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Attualità Lavoro

Venerdì 13 porta bene o porta male?

di Paolo Ciofi  da Megachip.info

Lo sciopero del 13 prossimo, indetto dalla Fiom e dalla Funzione pubblica Cgil, che vedrà scendere in piazza a Roma in un’unica manifestazione due categorie di lavoratori fondamentali per il presente e il futuro del Paese come i metalmeccanici e i dipendenti pubblici, è di per sé una novità di rilievo, e va sostenuto per tanti motivi. Ma in questo passaggio cruciale dell’Italia, lacerata da una crisi economica e sociale, al tempo stesso istituzionale, politica e morale, emerge soprattutto una motivazione che a mio parere più di ogni altra, proprio in questo momento, si fa apprezzare.

È l’unità conquistata su una piattaforma di lotta alla recessione, per i diritti e per la tutela di occupazione e salari, da due settori del lavoro dipendente in apparenza molto distanti, e spesso giocati l’uno contro l’altro dai governi e dalla Confindustria. Un segnale e una scelta di particolare rilievo perciò, in controtendenza rispetto alla frantumazione del lavoro, alle divisioni tra categorie e interne alle categorie, alla contrapposizione spesso scientificamente praticata tra uomini e donne, tra “garantiti” e precari, tra nativi e stranieri, tra giovani e anziani. In una parola, rispetto alla svalorizzazione del lavoro che, al fondo, è all’origine della crisi globale.

La vicenda clamorosa della Lindsey Oil nel Lincolnshire, dove i lavoratori britannici oppressi dalla disoccupazione ed espropriati del futuro hanno scioperato contro i loro “colleghi” italiani e portoghesi reclutati dalla Total, è indicativa del livello altamente conflittuale che può raggiungere la concorrenza tra operai senza lavoro e in apprensione per sé e per le proprie famiglie. Un fenomeno non nuovo, anzi tipico degli albori del capitalismo, quando i salariati non avevano rappresentanza sindacale e politica, e che oggi si ripete in forme diverse e meno vistose in tante regioni dell’Europa e dell’Italia.

Ma se la competizione spietata tra chi vive del proprio lavoro certifica inequivocabilmente il fallimento della globalizzazione del capitale magnificata come l’epifania della crescita, del benessere e della sicurezza – vale a dire di un modello sociale che si sta risolvendo in una catastrofe umana e ambientale proprio perché fondato su un gigantesco processo planetario di subordinazione e di precarietà del lavoro – , non è pensabile di poter uscire dalla crisi con un ritorno al passato. Le politiche protezioniste e nazionaliste, con l’innalzamento di nuove barriere, finirebbero per rendere esplosive tutte le contraddizioni senza mettere in discussione il modello sociale. Vale a dire che le toppe sarebbero persino peggio dei buchi.

Perciò mi pare di fondamentale importanza il messaggio che la giornata del 13 ci manda: per uscire positivamente dalla crisi, per tutelare diritti, salari e occupazione, ma anche per difendere la Costituzione e la Repubblica democratica, è necessaria la ricomposizione unitaria del mondo del lavoro, una nuova centralità dei lavoratori e delle lavoratrici nelle scelte sindacali e di governo. E per questo è necessario praticare l’esercizio della democrazia e forme di lotta che indichino obiettivi concreti, capaci di guadagnare consensi di massa, non solo sul terreno sindacale ma anche su quello politico.

Ciò vuol dire, per essere chiari fino in fondo, riconoscere i caratteri e gli interessi dei lavoratori del XXI secolo, distinguendoli e separandoli da quelli del capitale, spostando il centro di gravità del conflitto dalla dispersione tutta interna al pluriverso dei lavori sull’asse discriminante della dualità lavoro-capitale. E poiché le scelte del governo, al di là della loro inconsistenza, vanno nella direzione esattamente opposta, sia nella versione più vicina alla Confindustria, sia in quella che si riconosce nella “territorialità” della Lega, esse vanno duramente contrastate.

Depurata della demagogia contro i padroni, la posizione leghista in realtà azzera nei territori la dualità lavoro-capitale, ponendo al centro un duplice conflitto: contro lo Stato che deruba i “padani” delle loro ricchezze, e contro gli “stranieri” non padani che rubano il lavoro. Da una parte, si tende a consolidare un blocco d’ordine che mette insieme padroni e salariati, spostando tutte le contraddizioni all’interno del lavoro dipendente. Dall’altra, si ripristina il vecchio Stato gendarme con funzioni repressive contro gli “altri”. Nell’un caso e nell’altro si diffonde la paura, si piccona lo Stato di diritto, si rafforza in ultima istanza il dominio del capitale sul lavoro, mentre il tessuto sociale si disgrega e il Paese si disunisce.

La retrocessione verso il protezionismo, il nazionalismo, la “territorialità” e il localismo miope, la costruzione di nuove muraglie non solo psicologiche nella fase più drammatica della crisi, quando si perdono milioni posti di lavoro e nel pianeta cresce la miseria, generano solo rancore e odio alimentando i razzismi e la sindrome della lotta di tutti contro tutti. È il brodo di coltura in cui si moltiplicano i bacilli della violenza, delle svolte reazionarie e di destra, di una guerra senza vincitori né vinti perché porterebbe alla dissoluzione del pianeta.

Sono forti le ragioni per raccogliere il segnale di luce che i metalmeccanici e i lavoratori pubblici hanno acceso illuminando la strada della ricomposizione unitaria del lavoro: muovendo dal basso, dalle fabbriche e dagli uffici, come pure dai territori, per innovare sindacati e politica riempiendoli di contenuti, allargando l’orizzonte alla dimensione nazionale, europea e globale. Ormai è chiaro che a livello europeo c’è bisogno di una nuova impostazione sindacale e politica, che faccia del parametro lavoro la misura di riferimento per l’integrazione: massima occupazione come obiettivo strategico da perseguire; contratto europeo per le categorie fondamentali della produzione industriale e agraria, della ricerca e dei servizi; parità di salario tra uomini e donne per parità di prestazione; diritto al lavoro come fondamento della libertà e dell’uguaglianza, e dunque eliminazione del precariato e di ogni restrizione alla libera circolazione delle persone.

Anche a livello nazionale la ricomposizione unitaria del lavoro, al fine della valorizzazione massima delle lavoratrici e dei lavoratori nella società e nella politica, assume il significato di un obiettivo strategico verso il quale occorre con determinazione incamminarsi per tre principali ragioni. Innanzitutto, per uscire dalla crisi attraverso il cambiamento del modello economico-sociale. Senza di che, se si continuano a privilegiare rendite e profitti, non si rimuovono le cause di fondo della crisi e l’Italia rischia di andare a picco. Le misure del governo non sono altro che elargizioni a pioggia, insufficienti nelle quantità  e sbagliate nella sostanza perché prive di una visione strategica e perché non collegano gli incentivi alle imprese con la garanzia dell’occupazione e con il vincolo ambientale.

Ma c’è di più, dal momento che l’accordo siglato da governo e Confindustria con Cisl, Uil e Ugl sul modello contrattuale, nel tentativo di isolare la Cgil si qualifica in realtà come un errore capitale di cui tutti rischiamo di pagare le conseguenze. Perché, colpendo i salari e depotenziando il contratto nazionale, in definitiva si finisce per incentivare il diffondersi della crisi, indebolendo le difese del Paese. Come ha spiegato con dovizia di argomenti sul Corriere della sera del 5 febbraio Robert Reich, ex segretario al lavoro nell’amministrazione Clinton, un moderato abituato a fare i conti con i fatti e non a raccontare favole, la recessione è cosi grave perché si è fortemente ridotto il potere d’acquisto dei salari in conseguenza dell’indebolimento dei sindacati e del calo della sindacalizzazione dei lavoratori. Per cui la ricetta per la ripresa è: salari più alti e maggiore potere contrattuale ai lavoratori. Una ricetta che viene dall’America, alla quale forse non saranno insensibili i signori Bonanni e Angeletti e la signora Polverini, i quali per ora si rifiutano di sottoporre al referendum di tutti i lavoratori gli accordi che hanno firmato. Un’idea strana della democrazia, proprio nel momento in cui la democrazia di questo Paese è messa a rischio.

Forse – e in secondo luogo – ai più sfugge che per la tenuta democratica dell’Italia la ricomposizione unitaria del mondo del lavoro e il protagonismo dei lavoratori è un fattore decisivo. Anche per questa seconda e fondamentale ragione vanno respinte con nettezza le iniziative del governo volte a limitare il diritto di sciopero, come pure la linea convergente Sacconi-Giavazzi-Ichino, che in nome delle “riforme” lavoriste mira a scambiare sussidi con diritti (come l’articolo 18). Pensare che si possano difendere i diritti civili sulle macerie di diritti sociali è fuori dalla logica democratica e da ogni concreta possibilità. A tale proposito, e a maggior ragione in presenza degli sviluppi drammatici della crisi, siamo ancora in attesa che il segretario Veltroni smentisca l’affermazione secondo cui «se l’economia va male, non ci può essere giustizia sociale». Un principio del tutto demodé e difficile da attribuire a chi dichiara di voler combattere la destra.

