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Attualità

Missione missina.

Si palesa una situazione simile a quella che per decenni fu il terreno della missione del Msi, cioè quella di essere lo spauracchio dell’avanzata delle rivendicazioni operaie e popolari, del protagonismo diritti delle donne,  dei giovani, della difesa dello Stato sociale.

La destra e le paure dell’establishment.

Scrive su Domani Stefano Feltri: “Se oggi Giorgia Meloni può ambire ad andare a palazzo Chigi è anche grazie al cinismo dell’establishment italiano che ha deciso di legittimarla”. 

Manco a farlo a posta, contemporaneamente, Angelo Panebianco scrive sul Corriere: “C’è sempre, nelle elezioni italiane, un “sovraccarico etico” dato che, secondo le minoranze politicizzate, a scontrarsi sono il Bene e il Male. Per la minoranza di destra la parte del Paese che vota per la sinistra è dominata dai comunisti, per la minoranza di sinistra l’altra parte è in mano ai fascisti”. 

Tralasciando il cerchiobottismo, che è il massimo della moderazione raggiungibile dagli argomenti di Panebianco, pasdaran dell’establishment, la bocca buona della borghesia italiana su certe disgustose formazioni politiche non è una novità. 

Pensiamo al partito di Berlusconi e come in questo ultimo quarto secolo la borghesia italiana abbia sorvolato su tutto, pur di avere a disposizione qualcuno cui affidare i propri privilegi. O alla Lega, che da Bossi è diventata di proprietà di Salvini e delle sue sconcezze politiche sulla legalità, la sicurezza, i diritti umani e la politica estera. 

Per arrivare a Meloni, cui potrebbe essere affidato il ruolo di garante dell’autoritarismo necessario a comprimere le tensioni sociali, inevitabili a fronte del previsto “tzunami” sociale che si preannuncia per via dell’intreccio tra crisi energetica, crisi ambientale e inflazione, con l’aggravio, per i redditi bassi, dell’aumento del costo del denaro. 

Si palesa una situazione simile a quella che per decenni fu il terreno della missione del Msi, cioè quella di essere lo spauracchio dell’avanzata delle rivendicazioni operaie e popolari, del protagonismo diritti delle donne,  dei giovani, della difesa dello Stato sociale, oltre che rifugio di generali felloni e golpisti, ed essere nei fatti il bacino militante dei responsabili delle stragi, anche quelle di mafia, dei tentativi di colpo di stato, della cospirazione antidemocratica ordita dalla P2. 

Perché questo è stato il neofascismo italiano, file da cui Meloni e i suoi “fratelli” provengono: è da questo che non hanno mai preso le distanze, questo è il vero problema politico,  questa è la vera fiamma che arde nella loro storia, non certe pagliacciate nostalgiche, più patetiche che disgustose. 

Il “cinismo dell’establishment” come lo chiama il direttore di Domani è figlio di quella lunga stagione. La borghesia italiana, quella grande e quella piccola, i ceti ricchi e medi temono con tutto il sistema nervoso del lobbismo, delle caste, delle oligarchie, del familismo che prima o poi esploda la rivolta. 

E che redistribuzione della ricchezza, attraverso investimenti nel welfare pubblico, – cioè Istruzione, Sanità e Previdenza, – adeguamenti salariali al pari dei paesi del G7, pieno riconoscimento dei diritti delle donne, degli omosessuali, degli immigrati siano provvedimenti inevitabili.

Per la salvaguardia del nostro sistema politico, della coesione sociale, della stessa produzione delle merci, della loro distribuzione interna ed esportazione e dell’ambiente sarà necessario intervenire con una decisa “agenda sociale”.

Tutto questo fa paura. A ben vedere è proprio questo che la destra sta sfacciatamente dicendo in campagna elettorale, cioè se non votate per noi certi privilegi rischiano grosso. 

Ed è proprio su questo che si misura, al contrario, la timida cautela delle proposte sociali del centrosinistra, cui fa da sponda la goffaggine politica del M5s. 

Invece che puntare a mobilitare la coscienza e gli interessi materiali della stragrande maggioranza degli elettori con una piattaforma, che attivi il loro protagonismo nella lotta politica, per un concreto miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, hanno paura di spaventare l’establishment italiano, che invece sembra pronto a puntare decisamente a destra. 

