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Quei librai di terza generazione.

Conversando con Barbara e Francesco Dante, titolari della Libreria Rotondi, fondata a Roma nel 1941.

[di Marco Ferri – pubblicato su Memo, Grandi Magazzini Culturali]

Barbara e Francesco Dante.

-Che vuol dire essere un libraio oggi,  chiedo a Francesco Dante, che insieme a sua cugina Barbara, gestisce la Libreria Rotondi, al civico 82 della famosa via Merulana, la strada  di “quer pasticciaccio brutto” di Carlo Emilio Gadda. La via che congiunge San Giovanni in Laterano con Santa Maria Maggiore, due delle sei basiliche papali di Roma; la via in cui affaccia il mitico Teatro Brancaccio, dove un murale ricorda Gigi Proietti, che ne fu direttore artistico; la strada che divide il Colle Oppio, che sovrasta il Colosseo, dalla famosa piazza Vittorio, che sarebbe Vittorio Emanuele II, ma i romani  abbreviano, non c’hanno mica tempo da perdere. Qui inizia la mia conversazione con i librai di terza generazione.

-Una volta c’erano pochi libri e molto lettori, dice Francesco Dante. Oggi è il contrario, troppi libri, meno lettori. E un lettore va aiutato a districarsi nelle mangrovie del marketing editoriale, va ascoltato, consigliato. Essere un libraio è come sentirsi Virgilio che accompagna Dante nel viaggio della conoscenza.

-Te ne approfitti perché ti chiami Dante, gli dico a bruciapelo. E Barbara e Francesco scoppiano a ridere. Il fatto è che gli ottanta anni della Liberia Rotondi, oggi gestita dai cugini Dante coincidono con i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri. Ma il mio è solo un calambour, per animare la conversazione e rendere loro più agevole il parlare di se stessi.

Chiedo a Barbara: -Che cos’è una libreria, oggi, ai tempi del digitale, attraverso il quale ormai libri si possono scaricare su un dispositivo elettronico o farseli portare a casa attraverso l’e-commerce?

-La nostra formula – dice Barbara, è essere specializzati in volumi di pregio, ma non di antiquariato, anche se abbiamo volumi preziosi. Non siamo una libreria generalista, il negozio è organizzato per aree tematiche, con titoli importanti, spesso edizioni pregiate, fuori catalogo, che offriamo al pubblico in un ambiente caldo, intimo, confortevole, dove aleggia la sensazione del bello. 

-Una formula magica, dico io che amo molto questo luogo in cui regna armonia e anche i rumori esterni sembrano abbassare i toni al suono della musica classica di sottofondo. 

-Ci piace molto l’idea di un luogo caratterizzato dalla magia della conoscenza, come un appartarsi dalla frenesia, dal frastuono e dal vociare della vita esterna che scorre magmatica lungo via Merulana. Chi entra qui trova momenti di intimità fra i propri interessi, le proprie curiosità, e può passare un lasso di tempo da dedicarsi, come se il tempo riprendesse il suo giusto scorrere, placato, pacato, appagante. Una sensazione che ognuno può portarsi a casa, come rimanesse attaccata a un bel libro perché è anche bello, un oggetto il cui contenuto sia ben custodito dalla forma, come se la magia del luogo ove è stato acquistato continuasse il suo effetto nei momenti che verranno dedicati alla lettura.

-C’è un pizzico di esoterismo in questa visione del rapporto tra cliente e libreria, che continua tra libro e lettore. 