Infine, ultimo ma non per importanza, il riconoscimento del valore centrale del lavoro nella società e nella politica è il presupposto imprescindibile per la ricostruzione di una sinistra che voglia avere consenso di massa e si proponga di trasformare la società. Un tema che non si può omettere, e su cui bisognerà ritornare. Per ora constatiamo che di fronte alla crisi del capitalismo di questo secolo, la sinistra non dispone di una visione comune e adeguata circa il modo di avviare un modello diverso dell’economia e della società. Ma proprio perciò è di grande valore lo stimolo che potrà venire dalla giornata del 13: ricominciare dal lavoro, fattore costitutivo della persona e coesivo della società, fondamento della libertà e dell’uguaglianza, come del resto la Costituzione prescrive.

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche Sport

Il Brasile Battisti l’Italia 2-0.

«Il Brasile trovi il modo di ribaltare la sua decisione incomprensibile su Battisti, che non potrebbe che lasciare conseguenze nei rapporti tra Italia e Brasile» La Russa dixit. Il ministro della Difesa che ogni tanto fa il ministro dell’ Interno e stavolta si improvvisa ministro degli Esteri ha perso di nuovo l’occasione di stare zitto. La Russa ha criticato chi «non ha neppure voluto mettere una fascia al braccio, in quella che non è neppure una partita di calcio sportiva, ma che si potrebbe definire una esibizione da globe trotter». Una “partita di calcio sportiva”? Esibizione da “globe trotter”? Povero Gianfranco Fini: pensava di avere allevato colonnelli e si ritrova solo caporali di giornata. Per fianco deee-str, destr! Beh, buona giornata.

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Ciao, Eluana.

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Attualità Leggi e diritto

Il 57% degli italiani è dalla parte di Beppino Englaro. In nome di chi i parlamentari italiani si accingono a votare a favore del ddl: in nome degli elettori o del premier?

(Fonte: Agi).

La maggioranza degli italiani (il 57%)resta favorevole alla sospensione dell’alimentazione forzata nel caso di Eluana Englaro. Ma nelle ultime due settimane la percentuale dei contrari e’ salita dal 19 al 34%. E’ quanto emerge da un sondaggio realizzato per il quotidiano online affaritaliani.it dall’istituto Crespi Ricerche.

Tra il 20 e il 22 gennaio (data dell’ultimo rilevamento) i favorevoli erano il 70%, mentre a dire “non so” o a non rispondere erano l’11%, scesi oggi al 9%. Alla domanda sulla necessita’ di una legge che disciplini il testamento biologico l’86% risponde di essere favorevole (in rialzo rispetto al 75% di gennaio) mentre si dimezza la percentuale dei contrari, dal 12 al 6%. E ancora: alla domanda “In casi come quello di Eluana in cui il paziente non puo’ esprimere la sua volonta’, secondo lei chi dovrebbe assumersi la responsabilita’ di decidere sull’eventuale sospensione di cure o dell’alimentazione forzata?”, il 70% del campione risponde “i familiari e i medici”, il 10% “i medici”, solo il 7% “una legge dello Stato” e il 3% “i giudici e i medici”. Non so/non risponde e’ al 10%.

“Gli italiani hanno le idee chiare su chi deve decidere della vita e della morte nei casi come quello di Eluana – spiega Luigi Crespi -. Mentre nel trend dei dati possiamo vedere con chiarezza l’effetto della campagna di questi ultimi giorni e il peso della presa di posizione del premier, Silvio Berlusconi, che ha spostato milioni di persone, anche se la maggioranza continua ad essere favorevole alla posizione di Beppino Englaro”.

Il sondaggio e’ stato condotto telefonicamente su un campione di 1.000 cittadini maggiorenni, stratificato per sesso, eta’, ampiezza centri ed aree geografiche. Beh, buona giornata.

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche

Nel “pacchetto sicurezza” ci sono leggi razziali.

«Le ronde – ha detto il ministro dell’Interno – sono formate da cittadini volontari non armati che girano con il telefonino svolgendo un importante ruolo di controllo del territorio. Esistono da dieci anni e non si sono mai verificati episodi di violenza».

“L’Italia precipita, unico Paese occidentale, verso il baratro di leggi razziali, con medici invitati a fare la spia e denunciare i clandestini (col rischio che qualcuno muoia per strada o diffonda epidemie), cittadini che si organizzano in associazioni paramilitari”. Lo scrive Famiglia Cristiana in merito alle norme contenute nel “pacchetto sicurezza”, fiore all’occhiello del ministro dell’Interno. Beh, buona giornata.

 

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media Società e costume

Botte da orbi tra Mediaset e Sky. La pubblicità sta a “guardare”.

Sky non ha fatto nemmeno in tempo ad annunciare ufficialmente l’arrivo di Fiorello  che Mediaset  per rappresaglia sta facendo di tutto perché vengano tolti dalla piattaforma satellitare di Murdoch i suoi canali (Canale5, Italia1 e Rete 4) per essere trasmessi esclusivamente sulla nuova piattaforma satellitare Tivù Sat, Insomma, tra Sky Mediaset sta per scorrere sangue. 

Pare che in questi giorni, ogni tanto succede che dei tre canali Mediaset visibili su Sky uno venga oscurato e su un altro  compaia in modo continuato una scritta che avvisa lo spettatore dell’opportunità di vedere lo stesso canale anche sul digitale terrestre.

Sicuramente il lancio di Tivù Sat, la piattaforma realizzata in collaborazione da Mediaset, Rai e Telecom Italia Media, cioè La 7, riveste un’importanza strategica in particolare per Mediaset, che sta spingendo sulla pay tv. Infatti sul digitale terrestre sta operando nell’ottica di affiancare canali a pagamento a quelli in chiaro, soprattutto allo scopo di diversificare il fatturato. Il gruppo sta cercando di dare una spinta propulsiva agli abbonamenti a importo fisso mensile, proprio sul modello inventato da Sky appunto, in sostituzione alle carte prepagate.

Però, per sfruttare al meglio le potenzialità del modello pay, è innegabile che la piattaforma migliore resti quella satellitare; da qui la fiducia che Mediaset ripone nella nuova Tivù Sat e la decisione di portare su di essa anche i tre canali free, togliendoli alla tv satellitare di Sky.

Che intanto però, colleziona successi, non solo in termini di ascolti ma anche di raccolta pubblicitaria. Pare infatti che, nonostante l’annus horribilis del mercato, il 2008 per Sky si sia chiuso con lo stesso risultato del 2007, se non addirittura con qualche punto in più.

Finalmente un po’ di concorrenza nel mercato televisivo italiano. Anche se c’è da notare come in questo nuovo scenario la Rai appaia “embedded” alle scelte di Mediaset. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

In tempi di crisi anche il lusso piange miseria.

La crisi investe anche la moda, e il Made in Italy lascia a terra marchi presigiosi
Ieri, Ittierre Spa, unità della It Holding, ha annunciato che chiederà l’amministrazione controllata. Ma l’intero gruppo – che possiede anche il marchio Gianfranco Ferrè – sarebbe sull’orlo della bancarotta.

It, la holding quotata in Borsa, controlla le Spa Ittierre, licenziataria di marchi prestigiosi come Just Cavalli e Versace jeans couture, Malo e Gianfranco Ferrè. 

Stamattina, i titoli sono stati sospesi a tempo indeterminato da Borsa Italiana. La società aveva annunciato martedì scorso di aver ricevuto una proposta da un fondo estero che includeva un aumento di capitale e il riacquisto delle obbligazioni. L’indebitamento di IT Holding era di 295 milioni a fine settembre e la società ha un valore di mercato di circa 43 milioni. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto

Prove tecniche di Terza repubblica: “Stiamo vivendo una vicenda che sta a metà tra ‘Napoleone il piccolo’ (Victor Hugo) e ‘La resistibile ascesa di Arturo Ui’ (Bertolt Brecht).”

Lo tsunami costituzionale

di STEFANO RODOTA’ da repubblica.it

1) La turbolegge. Berlusconi vuole imporre in tre giorni una norma che cancella ogni traccia di divisione dei poteri, per impedire l’attuazione di un provvedimento giudiziario passato in giudicato e inventando un nuovo circuito istituzionale, che affida a un Parlamento incatenato il compito d’essere il killer dei giudici. Ma la strada scelta è, tecnicamente, non percorribile.

Nella relazione che accompagna il disegno di legge del Governo si sostiene che non siamo di fronte ad una sentenza passata in giudicato, perché i giudici non hanno accertato un diritto, ma si sono limitati ad integrare la volontà di un privato, quella di Eluana Englaro, con un semplice provvedimento di”volontaria giurisdizione”. Non è così.

Quando la Cassazione ha ammesso il ricorso straordinario contro il decreto della Corte d’appello, che autorizzava la procedura di interruzione dei trattamenti, lo ha potuto fare proprio in considerazione del fatto che si trattava di un provvedimento relativo a diritti, che assume i caratteri del giudicato e che, quindi, detta una disciplina immutabile del diritto considerato. Ed è principio indiscutibile in tutti gli ordinamenti che la legge sopravvenuta non può influire sul diritto sul quale il magistrato si è pronunciato con un provvedimento passato in giudicato.

