che «ci sono state espressioni di rimorso sugli abusi da alcuni pulpiti d’Europa». Tuttavia, sottolinea il Nyt, «la feroce difesa del papa fa riferimento alla stessa natura del papato»: chi occupa il soglio pontificio «eredita il trono di Pietro e ha una posizione unica come figura religiosa e leader secolare. Perciò alcuni uomini di Chiesa interpretano il problema del ruolo di Benedetto XVI negli scandali come un attacco alla fede».

In Spagna, El Pais scrive che «la settimana più intensa per la Chiesa si chiude senza riferimenti diretti allo scandalo degli abusi sessuali», mentre «la gerarchia cattolica serra le fila attorno al pontefice», che ha «terminato la Settimana Santa così come l’aveva iniziata: senza pronunciare una sola parola sui casi di abusi sui minori».

In Francia, anche Le Figaro evidenzia come «i cardinali abbiano serrato i ranghi attorno a Benedetto XVI», mentre Le Monde scrive che nel suo messaggio Urbi et Orbi Ratzinger ha fatto riferimento a «un orizzonte di conflitti e catastrofi nel mondo senza evocare la tempesta degli scandali della pedofilia che agita la Chiesa da settimane».

Nella sua Germania, il pontefice occupa la copertina del settimanale Der Spiegel con un titolo tutt’altro che lusinghiero: sopra l’immagine di Ratzinger campeggia infatti la scritta ‘L’infallibile’, ma con un doppio segno di pennarello rosso che cancella il prefisso ‘in’, trasformando l’aggettivo in ‘fallibile’. All’interno il lungo articolo dedicato alla vicenda è significativamente sottotitolato ‘La fallita missione di Joseph Ratzinger’: all’interno si parla di «crisi della Chiesa» e «sdegno sul suo pontificato. Benedetto XVI ha guastato i rapporti con ebrei e musulmani, con molti cattolici e anche con i tedeschi che, al momento della sua elezione, erano così fieri di lui». Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Leggi e diritto Popoli e politiche Salute e benessere Scuola

Cosa succederà dopo che Berlusconi e la Chiesa avranno fatto la pace.

(da blitzquotidiano.it)
……”Pochi forse si porranno la domanda più fastidiosa: quanto costerà all’Italia, in denaro e in libertà, la pace con il Vaticano? Mentre infatti appare difficile che la Chiesa scarichi Berlusconi in mancanza di alternative valide dal suo punto di vista, è verosimile che cerchi di trarre il massimo vantaggio dalla situazione di debolezza del primo ministro per le polemiche sulla sua vita sessuale che hanno dominato l’estate: saranno concessioni di tipo fiscale o a favore della scuola religiosa o degli insegnanti di religione; saranno concessioni in materia di libertà individuali, come la pillola Ru486.

Fronti aperti ce ne sono tanti, incluso l’atteggiamento del Governo, cui la Lega di Umberto Bossi fa da pilota, in materia di clandestini. Nei paesi di loro provenienza la Chiesa è molto impegnata nella sua opera di missione e ottenere qualcosa in questo campo sarebbe un gran colpo d’immagine.” ……(Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Leggi e diritto

Scandaloso Silvio: i vescovi italiani scaricano l’Unto dal Signore.

(fonte:repubblica.it)
Lo sfoggio di un “libertinaggio gaio e irresponsabile” a cui oggi si assiste, non deve far pensare che “non ci sia gravità di comportamenti o che si tratti di affari privati, soprattutto quando sono implicati minori”: lo ha detto il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, monsignor Mariano Crociata, in una omelia pronunciata a Le Ferriere di Latina in occasione di una celebrazione in memoria di Santa Maria Goretti.

“Assistiamo – lamenta il segretario della Cei – ad un disprezzo esibito nei confronti di tutto ciò che dice pudore, sobrietà, autocontrollo e allo sfoggio di un libertinaggio gaio e irresponsabile che invera la parola lussuria salvo poi, alla prima occasione, servirsi del richiamo alla moralità, prima tanto dileggiata a parole e con i fatti, per altri scopi, di tipo politico, economico o di altro genere”.