-In effetti – dice Barbara – Amedeo Rotondi, il fondatore, è stato uno studioso di esoterismo. E la cosa gli procurò fastidi da parte della polizia all’epoca del fascismo. Mi dice che venivano ogni tanto gli agenti della famigerata Ovra, la polizia politica fascista, e spesso sequestravano opere ritenute contrarie al regime. Che puntualmente Rotondi poi ritrovava sulle bancarelle di Porta Portese (il celeberrimo mercato delle pulci di Roma) e se le ricomprava. Racconta Francesco:

– Amedeo Rotondi, (il libraio della prima generazione, ndr) era un maestro elementare. Acquistò questa libreria nel 1941 e la gestì insieme alla moglie. Era stato ufficiale dell’esercito in congedo, per questo, dopo l’8 settembre del ’43, venne richiamato in servizio dalla Repubblica di Salò. Ma, come tanti altri, egli si rifiutò di aderire,  e come renitente alla leva dovette nascondersi. Se non che un giorno dovette letteralmente darsi alla fuga per non essere catturato durante un rastrellamento. Rischiava la pena di morte, sorte che toccò, infatti, a quarantina di uomini catturati proprio in quelle ore. Ma lui riuscì, roccambolescamente, a dileguarsi. E ha sempre attribuito a questo episodio un valore di premonizione.

-Alla fine della guerra, continua Barbara, trasformò la libreria in un punto di riferimento delle sue teorie, alle quali dedicò molti dei suoi scritti, pubblicati dalla casa editrice “Libreria Rotondi”, ma anche da altri editori, e questo permise che Amedeo Rotondi, con i suoi pseudonimi Vico di Varo e Amedeo Voldben, fosse pubblicato e tradotto in varie lingue. Un’attività intellettuale intensa, tanto che il suo  nome  compare negli archivi storici come scrittore e filosofo, studioso di tematiche spirituali ed esoteriche.

-Quanto pesa questa lunga storia sulla libreria di oggi?, chiedo.

-Non è mai stato un peso, ma uno stimolo, dice Francesco. Pensa che fondò un giornale, “Il Corriere Librario”, che metteva in contatto chi voleva vendere libri con chi cercava quei testi, con tanto di brevi sinossi, un vero e proprio antesignano delle piattaforme di vendita diretta.  

Quando Amedeo Rotondi si ammalò, chiese allo zio di Francesco, il padre di Barbara, di prendere le redini della libreria. 

-Siamo quindi alla seconda generazione, dico. 

-La seconda generazione, rappresenta la responsabilità di portare avanti un’esperienza che con passione e generosità era stata condotta dal fondatore. Mio padre – dice Barbara-, pur distante dalle tematiche esoteriche, ha affrontato questa avventura, venendo da tutt’altra professione. (Tuttavia, facendo leva sulla sua cultura e stimolato dalla voglia di fare di Francesco, all’epoca studente di filosofia, sono riusciti ad ampliare l’offerta, pur rimanendo nell’area della specializzazione in testi antichi, pregiati, fuori catalogo, mantenendo la continuità senza rinunciare ai cambiamenti. La seconda generazione non ha perso i clienti di Rotondi, anzi ne ha conquistati altri.

-Quando arrivi tu, Barbara, comincia la storia della terza generazione. Quando succede?

-Alla fine del 2019, mio padre si ritira e io subentro, affiancando Francesco. Anch’io facevo tutt’altro mestiere, venivo dal Centro sperimentale di cinematografia di Roma, mi occupavo dei festival del cinema.

-Aspetta un attimo. Mi state dicendo che i primi passi della terza generazione sono avvenuti in piena pandemia?

-Sì, dice Francesco. Siamo stati chiusi subito, nei primi mesi del 2020, come tutti. Poi, poco dopo, fu permesso alle librerie di riaprire, e abbiamo cominciato la terza avventura.

-Un nuovo inizio contro tendenza, dico  Una libreria indipendente, in epoca digitale, come non bastasse in era pandemica, con il boom dell’e-commerce? Neanche un salmone che risale la cascata  riuscirebbe a risalire la corrente con tutti questi ostacoli. 

-Non ci siamo spaventati, dice Francesco.  Abbiamo riaperto e utilizzato il tempo per risistemare le cose secondo la nuova visione della nostra offerta, catalogando i libri che avevamo in magazzino, risistemando gli scaffali, creando reparti specifici, lavorando a rendere questo luogo più confortevole. I clienti ci hanno premiato.