Il Governo tenta una ennesima forzatura, pericolosa e inutile. Pericolosa, perché insiste su una soluzione che, con rigore tecnico, era stata ritenuta non percorribile dal Presidente della Repubblica: si vuole, dunque, mantenere aperto il conflitto con Napolitano. Inutile, perché non sarà possibile intervenire in modo legittimo per bloccare l’attività già avviata di interruzione dei trattamenti sulla base di una legge su questo punto chiaramente incostituzionale.
Quali altri atti di forza, allora, si escogiteranno per espropriare i cittadini della possibilità di condurre “la lotta per il diritto” – è questo il titolo d’un classico del liberalismo ottocentesco, del giurista Rudolf von Jhering, che Benedetto Croce volle fosse ripubblicato negli anni del fascismo – e per impedire che possano avere ancora “giudici a Berlino”? Questa era l’orgogliosa sfida del mugnaio di Sans-Souci in presenza di Federico il Grande. Mugnai e giudici stanno perdendo diritto di cittadinanza in Italia?

2) L’inammissibile libertà. Dice il cardinale Ruini: “Preferisco parlare di una legge sulla fine della vita. La parola testamento implica infatti che si disponga di un oggetto, ma la vita non è un oggetto”. Il mutamento linguistico, dunque, rivela un capovolgimento concettuale e politico. Per quante perplessità il ricorso al termine “testamento” possa suscitare dal punto di vista tecnico-giuridico, esso esprime bene il fine che si vuol raggiungere. Testamento biologico, testament de vie, living will ci parlano di un “atto personalissimo”, in cui è sovrana la volontà dell’interessato.

Certo, la vita non è un oggetto, ma appartiene sicuramente alla sfera più intima dell’interessato che, com’è ormai chiaro, giuridicamente può disporne e ne dispone. Quando, invece, si parla di una legge sulla fine della vita, il legislatore non si fa signore della morte, perché questo è un evento naturale sul quale nessuno può intervenire. Si impadronisce del morire, che è vicenda umana, alla quale si pretende di imporre regole autoritarie, incuranti delle ragioni della coscienza di ciascuno.

La coscienza, allora, che in politica compare soprattutto come diritto al dissenso. Diritto già negato dal Presidente del Consiglio ai suoi ministri, che avrebbero potuto manifestarlo in quest’ultima vicenda solo dando contestualmente le dimissioni. E che i tempi imposti e la minaccia della fiducia negano anche ai parlamentari della maggioranza, perché il dissenso non è solo dire un sì o un no, ma la possibilità di argomentare, di discutere in quel foro democratico che continuiamo a chiamare Parlamento.

Il fatto che il diktat berlusconiano non si estenda direttamente ai parlamentari dell’opposizione non esclude che anche nei loro confronti si commetta un sopruso. Ma bisogna guardare più a fondo. Quando le decisioni legislative incidono direttamente sull’autonomia delle persone nel governare la loro vita, la libertà di coscienza non è solo quella dei parlamentari. La libertà di coscienza da tutelare è, in primo luogo, quella della persona che deve compiere le scelte di vita. Il problema, allora, non riguarda la libertà di coscienza di chi deve stabilire le regole: investe la legittimità stessa dell’intervento legislativo in forme tali da cancellare, o condizionare in maniera determinante, quelle scelte. Altrimenti si determina una asimmetria pericolosa: quando si affrontano i temi eticamente sensibili la libertà di coscienza dei legislatori può divenire massima, quella dei destinatari della norma minima.

3) Un “pieno” di diritto. Si è detto, e si continua a ripetere, che una legge è comunque necessara, perché bisogna colmare un pericoloso vuoto legislativo. Per l’ennesima volta invito a leggere la sentenza della Corte di Cassazione dell’ottobre 2007, la decisione centrale per il caso Englaro, che mostra rigorosamente come il diritto al rifiuto di cure, anche per il futuro, sia solidamente fondato su norme costituzionali, su convenzioni internazionali ratificate dall’Italia (non quella sui disabili, abusivamente richiamata nell’atto di indirizzo del ministro Sacconi), su articoli della legge sul servizio sanitario (e del codice civile, come quelli sull’amministrazione di sostegno per gli incapaci).

Siamo di fronte a un “pieno” di diritto, che si vuole “svuotare” con una mossa restauratrice, invece di integrarlo con poche, semplici norme che rendano più agevole e sicuro l’esercizio di un diritto che, lo ripeto, già esiste, non è un’inaccettabile creazione giurisprudenziale.

L’argomento del far west lo conosciamo e ha sempre prodotto danni, come dimostra tra l’altro la pessima legge sulla procreazione assistita, che davvero ha prodotto un far west legato ad un “turismo procreativo”, che nasce da un proibizionismo cieco e rende più difficile la vita delle persone, delegittimando ai loro occhi una legge che sono obbligati ad aggirare.

Se la turbolegge passerà, ponendo le premesse per una normativa proibizionista sulla fine della vita, si daranno incentivi al turismo “eutanasico”, alle pratiche clandestine già tanto diffuse. Verrà così santificata la doppia morale – fate, ma senza clamore e scandalo. E saranno sconfitti tutti quelli che vogliono rimanere nel solco della legalità e dello Stato di diritto, come ha dolorosamente voluto Beppino Englaro, un eroe civile al quale nessuno dedicherà un film come ha fatto la civilissima America per le storie di Erin Brockovich e Harvey Mills.

4) La Costituzione “sovietica”. Con la nuova dottrina costituzionale del Presidente del Consiglio si precipita in un abisso culturale, in mare di contraddizioni. Non si accorge, il Presidente del Consiglio, del grottesco di una argomentazione che lamenta la debolezza dei suoi poteri costituzionali, e poi accusa la stessa costituzione d’aver preso a modello quella sovietica, che appartiene ad uno dei regimi più violentemente dittatoriali che la modernità abbia conosciuto? Sa che la Costituzione italiana ha inventato un modo nuovo di parlare dell’eguaglianza?

Che ha anticipato tutti gli sviluppi successivi su temi come quelli della salute o del paesaggio, all’epoca ignorati da tutti i grandi documenti costituzionali, la costituzione francese e quella tedesca, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’Onu e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo?

Sarebbe vano ricordare al Presidente del Consiglio la bella frase con la quale Piero Calamandrei descriveva la nostra come una “Costituzione presbite”, dunque capace di guardare lontano e di inglobare il futuro. Risponderebbe senza esitazioni che Calamandrei era “un comunista”. E sarebbe pure vano ricordargli che “i principi supremi” della Costituzione non possono essere modificati neppure con il procedimento di revisione costituzionale, e che tra questi principi supremi vi è proprio quello di laicità, perduto in questo clima di sottoposizione della Costituzione alla tutela vaticana. E che esiste un principio che impone al Governo di “coprire” il Presidente della Repubblica, sì che ci si doveva attendere una protesta ufficiale per la dichiarazione ufficiale vaticana di “delusione” per il comportamento di Giorgio Napolitano.

L’obiettivo è chiaro. Rompendo con la Costituzione, Berlusconi infrange il patto civile tra i cittadini e non ci porta verso una Terza o una Quarta Repubblica, ma verso un cambiamento di regime, ad una sovversione, ad una radicale sostituzione del governo della legge con quello degli uomini (Platone, non Stalin).

Ha colto nel segno Ezio Mauro quando ha parlato di una palese deriva bonapartista. Stiamo vivendo una vicenda che sta a metà tra “Napoleone il piccolo” (Victor Hugo) e “La resistibile ascesa di Arturo Ui” (Bertolt Brecht). Resistibile, Ma bisogna resistere davvero e subito o non vi sarà tempo per ripensamenti e pentimenti. (Beh, buona giornata).

 

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Attualità Lavoro Leggi e diritto Popoli e politiche

L’equazione immigrazione=criminalità è una invenzione della politica.

CRIMINI E IMMIGRATI *

di Milo Bianchi  , Paolo Buonanno e Paolo Pinotti  da lavoce.info

L’allarme sociale destato dal presunto aumento dei crimini legati all’immigrazione domina ormai il dibattito politico e sociale nel nostro paese. Tuttavia, i dati mostrano una realtà diversa. Dal 1990 al 2003 il numero di permessi di soggiorno in rapporto al totale della popolazione residente si è quintuplicato, mentre non c’è alcun aumento sistematico della criminalità, che anzi mostrerebbe una lieve flessione. Gli stessi dati sembrano inoltre escludere l’ipotesi di una relazione causale diretta tra immigrazione e criminalità.

 Nell’immaginario collettivo, l’immigrazione è da sempre associata alla criminalità. I risultati dell’indagine “National Identity Survey” confermano che, in quasi tutti i paesi europei, la maggior parte dei cittadini è convinta che gli immigrati aumentino il tasso di criminalità. (1)

IMMIGRAZIONE E CRIMINALITÀ

L’evidenza empirica, tuttavia, perlomeno in ambito economico, si concentra prevalentemente sugli effetti dell’immigrazione sul mercato del lavoro (salari, occupazione) e sulla spesa per lo stato sociale, trascurando completamente l’impatto sulla criminalità. Abbiamo perciò cercato di colmare questo divario e di ancorare il dibattito pubblico ad alcuni dati statistici. Per analizzare l’evoluzione di immigrazione e criminalità nelle province italiane dal 1990 al 2003, abbiamo dunque incrociato le informazioni sui permessi di soggiorno e sul numero di crimini denunciati, provenienti rispettivamente dagli archivi del ministero dell’Interno e della Giustizia. (2)
Ovviamente, questi dati sottostimano l’effettiva entità sia dell’immigrazione che della criminalità per la presenza di immigrati irregolari e di crimini non denunciati. Si può tuttavia mostrare che, sotto alcune ipotesi, la componente osservata dei due fenomeni fornisce una buona approssimazione di quella non osservabile. Per quanto riguarda l’immigrazione, abbiamo verificato che l’approssimazione è estremamente accurata utilizzando le domande di regolarizzazione, presentate durante le sanatorie del 1995, 1998 e 2002, per stimare il numero di immigrati irregolari e la loro distribuzione sul territorio.
L’analisi rivela alcuni risultati in controtendenza rispetto al comune sentire. (3) Durante il periodo preso in esame, il numero di permessi di soggiorno in rapporto al totale della popolazione residente è quintuplicato, da meno dello 0,8 a quasi il 4 per cento. A tale crescita non è tuttavia associato alcun aumento sistematico della criminalità, che mostrerebbe invece una lieve flessione. A livello nazionale, dunque, non emerge alcuna correlazione significativa tra immigrazione e criminalità.