Secondo monsignor Crociata, con un riferimento che appare in tutta evidenza diretto alle polemiche degli ultimi mesi che hanno coinvolto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, “nessuno deve pensare che in questo campo non ci sia gravità di comportamenti o che si tratti di affari privati; soprattutto quando sono implicati minori, cosa la cui gravità grida vendetta al cospetto di Dio. Dobbiamo interrogarci tutti sul danno causato e sulle conseguenze prodotte dall’aver tolto l’innocenza a intere nuove generazioni. E innocenza vuol dire diritto a entrare nella vita con la gradualità che la maturazione umana verso una vita buona richiede senza dover subire e conoscere anzitempo la malizia e la malvagità. Per questa via – osserva il presule – non c’è liberazione, come da qualcuno si va blaterando, ma solo schiavizzazione da cui diventa ancora più difficile emanciparsi”.

In proposito, mons. Crociata ha citato anche quanto detto di recente dal presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco: ‘Le responsabilità sono di ciascuno ma conosciamo l’influsso che la cultura diffusa, gli stili di vita, i comportamenti conclamati hanno sul modo di pensare e di agire di tutti, in particolare dei più giovani che hanno diritto di vedersi presentare ideali alti e nobili, come di vedere modelli di comportamento coerenti”. (Beh, buona giornata).

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Attualità Società e costume

Il Papa al tempo del “papi”: piazze piene, chiese vuote.

Chiesa cattolica/ Mai stata così forte, ma si avvia all’estinzione per mancanza di preti, dice uno studio
da blitzquotidiano.it

La Chiesa cattolica non è mai stata così forte, non ha mai avuto un consenso così ampio (anche tra chi non crede). Eppure si avvia verso l’estinzione: per mancanza di preti. Lo dice uno studio socio-demografico della Fondazione Agnelli, benedetto dai vescovi italiani , pubblicato dalla rivista MicroMega, diretta da Palo Flores d’Arcais.

Secondo lo studio, la Chiesa, che oggi appare così forte, non è mai stata così debole. Cresce la strana pattuglia degli atei devoti, aumentano i suoi rumorosi difensori politici, ma calano i fedeli. Il papa è applaudito nelle piazze e “passa” spesso in tv, ma le chiese si svuotano. Di più: la crisi di vocazioni sta inaridendo il ricambio dei preti, sempre in minor numero e sempre più vecchi. Allora la Chiesa cattolica romana si sta davvero avviando verso l’estinzione?

L’ipotesi è paradossale. Ma i numeri della scienza statistica danno qualche sostegno al paradosso. Primo shock: i preti diventano sempre più vecchi. L’età media dei sacerdoti diocesani in Italia è ormai di 60 anni. Secondo shock: è sempre più difficile rimpiazzare i preti che se ne vanno. In Italia il 40 per cento di chi esce dalla parrocchia (per pensionamento, per invalidità o per decesso) non viene sostituito. Terzo shock: i preti diminuiscono in tutta Italia.

Oggi sono poco meno di 32 mila i sacerdoti diocesani. I preti erano 69 mila (più del doppio) agli inizi del Novecento, a disposizione di una popolazione di appena 33 milioni di italiani. Insomma: c’era 1 prete ogni 500 abitanti. Oggi la popolazione in Italia ha appena raggiunto i 60 milioni di persone, dunque c’è un prete ogni 2 mila abitanti (per la precisione, 0,53 ogni mille).

Se i preti diocesani non stanno bene, afferma lo studio, non stanno meglio neppure gli ordini religiosi, i frati, i monaci (20 mila persone complessivamente). Statistiche e numeri precisi in questo campo non ce ne sono, ma è un fatto che si svuotano anche le case religiose, i conventi e i monasteri.

