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Ferragosto a Magic Italia.

di Marco Ferri-3DNews, inserto del quotidiano Terra

In un Paese in cui, secondo stime recenti, 6 italiani su 10 quest’anno non andranno in vacanza, per via della crisi economica, le migliori ferie di agostane le faranno i tre operai della Fiat licenziati a Melfi il 14 luglio scorso. Reintegrati dal giudice del lavoro, si presenteranno in fabbrica il 23 agosto, alla riapertura degli stabilimenti.

Quella volpe di Marchionne, amministratore delegato della Fiat, gli ha regalato la bellezza di quaranta giorni di vacanze pagate. Non se lo sarebbero mai sognato. Beati loro.

Vacanze sul filo, invece per Presidente della Repubblica che da Stromboli si dice preoccupato per il “bailamme” della politica italiana, dopo lo strappo tra Berlusconi e Fini che ha aperto di fatto la crisi di governo, con tanto di scontro istituzionale tra il capo del governo e il presidente della Camera, la terza carica dello Stato.

Vacanze avvelenate per Fini ad Ansedonia, messo in mezzo dalla “tribù dei Tulliani”, sottoposto, all’olio di ricino mediatico (potenza della legge del contrappasso per un ex fascista), somministrato dal Giornale di Feltri, per via della casa di Montecarlo.

Vacanze livide e rancorose di Berlusconi, che, asserragliato nel castello di Tor Crescenza, pilucca dossier freschi di stagione per”polverizzare” i suoi ex alleati di governo e costringerli alla resa incondizionata. Che siccome le crisi di governo si sa come cominciano, ma non si può mai dire come finiscono (Andreotti docet), Berlusconi ha una gran paura di non arrivare in sella alla sentenza della Consulta che potrebbe cancellare lodi, scudi e salvacondotti: e allora sì che sarebbero dolori per lui e i suoi guai giudiziari.

In questa estate pazza, che puzza di complotti di Stato e di congiure di Palazzo, c’è il lato comico, quello più divertente perché involontario. Infatti, all’inizio di luglio il ministero del Turismo, quello diretto da Michela Vittoria Brambilla, ha messo in onda uno spot pubblicitario per promuovere il turismo in Italia. La voce narrante era di un testimonial d’eccezione: Silvio Berlusconi. Il quale, fuori campo, invitata gli italiani a visitare la “nostra magic Italia”.

Fatto sta che l’appello a passare le vacanze in Italia non è stato ascoltato dallo stesso ministro del Turismo, committente dello spot. Michela Vittoria Brambilla, infatti, le sue vacanze le ha passate in Francia, a Menton, in Provenza. Beccata in flagrante ha detto di essere in “missione”. Che missione? Non si è capito. Anche se il sindaco di Siena, imbizzarrito come un cavallo selvaggio per le dichiarazione della Brambilla contro il Palio ha minacciato vie legali per il danno di immagine alla città e al suo turismo.

Mentre, il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, in una pepata dichiarazione pubblicata sul suo profilo Facebook, prima definisce la Brambilla “ministro animalista che fa ridere i polli”, poi aggiunge: “Dopo lo spot con la voce del premier un’altra ideona: abolire il Palio. Ma c’e’ un Paese straniero che la paga?”.

Insomma, quello di “Magic Italia” è stato un successone. Certificato, tra l’altro dal ministro della Difesa Ignazio La Russa, che siccome è fermamente convinto di essere anche il ministro dell’Interno, ha denunciato la ripresa massiccia degli sbarchi clandestini sulle coste siciliane. Il che è senza dubbio la prova provata di un grande successo di marketing turistico, suggestionato proprio dallo spot del duo Berlusconi&Brambilla. Sei italiani su dieci a “Magic Italia” non ci credono. Ma i migranti sì. E allora: welcome to magic Italy. (Beh, buona giornata).

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Quei quattro “pensionati sfigati” sono rimasti in tre.

Verdini e Cosentino a rapporto da Berlusconi: il primo resta, il secondo lascia-blitzquotidiano.it

Il sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino ha deciso di rassegnare le dimissioni dal governo, mantenendo però il ruolo di coordinatore del Pdl in Campania.

La decisione sarebbe stata maturata dallo stesso deputato campano e comunicata al premier. Cosentino non lascia quindi l’incarico di coordinatore regionale campano del Pdl. Diversa, almeno per ora, la sorte dell’altro ipotetico dimissionario, Denis Verdini.

Silvio Berlusconi li aveva chiamati entrambi, un doppio faccia a faccia per decidere se resistere al rischio di un voto contrario in Parlamento o se seguire le tracce del caso Brancher, cioè una ritirata “strategica”.

Denis Verdini e Nicola Cosentino erano entrati più o meno insieme a Palazzo Chigi ma alla fine all’uscita hanno preso due strade diverse. Il coordinatore regionale della Campania, già da tempo raggiunto da un mandato di cattura della magistratura per legami con la Camorra di Casal di Principe, si è dimesso per “opportunità”.

Il governo può infatti fare a meno di sottosegretario all’Economia, non così Denis Verdini. Il Pdl e lo stesso Berlusconi difficilmente potrebbero reggere senza conseguenze alle dimissioni di uno dei 3 coordinatori nazionali. Verdini quindi non dovrebbe dimettersi, a differenza di Cosentino. Questo il quadro e le strategia in cui sembra muoversi il premier.

La scelta del passo indietro è stata probabilmente vista come obbligata. Il coinvolgimento di Cosentino nell’inchiesta stava creando parecchi problemi al Pdl e all’esecutivo anche perché tutta la componente finiana del partito era pronta a votare a favore della sfiducia. Anche Pier Ferdinando Casini, di cui negli ultimi giorni si è parlato spesso per un possibile riavvicinamento dell’Udc al centrodestra, aveva fatto sapere che i centristi avrebbero dato parere favorevole alla richiesta di ritiro delle deleghe per il politico campano, già finito nel mirino nei mesi scorsi per l’accusa di essere il referente politico del clan dei Casalesi, circostanza questa che lo aveva già costretto a ritirarsi dalla corsa alla presidenza della Regione.

Il suo posto quale portacolori del Pdl venne preso da Stefano Caldoro, che poi fu effettivamente eletto, ma contro la candidatura del giovane ex socialista, si apprende dalle carte dell’inchiesta, fu osteggiata dall’interno proprio dal gruppo che oggi viene indicato come “P3″. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto

Quattro sfigati pensionati?

Il senatore, il coordinatore nazionale, il sottosegretario e l’uomo d’affari: ecco chi sono i “quattro sfigati” di Berlusconi-blitzquotidiano.it

Flavio Carboni, Nicola Cosentino, Marcello Dell’Utri, Denis Verdini: il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi li ha definiti “quattro sfigati pensionati”. La Procura della Repubblica di Roma li ha iscritti nel registro degli indagati per associazione a a delinquere e violazione della legge Anselmi sulle società segrete nell’ambito dell’inchiesta sull’eolico in Sardegna.