Una correlazione positiva emerge invece a livello locale. In particolare, le province che hanno attratto un maggior numero di immigrati, in rapporto alla popolazione, hanno registrato anche tassi di criminalità più elevati. Distinguendo tra le principali categorie di reato emerge che la correlazione è dovuta esclusivamente ai reati contro la proprietà, che rappresentano quasi l’80 per cento dei crimini denunciati. I crimini violenti (e in particolare gli omicidi) si concentrano infatti nel Mezzogiorno, dove l’immigrazione è a livelli minimi. Le province del Centro-Nord si caratterizzano invece per una più alta presenza straniera e, al contempo, per una maggiore incidenza di reati contro la proprietà.

L’associazione potrebbe essere dovuta all’esistenza di una relazione causale tra i due fenomeni oppure ad altri fattori che incoraggiano sia la presenza straniera che i furti, come ad esempio la maggiore ricchezza e urbanizzazione delle province settentrionali.
Per distinguere tra le due ipotesi, abbiamo utilizzato dati sulla migrazione dai principali paesi di origine verso il resto d’Europa. Identifichiamo così la componente dei flussi migratori che dipende esclusivamente da shock esogeni nei paesi di origine, come guerre, crisi politiche ed economiche. Questi fenomeni aumentano l’emigrazione, e quindi potenzialmente l’immigrazione in Italia, senza essere correlati con fattori che influiscono direttamente sull’attività criminale nelle province italiane. La correlazione tra tale componente esogena e il tasso di criminalità nelle province italiane non è significativamente diversa da zero.
Il risultato suggerisce che, nel periodo preso in esame, l’immigrazione in Italia non ha avuto un effetto causale significativo sul livello di criminalità.

(1) La percentuale varia tra il 40 per cento in Gran Bretagna e l’80 per cento in Norvegia. In Italia, nel 2003, la percentuale si collocava intorno al 65 per cento. I risultati dell’indagine sono integralmente disponibili all’indirizzo http://www.issp.org/data.shtml 
(2) Non è possibile estendere le serie storiche ad anni più recenti perché nel 2004 è stata introdotta una nuova classificazione dei crimini che rende i dati pre e post-2004 non comparabili. Inoltre, dai nostri dati, non è possibile risalire alla nazionalità del denunciato né al suo status di immigrato regolare o irregolare.
(3) Tutti i risultati sono presi dal nostro articolo “Do immigrants cause crime?” – Paris School of Economics Working Paper No. 2008-05. (Beh, buona giornata).

* Le idee e le opinioni espresse sono da attribuire esclusivamente agli autori e non impegnano la responsabilità dell’Istituto di appartenenza.

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche

Prove tecniche di Terza repubblica: “Il fine giustifica i mezzi” è uno dei motti del machiavellismo politico; ma che succede se “i mezzi giustificano i mezzi”?

Il veleno nichilista che anima il regime.

di GUSTAVO ZAGREBELSKY da repubblica.it

Viviamo un momento politico-costituzionale certamente particolare. Questo non è in discussione, sia presso i fautori, sia presso i detrattori del regime attuale. Non sarà fuori luogo precisare che, in questo contesto, la parola regime vale semplicemente a dire – secondo il significato neutro per cui si parla di regime liberale, democratico, autoritario, parlamentare, presidenziale, eccetera – “modo di reggimento politico” e non ha alcun significato valutativo, come ha invece quando ci si chiede, con intenti denigratori espliciti o impliciti, se in Italia c’è “il regime”. Ma che tipo di regime? Questa è la domanda davvero interessante.

Alla certezza – viviamo in “un” regime che ha suoi caratteri particolari – non si accompagna però una definizione che dia risposta a quella domanda. Sfugge il carattere fondamentale, il “principio” o (secondo l’immagine di Montesquieu) il ressort, molla o energia spirituale che lo fa vivere secondo la sua essenza. Un concetto semplice, una definizione illuminante, una parola penetrante, sarebbero invece importanti per afferrarne l’intima natura e per prendere posizione.

Le definizioni, per la verità, non mancano, spesso fantasiose e suggestive. Anzi sovrabbondano, a dimostrazione che, forse, nessuna arriva al nocciolo, ma tutte gli girano intorno: autocrazia; signoria moderna; egoarchia; governo padronale o aziendale; dominio mediatico; grande seduzione; regime dell’unto del Signore; populismo o unzione del popolo; videocrazia; plutocrazia, governo demoscopico. Si potrebbe andare avanti. Si noterà che queste espressioni, a parte genericità ed esagerazioni, colgono (se li colgono) aspetti parziali e, soprattutto, sono legate a caratteri e proprietà personali di chi il regime attuale ha incarnato e tuttora incarna.

Ed è una visione riduttiva, come se si trattasse soltanto di un affare di persone; come se, cambiando le persone, potesse cambiare d’un tratto e del tutto la trama della politica. Invece, prassi, mentalità e costumi nuovi si sono introdotti partendo da lontano; sistemi di potere e metodi di governo sono stati istituiti. Un regime non nasce di colpo, va consolidandosi e forse andrà lontano. È un’illusione pensare che ciò che è stato ed è possa poi passare senza lasciare l’orma del suo piede. La questione che ci interroga è quella di cogliere con un concetto essenziale, comprensivo ed esplicativo di ciò che di oggettivo è venuto a stabilizzarsi e a sedimentare nella vita pubblica e che opera e opererà in noi, attorno a noi e, forse, contro di noi. Se, parlando di regime oggi, è inevitabile che il pensiero corra a ciò che si denomina genericamente “berlusconismo”, dobbiamo tenere presente che qui non si tratta di vizi o virtù personali ma di una concezione generale del potere che si irraggia più in là.

Colpisce che tutti i tentativi per arrivare a cogliere un’essenza – giusti o sbagliati che siano – si fermino comunque ai mezzi: denaro, televisione, blandizie e minacce, corruzione, seduzione, confusione del pubblico nel privato e viceversa, impunità, sondaggi, eccetera. Ma tutto ciò in vista di quale fine? Proprio il fine dovrebbe essere ciò che qualifica l’essenza di un regime politico, ciò che gli dà senso e ne rende comprensibile la natura. Se non c’è un fine, è puro potere, potere per il potere, tautologia. Ma qui il fine, distinto dai mezzi, è introvabile.

A meno di credere a parole d’ordine tanto generiche da non significare nulla o da poter significare qualunque cosa – libertà, identità nazionale, difesa dell’Occidente, innovazione, sviluppo, o altre cose di questo genere – il fine non si vede affatto, forse perché non c’è. O, più precisamente, il fine c’è ma coincide con i mezzi: è proteggere e potenziare i mezzi. Una constatazione davvero sbalorditiva: un’aberrazione contro-natura, una volta che la politica sia intesa come rapporto tra mezzi e fini, rapporto necessario affinché il governo delle società sia dotato di senso e il potere e la sua pretesa d’essere riconosciuto come legittimo possano giustificarsi su qualcosa di diverso dallo stesso puro potere.

A parte forse l’autore della massima “il potere logora chi non ce l’ha”, nessuno, nemmeno il Principe machiavelliano, ha mai attribuito al potere un valore in sé e per sé stesso. “Il fine giustifica i mezzi” è uno dei motti del machiavellismo politico; ma che succede se “i mezzi giustificano i mezzi”? È la crisi della ragion politica, o della politica tout court. È il trionfo della “ragione strumentale” nella politica.

Siamo di fronte a qualcosa di incomprensibile, inafferrabile, incontrollabile, qualcosa all’occorrenza capace di tutto, come in effetti vediamo accadere sotto i nostri occhi: un giorno dialogo, un altro scomuniche; un giorno benevolenza, un altro minacce; un giorno legalità, un altro illegalità; ciò che è detto un giorno è contraddetto il giorno dopo. La coerenza non riguarda i fini ma i mezzi, cioè i mezzi come fini: si tratta di operare, non importa come e con quale coerenza, allo scopo di incrementare risorse, influenza, consenso.

Il politico adatto a questa corruzione della vita pubblica è l’uomo senza passato e senza radici, che sa spiegare le vele al vento del momento; oppure l’uomo che crede di avere un passato da dimenticare, anzi da rinnegare, per presentarsi anch’egli come uomo nuovo. È colui che proclama la fine delle distinzioni che obbligherebbero a stare o di qua o di là.