In Italia ci sono 26 mila parrocchie. Dunque già oggi nel nostro paese operano, in media, 1,2 preti a parrocchia. Se questo rapporto diminuirà fino ad arrivare sotto l’un sacerdote per parrocchia, le parrocchie rimaste senza prete dovranno chiudere. O si dovranno affidare a preti che stanno nella parrocchia accanto e andranno “in trasferta” a celebrare qualche rito (la messa, la confessione, matrimoni e funerali).

All’estero va anche peggio. Anche in paesi tradizionalmente cattolici come la Spagna e il Belgio: oggi i preti sono solo 0,46 ogni mille abitanti. E ancor più in Francia e Austria: hanno soltanto 0,31 sacerdoti ogni mille abitanti. La Chiesa rischia davvero l’estinzione?

Meno male che c’è il “clero d’importazione”, o “clero immigrato“. In Italia ci sono 1.500 sacerdoti stranieri, nati all’estero ma incardinati nelle diocesi italiane. Mica pochi: sono il 4,5 per cento dei preti diocesani.

Da dove vengono i preti nati all’estero? Dalla Polonia innanzitutto. In totale, sono 232 i sacerdoti prestati all’Italia dal paese di Wojtyla. Poi dallo Zaire: 96. Dalla Colombia: 86. Dall’India: 82. E poi dalla Romania, dal Brasile, dalla Nigeria, dalle Filippine, dall’Argentina, dal Venezuela, dal Congo… Ma anche da Francia, Stati Uniti, Germania, Svizzera…

I preti stranieri sono molto più giovani, hanno un’età media molto più bassa dei locali. Saranno loro la salvezza della Chiesa cattolica?

Come andranno, dunque, le cose tra dieci, vent’anni? Anche se continuassero a entrare ogni anno circa 500 preti, il calo secondo lo studio sarebbe costante, a causa delle uscite. I 32 mila preti di oggi diventerebbero, secondo i calcoli statistici, 28 mila nel 2013, 25 mila nel 2023 (e di questi, 2 o 3 mila saranno stranieri). Le cose andranno peggio se continueranno a calare anche le ordinazioni.

In realtà le cose andranno anche peggio, e per una ragione non religiosa (il calo delle vocazioni), ma prettamente statistica: in Italia c’è una progressiva diminuzione demografica dei maschi. Diminuisce la platea da cui attingere i preti, che per la Chiesa cattolica possono essere solo maschi. Dunque diminuiranno inesorabilmente anche i sacerdoti, anche a tassi di reclutamento costanti.

Dunque – conclude lo studio – la Chiesa cattolica continua dolcemente il suo cammino verso il declino. Sempre più minoranza in una società che apparentemente la applaude, ma in realtà la usa. Per bloccare questa tendenza e almeno stabilizzare il numero dei sacerdoti oggi presenti, dovrebbe verificarsi un incredibile aumento delle vocazioni, con incrementi del 77 per cento nazionale che in alcune regioni, secondo i calcoli degli statistici, dovrebbe essere addirittura del 200 per cento. Sarebbe davvero un miracolo. (Beh, buona giornata).

FONTI INFORMATIVE
Micromega

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Leggi e diritto Popoli e politiche

“Mi chiedo, che c’entra con il messaggio Biblico evangelico l’imposizione a TUTTI, con legge dello Stato di una propria personale intima scelta etica e antropologica?”

di don Andrea Gallo

I tempi sono cattivi, o almeno mutevoli ed aspri. Il volto della Chiesa è tornato arcigno. Il Cardinale Walter Kasper ha detto che dopo la stagione conciliare la Chiesa ha ripreso ad aver paura del proprio coraggio. Abbiamo bisogno di essere in tanti a pensare e credere, a immaginare il futuro ed affrontarlo con gioia e coraggio, senza presunzioni di conquista ma senza timidezze. Un dialogo aperto e franco, nella Carità, è la strada giusta.