Eppure, fatta eccezione per il settantottenne Carboni, il senatore Dell’Utri, il coordinatore nazionale del Pdl Verdini, e il sottosegretario all’Economia sono ben lontani dalla pensione. Le loro conversazioni, catturate dalle intercettazioni telefoniche trascritte nelle quindicimila pagine del rapporto dei carabinieri, trattano argomenti non certo alla portata di semplici “sfigati”.

Come i “cinquecento milioni di dollari” che, stando a quanto scrive oggi Repubblica, Carboni avrebbe detto di avere con sé in una valigetta, o le cene a casa di Verdini con magistrati e sottosegretari.

Scorrendo le biografie dei protagonisti della “difesa” di Berlusconi vengono tirate in ballo la mafia, la camorra, la loggia Propaganda 2, la morte del banchiere Roberto Calvi, il caso Moro. Restando ai fatti, ecco chi sono i “quattro sfigati pensionati”.

Nicola Cosentino, 52 anni, di Casal Di Principe (Napoli), coordinatore regionale del Popolo della Libertà in Campania, dal maggio 2008 è Sottosegretario di Stato all’Economia e alle Finanze.

Nel settembre 2008 viene pubblicamente accusato di aver avuto un ruolo di primo piano nell’ambito del riciclaggio abusivo di rifiuti tossici, come emerso dalle rivelazioni di Gaetano Vassallo, il boss responabile di disastro ambientale relativamente allo smaltimento abusivo di rifiuti tossici in Campania attraverso la corruzione di politici e funzionari.

Nel novembre 2009 i magistrati inoltrano alla Camera dei deputati una richiesta di autorizzazione per l’esecuzione della custodia cautelare per il reato di concorso esterno in associazione camorristica. La richiesta viene respinta dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera.

Nel gennaio 2010 la Corte di Cassazione conferma le misure cautelari a carico di Cosentino. Il 19 febbraio la richiesta di dimissioni dagli incarichi venne respinta da Silvio Berlusconi.

Al momento, oltre che nell’inchiesta sull’eolico, Cosentino è indagato per l’episodio legato al dossier che puntava a screditare Stefano Caldoro quale candidato alla presidentre della Regione Campania, e per le pressioni esercitate sulla Cassazione per una rapida fissazione dell’udienza in cui si doveva discutere della legittimità della misura cautelare emessa nei confronti del sottosegretario dalla magistratura napoletana.
Marcello Dell’Utri, 61 anni, di Palermo. Senatore del Popolo delle Libertà, “politico per legittime difesa”, come lui stesso si è definito in un’intervista al Fatto Quotidiano. Stretto collaboratore di Silvio Berlusconi sin dagli anni Settanta, socio in Publitalia e dirigente Fininvest, nel 1993 fonda con Berlusconi Forza Italia, di cui diventa deputato nel 1996, per “proteggersi”, come ha dichiarato egli stesso al Fatto Quotidiano, dall’accusa, poi confermata, per false fatture. È stato condannato in appello a 7 anni per concorso esterno in associazione di tipo mafioso e ha patteggiato una pena di due anni e tre mesi per frode fiscale.

Nel dicembre del 2004 il tribunale di Palermo condanna Dell’Utri a nove anni di reclusione con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il senatore è stato anche condannato a due anni di libertà vigilata, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e il risarcimento dei danni (70.000 euro) alle parti civili, il Comune e la Provincia di Palermo.

Denis Verdini, toscano (è nato in provincia di Massa Carrara) di 59 anni, è uno dei tre coordinatori nazionali del Popolo della Libertà insieme a Ignazio La Russa e Sandro Bondi, dopo essere stato coordinatore nazionale unico di Forza Italia. Commercialista e presidente del Credito Cooperativo Fiorentino, candidato di Forza Italia già alle amministrative del 1995, dal 1997 è uno degli azionisti, con il 15 per cento, del quotidiano il Foglio diretto da Giuliano Ferrara.

Nel febbraio 2010 viene iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Firenze per il reato di concorso in corruzione, riguardo ad alcune irregolarità a lui imputabili su alcuni appalti a Firenze e a La Maddalena, sede in cui si sarebbe dovuto tenere il G8, poi spostato a L’Aquila. Il gip si riserva la decisione di ricorrere ad eventuale rinvio a giudizio.

Nel maggio 2010 è indagato dalla Procura di Roma in un’inchiesta su un presunto comitato d’affari, la cosiddetta “cricca”, che avrebbe gestito degli appalti pubblici in maniera illecita

Flavio Carboni, 78 anni, di Sassari. Il suo successo economico comincia negli anni ‘70 con una serie di società immobiliari e finanziarie. Succcessivamente Carboni inizia a muoversi nel mondo dell’ editoria, diventando proprietario del 35% del pacchetto azionario della Nuova Sardegna ed editore di Tuttoquotidiano, per il fallimento del quale è poi stato condannato in primo grado e assolto in appello per vizio di forma.

È stato anche accusato dell’omicidio di Roberto Calvi, imputazione da cui è stato poi assolto per insufficienza di prove: il pm aveva chiesto la condanna di Carboni all’ergastolo; è stato anche assolto dall’accusa di essere stato il mandante del tentativo di omicidio di Roberto Rosone, vice di Calvi all’ Ambrosiano; dall’accusa di falso e truffa ai danni del Banco di Napoli; dall’accusa di ricettazione della borsa di Calvi, che avrebbe contenuto il pc del banchiere, documenti, soldi e le chiavi di alcune cassette di sicurezza.

Il suo primo arresto avviene in Svizzera, nell’estate del 1982. L’unica condanna definitiva nei confronti di Carboni è emessa nel 1998: 8 anni e 6 mesi di reclusione per il concorso nel fallimento del Banco Ambrosiano. Al periodo di detenzione previsto, già ridotto in applicazione delle amnistie del 1986 e del 1989, viene detratta la carcerazione preventiva: nessun ordine di esecuzione della pena viene emesso a suo carico. Nel giugno dello stesso anno Carboni viene nuovamente arrestato per un caso di bancarotta fraudolenta riguardante una società immobiliare di Porto Rotondo.

Nel maggio 2010, all’indomani della sua assoluzione per il delitto Calvi, viene indagato per concorso in corruzione nell’ambito di un’inchiesta sugli appalti per l’eolico in Sardegna. A differenza degli altri tre “sfigati”, l’8 luglio 2010 Flavio Carboni viene arrestato. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia

Formigoni sbugiarda Berlusconi: “Questa manovra economica mette le mani nelle tasche degli italiani”.

(fonte: blitzquotidiano.it)
“Se la manovra non cambia saremo costretti a tagliare i servizi o ad aumentare le tasse, cioé a mettere le mani nelle tasche dei cittadini. E’ il contrario della politica che il centrodestra sostiene”. E’ quanto afferma il Governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, in una intervista a Repubblica in cui spiega che “gli sprechi sono a Roma, non nelle regioni virtuose”.