Così, si può fingere di essere contemporaneamente di destra e di sinistra o di stare in un “centro” senza contorni; si può avere un’idea, ma anche un’altra contraria; ci si può presentare come imprenditori e operai; si può essere atei o agnostici ma dire che, comunque, “si è alla ricerca”; si può dare esempio pubblico della più ampia libertà nei rapporti sessuali e farsi paladini della famiglia fondata sul santo matrimonio; si può essere amico del nemico del proprio amico, eccetera, eccetera. Insomma: il “politico” di successo, in questo regime, è il profittatore, è l’uomo “di circostanza” in ogni senso dell’espressione, è colui che “crede” in tutto e nel suo contrario.

Questo tipo di politico conosce un solo criterio di legittimità del suo potere, lo stare a galla ed espandere la sua influenza. Il suo fallimento non sta nella mancata realizzazione di un qualche progetto politico. Se egli vive di potere che cresce, anche una piccola battuta d’arresto può essere l’inizio della sua fine. Non sarà più creduto. Per questo ogni indecisione, obbiettivo mancato o fallimento deve essere nascosto o mascherato e propagandato come un successo.

La corruzione e la mistificazione della dura realtà dei fatti e della loro verità è nell’essenza di questo regime. Il rapporto col mondo esterno corre il rischio di essere “disturbato”. L’uomo di potere, di questo tipo di potere, non vede di fronte a sé alcuna natura esterna, poiché diventa ai suoi occhi egli stesso natura (naturalmente, lo si sarà compreso, si sta parlando di “tipo ideale”, cioè di un modello che, nella sua perfezione, esiste solo in teoria).

Abbiamo iniziato queste considerazioni col proposito di cercare una definizione che, in una parola, condensi tutto questo. L’abbiamo trovata? Forse sì. Non ci voleva tanto: nichilismo, inteso come trasformazione dei fatti e delle idee in nulla, scetticismo circa tutto ciò che supera l’ambito (sia esso pure un ambito smisurato) del proprio interesse. Chi conosce la storia di questo concetto sa di quale veleno, potenzialmente totalitario, esso abbia mostrato d’essere intriso. Ciò che, invece, si fa fatica a comprendere è come chi tuona tutti i giorni contro il famigerato “relativismo” non abbia nessun ritegno, addirittura, a tendergli la mano. (Beh, buona giornata).

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Attualità Popoli e politiche

Walter Veltroni come Nick Mallett?

Il folle esperimento politico del Pd, che alle ultime elezioni politiche ha praticamente messo fuori gioco la sinistra  appare molto simile alla conduzione della nazionale italiana di rugby, che ha appena subito una pesante debacle nel torneo delle Sei nazioni.

Sul sito della Bbc, l’esperto di palla ovale Ben Dirs scrive dei «folli esperimenti di Nick Mallett».
«Nel 1962 – ricorda sul sito dell’emittente – lo psichiatra Louis Jolyon West ed i suoi colleghi dell’Università dell’Oklahoma iniettarono 297 milligrammi di LSD ad un elefante chiamato Tusko, solo per vedere cosa sarebbe successo. Cinque minuti dopo l’animale, scosso da un attacco epilettico, ebbe un collasso e crollò a terra sul fianco destro. Mi sono ricordato di questa storia ieri, quando ho visto giocare Mauro Bergamasco da mediano di mischia. Così come non bisogna essere un laureato in psichiatria per capire che se inietti droga a un elefante non gli fai certo un favore, allo stesso modo non bisogna essere un grande tecnico di rugby per capire che la mossa di Bergamasco in quel ruolo si sarebbe rivelata un disastro. Infatti dopo nemmeno due minuti l’Inghilterra era già andata in meta.  Avrei voluto scendere in campo e dare un abbraccio a Bergamasco per incoraggiarlo».

C’è però una differenza sostanziale tra Walter Veltroni e Nick Mallet. Mallet ha riconosciuto pubblicamente il suo errore. Veltroni no, tanto che reitera il folle esperimento, accordandosi col Governo per lo sbarramento al 4% nelle prossime elezioni europee. Col risultato che Berlusconi andrà a meta anche il 6 e il 7 giugno prossimi. E l’Italia, non solo nel rugby sarà candidata al cucchiaio di legno. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Crisi globale: la Nissan taglia il 10 per cento della forza lavoro complessiva.

(Fonte: ilmessaggero.it)

TOKYO (9 febbraio) – Nissan annuncia un maxi piano di ristrutturazione per fronteggiare la crisi e taglia 20.000 posti di lavoro. È quanto emerso nel corso della presentazione dei dati trimestrali da parte del numero uno della compagnia Carlos Ghosn. In questo modo, i dipendenti della Nissan a livello globale passeranno da 235.000 a quota 215.000 entro marzo 2010.

Nissan stima poi una perdita netta per l’esercizio in corso che terminerà il 21 marzo 2009 di 265 miliardi di yen (2,2 miliardi di euro) a causa della «frenata dell’economia globale registrata dalla seconda metà del 2008», e per «la rivalutazione dello yen, abbinata al rapido declino della fiducia dei consumatori in tutti i principali mercati». La compagnia franco-nipponica afferma inoltre che la perdita netta del terzo trimestre è di 83,2 miliardi di yen (circa 700 milioni di euro). «Guardando in avanti le nostre priorità restano la protezione del nostro cash flow e tutte le misure necessarie per migliorare la performance del nostro business», ha commentato Ghosn.

L’alleggerimento degli organici, vicino al 10% della forza lavoro complessiva, avverrà principalmente con il taglio delle assunzioni, l’eliminazione dei contratti a termine e gli incentivi alle uscite e ai pensionamenti. «È presto per dire dove e come ci saranno queste misure – ha detto Ghosn – visto che sono appena partite le discussioni, ma posso dire che non ci saranno chiusure di impianti». Il numero uno del gruppo, infatti, ha spiegato di ritenere che «il mercato ritroverà la ripresa e dobbiamo essere pronti». Allo studio, inoltre, ipotesi come la settimana lavorativa ridotta a 4 giorni e il taglio delle retribuzioni. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Qualcuno spieghi al ministro dell’Interno che la maggior parte delle violenze sulle donne avviene tra le mura domestiche. Grazie.

«Se ci fossero state le ronde là dove ci sono stati recenti episodi di stupri, forse questi stupri non sarebbero avvenuti». Lo ha detto il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, nel corso del programma L’Elefante su Radio24. L’elefante è il nuovo programma condotto da Giuliano Ferrara, il capo del servizio d’ordine dello schieramento pro-life. Beh, buona giornata.

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Attualità Leggi e diritto

Prove tecniche di Terza repubblica: le pie illusioni de Il Corriere della Sera.

Berlusconi e la sfida sulla Costituzione

Oltre la misura

di (apparso su Il Corriere della Sera di ieri, non firmato, attribuibile al direttore) da corriere.it

 

Dopo la giornata nera di uno dei più duri scontri istituzionali del dopoguerra repubblicano, avremmo auspicato il momento della ricucitura. Purtroppo il presidente del Consiglio ha scelto la strada opposta, e ha finito per parlare della nostra Costituzione come di un documento in parte ispirato da chi aveva l’Unione Sovietica come «modello». Un giudizio oltre ogni misura.

Le circostanze storiche che hanno dato vita alla Costituzione repubblicana sono note. E la nostra Carta costituzionale è ovviamente emendabile nelle sue parti che più sono esposte all’usura del tempo (come il Corriere ha sempre sostenuto). Ma non si può sottacere l’apprezzamento che le è riconosciuto in modo pressoché unanime. La speranza è che l’enormità imprudentemente formulata dal nostro premier non comprometta il tentativo di ricreare un clima meno tempestoso nei rapporti tra Palazzo Chigi e il Quirinale. Questi sono i giorni in cui ci si deve responsabilmente adoperare per sanare una grave frattura tra le istituzioni. Strapazzare la memoria della Costituzione otterrebbe il risultato contrario. (Beh, buona giornata).

08 febbraio 2009

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Attualità Leggi e diritto

Caso Englaro: “Il dibattito in Parlamento sarà stato soffocato utilizzando, con una certa violenza, gli strumenti previsti dai regolamenti parlamentari.”

 
Dalla parte delle regole

di CARLO FEDERICO GROSSO da lastampa.it

Ciò che sta accadendo attorno alla vicenda Englaro suscita perplessità e tormenti. Non intendo affrontare il problema etico. Non sarei titolato a farlo. Soprattutto, sono convinto che sui temi dell’inizio e della fine della vita ciascuno deve fare, in silenzio, soltanto i conti con la propria coscienza e non imporre agli altri le proprie eventuali certezze. Intendo invece porre alcuni interrogativi concernenti le questioni di diritto.

La prima questione suscitata dalle più recenti iniziative del governo riguarda la legittimità del decreto legge approvato venerdì mattina. Su questo punto non sono possibili discussioni. Come ha valutato il Presidente della Repubblica, il decreto era costituzionalmente illegittimo per mancanza del requisito della necessità e urgenza. Allo scopo di non violare il principio secondo cui la legge è, necessariamente, generale e astratta, il governo aveva proposto un testo destinato a regolare «tutti i casi» in cui si fosse posto un problema di alimentazione e idratazione artificiale. Ma, con riferimento alla regola generale enunciata, non vi era nessuna ragione di urgenza.