-Il lavoro del libraio, dice Barbara, non si svolge solo durante l’orario di apertura al pubblico. C’è la gestione del catalogo, la ricerca e la selezione dei volumi da offrire ai lettori, le relazioni con enti culturali, pubblici e privati, l’organizzazione delle presentazioni e la partecipazione agli eventi in cui siamo invitati, il contatto coi clienti  attraverso i social.

-Cosa è cambiato col tuo ingresso?, le chiedo. 

-Oggi, insieme ai libri, offriamo collezioni: ceramiche artistiche, giochi da tavolo di prestigiosa fattura e una deliziosa serie di Kokeshi, le famose bambole giapponesi. Tutte cose che amano stare vicino ai libri, che contribuiscono alla cura del bello Libri belli e cose belle da regalare e regalarsi.

Quando il nostro incontro si conclude, mi ritrovo a pensare a questo luogo, alla convivenza tra vecchio e nuovo, a riflettere sulla vera e propria commistione tra memoria ed entusiasmo, alla  una sana incoscienza del pericolo di una concorrenza fortissima della grande distribuzione libraria e dell’e-commerce. Ma a Roma si dice: “chi non risica non rosica” chi non rischia non vince. E Francesco e Barbara mica sono in via Merulana per caso. 

A chi ama i libri e frequenta librerie e biblioteche, non può sfuggire che sì, c’è qualcosa di magico in questa libreria, guidata da una capace e ostinata terza generazione di librai. 

Roma, 14 maggio 2021

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Attualità

Che stai leggendo?

“Che stai leggendo?” era la domanda che Emanuele Pirellati rivolgeva quando, esaurito il tema della conversazione, in genere incentrato su questioni di lavoro, voleva intrattenersi ancora un po’. Scambiarsi titoli di libri e parlare del loro contenuto è il modo migliore di diffondere l’importanza di quel testo in particolare, di quell’autore in generale. Se non ne hai mai sentito parlare, ti vien voglia di conoscerlo. Se lo conosci, ti conferma nei tuoi giudizi o ti propone un’inaspettata visione delle cose.

È così, d’altronde, che funziona la pubblicità, quella buona, quella arguta, che dovrebbe stimolare un tam-tam spontaneo. Non è facile, e a giudicare da una diffusa sciatteria di cui ci fa dono al giorno d’oggi la comunicazione commerciale, la stimolazione del passaparola non è nemmeno lontanamente perseguita: vince la grancassa, la caciara, la ripetizione ossessiva e cacofonica.

Che, tra l’altro, è tutto il contrario del tempo della lettura, che è invece silenzioso, concentrato, avulso dal contesto frenetico della vita consumata dal consumismo. Ho sentito dire da una soubrette protagonista di un reality che era vietato portarsi i libri sull’isola, perché i libri non permettono di socializzare. Non so se mi spiego.

Una volta, quando era più piccola, la più piccola delle mie figlie mi chiese il perché avrebbe dovuto dedicarsi alla lettura di un libricino che le avevo appena regalato. Le risposi: “Leggere serve solo a pensare, parlare e scrivere; per il resto si potrebbe anche farne a meno”. Attualmente, sembra descrivere l’attitudine di molti, in un paese in cui pare ci siano pochi lettori.  A ripensarci, tuttavia, non è proprio così, perché tutti leggono quello che di scritto passa loro davanti agli occhi. Se è vero che il nostro cervello, il grande magazzino delle nostre esperienze, funziona attraverso impulsi elettrici, leggere una parola, una frase, un post, un articolo di giornale o un libro è come attaccare il filo dei nostri pensieri a una presa elettrica, che accende nuove idee.