Per mantenere rendite (esentasse) di posizione, per mettere la mani sui vantaggi del Pnrr, sono disposti a tutto. Tanto da pensare possibile affidarsi a una nuova missione missina.

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Attualità democrazia

Fascistelli.

Gianfranco Fini e soci corrono ai ripari. Sotto l’ala protettiva del Cavaliere. Hanno tentato un 25 Luglio ’43, ma siccome il 29 marzo 2010 gli ha dato torto, essi corrono, eccome corrono. Il Duce è il duce: magari mandan giù un poco di olio di ricino, ma poi vanno (non solo di corpo) ma anche con l’anima verso il Capo. Son fascisti, mica cazzi. E’ solo qualche buontempone della sinistra che aveva creduto nella leggenda metropolitana di una Destra democratica. Democratica? Ma chi se ne frega della democrazia: quella era solo Polverini per gli occhi. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Popoli e politiche Pubblicità e mass media Società e costume

Ecco come la Destra in Italia ha avvelenato i cuori e inquinato le coscienze dei giovani. Pessimo il futuro che ci attende.

(da repubblica.it)
Quasi la metà dei giovani italiani è razzista, diffidente nei confronti degli stranieri mentre solo il 40 per cento si dichiara “aperto” alle novità e alle nuove etnie che popolano il nostro Paese. E’ lo sconfortante ritratto offerto dall’indagine “Io e gli altri: i giovani italiani nel vortice dei cambiamenti” da cui emerge che il razzismo è un fenomeno tutt’altro che sradicato tra i ragazzi. Presentato oggi alla Camera, alla presenza del presidente, Gianfranco Fini, lo studio è promosso dalla Conferenza delle assemblee delle Regioni nell’ambito delle iniziative dell’Osservatorio della Camera sui fenomeni di xenofobia e razzismo, ed è stato realizzato da Swg su duemila giovani.

Chiusure e fobie. L’area tendenzialmente fobica e xenofoba è del 45,8 per cento, con diverse sfumature al suo interno. Lo studio indica tre agglomerati. Il primo è quello dei Romeno-rom-albanese fobici, pari al 15,3 per cento del totale degli interpellati, e manifesta la propria intolleranza soprattutto verso questi popoli. E’ l’unico gruppo la cui maggioranza (56 per cento) è costituita da donne. Il secondo riunisce soggetti con comportamenti improntati al razzismo. E’ il più esiguo, perché rappresenta il 10,7 per cento dei giovani, ma il più estremo, perché in sostanza rifiuta e manifesta fastidio per tutti, tranne europei e italiani. Ci sono poi gli xenofobi per elezione (20 per cento): non esprime forme di odio violente, quel che conta è che le altre etnie se ne stiano lontane, possibilmente fuori dall’Italia.

Aperture e tolleranze. La fetta di quanti hanno invece un atteggiamento aperto è del 39,6 per cento. All’interno si riconoscono gli
inclusivi (19,4 per cento) con un’apertura totale e serena (55,3 per cento); i tolleranti (14,7 per cento), un po’ più freddi rispetto ai precedenti e gli aperturisti tiepidi (5,5 per cento), ossia giovani decisamente antirazzisti, ma con forme più caute e trattenute, minore interazione con le altre etnie e un riconoscimento più ridotto dell’amore omosessuale. Al centro lo studio posiziona i mixofobici (14,5 per cento), giovani che non sono del tutto proiettati verso la chiusura, ma neppure verso il suo opposto e che vivono un sentimento di fastidio verso ciò che li allontana dalla loro identità.

Rom, sinti e romeni i meno graditi. I giovani italiani tra i 18 e i 29 anni giudicano ‘simpatici’ gli europei in genere con un voto pari a 8,2 su una scala da 1 a 10, gli italiani del Sud (7,8) e gli americani (7,7), mentre ritengono antipatici e da tenere a distanza soprattutto Rom e Sinti (4,1), romeni (5,0) e albanesi (5,2). Attraverso un’indagine è stato chiesto ai giovani di rispondere come si sarebbero comportati in determinate situazioni. Ecco le risposte.

Scegliere con chi andare a cena. I giovani hanno messo in testa le persone disagiate economicamente, giudicano “accettabile” una cena con un ebreo, un omosessuale o con un extra-comunitario. Accettato, ma con freddezza un musulmano. Impensabile pasteggiare con un tossicodipendente o un rom.