Secondo Formigoni occorre “dividere i tagli per i quattro comparti pubblici: ministeri, Regioni, Province e Comuni. Una modifica elementare che renderebbe la manovra sopportabile”. In caso contrario, rileva, “gli effetti ricadrebbero sui contributi alle imprese, sul trasporto locale, l’ambiente e la scuola. Proprio i capitoli di spesa che passeranno alle Regioni con il federalismo”.

Formigoni dice di non contestare la manovra, né la sua entità, ma precisa che “se i tagli saranno orizzontali, uguali per tutti, regioni virtuose e non, sarà come non aver cambiato nulla. Se lo Stato ci taglierà altri fondi saremo costretti a scegliere tra introdurre nuove tasse, tagliare i servizi o le strutture della sanità: tutte ipotesi. Beh, buona giornata

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Finanza - Economia Lavoro Leggi e diritto

Per rilanciare l’economia italiana, cambiamo governo non la Costituzione.

Lasciate in pace la Costituzione, per liberalizzare sfidate le corporazioni, di Romano Prodi-ilmessaggero.it

Non posso nascondere di essermi sorpreso quando qualche giorno fa ho letto che, per dare un contributo alla liberalizzazione della nostra economia, bisognava assolutamente modificare l’articolo 41 della nostra Costituzione. Anche se già lo conoscevo, mi sono tuttavia preso cura di rileggere il suddetto articolo che, come tutti gli articoli della prima parte della nostra Carta fondamentale, brilla per semplicità e chiarezza.

Esso scrive che “l’iniziativa privata è libera”. E aggiunge semplicemente che “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale e in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà (opportuna questa insistenza sulla libertà) e alla dignità umana”. Come ovvio completamento, l’articolo aggiunge che “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

Terminata questa lettura mi sono messo il cuore in pace, nella sicurezza che né la lettera né lo spirito di quest’articolo mai avrebbero messo in rischio o semplicemente resa più difficile la libertà di intrapresa in quanto in qualsiasi sistema, anche nel più liberista, la legge ha il compito di dettare le norme di comportamento perché l’esercizio dell’attività economica non rechi danno all’esercizio dei diritti dei cittadini, sia che essi si organizzino in forma individuale che associata.

Tutti noi abbiamo infatti il diritto di essere tutelati dalla legge riguardo ai requisiti igienici o sanitari di un prodotto o della pericolosità di un giocattolo, così come in ogni parte del mondo i lavoratori e gli imprenditori trovano nella legge (italiana o europea) i diritti e gli obblighi che derivano dall’esercizio della propria attività. È peraltro evidente che, se esistono regolamentazioni eccessive, queste possono e debbono essere eliminate dall’attività legislativa, affidata all’iniziativa del Governo e del Parlamento.

Assolta la Costituzione da qualsiasi colpa in materia, mi è sorto il sospetto che potesse essere stata la Corte Costituzionale, attraverso le sue interpretazioni, ad impedire una maggiore liberalizzazione della nostra economia. Ho letto tuttavia a questo proposito un esauriente articolo dell’ex presidente della corte Valerio Onida che dimostra che mai la corte in tutta la sua storia ha dichiarato l’illegittimità di una legge liberalizzatrice e che, al contrario, esistono numerose decisioni che hanno rimosso limiti ingiustificati alla libertà di iniziativa contenuti nelle leggi nazionali o in quelle regionali.

Tranquillizzato su tutti i fronti, ho quindi ritenuto la proposta come un semplice errore o come un ormai rituale messaggio di avversione allo spirito (visto che non è possibile farlo alla lettera) della nostra Costituzione.

L’ipotesi dell’inconsapevole errore è stata poi esclusa dal fatto che il presidente del Consiglio è ritornato ripetutamente sull’argomento ribadendo la necessità di una riforma dello stesso articolo 41, alla quale proposta, per abbondanza, il ministro dell’Economia, ha aggiungo ieri l’altrettanto inutile proposta di abolire l’altrettanto innocuo articolo 118 della Costituzione.

Non riuscendo a raggiungere altre spiegazioni razionali per simili comportamenti, sono ricorso alla mia esperienza passata quando, insieme con l’allora ministro Bersani, ci accingemmo a fare un programma sistematico e generalizzato di liberalizzazioni e mi è facilmente saltato alla memoria il panorama di impressionanti proteste che ci veniva dalla piazza. E ricordo benissimo che nessuno agitava il libretto della Costituzione ma cartelli minacciosi nei confronti del Governo come risposta corale e violenta alla presunta violazione delle prerogative, dei diritti e dei privilegi delle categorie interessate.

Ed allora mi sorge il sospetto che l’accusa rivolta alla Costituzione e l’inutile scelta di un cammino tortuoso per procedere alla semplice riduzione di lacci e laccioli sia il comprensibile desiderio di evitare le rumorose manifestazioni e le reazioni, anche spesso incontrollate, delle infinite categorie e corporazioni che su questi lacci prosperano non da decenni ma da secoli.

E vorrei anche aggiungere che, sempre secondo la mia esperienza, lo scontento e le pressioni non prendono solo la via dell’opposizione, ma anche le insidiose strade degli alleati di governo. In poche parole, a fare sul serio queste riforme, si perdono consensi e voti. Posso in coscienza dire che le abbiamo ugualmente portate avanti, pur con la piena consapevolezza delle possibili conseguenze negative, anche se non arrivo al punto di affermare che il mio Governo sia caduto esclusivamente per questo motivo. Auguro quindi buon lavoro al ministro Tremonti. Sulle conseguenze sul Governo veda lui. (Beh, buona giornata).

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democrazia Media e tecnologia Società e costume

Berlusconi e il suo solito show da guitto di periferia. Che palle.

Show del premier al Quirinale-corriere.it

Giardini del Quirinale, ricevimento per la festa della Repubblica del 2 giugno. Occasione per uno show del premier Silvio Berlusconi. Che non risparmia nessuno: Bersani, Rutelli, alcuni alti prelati, la mamma di un magistrato.

RUTELLI – Il premier dunque è in vena di scherzi e battute. Una signora gli si avvicina e dice: «Presidente, sa che mio figlio è il più giovane magistrato d’Italia?». Risposta: «Poverino, sarà disperato». Poi Berlusconi incontra Francesco Rutelli e la moglie Barbara Palombelli. «Ma come mai è sempre abbronzato?» chiede il premier alla giornalista. Rutelli abbozza una difesa d’ufficio, ma il Cavaliere lo precede: «Ho capito – dice alla moglie -, tu lavori e lui lo mandi al mare». La Palombelli accetta lo scherzo e critica i politici: «Presidente, si sa che non fanno niente». Berlusconi la corregge: «No quelli che governano hanno da fare, sono quelli dell’opposizione che non fanno niente».

BERSANI – Poi arriva lo “sketch” con Bersani. Il premier sta rassicurando un’invitata sulla sua presenza alla parata di mercoledì: «Ci sarò sicuramente, faccio parte della banda». Si accorge della presenza del leader del Pd: «Io faccio la banda ma lui fa la cavalleria; è sempre all’attacco, è inesauribile. Ogni giorno ce ne ha due o tre, mica solo una. Ha una costanza…». Pronta la replica di Bersani: «Faresti meglio a pensare a Bonaiuti: quanti stipendi gli dai? Due o tre?». «No, lavora gratis» ribatte il premier.

