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Italia 2010: verso la terza Repubblica (berlusconista).

Quei cinque punti, che più che di programma sembrano punti di sutura per ricucire la lacerazione tra Berlusconi e Fini, segnano un altro passo del berlusconismo verso l’autoconservazione di se stesso.

I punti sono quelli di cui si sapeva: federalismo fiscale, fisco, Sud, giustizia e sicurezza. I contenuti più delicati: rilancio del lodo Alfano, processo breve, legge sulle intercettazioni e separazione delle carriere per i magistrati.

La novità non sta nei cinque punti, dunque, ma nel ricatto apertamente dichiarato nei confronti del Parlamento. “Senza questa maggioranza non ci sarebbe altra soluzione che nuove elezioni”, ha aggiunto Berlusconi col suo solito cipiglio da “ghe pensi mì”.

Un ricatto che, in realtà è rivolto a tutti: alleati fedeli e non, opposizione, forze sociali. Se non fate come dico io e con gli stessi voti in Parlamento io butto tutto all’aria.

Berlusconi ha parlato come se fossimo in una democrazia presidenziale, come se lui fosse già capo dello Stato oltre che capo del Governo, come se l’Italia non fosse una democrazia parlamentare, come se il Capo dello Stato non contasse niente.

In più, dopo le aspre polemiche degli ultimi giorni, nelle quali i finiani sono stati trattati come “traditori” del mandato elettorale, Berlusconi ribadisce apertamente una modifica costituzionale che non c’è mai stata: il vincolo di mandato dei deputati, che invece non solo non è previsto nel nostro ordinamento, ma addirittura chiaramente negato.

E allora ecco cosa si nascondeva sotto il fango gettato addosso agli ex alleati finiani durante tutto il mese di agosto, in cui sono volati ipotesi di terzo polo, auto-candidature, palesi o seminascoste, desideri di governi di transizione, mentre in realtà volavano ricatti, killeraggi mediatici, volava fango, e più spesso è piovuta merda: si nascondeva, ed è venuta fuori tutta intera, una gran voglia di Terza Repubblica, presidenziale e berlusconista, con a capo Berlusconi in persona.

La situazione politica italiana è un paradosso, tipico del teatro dell’assurdo: io so che tu sai che io so che se il governo cade in Parlamento si va alle elezioni.

Però, io so che tu sai che io so che se si va alle elezioni io le vinco ancora e tu le perdi un’altra volta.

E allora? Allora ecco che io so che tu sai che non ti conviene andare al voto adesso.

Quindi: io so che tu sai che faccio finta di presentare un bel programma di legislatura, ma in realtà io non faccio mediazioni né sconti. Io non governo, io comando.

Che fai, caro Fini? La voti o non la voti la fiducia al governo Berlusconi?

Che fai, caro Bossi? Lo sai che senza di me il federalismo non lo fai.

Che fate, cari Casini, Rutelli, Montezemolo, ve la sentite di andare al voto e prendere due spiccioli di voti?

Che fai, caro Di Pietro, giochi al tanto peggio tanto meglio?

Che fai, caro Bersani, apri alla Lega e cerchi alleanze con Confindustria, ma trovi Vendola che va cercando il posto tuo, magari solo nella finzione delle primarie (che tanto lo sanno tutti, ormai, che di fronte alla possibilità di andare al governo, quelle le primarie sono semplicemente secondarie.)

Berlusconi, che ha fatto i soldi con la Prima Repubblica, che è andato al governo con la Seconda Repubblica, oggi ambisce al potere pieno, ambisce alla Terza Repubblica.

Quei cinque punti di programma che assomigliano più a cinque punti di sutura sul corpo della nostra democrazia, rischiano di lasciare per sempre il segno di una brutta cicatrice. Beh, buona giornata.

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Guardate “Il Grande Fratello”, guardate “L’Isola dei Famosi”, andate nei centri commerciali,litigate per un paio di scarpe firmate, siate gli ultimi della vostra classe, che è più fico che saperne di più. Bravi coglioni: vivete in un Paese in cui chi lavora guadagna meno che nel resto d’Europa, e paga più tasse. Continuate a fòtterneve, non leggete: che tanto quelli fottuti siete voi.

Salari italiani tra i più bassi nella classifica dei Paesi Ocse. L’Italia si colloca per gli stipendi al 23mo posto, con guadagni inferiori al 16,5% rispetto alla media dei trenta Paesi che fanno parte dell’organizzazione di Parigi. Particolarmente penalizzati gli italiani single e senza figli, i cui salari restano ai livelli più bassi tra i paesi Ocse, superati anche dagli stipendi in Spagna e Grecia, mentre l’Italia vanta una pressione fiscale sulle retribuzioni ai livelli più elevati. I dati sono riferiti al 2009 e l’Italia si colloca nella stessa posizione dell’anno precedente. E’ quanto risulta dal Rapporto ‘Taxing Wages’ dell’Ocse.