Il vicino di casa. Verrebbero accettati tranquillamente omosessuali, ebrei e poveri. No invece a zingari e a chi utilizza sostanze stupefacenti e zingari.

Se un figlio si fidanza. I giovani italiani riterrebbero accettabile avere un figlio che ha un partner o una partner di religione ebraica, ma anche qualcuno con evidenti disagi economici. Meglio comunque se a ritrovarsi in questa situazione è il maschio: per la figlia femmina, infatti, c’è qualche resistenza in più. Scarso entusiasmo se la coppia si formasse con un o una extra-comunitaria o con una persona musulmana. Assai più difficile convivere con l’omosessualità di un figlio. Ma l’incubo peggiore è la possibilità che uno dei propri figli faccia coppia con un tossicodipendente o un rom, situazione considerata inaccettabile.

Identikit del giovane razzista. Il profilo più estremo del razzismo tra i giovani, così come emerge dall’indagine presentata alla Camera, descrive una persona che ostenta superiorità e persistente bisogno di potenza. Ha atteggiamenti apertamente omofobici, spinte antisemitiche, convinzione dell’inferiorità delle donne. E non accetta nessuna razza o etnia diversa dalla propria. Un profilo che riguarda il 10,7 per cento dei giovani, ma estremamente preoccupante. L’indagine definisce questa tipologia come quella dei soggetti “improntati al razzismo”.

Un clan che si espande online. Questo clan, rileva la ricerca, si distingue non solo per l’intensità estremizzata delle proprie posizioni, ma anche per la sua capacità di produrre un vero e proprio modo di essere nella società, per la sua tendenza a essere una comunità, per quanto chiusa e ristretta. Si tratta di un agglomerato che sviluppa un forte senso di appartenenza, che ha trovato nella rete il proprio ambito di espressione e riconoscimento, e il proprio megafono. Questo clan ha, anche se per ora non in modo uniforme e unificato, una propria strategia di “espansione”, per creare nuovi fan, per sviluppare e far crescere i propri adepti, di ingrossare le proprie fila.

Su Facebook oltre mille gruppi xenofobi. Dalla ricerca emerge inoltre che sono oltre un migliaio i gruppi razzisti e xenofobi che si trovano su Facebook. “Nel nostro studio sul razzismo e i giovani – ha spiegato il direttore di Swg, Enzo Risso, – abbiamo condotto un’indagine su Facebook, una sorta di censimento sui gruppi xenofobi, effettuato tra ottobre e novembre. Ne abbiamo contato un centinaio anti musulmani, 350 anti immigrati alcuni con punte di 7 mila iscritti, 400 anti terroni e napoletani e 300 anti zingari, anche qui con fino a 7mila iscritti”. Risso ha spiegato che questa parte dell’indagine “non può essere considerata un censimento vero e proprio perché quella di internet è una realtà che varia continuamente, ma ha un valore indicativo”. (Beh, buona giornata).

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democrazia Finanza - Economia Lavoro Popoli e politiche

Chi ha vinto e chi ha perso la partita epocale che si è giocata con le elezioni europee.

Se Marx seduce la destra di BARBARA SPINELLI-La Stampa.

Anche le destre – forse soprattutto le destre – guardano d’un tratto a Karl Marx in altro modo: l’odierna crisi economica somiglia non poco al «continuo stravolgimento dei rapporti consolidati», alla «continua evaporazione di quel che è solido», descritti dal filosofo nel 1848. Il padre del comunismo fantasticò il riscatto di una sola classe, e fu funesto, ma la descrizione era realista, tutt’altro che fantasiosa. È vero che la borghesia tende a rispondere alle crisi «provocando crisi sempre più generalizzate, più distruttive, e riducendo i mezzi necessari a prevenirle». È vero che «la moderna società borghese è come l’apprendista stregone, incapace di controllare le potenze sotterranee da lui stesso evocate». È vero che essa «ha spietatamente strappato tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l’uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo “pagamento in contanti”. Ha affogato nell’acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell’esaltazione devota, dell’entusiasmo cavalleresco, della malinconia piccolo-borghese. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli». È vero infine che il capitalismo sormonta spesso i mali coi veleni che li scatenano: tra essi, «l’epidemia della sovrapproduzione». Il Capitale è di moda da qualche tempo.