Il clima generale della Società e della Chiesa è oggi piuttosto depresso,scoraggiato. Abbiamo molta paura. I giovani temono l’assenza di futuro. Il Vangelo riscaldi il cuore di tutti i Cristiani e lo renda così generoso da sopportare di buon grado tutti i vicini, senza esclusioni,e da amare i lontani…Le accuse, gli insulti, le polemiche, sono sterili, altrimenti si finisce per non vedere neppure più le cose belle e talora straordinarie che pure accadono, nella Chiesa: è mirabilia Dei.

Si vuole una legge sul testamento biologico che nega i principi di libertà e dignità della Persona stabiliti dalla nostra Costituzione.
Siamo davanti ad una feroce truffa.
Mi domando: se tra cento anni i principi bioetici affermati oggi con granitica sicurezza della Chiesa, sostenuta dal centro-destra e da zelanti parlamentari cattolici del PD, UDC, saranno i medesimi, o se invece finiranno per essere rivisti, come lo sono stati i principi della morale “sociale” che sono stati condannati per secoli e che “ora” invece la Chiesa stessa riconosce : libertà di stampa, libertà di coscienza, libertà religiosa e in genere i diritti delle democrazie liberali. Sono pienamente d’accordo con il teologo Vito Mancuso (Repubblica 9-3).

I cattolici intransigenti che oggi parlano della libertà di autodeterminazione definendola “relativismo cristiano”, dovrebbero estendere l’accusa al Vaticano II il quale afferma che “l’Uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà (Gaudium et spes . 17)”
E’ del tutto chiaro che per ogni credente che la libertà non è fine a se stessa ma all’adesione al bene e al vero; ma è altrettanto chiaro che non si può dare adesione umana se non libera.
Dalla libertà che decide non è possibile esimersi, e questo non è relativismo, ma il cuore del giudizio morale.
Da cittadino ultra-ottantenne, cristiano, prete di Santa Madre Chiesa dal 1959, con Papa Giovanni felicemente sulla Cattedra di Pietro, coordinatore di Comunità degli ultimi, dei perdenti, dei sofferenti, non mi sento di cantar vittoria col Ministro Sacconi, al grido:”D’ora in poi non sarà possibile un altro caso Englaro”.
Vorrei citare a questo proposito, il Parroco di Paluzza al funerale di Eluana “Chi sono io per giudicare?”.

I Cristiani non chiedano ai non credenti quello che essi non possono dare: non chiedano atti di Fede, trasformati in Legge nelle loro proprie posizioni legittime. Non chiedano di accogliere convinzioni dogmatiche nella politica,ma sappiano presentare il loro messaggio in termini antropologici tali che i non credenti possano percepire in essi la volontà e il progetto del servizio reso all’Uomo e alla Società.
Che significato abbiano, in questo quadro interpretativo, vite ridotte a pura biologia, è una irrinunciabile interrogazione.
Chi può dire, dalla Gerarchia al Parlamento, alla Scienza di avere le uniche risposte ultimative e convincenti?
Mi chiedo, che c’entra con il messaggio Biblico evangelico l’imposizione a TUTTI, con legge dello Stato di una propria personale intima scelta etica e antropologica?
Il Dio che mi hanno trasmesso e in cui ho imparato a credere, il Dio che nutre la mia difficile, ma amata speranza cristiana, sicuramente non è un Dio che sa dire soltanto NO alla libertà, alla coscienza, ad ogni forma d’autonomia personale. Non è un Dio che fa del dono gratuito della vita, una clava, un carcere.

Desidero con tutto il cuore e doverosamente verificarmi col Vescovo, con le sorelle e i fratelli davanti alla Croce nella prossima Settimana Santa. La porta di San Benedetto è aperta.
Decisamente affermo, anche con sofferenza,: non sono disponibile per nessuna “crociata”integralista.
E’ per imitare, anche se malamente, l’atteggiamento misericordioso di Cristo che rinnovo oggi il mio Battesimo Cristiano, altrimenti la mia appartenenza alla Chiesa non avrebbe senso. (Beh, buona giornata).