Tanto è vero che il Parlamento, nonostante giacessero da tempo davanti alle sue commissioni disegni di legge che ipotizzavano lo stesso principio, aveva discusso per mesi senza giungere ad alcuna decisione. Nessun dubbio, per altro verso, che al Capo dello Stato competa una valutazione di merito in ordine alla sussistenza dei requisiti che legittimano l’adozione della decretazione d’urgenza e non una semplice funzione di avallo notarile delle valutazioni del governo. Napolitano aveva d’altronde, in passato, più volte richiamato l’attenzione sulla necessità di utilizzare con attenzione lo strumento del decreto legge. Il caso di cui si discute si è inserito, pertanto, in questa prospettiva di rigoroso rispetto presidenziale della legalità costituzionale, ampiamente rilevato da questo giornale.

Di tutt’altro segno sono le questioni giuridiche che solleva il disegno di legge, di uguale contenuto, approvato dal governo venerdì sera, e che si vorrebbe votato dal Parlamento nel giro di pochi giorni. Nei suoi confronti cadono, ovviamente, le menzionate ragioni d’illegittimità. Cionondimeno, non credo che ogni motivo di perplessità venga meno.

Per ragioni di brevità, mi limiterò ad accennare a tre profili che mi sembrano meritevoli di particolare attenzione. Il primo riguarda i tempi preventivati per l’approvazione del disegno di legge: oggi o domani al Senato, fra domani e dopodomani alla Camera. Non si è mai assistito a una simile sequenza temporale su di un tema di tanto rilievo. Se davvero il programma sarà rispettato, significherà che il dibattito in Parlamento sarà stato soffocato utilizzando, con una certa violenza, gli strumenti previsti dai regolamenti parlamentari. Gli eventuali oppositori non avranno, di fatto, avuto diritto di parola. Mi domando: è consentita, in uno Stato di diritto, una prevaricazione tanto profonda della dialettica parlamentare?

Il secondo concerne il contenuto del disegno di legge. Esso stabilisce che, in attesa dell’approvazione di una disciplina legislativa organica, «l’alimentazione e l’idratazione non possono, in alcun caso, essere sospese da chi assiste soggetti non in grado di provvedere a se stessi». E se la persona interessata, quando era ancora consapevole, avesse manifestato la sua contrarietà a trattamenti medici diretti a mantenerla artificialmente in vita? Costituisce principio di diritto pacifico, riconosciuto da numerose sentenze della Cassazione, che nessuno può essere sottoposto a trattamenti sanitari contro la sua volontà: lo stabilisce, ancora una volta, la Costituzione. Ma, allora, lo stesso contenuto del disegno di legge è fortemente sospetto d’illegittimità, poiché imporrebbe un trattamento di mantenimento artificiale in vita anche a chi ha dichiarato di rifiutarlo.

C’è d’altronde un terzo profilo sul quale, ritengo, occorre ragionare. La Cassazione, come è noto, ha «definitivamente» riconosciuto a Eluana Englaro, o a chi per lei, il diritto di staccare il sondino nasogastrico attraverso il quale si realizza il suo mantenimento artificiale in vita. Ebbene, di fronte a un diritto ormai definitivamente riconosciuto dall’autorità giudiziaria, davvero si può ritenere che una legge successiva sia, di per sé, in grado di cancellare il giudicato?

Si badi che, curiosamente, lo stesso governo, sul punto, deve avere avuto i suoi dubbi. Infatti nella relazione di accompagnamento al decreto ha scritto che è vero che, nel caso di specie, c’è stata una sentenza della Cassazione, ma essa, data la particolare natura del provvedimento assunto (di mera «volontaria giurisdizione»), non avrebbe dato vita ad alcun «accertamento di un diritto». Così facendo, lo stesso governo ha ammesso che se, invece, fosse stato riconosciuto un diritto, esso sarebbe ormai intangibile anche di fronte alla legge. Ebbene, poiché, a differenza di quanto sostenuto dal governo, la Cassazione ha, in realtà, riconosciuto un vero e proprio diritto individuale a non essere più medicalmente assistiti contro la propria volontà comunque manifestata, è lecito dubitare che il legislatore possa davvero, ormai, interferire, con una legge, su tale situazione giuridica costituita.

A maggior ragione, non potrebbero, d’altronde, essere considerati legittimi ulteriori interventi a livello amministrativo diretti a ostacolare, o eventualmente impedire, l’esercizio del diritto ormai definitivamente riconosciuto. Lo impone, ancora una volta, la salvaguardia del principio costituzionale della divisione dei poteri. Un’ultima riflessione. Il presidente del Consiglio, nella concitazione degli ultimi giorni, ha dichiarato che la Costituzione verrà presto cambiata. Trascurando le sue considerazioni, storicamente errate, sull’asserita matrice di parte dei principi costituzionali fondamentali, è comunque utile ricordare che, fino al momento di una eventuale loro modifica, le regole attualmente scritte non dovranno essere, in ogni caso, infrante. (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Popoli e politiche

“I governi che rispondono alla crisi creata dalle ideologie del libero mercato con un’accelerazione della stessa agenda ormai screditata non sopravvivono se credono di ri-raccontare la favola.”

di Naomi Klein – «The Nation»

Vedere in Islanda folle di persone che percuotono pentole e padelle fin quando il governo non cade mi ha ricordato un slogan popolare nei circoli anticapitalisti del 2002: «Voi siete Enron. Noi siamo l’Argentina».

Un messaggio abbastanza semplice. Voi – politici ed amministratori delegati assembrati in qualche summit del commercio – siete come gli spericolati dirigenti della Enron che se la scampano (e di certo non ne sapevamo neppure la metà). Noi – la plebaglia qui fuori – siamo come il popolo d’Argentina che nel bel mezzo di una crisi economica tremendamente simile alla nostra, scese in strada battendo pentole e padelle (il cacerolazo appunto, ndt). Gridavano “¡Que se vayan todos!” (“Che se ne vadano via tutti!”) e imposero una successione di quattro presidenti in meno di tre settimane. Ciò che rese unico il sollevamento del 2001-2002 in Argentina fu che non era indirizzato ad uno specifico partito politico né alla corruzione in termini astratti. Il bersaglio era il modello economico dominante: quella fu la prima rivolta nazionale contro lo sregolato capitalismo contemporaneo.

C’è voluto un bel po’, ma dall’Islanda alla Lettonia, dalla Corea del Sud alla Grecia, i paesi del resto del mondo stanno finalmente avendo il loro ¡Que se vayan todos!

Le stoiche matriarche islandesi che battono le loro pentole mentre i loro ragazzi saccheggiano i frigoriferi alla ricerca di proiettili (uova, certo, ma yogurt?) riecheggiano le tattiche rese famose a Buenos Aires. Così pure la rabbia collettiva contro le élites che hanno gettato via un paese un tempo florido pensando di potersela scampare. Gudrun Jonsdottir, trentaseienne impiegata islandese dice: «Ne ho avuto fin troppo di tutto ciò. Non ho fiducia nel governo, non ho fiducia nelle banche, né nei partiti politici né nel Fondo Monetario Internazionale. Eravamo un bel paese e l’hanno rovinato.»

Un’altra eco: a Reykjavik i manifestanti chiaramente non si berranno un semplice cambio di facciata ai vertici, benché la nuova premier sia una lesbica. Chiedono aiuti per la popolazione, non solo per le banche; indagini che facciano luce sulla débâcle e profonde riforme elettorali.

Richieste simili si possono registrare in questi giorni in Lettonia, la cui economia si è contratta più bruscamente che in qualsiasi altro paese della UE, e dove il governo si trova sull’orlo del baratro. Da settimane la capitale è scossa da proteste, fra cui una esplosiva rivolta con sassaiola il 13 gennaio. Come in Islanda, i lèttoni sono allibiti dal rifiuto dei loro leader di prendersi alcuna responsabilità della crisi. Alla domanda fattagli da Bloomberg TV su cosa abbia causato la crisi, il ministro delle finanze della Lettonia ha scrollato le spalle dicendo: “Niente di speciale”.
Ma i problemi della Lettonia in realtà sono speciali: le politiche che permisero alla “Tigre Baltica” di crescere ad un tasso del 12% nel 2006 sono le stesse che stanno causando la violenta contrazione del 10% prevista per quest’anno: il denaro, liberato da tutti i paletti, va via tanto velocemente quanto viene, e grandi quantità di esso vengono dirottate verso le tasche dei politici. Non è un caso che molti dei casi disperati di oggi siano i “miracoli” di ieri.

Ma c’è qualcos’altro di argentinesco nell’aria. Nel 2001 i leader dell’Argentina risposero alla crisi con un pacchetto di austerità prescritto dal Fondo Monetario Internazionale: 9 miliardi di dollari in tagli alla spesa, molti dei quali colpirono la sanità e l’istruzione. Questo si dimostrò un errore fatale. I sindacati organizzarono scioperi generali, gli insegnanti spostarono le loro lezioni nelle strade e le proteste non si fermarono più.