CESA E CONTI – Nel mirino del premier anche Lorenzo Cesa e l’ad dell’Enel Fulvio Conti: Berlusconi rivela (fra il serio e il faceto) di aver offerto ai centristi il posto di ministro dello Sviluppo economico aggiungendo però che il partito di Pier Ferdinando Casini «ha preferito restare in vacanza». Poi tocca al sondaggista Renato Mannheimer: «Nonostante lui ho ancora il 62% dei consensi». Di Mario Baldassarri (presidente della commissione Finanze del Senato) dice – a una signora che lo accompagna – che è «saggio ma molto focoso».

PEDOFILIA – Infine arriva il turno di alcuni alti prelati. Berlusconi dice loro di aver difeso «accoratamente» la Chiesa cattolica sotto attacco per gli scandali di pedofilia. Prima però ha raccontato di uno scherzo che gli è stato fatto a una cena di compleanno: un signore travestito da monsignore si è improvvisamente messo a cantare per poi togliersi l’abito talare e rivelarsi un cantante di professione. «Mi ha persino dato la benedizione» dice il premier, aggiungendo infine: «E io che avevo fatto anche una difesa così accorata della Chiesa per alcune cose che stanno accadendo».

GELO CON FINI – L’unico che non può godere dell’inesauribile buon umore del premier è Gianfranco Fini, al quale viene riservata una fugace stretta di mano lontano da occhi indiscreti. Durante il ricevimento il presidente del Consiglio e il presidente della Camera, accompagnato da Elisabetta Tulliani, si sono praticamente ignorati evitando qualunque contatto. Anche con i giornalisti il premier ha mantenuto il più assoluto silenzio, tacendo sull’attacco israeliano alle navi dei pacifisti e sulle questioni di politica interna, come il ddl intercettazioni. «Parlo solo con dichiarazioni ufficiali, tutto quello che dovevo dire l’ho detto» spiega.
Beh, buona giornata.

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Attualità

Berlusconi, quanto sei brutto.

Veniva giù, attorniato dalle sue guardie del corpo, una delle quali teneva in mano una strano involucro, che i pochi astanti hanno pensato potesse essere la custodia di una potente arma da fuoco, veniva giù da via di Panico, in Roma. Erano le circa le sette del pomeriggio. Dopo una giornata piovosa, era appena uscito, birichino, il sole- Ma dava riflessi rossastri alla capa del capo. O ai suoi finti e tinti capelli. Caracollava baldanzoso, ma un poco attento.

Venva giù, ma a nessuno importava un fico. Ha imboccato a piedi via dei Coronari. S’è fermata una smart, il piccoletto ha ficcato dentro il finestrino una mano da farsi stringere. Ma a nessuno importava un fico. Poi è entrato in un negozio, i giannizzeri al seguito sparpagliati sulla strada, a difendere un bagno di folla in una piscina vuota e distratta. Poi lo sciame se ne andato. I pochi curiosi, delusi dal fallimento dell’uscita a sorpresa, se ne andavano per i fatti loro

Quanto è stato brutto. Beh, buona giornata.

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democrazia Media e tecnologia

Come il direttore del Tg Uno si guadagna lo stipendio.

L’Osservatorio di Pavia realizza per la Commissione di Vigilanza sulla Rai i un rapporto mensile. Secondo l ‘Osservatorio nel mese di Aprile il il Tg1 (il tv governativo, diretto da Augusto Minzolini) ha riservato a tutti i partiti di opposizione (Pd, Udc e Idv in particolare) il 19,6% degli spazi. Il resto se lo spartiscono il governo (43,2%) e i partiti di maggioranza (15%). Ancora più evidente lo squilibrio se si guarda ai politici più presenti in video: sui primi tre gradini del podio ci sono tre esponenti del centrodestra: al primo posto c’è ovviamente Berlusconi, che sul Tg1 delle 20 ha parlato per 667 secondi. Più del doppio del tempo riservato al secondo classificato, il presidente della Camera Gianfranco Fini, che ha fatto sentire la sua voce per 314 secondi, tallonato dal ministro degli Esteri Franco Frattini con 294 secondi. Beh, buona giornata.

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Attualità

“Guido Bertolaso si sente sopra le cose, gli uomini e forse anche Dio e parla con una arroganza e una insolenza che non sono certo proprie di un gran servitore dello Stato come lui vuole farsi credere.”

Bertolaso, uno che si vede sopra le cose, gli uomini e anche Dio, di Marco Benedetto-blitzquotidiano.it

Berlusconi ne ha fatto un eroe e avrà le sue buone ragioni. La sinistra, dal Pd a Legambiente, lo guarda con indulgenza e ha certamente molte buone ragioni. Il Papa lo ha santificato da vivo e ha le sue buone ragioni.

Per questo Guido Bertolaso si sente sopra le cose, gli uomini e forse anche Dio e parla con una arroganza e una insolenza che non sono certo proprie di un gran servitore dello Stato come lui vuole farsi credere.

Certo ha servito tutti i governi che si sono alternati in Italia da quando è stato messo a capo della Protezione civile e lo ha fatto con precisione e senza badare a spese. Non aveva da badare alle spese, perché Bertolaso ha poteri che nessuno in Italia ha. Di qualsiasi cosa Bertolaso si occupi, non deve guardare ai limiti che le leggi mettono ai comuni cittadini e nemmeno ai massimi funzionari della pubblica amministrazione. Quanto ai soldi, poi, basta chiedere e gli stanziamenti per le spese fuori budget arrivano.

Sembra però che nessuno si sia mai preso la briga di rilevare come tutta la sua bravura dipenda da questa sua condizione speciale e unica. I giornali ne hanno fatto un eroe e, se non fosse che devono registrare le notizie che vengono dal fronte giudiziario, non si perdono molto nell’esame critico di quel che dice e di quel che si attribuisce.

Appare quasi che nel caso di Bertolaso i giornali più che mai abdichino alla loro conclamata funzione di controllori del pubblico agire e deleghino il ruolo alle Procure della Repubblica, non tenendo conto di una importante differenza, che la magistratura deve giudicare solo secondo il codice penale, mentre i giornali devono giudicare in base a molte regole: del buon senso, della affidabilità, della credibilità politica, dell’etica anche quando non viola alcuna legge penale. Non a caso Berlusconi, che si dichiara eterna vittima di persecuzione giudiziaria, ha scaricato il ministro Claudio Scajola: finora Scajola non è accusato di nulla, ma giustamente Berlusconi non perdona la figura fatta.

Bertolaso, lo si è visto in più di un’occasione, è bravissimo nelle pr e in genere è senza pudori nello spararle anche grosse. Qualche esempio alla rinfusa.