Nell’introduzione al suo monumentale, quanto avvincente “La cultura degli europei”, Donald Sassoon racconta che una mattina di un giorno del 2000 nella metropolitana di Londra ha osservato come i passeggeri trascorressero il tempo, forse neppure consapevolmente a sbirciare chi un giornale free press, chi gli annunci pubblicitari affissi nelle stazioni che via via il treno attraversava. In buona sostanza, Sassoon dice che viviamo in un’epoca in cui tutti sono in grado di leggere. Non era così fino almeno a una buona metà del XX secolo. Insomma, leggere è il primo approdo alla cultura.

Più recentemente, partecipando a un festival letterario in Italia, alla domanda di un cronista se le cose fossero ancora così nonostante l’avvento del digitale, Sassoon ha risposto, in un buon italiano, che ai nostri giorni le persone leggono molto più di prima. Magari attraverso gli smartphone, persone di tutte le età leggono e scrivono molto più di prima. I social, le chat sono utilizzabili solo sapendo leggere e scrivere. Per Sassoon le vie della cultura – come quelle del Signore – sono infinite.

D’altronde, se ci pensate bene, se le persone non leggessero, le fake news non circolerebbero con la velocità stratosferica con cui attraversano il web per deflagrare poi nel mondo reale.

Una volta Pier Paolo Pasolini disse che se ti dedichi con cura alla lettura, a un certo punto ti rendi conto che vengono in mente più facilmente sostantivi, aggettivi, verbi e avverbi coi quali, come per magia, scopri, ascoltandoti o rileggendo quello che stai scrivendo, di saper dire con chiarezza cose che nella tua mente sembravano fino a quel momento ancora confuse.

In effetti, si sente dire che aprire un libro è aprire la mente, che leggere è leggersi. Ovviamente, dipende da che autore, da che libro, da quale formazione culturale si proviene. Tuttavia, non c’è dubbio che noi apprendiamo attraverso la parola scritta. Dunque, la formazione culturale di ciascuno è direttamente proporzionale alla lettura.

Se, dunque, grazie al diritto all’istruzione cui tutti possono accedere, leggere è come fosse un atto involontario, come il battito del cuore, o le sensazioni che ci restituiscono i cinque sensi e se, addirittura, come sostiene Oliver Sacks noi pensiamo parole e con loro parliamo e ascoltiamo il nostro inconscio, perché si sostiene che oggi la “gente non legge”?

Se “leggiamo” i fatti, scopriamo che in Italia ci sono molte più biblioteche che librerie. In Italia ci sono poco più di 3.670 librerie (fonte: libraitaliani.it). La città che ne conta di più è Roma, con 476 negozi. Se teniamo conto che molti di questi sono “cartolibrerie”, il rapporto tra abitanti e accesso all’acquisto dei libri è ridicolo. Il numero delle biblioteche è di oltre 18 mila sul territorio italiano. La più grande è a Firenze: la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze conta 8.784.500 volumi. Quella di Roma, 4.712.250 volumi; quella di Napoli 2.002.200; quella di Milano 1.500.000 volumi. (Fonte: anagrafe.iccu.sbn.it).  Dunque, non è vero che “la gente non legge”.

Per esempio, il circuito delle Biblioteche comunali di Roma, sistema che fu fondato da Renato Nicolini nella seconda metà degli anni Settanta, ha la peculiarità di ramificarsi nelle periferie.  Queste biblioteche di quartiere sono molto frequentate, sono una presenza capillare nella città più grande d’Italia, nelle quali si possono incontrare studenti che preparano gli esami, ma anche genitori che accompagnano figli piccoli a ritirare libri per ragazzi, anziani che leggono giornali e riviste, o giovani coppie che prendono in prestito un film per la sera. La cosa notevole è il sistema di distribuzione: si può scegliere un volume dal catalogo e chiedere di farlo recapitare nella biblioteca più vicina.