A prima vista può apparire stupefacente quel che è accaduto alle elezioni europee. Marx e Keynes tornano in auge, ma per le sinistre socialiste o radicali è catastrofe: sono crollate in 16 paesi su 27, con punte massime in Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Spagna. Al momento sono come istupidite, e non sapendo spiegare a se stesse il disastro si rifugiano nella denegazione. Il capo dei socialdemocratici tedeschi Müntefering fa finta di nulla e giudica assurdo l’esito, «visto che abbiamo spiegato così bene l’Europa sociale». I compagni francesi balbettano. Franceschini, in Italia, emette il verdetto, consolatorio e falso: «Abbiamo perso perché il vento della destra soffia così forte in Europa».

In realtà non ha vinto un vento di destra ma un vento ben contraddittorio: il vento di una destra pragmatica, spregiudicata, non più ideologica, che pur di mantenere il potere agguanta ogni utensile a disposizione. Soprattutto gli utensili della socialdemocrazia: lo Stato che protegge i deboli, e se necessario governa estesamente l’economia. Quel che la destra ha fatto in pochi mesi è impressionante: è stata lei a chiudere l’era Thatcher, sorpassando una sinistra paralizzata dai complessi di colpa, allergica a una conflittualità di cui si vergogna, ammaliata per 13 anni dal Nuovo Labour di Blair e dal suo mimetismo thatcheriano. Senza patemi la destra europea ha smesso l’antistatalismo, la lotta alla spesa pubblica, il dogma delle privatizzazioni. Con sotterfugi linguistici esalta perfino il Welfare: dice «stabilizzatori automatici» per non dire Stato Provvidenza. Uomini come Tremonti scoprono l’anticapitalismo, chiamandolo anti-mercatismo. Qualche tempo fa, in una manifestazione della sinistra estrema a Parigi, ho incontrato un militante che mi ha detto: «Beati voi che avete Tremonti!».

Niente vento di destra dunque, ma un’usurpazione più o meno cinica di idee socialdemocratiche e anche marxiste che devasta le sinistre classiche. Se in Europa si riapre la questione sociale saranno Sarkozy, Tremonti, Angela Merkel a gestirla, nazionalizzando o stampando moneta. Essenziale è traversare il torrente con ogni mezzo, e sperare che si torni allo status quo ante senza mutare il modo di sviluppo produttivistico. Marx e Keynes sono usati non per cambiare modello, ma per perpetuarlo con l’ambulanza del Welfare. È un modello che socialisti e sindacati condividono, quando accusano la destra di ultraliberismo o si limitano a chiedere aumenti salariali e tutela dei posti fissi. Per questo sono oggi ombre di se stessi.

Le elezioni europee non dicono tuttavia solo questo. Le sinistre defraudate sono aggrappate allo status quo ma nuove forze emergono, che pensano la crisi con sguardo più profondo e lungo. Che seguono con estrema attenzione Obama e presentono, in quel che annuncia, la possibilità di una trasformazione, di un ricominciamento. È il caso dei Verdi in Francia, Germania, Inghilterra, Svezia, Belgio, Grecia, Finlandia. È il caso dei liberali-legalitari di Di Pietro, e perfino di forze inedite come i Pirati in Svezia. Quattro consapevolezze accomunano questi gruppi. Primo, la crisi presente è tettonica, e non si esaurisce nella questione sociale. Secondo: il capitalismo di Stato che ovunque risorge accresce i poteri dello Stato censore sulle libertà cittadine. Terzo: la corruzione che ha accompagnato la crisi può perdurare, perché le urgenze governative sono altre. Quarto: il ricominciamento dovrà accadere in Europa, non negli Stati-nazione.

Daniel Cohn-Bendit è precursore in questo campo, e il suo successo è significativo. La questione sociale non è negata, ma egli la vede in connessione stretta con il clima: dunque con una crescita alternativa, e come ha detto Obama al vertice dei G-20, con un «mercato dei consumi meno vorace». A suo avviso sia la destra che la sinistra difendono lo status quo: la crescita dei consumi e di vecchie produzioni, la lotta sul clima rinviata al dopo-crisi, come nei desideri di governanti e imprenditori italiani. «È come se le sinistre avessero nel computer un software inadatto», dice: un «software produttivistico» sorpassato e nocivo. Il carisma del leader verde non è senza legami con quello di Di Pietro, De Magistris, Arlacchi. Anche i francesi di Europa-Ecologia hanno schierato giudici: Eva Joly, numero due nella lista, ha indagato sulla corruzione dei potenti (incriminando il faccendiere Tapie o – nell’affare Elf – l’ex ministro degli Esteri Roland Dumas) ed è esperta in delinquenza finanziaria internazionale. Anche lei è cittadina d’Europa: come Cohn-Bendit è franco-tedesco, lei è franco-norvegese.