Ricostruisce l’Aquila dopo il terremoto e lo fa letteralmente, come facevano gli antichi: sposta la città un po’ più in là, lasciando le macerie al loro destino.

Guida un dipartimento della pubblica amministrazione dove i carabinieri fanno una retata tra funzionari, imprenditori e non si sa ancora dove arriveranno e lui dice che non si è accorto di nulla. Peccato che in una intercettazione dica al suo braccio destro Angelo Balducci: “Il capo sono io e decido tutto io”. E ancora non ci ha spiegato perché voleva decidere tutto lui a proposito della assegnazione della Maddalena a prezzo stracciati a Emma Marcegaglia, aggressiva presidentessa della Confindustria. Forse agiva per conto di Berlusconi?

Scarica tutti, getta schizzi su tutti. Nella conferenza stampa del 7 maggio, fa pesanti allusioni a colleghi che lavorarono a pochi metri da lui: “Non sono mai stato ospite in alberghi di nessuno”.

Tiene la conferenza stampa a Palazzo Chigi, appoggiando il suo insopportabile maglione al podio su cui domina il marchio “Presidenza del Consiglio dei Ministri”. Berlusconi non se lo è mai pernesso, ha sempre distinto il suo ruolo di presidente del Consiglio da quello di imputato e per parlare dei suoi fatti ha usato tribune diverse dal suo ufficio.

Di Balducci dice: “Come potevo pensare che fosse quello che dite? Ho preso il presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, cioè il top”. Sembra un capo d’azienda che dica: dovevo coprire un buco nell’organigramma e ho preso, a scatola chiusa, il meglio sul mercato. Peccato che il percorso seguito sia stato meno schematico e Balducci abbia intrecciato incarichi di Ministero con cariche di commissario straordinario per oltre dieci anni e la sua carriera si sia intersecata con quella di Bertolaso almeno fino dai tempi del Giubileo, almeno dal 1999.

Di Diego Anemone, l’imprenditore edile alla radice dello scandalo che ha travolto la Protezione Civile, dice: lo conosco per doveri d’ufficio, ma non l’ho mai frequentato. Peccato che poi vada alle dieci di sera, al centro sportivo di proprietà del figlio di Balducci e ristrutturato da Anemone, per farsi fare dei massaggi da una tal Monica, una brasiliana che a tante altre cose fa pensare. Bertolaso nega e nessuno ha elementi per smentirlo.

A suo onore, o forse a onore del suo istinto di sopravvivenza, evita una festa che Anemone e soci gli hanno organizzato al centro Salaria con un po’ di ragazze. Bertolaso dà buca all’ultimo momento: ma perché quelli si sono sentiti autorizzati a festeggiarlo?

Va a Haiti, senza che nessuno lo abbia chiamato, e dice che l’esercito americano non è all’altezza, facendosi insultare pubblicamente e con ragione da Hillary Clinton che definisce le parole di Bertolaso chiacchiere da bar sport.

Passa qualche mese e si vendica. In conferenza stampa, il 7 maggio dice: ieri mi ha chiamato Bill Clinton [marito di Hillary] per farmi i complimenti per quel che l’Italia ha fatto a Haiti e io volevo fargli una battuta: “io e lei abbiamo un problema che ha lo stesso nome, Monica”, ma poi ho desistito perché io con Monica non ho avuto problemi reali, lui probabilmente qualche problemuccio ce lo ha avuto.

Pregasi notare la poca eleganza di uno che parla con l’ex presidente degli Stati Uniti e dice “io e lei”, pregasi notare la pesante allusione alle corna, peraltro coraggiosamente e dignitosamente portate da Hillary, pregasi notare che Clinton chiama Bertolaso.

Viene in mente quel giornalista napoletano invitato a cena da Bob Geldof, quando suona il telefonino del cantante filantropo. “Era Clinton, voleva sapere del concerto”.

Bertolaso la battuta non la fa, ma all’ambasciata americana a Roma i giornali li leggono e deve essere successo un piccolo finimondo se di sabato mattina il ministro degli Esteri Franco Frattini, di solito rigido nel suo cerimoniale e mite nell’approccio perfino con pirati e terroristi, è stato costretto a dire: Bertolaso chi?

Ma perché, con tutta l’eleganza che le circostanze e la decenza richiedono, non mettono Bertolaso in condizioni di non nuocere? Ci guadagnerebbero l’Italia, il Governo, Berlusconi. Invece lo faranno ministro. Un’idea: perché non al posto di Scajola? Con tutti i poteri del commissario straordinario di tutto, ovviamente. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Leggi e diritto Media e tecnologia

“Se fosse già in vigore la legge proposta dal ministro Alfano sulle intercettazioni, gli italiani nulla saprebbero ancora della casa di Scajola.”

Con la nuova legge neppure una riga. Se la nuova legge fosse già in vigore neanche una riga sulla casa di Scajola, di Luigi Ferrarella -corriere.it

Cosa c’entrano le intercettazioni con il caso Scajola? Niente: alla base della sua vicenda non ci sono microspie, ma solo assegni bancari e dichiarazioni di testimoni, atti peraltro tutti non più coperti da segreto perché depositati al Tribunale del Riesame. Eppure, se fosse già in vigore la legge proposta dal ministro Alfano sulle intercettazioni, gli italiani nulla saprebbero ancora della casa di Scajola. E nulla gli italiani ancora saprebbero perché nulla i giornali avrebbero potuto scriverne in questi 12 giorni, e ancora fino a chissà quanti altri mesi.

Al contrario di quello che i promotori della legge raccontano, e cioè che con essa intendono impedire la pubblicazione selvaggia di intercettazioni segrete, l’attuale testo in discussione alla Commissione Giustizia del Senato vieta, con la scusa delle intercettazioni, la pubblicazione — non solo integrale ma neanche parziale, neanche soltanto nel contenuto, neanche soltanto per riassunto — degli atti d’indagine anche se non più coperti dal segreto, e questo fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza.

In più, aggancia la violazione di questo divieto a un’altra legge già esistente (la 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle imprese per reati commessi dai dipendenti nell’interesse aziendale), e per ogni pubblicazione arbitraria fa così scattare non solo ammende maggiorate per i cronisti (da 2 a 10 mila euro, dunque con oblazione a 5 mila euro), ma soprattutto maxi-sanzioni a carico delle aziende editoriali fino a 465 mila euro a notizia

Per dare un’idea dell’impatto, i quotidiani nazionali, con quello che hanno pubblicato di vero e di più non segreto in questi 12 giorni, rischierebbero già 4/5 milioni di euro, e i loro cronisti oblazioni già per 60 mila euro a testa (sempre che il giudice non ritenga, a motivo della gravità del fatto, di negare l’oblazione e avviare il giornalista a un processo che potrebbe concludersi con la condanna a 2 mesi di arresto per ogni pubblicazione arbitraria).

Il caso di Scajola è ancor più istruttivo perché rivela quanto ipocrita sia il ritornello di chi vuole far discendere dalla sola rilevanza penale la condizione di «scrivibilità» di una vicenda giudiziaria, e dalla sola qualifica di indagato l’unico criterio di interesse pubblico di una notizia.