Secondo Tullio De Mauro la capillare presenza di luoghi di lettura è essenziale alla vita sociale, civile e democratica di un paese. Più biblioteche, più librerie, più salubre convivenza. In uno dei suoi libri, De Mauro cita l’episodio di un suo collega inglese che venne in visita a casa sua, a Roma. Egli rimase molto colpito dalla biblioteca personale di De Mauro, e gliene chiese ragione, dicendo che lui utilizzava abitualmente la biblioteca della sua università e quindi non sentiva la necessità di riempire casa di volumi.

De Mauro ha scritto anche che l’aumento delle biblioteche favorisce la lettura e quindi stimola l’acquisto. E che gli edifici scolastici dovrebbero rimanere aperti sia nel pomeriggio che la sera, per ospitare corsi di apprendimento, letture collettive, formazione culturale anche per gli adulti. Non credo ci sia altro modo per contrastare il cosiddetto analfabetismo di ritorno.

C’è chi ha una certa repulsa verso gli e-book. Si sente dire dell’odore della carta, del frusciare delle pagine. In realtà, non si legge un libro come oggetto, ma un autore, una storia, un ragionamento, una teoria. Perdiamo la percezione dell’oggetto che abbiamo tra le mani, sia un volume o lettore digitale, quando siamo coinvolti in un romanzo o in un saggio. Al netto delle abitudini personali, il contenuto è sempre più decisivo del contenitore. D’altronde, si è cominciato a leggere sulla roccia, poi sulla cera, sul papiro, sulla carta fatta dagli stracci, e poi dalla cellulosa del legno, poi dal riciclo della carta e infine in digitale.  Con un poco di allenamento, ci si abitua a passare dalla carta a un e-book e viceversa, senza disagi.

A proposito di abitudini. Preferisco leggere seduto al tavolo, così posso prendere appunti, a matita, su un quaderno. È come sentirsi sempre in autoformazione. Ma leggo anche sdraiato, a letto o sul divano. A volte leggo camminando, per sgranchire le gambe. Cambiare luoghi mi aiuta a superare l’affievolimento dell’attenzione, ecco perché mi piace leggere al bar, davanti a un calice di vino, in mezzo al trambusto, che costringe a una maggiore concentrazione. Viaggiare con un libro aiuta ad accorciare le distanze, e a non dare peso ai ritardi.  Mi succede di prendere un libro da una libreria pubblica, appuntare dei brani e condividerli sui social. Una specie di “economia circolare” della lettura.

Quando si legge un libro digitale, all’inizio manca la possibilità di avere sempre presente la copertina, la costa, il sommario. Invece, le copertine sono importanti, aiutano gli occhi a trovare quello che cerchi in libreria, in biblioteca e, anche sul web. Quando posto citazioni, allego sempre l’immagine della copertina. Mi aiuta a ritrovare più facilmente nel registro delle attività le citazioni già pubblicate.

Parlare di libri letti è un bel modo di coltivare la stima, l’amicizia, l’amore.

Negli anni Sessanta dello scorso secolo, Howard Gossage, – copywriter di origini canadesi, citato da Marshal McLuhan e soprannominato “il Socrate di San Francisco” dai pubblicitari dell’era dei “Mad Men”- fu un pubblicitario che credeva nella comunicazione no profit.  Uomo dotato di intelligenza e arguzia, le due caratteristiche che fanno della comunicazione di massa qualcosa di importante, ebbe a dire: “È un fatto assodato che la gente non legge la pubblicità. La gente legge solo quello che la interessa. Qualche volta si tratta di un annuncio pubblicitario”.