Don Andrea Gallo
Coordinatore Comunità San Benedetto al Porto

Genova, 28 marzo 2009

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Attualità Popoli e politiche

Quando il Papa parla.

di BARBARA SPINELLI da lastampa.it

C’è forse una parte di verità in quello che si dice delle ultime parole e azioni di Benedetto XVI: comunicare quel che pensa gli è particolarmente difficile. Sempre s’impantana, mal aiutato da chi lo circonda. Sempre è in agguato il passo falso, precipitoso, mal capito. Il pontefice stesso, nella lettera scritta ai vescovi dopo aver revocato la scomunica ai lefebvriani, enumera gli errori di gestione sfociati in disavventura imprevedibile. Confessa di non aver saputo nulla delle opinioni del vescovo Williamson sulla Shoah («Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l’Internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema»). Ammette che portata e limiti della riconciliazione con gli scismatici «non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro». Poi tuttavia sono venuti altri gesti, e l’errore di gestione non basta più a spiegare. È venuta la scomunica ai medici che hanno fatto abortire una bambina in Brasile, stuprata e minacciata mortalmente perché gravida a 9 anni.

La scomunica, che colpisce anche la madre, è stata pronunciata da Don Sobrinho, arcivescovo di Olinda e Recife: il Vaticano l’ha approvata. Infine è venuta la frase del Papa sui profilattici, detta sull’aereo che lo portava in Africa: profilattici giudicati non solo insufficienti a proteggere dall’Aids – una verità evidente – ma perfino nocivi. C’è chi comincia a vedere patologie. Una quasi follia, dicono alcuni. L’ex premier francese Juppé parla di autismo. Sono spiegazioni che non aiutano a capire. C’è del metodo in questa follia. C’è il riaffiorare possente di un conservatorismo che ha seguaci e non è autistico. Sono più vicini al vero coloro che stanno tentando di resuscitare il Concilio Vaticano II, nel cinquantesimo anniversario del suo annuncio, e vedono nella disavventura papale qualcosa di più profondo: l’associazione Il Nostro 58, sorretta da Luigi Pedrazzi a Bologna, considera ad esempio la presente tempesta una prova spirituale.

Una prova per il Papa, per i cattolici, per la pòlis laica: l’occasione che riesumerà lo spirito conciliare o lo seppellirà. Non si è mai parlato tanto di Concilio come in queste settimane che sembrano svuotarlo. Le figure di Giovanni XXIII e Paolo VI risaltano più che mai. Chi legga l’ultimo libro di Alberto Melloni sul Papa buono capirà più profondamente quel che successe allora, che succede oggi. Capirà che quello straordinario Concilio è appena cominciato, e avversato oggi come allora. Quando Papa Roncalli lo annunciò, il 25 gennaio ’58 nella basilica di San Paolo, solo 24 cardinali su 74 aderirono (7 nella curia). Inutile invocare un Concilio Vaticano III se il secondo è ai primordi. Eppure son tante le parole papali che contraddicono errori, avventatezze. Il filosofo Giovanni Reale sul Corriere della Sera ne ricorda una: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Enciclica sull’Amore). Se in principio non c’è un dogma ideologico diventa inspiegabile la durezza vaticana sul fine vita, conclude Reale. Diventa inspiegabile anche la chiusura su profilattici e controllo delle nascite in Africa, dove Aids e sovrappopolazione sono flagelli. In realtà il Papa sostiene, nella lettera ai vescovi, che «il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini, e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento».