Infine c’è il Partito dei Pirati: una formazione che ha raccolto il 7 per cento ed è il terzo partito svedese per numero di iscritti. La sua battaglia per il libero e completo accesso a internet è emblematico segno dei tempi: con il dissesto dei giornali e l’estendersi del capitalismo di Stato, si è visto negli ultimi giorni quanto sia prezioso lo spazio internet e dei blog. È prezioso in Francia, dove la Corte costituzionale ha appena invalidato una legge che vieta lo scaricamento di programmi, affermando che solo il giudice può emettere sanzioni e non l’autorità amministrativa. È prezioso in Italia, dove la libertà internet è minacciata dalla nuova legge sulle intercettazioni: lo spiega molto bene Giuseppe Giulietti sul quotidiano online per la libertà d’espressione (Articolo21.info).

L’impotenza dello Stato-nazione accelera le cose. Sono cresciuti i partiti concentrati sull’Europa, per respingerla o approvarla. I Verdi sono i soli, nel voto di giugno, ad aver appreso la dimensione sovranazionale delle politiche europee. Cohn-Bendit è l’unico ad aver parlato in nome d’un partito non nazionale: il che vuol dire che non siamo giunti, con la crisi delle sinistre tradizionali e del modello produttivistico, alla fine del progetto europeo pensato dai fondatori. Sono sfibrate le forze dimentiche dell’Europa, non quelle che investono su essa e reinventano. L’analisi di Cohn-Bendit è giusta: «Una forza politica moderna deve avere oggi dimensioni europee. E la crisi della socialdemocrazia la si risolverà solo formulando, contro le alternative nazionali, alternative europee. È qui che il socialismo ha fallito: aveva davanti a sé un boulevard in Europa, e ha dato risposte solo sul piano nazionale». (Beh, buona giornata).

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democrazia Popoli e politiche

Saluti parigini e saluti romani.

“Difficilmente riuscirò ad avere buoni rapporti anche con Gianni Alemanno che è stato accolto al Campidoglio con i saluti fascisti”. Bertrand Delanoë confessa ad alta voce quello che molti suoi collaboratori sanno da tempo. Al teatro dell’Odéon, davanti a Dario Franceschini e ad altri membri del Pd arrivati con il “Treno per l’Europa”, il sindaco di Parigi ammette tutta la sua distanza politica dal primo cittadino di Roma. Delanoë e Alemanno non si sono ancora mai conosciuti, fatto anomalo per due città gemellate in modo esclusivo da oltre mezzo secolo. Né è previsto un incontro a breve. L’anno scorso, subito dopo la sconfitta di Rutelli e l’elezione del nuovo sindaco di Roma, l’Hotel de Ville aveva preferito non invitare l’esponente di An per le celebrazioni del 25 agosto, festa della Liberazione. Beh, buona giornata.

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Attualità Popoli e politiche

Lo scioglimento di An: “Può essere utile un confronto tra fascismo e berlusconismo.”

di EUGENIO SCALFARI da repubblica.it

OGGI Gianfranco Fini darà l’addio al suo partito che si scioglie nel grande mare del Pdl, il Partito del Popolo della Libertà, tre lettere maiuscole sulle quali campeggia il Capo carismatico Silvio Berlusconi, fondatore, presidente e leader intramontabile.
Un addio, quello di Fini, ma anche un arrivederci, almeno nelle sue intenzioni. L’esortazione e anzi il comando alla sua gente è di restare unita, custode di una tradizione, di valori propri e d’una propria identità, d’una propria egemonia che non deve disperdersi – così spera Fini – nel magma indistinto di Forza Italia.

Dovrà costituire anzi un punto di riferimento per più ampie aggregazioni dentro il nuovo partito e fuori di esso, per dare vita ad una nuova destra capace di guidare il paese anche quando il Capo carismatico deciderà di ritirarsi per sazietà o per stanchezza, comunque per l’inevitabile trascorrere del tempo che “va dintorno con le force”.