Forse è proprio questo il motivo, spesso imperscrutabile, per cui un libro ha più successo di un altro. Ma, siccome uno legge – appunto – solo quello che gli interessa davvero, più che le classifiche dei best seller, valgono i consigli delle persone di cui si ha stima. Il che rimanda a quella domanda fatidica: “Che stai leggendo?”. (pubblicato su www.grandimagazziniculturali.it)

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Cultura libertà, informazione, pluralismo, Media e tecnologia

LA RAI TAGLIA LA FILOSOFIA. CON UN OLE’

Radio Due interrompe “ Così parlò Zap Mangusta ”, l’unico programma di Radio Rai sull’argomento. Al suo posto lezioni di spagnolo e l’ Ottovolante

di Giulio Gargia

Un milione di Podcast scaricati, un prestigio indiscusso, una comunità di ascoltatori e di followers in crescita costante. Si chiamava “ Così parlò Zap Mangusta” ed era l’unica trasmissione di filosofia sulle reti di radio RAI. Andava in onda tutti i giorni alle 15 su Radio Due. Ironica, scoppiettante, piacevole, faceva cultura intrattenendo. Insomma, aveva tutte le modalità che dovrebbero caratterizzare un servizio pubblico degno di questo nome. E quindi, evidentemente andava chiusa. Dal 3 settembre, non c’è più il quarto d’ora in cui Zap Mangusta, conduttore e scrittore di libri sulla filosofia, intratteneva il pubblico di Radio Due. Nessuna comunicazione ufficiale, sui blog della RAI campeggia da mesi la dizione “ pausa estiva “, e nessun dirigente ha pubblicamente annunciato la sua uscita dal palinsesto. Per ora, al suo posto, vanno in onda lezioni di spagnolo e poi un programma comico. Mentre sulla pagina Facebook comincia a montare la protesta, e dal web arrivano i primi segnali che la comunità di Zap non si rassegnerà così facilmente a farsi privare di una delle poche trasmissioni decenti che giustificano il pagamento di un canone. E così si annunciano “ under costruction “ 2 siti, http://www.facebook.com/pages/cos%C3%AC-parl%C3%B2-zap-mangusta/255101704517563 dove a breve si decideranno le contromosse.

Si stanno preparando infatti 3 incontri con il conduttore, uno a Napoli il 29 settembre, uno a Reggio Emilia il 5 ottobre e uno a Milano in data da stabilire.

Il nostro giornale, intanto si fa portatore della richiesta di molti ascoltatori di un appello da firmare on line, da mandare alla Tarantola, al DG Gubitosi, ai consiglieri del CdA e a Flavio Mucciante, responsabile di Radio Due che chiede il ritorno in onda della trasmissione.

Il direttore di Radio Due spiega così la sua decisione :

” Non si tratta di una sospensione ma del completamento di un progetto. Radio2 è oggi, forse, l’unica rete di intrattenimento a Pokies veicolare contenuti importanti, come la filosofia, che ha rappresentato per noi un grosso impegno produttivo, che non si esaurisce ”.

D – in che senso “non sospensione, ma completamento di un progetto” ?
R – Che la trasmissione faceva parte di una serie di progetti
culturali, modulati secondo la nostra missione editoriale, che è
l’intrattenimento

D – Cioè è finito il ciclo delle trasmissioni previste ?
Si. Il palinsesto si chiude a fine giugno con alcune trasmissioni che
si protraggono per alcune settimane, come avvenuto per Zap

D – Il conduttore lo sapeva ? Era avvertito che quella di fine giugno era l’ultima trasmissione ?
R – Zap è stato avvertito con mesi di anticipo,considerando che il
palinsesto autunnale è partito il 10 settembre

D – Agli ascoltatori è stato comunicato ?
R – Agli ascoltatori è stato annunciato nelle modalità consuete…con
comunicati che illustrano la nuova programmazione

D – Insomma, si può dire che la RAI è un’azienda senza più filosofia ?

