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La Procura della Repubblica di Roma apre un’inchesta sulla sparatoria che ha provocato la morte della ragazzina di 13 anni a Herat.

A quanto apprende l’ADNKRONOS, la Procura della Repubblica di Roma aprirà un’inchiesta sull’incidente avvenuto questa mattina nella zona di Herat, dove una bambina afghana di 13 anni e’ morta e altri tre cittadini afgani sono rimasti feriti in uno scontro a fuoco con una pattuglia italiana dell’Omlt (Operation mentoring liason team). Secondo la ricostruzione fin qui resa dai militari italiani, si afferma che l’auto è stata fatta oggetto di colpi di mitraglia di avvertimento prima in aria, poi sull’asfalto e infine sul cofano. Ma qualcosa non va: in una foto pubblicata da repubblica.it si vede chiaramente il foro di entrata di una proiettile nel montante sinistro del lunotto posteriore della vettura, una Toyota Corolla. Beh, buona giornata.(http://www.repubblica.it/2006/05/gallerie/esteri/auto-afghanistan/2.html)

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Afghanistan: soldati italiani sparano, muore una ragazzina di 13 anni.

Una bambina afgana di 13 anni è morta oggi a Herat, in Aghanistan in una sparatoria che ha visto coinvolta una pattuglia di militari italiani. Lo ha reso noto il comandante del contingente, il generale Rosario Castellano. Nella stessa circostanza si sono registrate tre persone ferite, tutti parenti della ragazzina.

Una pattuglia di militari italiani composta da tre mezzi che stava procedendo lungo la strada ha incrociato un’autovettura civile che procedeva in senso opposto a forte velocità. Sarebbero state attuate tutte le procedure di avvertimento previste in questi casi, ma l’automobile non si è fermata: sono stati esplosi infine un colpo in aria, uno sull’asfalto e uno sul cofano della vettura, una Toyota Corolla bianca, un veicolo tra quelli maggiormente segnalati come mezzi utilizzati come autobomba.

Ma la Toyota Corolla rimanda anche alla memoria la tragica morte di Nicola Calipari, il funzionario del Sismi colpito a morte dal fuoco di una pattuglia statunitense nel tragitto verso l’aeroporto di Bagdad, in Iraq, dopo la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena. Anche in quel caso, secondo le autorità militari statunitensi, i soldati avevano aperto il fuoco non ricevendo risposte alle segnalazioni che intimavano l’arresto del veicolo.

Sarebbero in corso accertamenti, ha detto il generale Castellano, per stabilire le modalità dell’incidente e le cause della morte della bimba. La pattuglia di militari italiani coinvolta nell’incidente fa parte dei cosiddetti Omlt, le squadre di addestramento dell’esercito afghano che opera nella zona di Herat. (Beh, buona giornata).

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Popoli e politiche

“Si è messo a gridare che le scelte si equivalevano, io partigiano e lui repubblichino. Tutti e due cambattevamo per gli ideali. Gli ho detto: puoi girarla come vuoi, tanto la ragione resta ragione e il torto resta torto e la storia non la raccontano i vincitori ma semplicemente chi ha buona memoria”.

Quando una scelta non vale l’altra
pagine della guerra di Liberazione
Mario Dal Pra e la disputa sull’8 settembre e i militari italiani

di MATTEO TONELLI da repubblica.it
“Si è messo a gridare che le scelte si equivalevano, io partigiano e lui repubblichino. Tutti e due cambattevamo per gli ideali. Gli ho detto: puoi girarla come vuoi, tanto la ragione resta ragione e il torto resta torto e la storia non la raccontano i vincitori ma semplicemente chi ha buona memoria”. Basterebbe questo per dare il senso di “I nostri occhi sporchi di terra” di Dario Buzzolan (Baldini e Castoldi. 303 pagine. euro 17,50). Un romanzo che parla di uomini che hanno saputo scegliere, di prezzi da pagare. E di valori che non scoloriscono con il tempo.

La guerra è appena finita. E’ il 1954, l’Italia è libera ma la scia di sangue non si arresta. Quarant’anni dopo, una figlia vede sparire suo padre Davide. Si pensa a un suicidio ma non è così. La ricerca svela una storia fatta di rancori. Di storie private che si intrecciano con quelle pubbliche. Davide è accusato di aver ucciso un repubblichino dopo la fine della guerra, per pura vendetta personale. Torna la guerra partigiana, l’odio, la morte, la delusione nel vedere, a fine guerra, che chi massacrava e torturava veniva amnistiato. E più tardi avvertire sulla pelle quel senso di messa in discussione delle scelte “obbligate” fatte quarant’anni prima. Eppoi l’amore per una donna che tiene insieme la storia. Parte così il percorso della ragazza che oscilla tra il presente e il passato. Alla fine troverà il padre. E anche la risposta alla domanda se può esistere un mondo migliore.

Sabbia negli ingranaggi. Piccoli gesti anonimi ma decisivi. Perché la guerra di Liberazione si è combattuta anche così. Non solo imbracciando un mitra ma anche minando, dall’interno, l’ingranaggio degli occupanti. Dagli archivi di Oreste Lisandri, Cristiano Armati ha tratto “Il libretto rosso dei partigiani” (Purple Press. 119 pagine. euro 9,9). Un invito al sabotaggio e alla resistenza passiva diffuso a Roma. Minuziose istruzioni, celate dalla copertina dell’orario dei treni, per operai, ingegneri, agricoltori, meccanici. Qualche esempio: “Se cade una bomba vicino alla fabbrica approfittatene per rompere le macchine”; “sbagliate la velocità delle macchine, non mettete olio lubrificante”, “fate saltare le turbine aumentando il flusso d’aria nel condensatore”. Ed ancora i trasporti. Ferrovie in primis: “Uno dei mezzi migliori per frenare lo sforzo di guerra tedesco consiste nell’applicare alla lettera i regolamenti. Limitare la velocità, andare al passo”. Pagine che indicano minuziosamente una strada. Che per essere percorsa aveva bisogno quello che nessuno manuale avrebbe mai potuto dare: il coraggio.

Era il 1974 quando Mario Dal Pra, filosofo, dirigente del Partito d’Azione e membro del Comitato di Liberazione Nazionale, vide pubblicato “La guerra partigiana in Italia. Settembre 1943-Maggio 1944 (Giunti, pagine 336, euro 14,50,). Un libro che somma memorie e testimonianze raccolte dopo le elezioni del 1948. Mettendo una dietro l’altra le relazioni dei partigiani combattenti consegnate al Cnl. Un’opera che non piacque a Raffarele Cadorna, comandante in capo del Corpo volontari della libertà, indispettito per come Del Pra aveva accusato di disfattismo le alte gerachie dell’esercito. Ed è questo il senso delle note polemiche che Cadorna aggiunge di suo pugno al libro. Che in una frase di Dal Pra, scolpisce il senso stesso della guerra di Liberazione. Quell’unione di forze diverse, sia quelle antifasciste “già selezionate durante la lotta nascosta contro il fascismo prima e dopo il 25 luglio”, sia le altre “non coincidenti con quelle antifasciste”. Dall’unione di questi sforzi “nacque la guerra partigiana in Italia”. E questa fu la sua grandezza. (Beh, buona giornata).

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