Il ministro non è indagato dalla Procura di Perugia ed è possibile che nemmeno lo sia in futuro, quindi in base a questo buffo criterio non si dovrebbe scriverne alcunché. Allo stato, anzi, Scajola è un «terzo» estraneo ai fatti di reato contestati invece ad Anemone e Zampolini per il controverso tragitto immobiliare di quegli 80 assegni, e dunque la sua vicenda, misurata su questo singolare parametro, dovrebbe restare esente da attenzioni giornalistiche.

Ma quanto questo sarebbe assurdo l’ha dimostrato indirettamente proprio un importante dirigente del partito di Scajola e di Alfano, il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini, quando poche settimane fa convocò una conferenza stampa per sventolare alcune intercettazioni allegate a una memoria difensiva depositata agli atti e dunque non più segrete, dalle quali a suo avviso emergevano non reati ma indebiti comportamenti di un dirigente del centrosinistra toscano. Iniziativa assolutamente legittima, se l’onorevole Verdini la ritiene valida e se, come ogni giornalista, se ne assume la responsabilità (su veridicità e continenza) rispetto ai già oggi esistenti confini della diffamazione.

Solo che il coordinatore del Pdl dovrebbe andare a farlo presente al ministro della Giustizia, appena approderà in Parlamento la legge che dichiara di voler fermare le intercettazioni selvagge ma in realtà vieta la cronaca. O provare a ricordarlo al presidente del Consiglio quando, come ieri, afferma che in Italia «c’è fin troppa libertà di stampa». (Beh, buona giornata).

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democrazia Leggi e diritto Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Oggi, in una conferenza stampa ufficiale, rispondendo alla domanda di un giornalista, il Presidente del consiglio dei ministri ha detto che “in Italia, di libertà di stampa ce n’è fin troppa”.

Ma davvero “ce n’è fin troppa” di libertà di stampa in Italia-di Mimmo Càndito-lastampa.it

Oggi, in una conferenza stampa ufficiale, rispondendo alla domanda di un giornalista, il Presidente del consiglio dei ministri ha detto con qualche tono di sprezzo che “in Italia, di libertà di stampa ce n’è fin troppa”.

Non è davvero la prima volta che B esprime simili opinioni, che hanno un suono minaccioso, e certamente non sono rispettosi del ruolo di un capo di governo di un paese democratico. E mi rendo conto che si rischia ancora una volta di riproporre un tema di dibattito nel quale gli umori di pancia troppo spesso prevalgono sulle ragioni di una riflessione critica.

Ma la dichiarazione è troppo violenta perché io non debba consegnarla alla vostra attenzione. La commento con una nota che ho trasmesso alle agenzie di stampa a nome di Reporters Sans Frontières, di cui – come alcuni di voi sanno – sono presidente della sezione italiana. Il testo dice:

“Quanto dichiara il Presidente del consiglio, sulla “troppa libertà di stampa in Italia”, suona amaramente come una di quelle minacciose dichiarazioni che erano pratica di governo di certi poteri che venivano definiti “latinoamericani”. Reporters sans Frontières classifica l’Italia al 49.mo posto nella classifica mondiale sulla libertà di manifestazione del pensiero, ultima tra i paesi di democrazia avanzata: la colpa di questa delusa classificazione sta nelle anomalie del nostro sistema mediatico, che certamente non cancella la libertà dei massmedia ma ne condiziona drammaticamente l’esercizio, nel settore privato quanto in quello pubblico.

Giornalisti epurati se dissenzienti, giornalisti premiati se servili, attacchi agli spazi di investigazione, normative penalizzanti del lavoro di cronaca politica, minacce continue contro le voci che denunciano un clima di pesante riduzione al conformismo, mistificazione spudorata della realtà, utilizzo spregiudicato del conflitto di interessi: altro che “troppa libertà”, si va instaurando una cultura dell’esercizio intollerante del potere che viene fatto passare come legittimo uso del voto popolare.

Che è invece un tradimento dell’art.1 della Costituzione italiana, che riconosce “la sovranità del popolo” ma ne condiziona la forza e la vigenza “nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Difendere la Costituzione nella integrità del suo dettato deve essere – dovrebbe essere – il dovere solennemente giurato di un governo rispettoso del valore del giudizio critico che la stampa esercita senz’altri limiti che quelli della legge, La libertà di stampa non è mai troppa, in una democrazia: ne difende le ragioni e la stessa identità di sistema”. (Beh, buona giornata).

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Attualità

La Russa, il ministro repubblichino della repubblica di Arcore rinnega Fini.

(da repubblica.it)
“Fini ha sbagliato? Non ci interessa dire chi ha ragione e chi ha sbagliato: dico che personalmente con grande sacrificio e amarezza ho dovuto rilevare che fosse giusta una strada diversa, quella di rimanere nel Pdl”. Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, nel corso di un convegno a Milano sul tema “la nostra destra nel Pdl”, dove ha riunito di quadri della parte ex An del Pdl.

“La strada – ha detto La Russa – è di far crescere il Pdl, di migliorarlo, e di non aprire una crisi che fa piacere solo alla sinistra in un momento in cui vinciamo tutte le elezioni, in un momento in cui stiamo costruendo un partito nuovo che Fini e Berlusconi hanno voluto insieme”. La Russa ha spiegato di auspicare un destra “rispettosa della nostra storia, della cultura e della nostra tradizione, ma nel contempo una destra che sa interpretare anche la realtà di oggi, quindi una destra moderna come quella che abbiamo voluto a Fiuggi. Ma un destra che non rifugga dalla sensibilità che gli uomini di destra hanno sempre portato nella politica”.

Alla domanda se ci fosse febbre nel Pdl, La Russa ha risposto: “Non c’è febbre, c’è solo un po’ di amarezza almeno da parte nostra, da parte di chi ha una storia in An perché quello che è successo poteva facilmente essere evitato. Non c’erano ragioni profonde, non si viene da una sconfitta, anzi si viene da una innumerevole serie di successi elettorali, da un solo anno di vita del Pdl. Credo che se non ci fosse stato lo spauracchio, l’annuncio da parte di Fini di voler creare gruppi autonomi e quindi di aprire la strada alla secessione si sarebbe potuto arrivare a soluzioni completamente diverse e noi stessi avremmo assunto atteggiamenti diversi”. Beh, buona giornata.

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democrazia Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Freedom House: in Italia la televisione fa molto male all’informazione.

Giornalismo, rapporto Usa: solo grazie a giornali e internet in Italia informazione parzialmente libera: colpa della tv-blitzquotidiano.it

L’informazione italiana continua a essere “parzialmente libera” anche se i giornali stampati e internet sono totalmente liberi, a causa della pesante concentrazione nel campo della tv e la crescente interferenza da parte del governo nelle scelte editoriali del servizio pubblico televisivo. Lo afferma il rapporto annuale di Freedom House, un’organizzazione americana che monitora sin dal 1980 la libertà di stampa a livello mondiale.