Si tratta d’una proposta di larghe vedute, che non è soltanto politica ma anche istituzionale e culturale. Fini dà molta importanza a fondazioni culturali che avranno il compito di piantare nuovi innesti e nuove radici nelle tradizioni della destra. Il presidente della Camera sovrintenderà a questo lavoro ed ha come riferimenti il conservatorismo del XIX secolo, quello che si oppose al trinomio “libertà, eguaglianza, fraternità” in nome dei principi della tradizione e della terra, cioè della nazione, senza tuttavia rinunciare al filone laico di derivazione illuministica. Perciò Burke ma non De Maistre.

E dunque: lo Stato da riscoprire come depositario di un disegno-paese e di un certo grado di eticità; la Costituzione come quadro di rapporti sociali e custodia di pluralismo; il presidenzialismo che garantirà l’unità contro le spinte centrifughe e l’eguaglianza delle prestazioni pubbliche tra le Regioni e i cittadini che vi risiedono; la separazione dei poteri; l’economia mista dove lo Stato non si limita a formulare le regole e a farle rispettare ma, al bisogno, interviene direttamente come operatore di ultima istanza.

Questa è la piattaforma della nuova destra costituzionale che Fini indica al Pdl e in particolare ai militanti di An nell’atto stesso dello scioglimento di quel partito. Lo seguiranno? Riusciranno a realizzare gli obiettivi che il discorso di oggi ha con chiarezza indicato? Saranno in grado di fertilizzare il corpaccione di Forza Italia e di arruolare per quell’impresa che non gli somiglia affatto anche il “boss dei boss”, il Capo carismatico che ha ancora dinanzi a sé un altro decennio di potere?

Per rispondere a queste domande occorre esaminare la natura profonda del berlusconismo, il suo rapporto con la Lega, le tendenze che emergono dalla società italiana, il ruolo di alcuni possibili successori del Capo, l’attrazione del centrismo, le capacità potenziali dell’opposizione riformista. Infine l’esito della crisi che infuria sull’economia mondiale. Nei limiti che lo spazio ci impone cercheremo di analizzare questi vari elementi del problema.

Può essere utile un confronto tra fascismo e berlusconismo. In fondo si tratta di due regimi; il fascismo durò vent’anni, il berlusconismo ne ha già alle spalle quindici e si avvia a raggiungere la durata del precedente e probabilmente a superarla.
Al di là di alcune somiglianze che indubbiamente ci sono e possono riassumersi nel carisma populista del Capo, essi divergono profondamente su un punto di capitale importanza.

Mussolini e il fascismo volevano costruire un uomo nuovo, ispirato dai valori della forza, dai doveri verso lo Stato, dalla cultura della guerra e della conquista, dagli ideali dell’imperialismo, dal mito della Roma imperiale. La maggior cura la dedicarono all’educazione della gioventù a questi valori e a questa mitologia. I successi che ottennero si rivelarono effimeri non appena si scontrarono con la durezza della realtà.

Il berlusconismo ha invece avuto come obiettivo la decostruzione del rapporto tra l’individuo e la collettività, la decostruzione delle ideologie, l’esaltazione della felicità immediata nell’immediato presente, l’antipolitica, il pragmatismo come solo fondamento delle decisioni individuali, il trasformismo come pratica quotidiana. La corruttela pubblica come peccato veniale.

Berlusconi è un uomo di gomma laddove Mussolini si atteggiava a uomo di ferro. Berlusconi galleggia e padroneggia la democrazia cercando di renderla invertebrata; Mussolini distrusse la democrazia. Mussolini volle lo Stato etico, Berlusconi appoggia il suo potere sull’incompatibilità degli italiani nei confronti dello Stato, salvo adottare lo statalismo quando una società impaurita lo invoca come il protettore di ultima istanza.

Si tratta, come si vede, di differenze profonde anche se il fine è analogo: un Capo carismatico, plebiscitato da un popolo che ha rinunciato ad esser popolo ed ha trasferito in blocco la sua sovranità al Capo.
Di fronte a queste caratteristiche dell’amico-nemico il disegno di Fini ha scarse possibilità di successo. Del resto i suoi “colonnelli” hanno da tempo introitato questa realtà e vi si sono adeguati.