Questo stesso rifiuto dal basso di sostenere il peso maggiore della crisi unisce molte delle proteste odierne. In Lettonia molta della rabbia popolare si è rivolta contro le misure di austerità del governo: licenziamenti in massa, riduzione dei servizi pubblici e abbattimento dei salari nel settore pubblico; tutto per poter essere ideonei ad un prestito d’emergenza del Fondo Monetario Internazionale (no: non è cambiato niente). In Grecia le sommosse di dicembre sono seguite all’uccisione da parte della polizia di un ragazzo di 15 anni. Ma ciò che ha fatto sì che continuassero, con i contadini che sono subentrati agli studenti nel capeggiarle, è la diffusa reazione di rabbia nei confronti della risposta del governo alla crisi: le banche hanno goduto di un bailout di 36 miliardi di dollari mentre i lavoratori hanno visto le loro pensioni decurtarsi e gli agricoltori non hanno ricevuto pressoché nulla. Nonostante i disagi causati dal blocco delle strade con i trattori, il 78% dei greci ritiene che le richieste degli agricoltori siano ragionevoli. Allo stesso modo in Francia il recente sciopero generale – in parte innescato dal piano del presidente Sarkozy di ridurre pesantemente il numero degli insegnanti – ha ottenuto il sostegno del 70% della popolazione.

Forse il maggiore filo conduttore di questa forte ribellione globale è il rigetto della logica delle “politiche straordinarie”: la frase coniata dal politico polacco Leszek Balcerowicz per descrivere come, nel corso di una crisi, i politici possono ignorare le regole legislative e precipitare verso “riforme” impopolari. Un trucco che ormai mostra le corde, come ha scoperto di recente il governo sudcoreano. A dicembre il partito al governo ha cercato di usare la crisi per introdurre un molto controverso accordo di libero commercio con gli Stati Uniti. Spingendo le politiche a porte chiuse verso nuovi estremi, i parlamentari si sono chiusi a chiave nel palazzo così da potere votare in privato, barricando le porte con scrivanie, sedie e divani.

I rappresentanti dell’opposizione, non arrendendosi, con martelli e seghe elettriche hanno fatto irruzione e promosso un sit in di 12 giorni in parlamento. Il voto è slittato, permettendo così un maggiore dibattito: una vittoria per un nuovo tipo di “politiche straordinarie”.

Qui in Canada la politica è marcatamente meno “stile YouTube”, tuttavia è stata sorprendentemente ricca di eventi. Ad ottobre il Partito Conservatore ha vinto le elezioni nazionali su una piattaforma poco ambiziosa. Sei settimane più tardi il nostro primo ministro conservatore, trovato il suo ideologo interiore, presenta una manovra che ha spogliato i lavoratori del settore pubblico del loro diritto di sciopero, che ha cancellato il finanziamento pubblico dei partiti e che non conteneva alcuno stimolo economico. I partiti di opposizione hanno risposto formando una storica coalizione a cui fu impedito di prendere il potere solo per una brusca sospensione del parlamento. I Conservatori sono appena ritornati con un piano di budget rivisto: le politiche di destra dapprima coltivate sono scomparse, ed ora il piano è infarcito di stimoli economici.

Il modello è chiaro: i governi che rispondono alla crisi creata dalle ideologie del libero mercato con un’accelerazione della stessa agenda ormai screditata non sopravvivono se credono di ri-raccontare la favola. Come gridavano gli studenti nelle piazze italiane: «Non pagheremo noi la vostra crisi!» (Beh, buona giornata).

traduzione di Paolo Maccioni per Megachip

Articolo originale:

http://www.thenation.com/doc/20090223/klein?rel=hp_currently
4 febbraio 2009

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Attualità

Berlusconi nega di aver ricevuto una lettera degli Englaro nel 2004. Eccola.

(da repubblica.it)

Ecco il testo (dal sito www.desistenzaterapeutica.it) della lettera che Beppino Englaro e sua moglie Saturna Minuti, scrissero alle più alte cariche dello Stato compresi l’allora presidente Ciampi e l’allora premier Berlusconi nel 2004. Nella lettera spiegavano nei particolari la situazione di Eluana e chiedevano quello che per anni hanno continuato a chiedere allo Stato senza avere risposte. Solo Ciampi rispose.

Al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi
Al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi
Al Presidente del Senato Marcello Pera
Al Presidente della Camera Pier Ferdinando Casini
Al Ministro della Salute Girolamo Sirchia
Al Presidente della Federazione Nazionale Ordine dei Medici Giuseppe Del Barone

Ci rivolgiamo a Lei, signor Presidente della Repubblica e agli altri destinatari di questa lettera aperta per portare a Vostra conoscenza quanto è accaduto, e continua ad accadere, al bene personalissimo “vita” di Eluana.

Noi siamo i suoi genitori: Saturna e Beppino Englaro. E quel che segue è la sintesi d’una storia fatta di dolori, battaglie, illusioni, in nome di una libertà fondamentale che ci pare negata e maltrattata.
Tutto è cominciato la mattina del 18 gennaio 1992, quando nostra figlia Eluana a bordo della sua automobile è entrata in testacoda e si è schiantata contro un muro.

L’impatto violentissimo le ha causato un gravissimo trauma encefalico e spinale: Eluana non era più in grado di intendere e di volere e versava in uno stato di coma profondo. Dal momento in cui è giunta in queste condizioni all’Ospedale di Lecco è scattato un inarrestabile meccanismo di tutela del bene “vita” di Eluana, meccanismo che noi genitori abbiamo considerato inumano ed infernale.

I medici dell’Unità Operativa di Rianimazione dell’Ospedale di Lecco, diretta dal professor Riccardo Massei, in assoluta ottemperanza al giuramento di Ippocrate, hanno dato inizio alla rianimazione ad oltranza di Eluana.

Diamo atto ai medici che l’assistenza data a Eluana è corrisposta ai criteri della più evoluta letteratura scientifica internazionale e si è svolta in una struttura perfettamente adeguata, con il massimo sostegno possibile ed immaginabile da parte di tutte le persone ritenute idonee ad essere chiamate in causa per il bene di Eluana, genitori compresi.

Il prof. Massei fu da subito molto umano, semplice e chiaro, tanto che ci disse che il sapere scientifico, per un caso grave come quello di Eluana, era di poco superiore allo zero per quanto concerneva la sua evoluzione futura. La rianimazione non poteva in alcun modo essere sospesa per volontà di nessuno al mondo, finché non fosse avvenuta la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo di Eluana, ovvero finché non fosse intervenuta la sua morte
cerebrale.

Eluana non è morta: è caduta in uno stato vegetativo persistente e, dopo due anni, in uno stato vegetativo permanente nel quale si trova tuttora. Oggi è in un letto d’ospedale, senza alcuna percezione del mondo intorno a sé: non vede, non sente, non parla, non soffre, non ha emozioni, insomma, è in uno stato di morte personale. Ha bisogno d’assistenza in
tutto e per tutto: viene lavata, mossa, girata, nutrita ed idratata da una sonda supportata da una pompa.

I medici sono riusciti a salvarle la vita, ma la vita che le hanno restituito è quella che lei aveva sempre definito assolutamente priva di senso e dignità.
Eluana, sin da bambina, in più occasioni ci aveva manifestato un concetto molto definito della libertà e della dignità, che l’adolescenza e la maggiore età avevano sempre più rafforzato e reso limpido. La libertà di disporre della propria vita secondo la sua coscienza e la sua ragione era un valore irrinunciabile per Eluana, il quale non sarebbe mai potuto venir
meno perché faceva parte, per così dire, del suo DNA.

Il tema del bene personalissimo “vita” era stato affrontato in famiglia molte volte, anche in occasione di svariate situazioni-limite che i mezzi di comunicazione avevano portato alla ribalta pubblica.
Era così emerso un valore di fondo molto forte ed univoco: solo la coscienza e la ragione di Eluana, di Saturna e di Beppino potevano decidere se le rispettive vite fossero da considerare ancora vite e se avessero un senso ed una dignità.

Il caso ha voluto che la nostra famiglia approfondisse anche il tema della rianimazione senza ripresa di coscienza dopo giorni e settimane, come pure quello dell’essere tenuti in vita in stato vegetativo permanente. La sospensione dei sostegni vitali per queste due estreme condizioni, in modo da non essere tenuti in vita forzatamente oltre determinati limiti di
tempo e così poter finalmente essere lasciati morire, era per Eluana, Saturna e Beppino la cosa più ovvia e naturale del mondo.

L’orrore di vedere uno di noi tre privo di coscienza, tenuto in vita a tutti i costi, invaso in tutto e per tutto da mani altrui anche nelle sfere più intime, non sarebbe stato in alcun modo sopportabile e ammissibile: Eluana ha sempre considerato
ciò una barbarie.

Questa era la volontà di Eluana e noi genitori volevamo e vogliamo che venga rispettata. Mettere al corrente i medici della volontà di nostra figlia, purtroppo, non è stato sufficiente, perché proprio loro che avevano fatto di tutto per tenere in vita Eluana, non avevano più il potere di sospendere i trattamenti.
Siamo stati costretti ad iniziare una lunga battaglia legale: ci siamo rivolti ai giudici affinché, nel rispetto della volontà di Eluana, autorizzassero i medici a sospendere i trattamenti di sostegno vitale. Riteniamo semplicemente contro lo spirito della nostra Costituzione venire così palesemente discriminati del diritto inviolabile alla libertà di terapia e cura fino
alle più estreme conseguenze, possibile nella condizione personale capace di intendere e di volere, ed impossibile in quella non più capace di intendere e di volere.

A oltre 10 anni dallo scioglimento della prognosi nel senso dell’irreversibilità delle condizioni di Eluana, la seconda sentenza della Corte d’Appello di Milano, pronunciata nel dicembre 2003, ha ritenuto inammissibile e da rigettare la richiesta di sospensione delle misure di sostegno vitale, con la quale il papà Beppino (che ne è il tutore) dà semplicemente voce
a quanto Eluana avrebbe deciso nel caso le fosse capitato di trovarsi in una simile situazione.