Il peso di tasse e contributi sui salari, il cosiddetto cuneo fiscale che calcola la differenza tra quanto pagato dal datore di lavoro e quanto effettivamente finisce in tasca al lavoratore, è in Italia al 46,5%, rileva ancora il rapporto Ocse. Nella classifica dei maggiori trenta Paesi, aggiornata al 2009, l’Italia è al sesto posto per peso fiscale sugli stipendi, dopo Belgio (55,2%), Ungheria (53,4%), Germania (50,9%), Francia (49,2%), Austria (47,9%). Il peso di tasse e contributi sui salari in Italia è rimasto stabile dal 2008 al 2009, registrando solo un lieve (-0,03%). L’Italia occupa infatti nella classifica Ocse la stessa posizione, la sesta, rispetto all’anno precedente.

In Italia, precisa ancora l’Ocse, hanno un impatto rilevante sulla differenza tra salario lordo e netto anche i cosiddetti ‘pagamenti obbligatori non fiscali’, rappresentati dal tfr, che aumentano la pressione di un ulteriore 3%. “Aggiungendo questa variabile – spiega un economista dell’ Ocse in un incontro con la stampa – il prelievo obbligatorio sui salari in Italia sale oltre il 49%, portando il Paese a superare la Francia in termini di quota di imposizione”. I ‘pagamenti obbligatori non fiscali’, secondo la definizione dell’Ocse, sono pagamenti che il lavoratore o il datore di lavoro devono versare per legge, ma non al governo, come i contributi in fondi pensione privati o pagamenti per polizze assicurative. Il loro impatto sui redditi delle famiglie, e sul costo del lavoro, è differente da quello delle imposte tradizionali, dato che spesso si tratta di contribuzioni nominali, che il lavoratore riottiene quando lascia il posto o va in pensione (come, appunto, nel caso del Tfr). Beh, buona giornata.

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L’Italia è diventata un Paese di venditori. (Tanto non lo legge nessuno.)

L’Italia è diventato un Paese di venditori. Si vende il proprio sesso per avere un posto in parlamento, un ministero. Si vende il sesso degli altri, meglio sarebbe dire delle altre, per avere un appalto, una commessa per la fornitura di apparecchiature mediche. Si vende la propria professione per avere un posto da direttore di telegiornale. Si vende la propria faccia sui manifesti elettorali per un posticino in un consiglio regionale. Non produciamo più idee, prodotti innovativi, personalità istituzionali, intuizioni creative.

Non siamo più il Paese che si risollevò dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale, per diventare uno dei paesi più industrializzati del Mondo, un Paese che si rimboccò le maniche e ricostruì case, ponti, strade, fabbriche, ma anche diritti, competenze, convivenza civile, scuole per alunni, ma anche scuole di pensiero.

No, ormai vendiamo il vendibile. Così non è per nulla strano che si vendano onorificenze ai pompieri, quelli che si ammazzano di fatica, e spesso ci lasciano la pelle per salvare altre pelli, per toglierci dai guai. I guai, quelli che inavvertitamente facciamo contro di noi. I guai, quelli di cui siamo vittime, per colpa di “inavvertiti” politici e amministratori della cosa pubblica: che sono quelli che chiamano i pompieri quando frana un collina, sulla quale si sono date allegramente licenze edilizie; quando esonda un fiume, attorno al quale si è lottizzato senza pensare alle conseguenze; quando vengono giù le case, costruite con l’ingordigia dell’affarismo, invece che col cemento armato.

Quando è stato intervistato il responsabile amministrativo della Protezione Civile, a proposito della vendita delle onorificenze, egli mostrava orgoglioso il campionario: una medaglia e un paio di fregi alla comoda cifra di 130 euro. Un affare, no!? Ma certo che è un affare.

Il nostro Paese non è forse una grande, smisurata televendita? Alcune centinaia di migliaia di persone parteciperanno a una minifestazionde pubblica in piaza San Giovanni in Laterano. Compreranno la tesi del Governo.

Le posizioni politiche non si confrontano, si vendono nei talk show. Il talento non si esercita, si vende nei talent show. La politica non progetta, vende candidati.

La giustizia non sanziona comportamenti criminali, no, la giustizia vende l’ingiustizia del complotto contro gli eletti dal popolo. E gli imputati vendono la loro impunità.

L’informazione non vende giornali, no, vende “fango” contro quelli che presi con le mani nel sacco, vendono in saldi la loro sfacciata impunità.

Fin tanto che ci sarà qualcuno disposto a comprare la merce (della politica, dell’informazione, dell’intrattenimento, addirittura dell’architettura istituzionale), beh, che volete? È la legge della domanda e dell’offerta.

Ci stanno pignorando beni comuni, libertà collettive, diritti condivisi, l’idea della democrazia, la visione stessa del futuro dei nostri figli. Berlusconi, ogni giorno batte l’asta.

Un piccolo, forse prezioso “consiglio per l’acquisto”: cerchiamo, almeno di non comprare prodotti scaduti (così in basso). È un consiglio gratis.
Beh, buona giornata.

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