È un annuncio singolare, perché chi certifica la catastrofe? E il certificatore non tenderà a un potere fine a se stesso? Se Dio davvero scompare, tanto più indispensabile è l’autorità del suo vicario: una tentazione non del Papa forse – che nell’orizzonte nuovo pareva credere – ma di parte della Chiesa. L’auctoritas diventa più importante dell’incontro con Gesù: urge affermarla a ogni costo. Così come più importante diventa la gerarchia, rigida, astratta, dei valori. In un orizzonte vuoto non restano che astrazione e potere. L’arcivescovo brasiliano afferma il monopolio sui valori, innanzitutto: «La legge di Dio è superiore a quella degli uomini»; «L’aborto è molto più grave dello stupro. In un caso la vittima è adulta, nell’altro un innocente indifeso». E si è felicitato degli elogi del cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione dei vescovi. Né Sobrinho né Re vedono l’uomo: né l’uno né l’altro vedono che la bambina ingravidata non è adulta. Non vedono l’essere umano, il legno storto di cui è fatto: proprio quello che invece vide Giovanni XXIII, alla vigilia del Concilio. Melloni ricorda l’ultima pagina del Giornale dell’Anima di Roncalli, scritta il 24 maggio ’63, pochi giorni prima di morire: «Ora più che mai, certo più che nei secoli passati, siamo intesi a servire l’uomo in quanto tale e non solo i cattolici; a difendere, anzitutto e dovunque, i diritti della persona umana e non solo quelli della chiesa cattolica. (…) Non è il Vangelo che cambia: siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio». Comprenderlo meglio era «riconoscere i segni dei tempi».

O come dice Melloni: indagare l’oggi. Vedere nell’uomo in quanto tale il vangelo che parla alla Chiesa, e «non semplicemente il destinatario del messaggio, o il protagonista di un rifiuto, ovvero – peggio ancora – il mendicante ferito di un “senso” di cui la Chiesa sarebbe custode indenne e necessariamente arrogante» (Papa Giovanni, Einaudi, 2009). Questi mesi erranti e maldestri sono una prova perché gran parte della Chiesa non pensa come il Papa: dà il primato alla libertà, alla coscienza, sul dogma. Indaga l’oggi, specie dove l’uomo è pericolante come in Africa o nelle periferie occidentali. Ricordiamo Suor Emmanuelle, che a 63 anni decise di vivere con gli straccivendoli nei suburbi del Cairo, e un giorno scrisse una lettera a Giovanni Paolo II in cui illustrò la necessità delle pillole per bambine continuamente ingravidate. Lo narra in un libro scritto prima di morire (J’ai 100 ans et je voudrais vous dire, Plon). Distribuiva profilattici senza teorizzare su di essi. Giovanni Paolo II non rispose alla lettera. La sintonia con Ratzinger era forte. Ma il silenzio ha un pregio inestimabile, è un’apertura infinita all’umano. Suor Emmanuelle gli fu grata: disse che il suo silenzio era un balsamo. È il silenzio che oggi manca in Vaticano. Il silenzio che pensa, ha sete di sapienza, ascolta. Che non vede orizzonti vuoti. Il Vangelo è sempre lì, va solo compreso meglio. Contiene una verità che sempre riaffiora, quella detta da Gesù a Nicodemo: «Lo spirito soffia dove vuole. Ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va» (Giovanni 3,8). Soffia come il fato delle tragedie greche: innalzando gli impotenti, spezzando l’illusione della forza. Chi fa silenzio o è solitario lo lascia soffiare, afferrato dal mistero.

In Africa, il Papa ha accennato al «mito» della sua solitudine, dicendo che «gli viene da ridere», visto che ha tanti amici. Perché questo ridere? Come capire il dolore umano, senza solitudine? Cosa resta, se non l’ammirazione della forza (la forza numerica dei lefebvriani, evocata nella lettera del 12 marzo) e l’oblio di chi, impotente, incorre nell’anatema come il padre di Eluana, la madre della bambina brasiliana, i malati che si difendono come possono dall’Aids? Per questo quel che vive il Papa è prova e occasione. Prova per chi tuttora paventa gli aggiornamenti giovannei, e sembra voler affrettare la fine della Chiesa per rifarne una più pura. Prova per chi difende il Concilio come rottura e riscoperta di antichissima tradizione. La tradizione del rinascere dall’alto, dello spirito che soffia dove vuole: vicino a chi crede nei modi più diversi. (Beh, buona giornata).

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