Quando in una recente trasmissione televisiva il ministro Ronchi (che di Fini è il portavoce) parlò di una guida duale del nuovo partito, fu interrotto dal ministro Matteoli (anche lui di An) che rifiutò pubblicamente l’idea stessa di un consolato Berlusconi-Fini affermando che il Capo non poteva che essere uno e c’era già. Resta da vedere fino a che punto la base di An sia rappresentata da Fini o dai suoi ex colonnelli.

Ma per aderire al disegno del presidente della Camera ci vorrebbe un ritorno all’Msi, al fascismo puro e duro che esiste ancora ma non certo sulla linea laica e costituzionale di Fini. In una società di gomma il cemento del potere e del sottopotere è un collante formidabile; quel collante è nelle mani di un Capo proprietario del suo partito nel quale Fini entra da ospite dopo esser stato svestito dei suoi paramenti salvo quelli, abbastanza innocui, di natura istituzionale. L’esperienza di Casini da questo punto di vista è eloquente.

Visto che ho accennato a Casini, aggiungerò che l’attrazione del centro è assai modesta, almeno nello schema originario di ago della bilancia tra due forze contrapposte e di analoga dimensione. Le analoghe dimensioni sono un’ipotesi del passato destinata a non replicarsi per parecchio tempo, sicché contemporaneamente è scomparsa l’ipotesi stessa del centro come ago della bilancia. La strada di Casini a questo punto è segnata ed è quella dell’irrilevanza, dentro o fuori dal Pdl che sia. I contrasti possono alimentare tutt’al più una fronda, ma non possono aspirare né al potere né all’opposizione.

I successori sono di due tipi: il successore scelto dal proprietario quando il momento sarà deciso dal proprietario medesimo. Una scelta “alta” sarebbe Gianni Letta, una scelta servile sarebbe Alfano o (perché no?) una donna. Tutto può accadere nei regimi basati sulla proprietà e sulla gomma.

Oppure il successore emerge per forza propria. Può essere il caso di Formigoni, ma con molte più probabilità quello di Tremonti. La crisi economica favorisce il secondo ed anche il suo rapporto con la Lega. Piace perfino ad una parte della sinistra per il suo colbertismo statalista, ma non piace la scelta valoriale di Dio, Patria, Famiglia. Tremonti comunque aspetta, non precorrerà mai i tempi. Fini si è già esposto, Tremonti no. Per ora si contenta del fatto che il Capo (che non lo ama) abbia bisogno di lui.

Resta l’opposizione riformista che ora sta lottando per la sopravvivenza. Franceschini è una scoperta e qualche risultato l’ha già ottenuto, qualche piccolo passo avanti l’ha fatto, qualche punto di consenso l’ha riguadagnato. L’esame arriverà con le elezioni europee.
Dal punto di vista formale la sopravvivenza consiste nell’asticella da superare. Ragionevolmente sta a metà strada tra il 25 e il 30 per cento. Sotto a quel livello la sopravvivenza oggettivamente non c’è e comincerà l’implosione; ma significherebbe la scomparsa della sinistra riformista e laica dalla scena dopo la scomparsa politica già avvenuta della sinistra radical-massimalista.

Ammettiamo (e speriamolo per la democrazia italiana) che la sopravvivenza sia realizzata con le elezioni europee. Quale può essere il ruolo del Pd, oltre quello di darsi finalmente un’organizzazione ed una struttura? Capace di rieducare una parte consistente della società? Di alfabetizzare politicamente e moralmente quella parte consistente? Di ricostruire il rapporto tra la società e lo Stato, decostruito dal berlusconismo?

Il ruolo della sinistra riformista consiste proprio nelle risposte a queste domande che si riassumono nella riconquista della società alla democrazia partecipata e modernizzata. Nell’esercizio di questo ruolo il riformismo può incontrare il disegno degli ambientalisti, il disegno dei cattolici cristiani, il disegno dei liberali socialisti, il disegno della sinistra democratica ed anche il disegno di una destra repubblicana e costituzionale.

L’obiettivo comune è quello di ristrutturare una società destrutturata e modernizzare le istituzioni. Si può fare ma ci vorrà tempo. Tempo e veduta lunga. Uscire dal presente puntinista ed entrare coraggiosamente nell’avvenire. (Beh, buona giornata).

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