R – No, questo no. Sull’esperienza di “Così parlò Zap Mangusta” abbiamo, infatti, realizzato una enciclopedia radiofonica a disposizione di tutti, collezionabile gratuitamente in podcast. Al momento sono disponibili oltre cento puntate ma nei prossimi giorni inaugureremo un sito dedicato, diviso per macro aree storiche e di “pensiero” con 450 download e contenuti extra con la filosofia di ogni tempo, di facile consultazione e catalogazione, a testimonianza della positiva onda lunga della trasmissione, che ha certamente rappresentato una novità significativa e di successo ”

Già, tutto vero. Rimane però la domanda degli ascoltatori. “ Ma allora, perchè l’avete chiusa ? ”

da www.3dnews.it

L’APPELLO

Testo dell’appello da inviare a 3dinfonews@gmail.com :

“ Diffondere la cultura della qualità è il primo dei biglietti da visita del servizio pubblico. Attraverso l’informazione corretta e autorevole, l’intrattenimento intelligente e l’educazione informale si può favorire la costruzione di modelli positivi ” . Annamaria Tarantola, presidente RAI, al Prix Italia – 17 settembre 2012.

Proprio perchè crediamo in queste parole invitiamo la Radio Due a NON TAGLIARE LA FILOSOFIA e restituire al più presto agli ascoltatori la trasmissione “ Così parlò Zap Mangusta ”, unico esempio del genere in onda sulle reti radiofoniche. (Beh, buona giornata)

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Cultura Dibattiti Marketing Media e tecnologia Pubblicità e mass media Società e costume

Pirella c’

Emanuele Pirella, 1940-2010.
Per Emanuele Pirella, la pubblicità doveva essere tangibile, criticabile, condivisibile. E un prodotto andava scelto per simpatia, per affetto, per amore, per stima della marca che lo commercializza.

Questa impostazione culturale e professionale è stata una cifra precisa, riconoscibile, direi una costante del segno che Emanuele Pirella ci ha lasciato, quando ci ha lasciato due anni fa.

E fa per niente impressione che le sue parole trovino piena cittadinanza nell’attualità: l’impoverimento culturale delle agenzie di pubblicità italiana ha toccato i minimi storici, ormai completamente fuori combattimento dal dibattito, non dico culturale, ma neppure sulla società o il costume.

E allora, alla maniera del meccanismo del rovesciamento, tanto caro alla buona pubblicità, non è stato Pirella a mancare due ani fa alla pubblicità italiana, ma l’esatto contrario: in effetti, la pubblicità italiana non c’è più, mentre VolumePills Emanuele Pirella è molto presente nella formazione culturale, nella mentalità aperta, nello stile di lavoro di chi considera il linguaggio creativo un modo stimolante per veicolare pensieri, produrre concetti, creare occasioni ghiotte di comunicazione, capaci di svicolare, surfare, sgambettare, arrampicarsi, volteggiare, scantonare in ogni media: cose che rimangano nella mente dei lettori, perché argute, intelligenti, intriganti, che esse siano lette su un autorevole quotidiano o su un sms; dette dallo speaker di uno spot o colte al volo su un twitter.

L’unica chance che la pubblicità italiana ha per tornare a essere un luogo sano sta nel sottrarsi alle evasioni di genere o alle strategie narrative postmoderne, cercando invece di dire qualcosa di intelligente, di autentico, scritto bene, sulla nostra epoca. Consapevoli di correre il rischio dell’innovazione, questo è l’impellente compito dei creativi pubblicitari italiani. Con Emanuele nel cuore. Beh, buona giornata.

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Attualità Teatro

Ma che c’è da ridere?

«Sinceritù»… Quando il comico fa notizia Parla De Carlo, un giornalista sul palco
di Silvia Garambois-l’unità

Si scrive «Sinceritù», si legge alla romana «s’in c’eri tu», è l’ode di una velina promossa in Parlamento,sulle note di «Sincerità» di Arisa. È uno dei pezzi di Francesco De Carlo, giornalista salito sul palco.