Già in seguito alla prima sentenza della Corte d’Appello di Milano, che risale al dicembre 1999, il Ministro della Salute Umberto Veronesi si era reso conto che le istituzioni avevano dei precisi doveri per arrivare al chiarimento dei problemi irrisolti e si era mosso con l’atto concreto di istituire una Commissione di studio che ha prodotto un importante documento
pubblicato nel maggio 2001 (Gruppo di Studio Oleari). Noi genitori di Eluana ci aspettiamo che le istituzioni si muovano di nuovo in tal senso, anche dopo la seconda sentenza della Corte d’Appello di Milano, che non ha neanche ritenuto doveroso approfondire il concetto di dignità della vita che aveva Eluana. Concetto, in questo dramma, per nulla secondario.

Competenza, chiarezza e trasparenza, documentate e documentabili da parte di tutti, non sono mai venute meno dal lontano 18 gennaio 1992 durante tutto l’iter clinico, umano e giuridico che riguarda Eluana.

Pertanto tutti dovranno assumersi le loro responsabilità fino in fondo, senza nessuna possibilità di eluderle. Ci auguriamo che Lei, Signor Presidente, e gli altri destinatari di questa lettera, vogliano trovare gli atti opportuni per dare uno sbocco alla vicenda di nostra figlia Eluana, che da 4.430 giorni è costretta dalle istituzioni e dai medici a una non-vita.
Chiediamo in particolare al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi di essere ricevuti, per poter esporre meglio la nostra situazione.

I nostri rispettosi saluti.
Lecco, 4 marzo 2004
Saturna Minuti Beppino Englaro
 

(Beh, buona giornata)

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Attualità Società e costume

Parole sante.

“Il magistero della Chiesa è morale, lo Stato è laico e in esso convivono anche i cattolici. Quello che dice la Chiesa riguarda solo loro, non noi che non professiamo questa confessione”. (Beppino Englaro). Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Gli aiuti governativi al settore automobilistico sono uno spreco di risorse.

Rottamazione: chi ci guadagna?

di Paolo Manasse da lavoce.info

Il governo vara il piano di aiuti al settore automobilistico: circa 750 milioni. Ma un sussidio comporta uno spreco di risorse perché il prezzo pagato dal consumatore diventa inferiore al costo che la società sostiene per produrre il bene. Inoltre, se aumentano gli acquisti di auto diminuiscono quelli di altri beni. E i settori penalizzati si sentirebbero autorizzati ad avanzare richieste simili. In una rincorsa all’aiuto di Stato i cui effetti si neutralizzerebbero a vicenda e che potrebbe compromettere la sostenibilità del debito pubblico.

Dopo il crollo delle vendite di automobili registrato a gennaio (-32,6 per cento su base annua), anche il nostro governo, come quelli di Usa, Francia e Germania, sta predisponendo un piano di aiuti al settore. Si tratterebbe di circa 750 milioni di euro, destinati a finanziare un bonus-rottamazione di 1.000 o 2.000 euro per ciascuno acquisto, a seconda delle emissioni inquinanti dell’auto. L’obiettivo: arginare la perdita di posti di lavoro nel settore (300mila posti a rischio, a detta della presidente di Confindustria Emma Marcegaglia).

COSTI E BENEFICI DELL’AIUTO

Secondo il Centro Studi Promotor (Csp) di Bologna, l’operazione avverrebbe a costo zero: “(…) con l’erogazione di 1.500 euro per ogni acquisto (…) si può stimare che le persone che usufruiranno degli incentivi nel 2009 saranno 500mila di cui 300mila (…) gli acquisti indotti dal sussidio (…). Si può ipotizzare che le vetture acquistate in più abbiano un prezzo medio di 15mila euro e siano di conseguenza gravate di Iva mediamente per 2.500 euro. Ne consegue (…) che il maggior introito per l’Erario sarà pari al numero delle auto acquistate in più (300mila) moltiplicato per l’Iva media (2.500 euro)”. Cioè proprio i 750 milioni dell’esborso previsto.(1)
La teoria microeconomica suggerisce che un sussidio produce alcuni effetti sul settore interessato: 1. riduce il prezzo pagato dai consumatori, accrescendone la domanda; 2. aumenta il prezzo percepito dalle imprese produttrici, la quantità offerta e i profitti; 3. genera un esborso di denaro pubblico pari al sussidio unitario moltiplicato per le vendite. La cosa interessante è che quanto pagato dallo Stato eccede quanto ottenuto da consumatori e imprese. Un sussidio comporta cioè uno spreco di risorse (una “perdita secca”), e questo perché il sussidio fa sì che il prezzo pagato dal consumatore, che misura quanto egli valuti il bene, diventi inferiore al costo che la società sostiene per produrlo: la società utilizza in modo inefficiente le risorse. Dobbiamo poi tener conto anche di altre ripercussioni di carattere generale: 4.il sussidio genera nuovo gettito, dagli extra-profitti e dalle nuove vendite; 5. la domanda di altri beni durevoli cade: si comprano meno tv al plasma o lavatrici, e dunque cadono le entrate tributarie da queste fonti; 6. si riduce la domanda futura di auto perché il sussidio è temporaneo; 7. le lobby di altri settori hanno buone ragioni per battere cassa col governo, dichiarandosi altrettanto meritevoli nonché danneggiate.

SI APRE UN VASO DI PANDORA

Qual è, approssimativamente, l’ordine delle grandezze in gioco? Supponiamo che, a causa di capacità in eccesso, le imprese siano in grado di aumentare la produzione senza incorrere in aumenti di costo, e prendiamo per buone le previsioni, temo ottimistiche, del Csp circa l’aumento delle vendite ottenute da bonus (medio) di 1500 euro, le 300mila unità. Si ottiene che il sussidio comporta un onere diretto di 600 milioni e beneficia gli acquirenti di nuove auto per 420 milioni. (2)
Aggiungiamo poi le entrate addizionali dell’Iva sulle auto acquistate in più, e deduciamo le minori entrate fiscali sul minor consumo degli altri beni, in particolare quelli durevoli. La letteratura suggerisce che per ogni 100 euro di maggior spesa per un’auto di piccola-media cilindrata, se ne spendano tra i 25 e i 90 in meno per tutti gli altri beni, a cominciare da lavatrici, hi-fi e così via. (3)Nel primo caso, poco plausibile a causa della crisi e della restrizione del credito al consumo, gli oneri per il bilancio sarebbero bassi, 15 milioni, e la società ne trarrebbe un “guadagno netto” di 405 milioni (= 420 dei consumatori -15 di oneri per lo Stato). Nel secondo caso, temo molto più verosimile, gli oneri per il bilancio sarebbero ingenti, 522 milioni di euro, e la società avrebbe una perdita secca per 102 milioni di euro (522-420).
Resta poi l’argomento “strategico” che non sussidiare il settore automobilistico quando tutti gli altri paesi lo fanno danneggerebbe la nostra economia. Èlo stesso identico argomento usato per sostenere il protezionismo, e richiederebbe molto spazio. In breve, sprecare le risorse pubbliche non è consigliabile neppure se gli altri paesi lo fanno. Infine, il problema forse più serio del sussidio alla rottamazione (tralascio congestione, inquinamento acustico e dell’aria) è questo: con la misura si apre il vaso di pandora della corsa agli aiuti settoriali di Stato. Aiuti i cui effetti si neutralizzerebbero a vicenda, e che potrebbero compromettere, questi sì, la sostenibilità del debito pubblico. (Beh, buona giornata).

(1) http://www.tgcom.mediaset.it/tgfin/articoli/articolo440073.shtml
(2)Per i dettagli dei conti si veda il mio blog.
(3) Si veda Berry, Levinsohn e Pakes, “Automobile Prices in Market Equilibrium”, Econometrica, 1995, pp. 841-890.
(4) http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/auto_sostegno/cartella_stampa.pdf

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Mentre in Italia si blocca il Parlamento sul caso Englaro, nelle stesse ore in Europa si discute che fare per la crisi che ha tagliato 130 mila posti di lavoro e prodotto un crollo della produzione di 150 miliardi di euro.

(Fonte: corriere.it)

In Europa dall’inizio dell’ultimo trimestre del 2008 a tutto il mese di gennaio 2009 si sono persi 130.000 posti di lavoro nel settore industriale – soprattutto l’auto e il suo indotto – e in quello delle costruzioni. Due settori che nel corso dell’ultimo anno hanno fatto registrare un crollo della produzione pari a 150 miliardi di euro.

Sono le cifre contenute in un documento riservato della Commissione europea, anticipato dall’Ansa, che molto probabilmente sarà all’esame dei ministri finanziari europei che lunedì e martedì si ritroveranno a Bruxelles per le riunioni dell’Eurogruppo e dell’Ecofin, chiamati a valutare quanto fatto per contrastare la crisi e quando fare in futuro. 

 La situazione nel settore dell’auto e in quello dell’indotto è «drammatica», anche per la persistente stretta creditizia che «colpisce particolarmente» non solo le case automobilistiche, ma anche il settore delle costruzioni. Nel documento si sottolinea come «la contrazione della produzione nel settore dell’industria automobilistica ha un immediato effetto negativo anche sull’occupazione nelle aziende dei fornitori».  Beh, buona giornata.

 

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