Si tratta di un giudizio che fa della tv il centro dell’informazione di un paese e non dà il giusto peso che hanno i giornali e in misura crescente i siti internet nella informazione della opinione pubblica. I giornali in Italia sono liberi, ognuno può scrivere quello che vuole anche se nessun giornale ospiterebbe stabilmente articoli di collaboratori di tendenza contraria a quella del giornale stesso.

Questo vale per tutti i giornali, anche quelli che si sostengono unici difensori della libertà di stampa, ed è anche codificato dalla gurisprudenza e dal contratto di laovro nazionale dei giornalisti. Difficilmente un giornalista di destra potrà lavorare secondo le sue idee in un giornale di sinistra e viceversa.

Oggi comunque, grazie alla moltiplicazione delle fonti di informazione e alla caduta delle barriere d’accesso dovute a internet, è possibile formarsi una opinione abbastanza ampia su ogni evento.

Per quanto riguarda la tv, non era necessario che ce lo dicessero gli americani, perché lo sapevamo da noi, comunque, secondo il rapporto, il nostro Paese resta la nazione con il più alto tasso di concentrazione dei mezzi di comunicazione tra quelle dell’Europa occidentale e questo appunto è dovuto al fatto che una sola persona, Silvio Berlusconi, controlla direttamente, con Mediaset, tre delle dodici reti tv nazionali e, almeno temporaneamente, in quanto capo del governo, due delle tre reti e due dei tre tg della Rai.

Ancor più sbilanciata appare la situazione in campo televisivo se si considera che tra Rai e Mediaset occupano il 90% dell’audience e della pubblicità televisiva.

Come l’Italia, per quanto riguarda la libertà di stampa, in Europa, ci sono solo i paesi balcanici e quelli dell’Est, come Croazia, Bosnia, Serbia, Montenegro, Macedonia, Bulgaria e Romania. (Beh, buona giornata).

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democrazia Leggi e diritto

Berlusconi al ministro Scajola: “vedrai che tra una settimana si sgonfierà tutto, devi solo tenere duro finché non passa l’onda. Devi difenderti in maniera più dura, con il coltello tra i denti”.

Nuove accuse per Scajola, 4 testimoni lo incastrano. Berlusconi: “Tieni duro e vai avanti”-blitzquotidiano.it

Ci sono 4 testimoni e i passaggi di denaro su alcuni conti bancari a smentire il ministro Scajola e che dimostrano invece come lui conoscesse la provenienza degli 80 assegni “neri” che servirono a pagare oltre la metà del suo appartamento romano, in zona Colosseo. ieri il ministro ha anche ricevuto la solidarietà di Berlusconi. Dimissioni, neanche a parlarne. Il premier lo ha rassicurato: “Devi difenderti con il coltello tra i denti”.

Sulla compravendita dell’appartamento i testimoni concordano nel riferire che fu Scajola stesso a consegnare gli assegni, per un totale di 900mila euro, e che gli furono messi a disposizione proprio da Anemone, l’imprenditore finito in galera per la vicenda degli appalti legati ai Grandi Eventi. Anemone infatti ha ottenuto negli anni passati il Nos, il certificato di “nulla osta di segretezza” che gli ha consentito di aggiudicarsi lavori cosiddetti “sensibili”, vale a dire la ristrutturazione o la costruzione di edifici per il ministero dell’Interno, per quello della Giustizia comprese alcune carceri, e per i servizi segreti

Le testimonianze, da come risulta dagli atti dei pm di Perugia che conducono l’indagine, concordano nel riferire che il giorno del rogito fu proprio il ministro ad avere materialmente in mano quegli assegni. E che, nonostante fosse consapevole del reale valore dell’immobile (1 milione e 710mila euro), il ministro davanti al notaio dichiarò che il costo fosse di 600mila. Secondo l’accusa la mossa di Scajola ha due spiegazioni. Da una parte nascondere al Fisco la portata reale dell’operazione e dall’altra cancellare la traccia di altre due circostanze: la consegna di 200mila euro alle due venditrici dell’appartamento al momento dell’accordo preliminare, e il legame con l’architetto Angelo Zampolini, braccio destro di Anemone oggi indagato per riciclaggio, che gli aveva consegnato gli 80 assegni.

Il racconto che fanno le sorelle Barbara e Beatrice Papa, venditrici dell’appartamento, e Zampolini, dimostra che Scajola sapesse da dove provenivano i soldi, mentre finora il ministro ha dichiarato di aver comparto la casa per un valore di 600mila euro, accendendo un mutuo presso la banca San Paolo Imi. Nel 2004, dunque, il ministro decide di acquistare casa e coinvolge Diego Anemone, imprenditore vicino al ministero dell’Interno, guidato da Scajola fino a due anni prima. Anemone passa la faccenda all’architetto Zampolini che sottopone al ministro alcune proposte: la scelta cade sull’appartamento in viadel Fagutale 2, vista Colosseo. Costo: 1milione e 710 mila euro. Poco prima del rogito le due sorelle Papa ammettono di aver ricevuto dal ministro 200mila euro, senza alcun contratto preliminare. Zampolini davanti ai magistrati sostiene che i soldi fossero del ministro ma gli inquirenti ritengono che fosse la prima “tranche” con cui Anemone comprava casa a Scajola.

Ci sono poi i 900mila euro, cambiati in 80 assegni da Zampolini presso un’agenzia della Deutsche Bank. E’ Zampolini stesso, il 6 luglio di quel 2004, ad andare in banca. 80 assegni, non un numero a caso. Ognuno dell’importo di 12mila500 euro, ossia la soglia massima prima che scatti l’obbligo da parte della banca di avvertire il circuito interbancario e la Guardia di Finanza. Ma in banca, un impiegato zelante decide comunque di fare un controllo su quella “operazione sospetta di frazionamento”, come viene chiamata in gergo. Sarà l’inizio dell’inchiesta.

Ma torniamo al giorno del rogito. Si svolge negli uffici del ministro alla presenza del notaio Gianluca Napoleone, delle due sorelle Papa e di Scajola stesso. In questa occasione le Papa ricordano che il ministro consegna loro gli 80 assegni per un valore di 900mila euro. Ma davanti al notaio il prezzo dichiarato della vendita è di 600mila: il ministro infatti ha con sè altri assegni della banca San Paolo Imi presso la quale ha acceso un mutuo. Da questa ricostruzione il notaio avrebbe quindi autenticato una compravendita non corrispondente alla realtà, ma su queso punto Napoleoni si giustifica dicendo che il passaggio degli 80 assegni non è avvenuto davanti ai suoi occhi e che comunque le leggi del 2004 non impedivano una eventuale scrittura privata tra le parti per integrare il prezzo di vendita.