Le inchieste? Ci sono le Iene, il Gabibbo… L’informazione? Per fortuna c’è Sabina Guzzanti, e poi Daniele Luttazzi, anche Maurizio Crozza… Ma allora i giornalisti che fanno? È stato più o meno riflettendo su come va il mondo che Francesco De Carlo, coordinatore di un perio-dico sulle questioni dell’informazione, con all’attivo qualche querela per i suoi articoli sui guai di viale Mazzini, a trent’anni ha deciso che era arrivato il momento di scegliere: ha chiuso il blocchetto degli appunti, posato la penna, ed è salito su un palcoscenico. Meglio il comico del giornalista.

Non ci va leggero, De Carlo: «Guarda la tv: c’è Zelig, che dovrebbe far ridere e non mi fa ridere. Dall’ altra c’è Ballarò che non dovrebbe e fa più ridere di Zelig, con tutti che si accapigliano in studio».
Lui c’è stato nel “laboratorio” di Zelig: non si sono reciprocamente piaciuti. Bocciato al provino con Gi-no e Michele. Senza rimpianti. I testi “alla maniera della tv”, dove la satira politica si comprime in un ammiccamento, gli vanno stetti: “Ma come si fa a fare satira politica senza nominare i politici?”. Meglio il cabaret, in giro per l’Italia, meglio la soddisfazione di salire sul palcoscenico del Festival di Grottamma-re, davanti a Sabina Guzzanti, Giobbe Covatta, Enzo Iacchetti e vincere tutto insieme il premio della critica per i testi, quello della tv per il “ritmo” e il premione finale. Mica male, per uno che si permette di far satira su Berlusconi e sul Vaticano, terreno insidioso, troppo facile e troppo difficile, troppo abusato e troppo “riservato” a chi ha le spalle grosse. Va a finire che i suoi pezzi li trovate sul sito della Guzzanti, a partire da una canzoncina sulle note di Sincerità di Arisa, titolo: Sinceritù, ma scritto alla romana, “S’in c’eri tu”, cantico di una velina diventata onorevole.

«Zelig ha le sue esigenze – dice ora -ci deve essere un equilibrio tra mono-loghisti e personaggi, un gusto omogeneo, adatto al pubblico di Canale 5… A me però dà fastidio quando la comicità esalta i luoghi comuni: anzi, lo considero un male assoluto far ridere dicendo che i napoletani non lavorano, che i dipendenti pubblici sono fannulloni, le donne sottomesse. È il più grande difetto di Zelig, sono le regole di un impero commerciale. Pensare che li dentro ci sono comici e autori davvero bravissimi, ma è il prodotto che appiattisce tutto».

E così lui va a fare i suoi monologhi in quelle che una volta erano le “cantine” e ora sono nobilitate dalla tradizione anglo-americana, quella degli “stand-up comedy”, dove ha cominciato Woody Allen. Ce ne sono ancora in giro per l’Italia. E ce n’è una a San Lorenzo a Roma, vecchio quartiere popolare a due passi dall’ Università, il Mads di via dei Sabelli, dove al lunedì sera i comici “provano” i testi nuovi. Gratis. Il pubblico fa la fila, molti non ce la fanno a entrare.

Ma come t’è venuto in mente di mollare il giornalismo per le canti-ne? «Ho scoperto che in un tema di seconda elementare lo avevo già scritto che da grande volevo fare il comico: dopo di che, l’oblio. Poi l’anno scorso sono salito su un palco… e non sono più voluto scendere. Non ho fretta, in fondo non ho ancora compiuto 31 anni».

E come si campa aspettando il successo? «Ci s’arrangia: io faccio l’autore per una radio, ho tenuto da parte i soldi del premio, una specie di anno sabbatico in cui faccio le prove su me stesso. Nella comunità dei comici romani, a dir tanto, saremo una quarantina, dai 20 ai 50 anni: ci conosciamo tutti. Per noi la scommessa è far tornare la gente nei cabaret a sentirci. E da marzo si parte in tournée…».(Beh, buona giornata)

Sito ufficiale www.francescodecarlo.it

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