Il ministro ora si difende dalle accuse e riceve l’appoggio del premier Berlusconi che ha incontrato ieri a palazzo Grazioli. Dimissioni? Neanche a parlarne. “Claudio devi andare avanti – insiste Berlusconi – anche perché, se accettassi le tue dimissioni, ne uscirebbe indebolito il governo: daremmo un’immagine di sfaldamento proprio mentre siamo sotto l’attacco di Fini. Non se ne parla”. Berlusconi, stando al racconto dei presenti, prova quindi a tranquillizzarlo: “Se la prendono con te per attaccare me, lo sai. Ma vedrai che tra una settimana si sgonfierà tutto, devi solo tenere duro finché non passa l’onda. Devi difenderti in maniera più dura, con il coltello tra i denti”.

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Attualità democrazia Media e tecnologia Società e costume

Signore e signori, trasmettiamo ora il “partito dell’amore, contro l’odio e l’invidia”: http://tv.repubblica.it/dossier/direzione-pdl-fini-berlusconi/berlusconi-vs-fini-il-remix-su-youtube/46053?video=&pagefrom=1

http://tv.repubblica.it/dossier/direzione-pdl-fini-berlusconi/berlusconi-vs-fini-il-remix-su-youtube/46053?video=&pagefrom=

(Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Fini voleva la corrente, Berlusconi è andato in corto-circuito.

A carte scoperte di Gianpasquale Santomassimo-il Manifesto
La direzione del Pdl è stata organizzata come una cerimonia di umiliazione pubblica per il Presidente della Camera, affiancato a Rotondi e Giovanardi (e altri sette politici di cui molti ignoravano l’esistenza) come cofondatore del partito, in una assise volta ufficialmente a celebrare la vittoria elettorale e i successi del governo.
Nel suo intervento Fini ha rivolto critiche esplicite a Berlusconi, di fronte a una platea di dipendenti non abituati ad ascoltare critiche pubbliche al padrone da cui – qualunque sia loro provenienza – dipendono interamente carriere presenti e prospettive future.

Sono confluite nel discorso di Fini idee antiche e tradizionali, unità nazionale, coesione del paese, senso dello stato e della legalità, e quest’ultimo è fra tutti il vero nervo scoperto del berlusconismo, come si è visto dalle reazioni del personaggio, mai così teso e insofferente in pubblico. Ma si sono innestate, nel discorso di Fini, anche le questioni nuove che da qualche anno sostanziano le sue prese di posizione pubbliche: diritti individuali e civili, laicità delle istituzioni, costruzione di un percorso inclusivo di cittadinanza per gli immigrati.

Tutto quello che, attraverso l’ultimo Fini e il lavoro della sua Fondazione Farefuturo, dovrebbe costruire il volto di una destra italiana moderna e di tipo europeo, che entra in rotta di collisione inevitabile con ideologia e pulsioni della Lega, ma anche con sostanza e identità profonda della destra reale in Italia.
Perché Fini sia uscito allo scoperto proprio ora e nelle condizioni per lui peggiori è facilmente intuibile: di fronte a progetti di riforma istituzionale decisi nelle cene di Arcore con Calderoli, Bossi, e il figlio di Bossi, non reagire avrebbe significato condannarsi a una irrilevanza politica sempre più evidente, mentre la campagna acquisti dei suoi ex colonnelli da parte di Berlusconi è virtualmente conclusa, e resa esplicita dalla conta impietosa di questi giorni.

Il destino di Fini, ormai sessantenne, non è più certamente quello di un delfino che può attendere l’uscita di scena del leader indiscusso: se ci sarà un successore di Berlusconi non sarà lui. A Fini resta un notevole capitale di stima e di consenso, rilevato dai sondaggi, ma che difficilmente può tradursi in voti fuori della gabbia di questa destra.
Certamente non accetterà senza reagire lo sfratto dalla Presidenza della Camera intimatogli da Berlusconi, ma la prospettiva di una corrente organizzata in un partito di questo tipo (“carismatico” è la definizione ufficiale) è affidata a un esile filo di probabilità, e non è neppure detto che questa libertà di manovra gli venga concessa.

Si apre un periodo di inevitabile assestamento e riposizionamento, e la prospettiva, del tutto inedita, di una rottura dell’unanimismo forzato all’interno della destra italiana. Nell’incontro con Berlusconi all’origine dello strappo, veniva attribuita a Fini la dichiarazione per cui la propaganda da sola non può bastare, e la politica non può venire sostituita dalla propaganda stessa. Pensiero giudizioso, che in ogni paese occidentale apparirebbe scontato. Ma molto meno scontato nell’Italia modellata da Berlusconi a sua immagine e somiglianza, con questa legge elettorale. Questo sistema può durare ancora a lungo, in una decadenza avvilente e rovinosa.
(Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Alla fine Fini è diventato doroteo. Berlusconi può dormire sonni tranquilli. E D’Alema (e Casini, e Rutelli e Bersani) ancora con un palmo di naso.

Roma, 20 apr. (Adnkronos/Ign) – “Ho posto questioni di tipo politico, non sull’organigramma interno” né “per gelosia”, e “non ho intenzione di togliere il disturbo e di stare zitto”. Così il presidente della Camera Gianfranco Fini durante la riunione con i parlamentari ex An che si è svolta oggi nella sala Tatarella di Montecitorio.

“Non credo di attentare al governo e al partito se dico che c’è distacco con la nostra gente – ha detto Fini -. Il dissenso è legittimo o siamo il partito del predellino in cui bisogna dire che le cose vanno bene?”. Arriva un momento in cui “ci si deve guardare allo specchio”. “Se non si è disposti a rischiare per le proprie idee o non valgono le idee o non vale chi le esprime”. Il presidente della Camera ha però criticato “chi ha cercato di interpretare il pensiero di Fini, incendiando il dibattito politico”.

“Il progetto – ha proseguito Fini parlando del Pdl – non è in sintonia con quanto stabilito all’inizio. C’è una scarsa attenzione alla coesione sociale, alla coesione nazionale, il Sud è scomparso dal dibattito politico, sono temi che una grande forza deve trattare, per garantire i suoi valori strategici”. Non si tratta, ha precisato, di “una riproposizione degli attriti con Tremonti, che ha fatto un ottimo lavoro, anzi senza Tremonti saremmo come la Grecia”.

Quanto alla Lega, “è un alleato strategico importantissimo e leale, ma in questo momento sta dimostrando di essere il dominus”.

Per quanto riguarda gli equilibri interni tra le due anime del Pdl, “si apre una nuova fase, anche per quanto riguarda la ripartizione 70-30, chi ha più filo da tessere, tesserà”. Fini ha quindi espresso “soddisfazione perché per la prima volta è stata convocata la direzione del partito”. Inoltre, “pare che si vada verso un congresso e questo è positivo”.

Gli ex di An hanno ascoltato la relazione del presidente della Camera e hanno firmato un ordine del giorno per assicurare il loro sostegno a Gianfranco Fini e per dire no a scissioni e al voto ancipato. Il documento è stato firmato da 50 parlamentari, 36 deputati e 14 senatori. Lo si apprende dagli uomini più vicini al presidente della Camera secondo le quali ”altri parlamentari, oggi assenti per vari motivi, non hanno potuto firmare il documento, ma hanno dato il loro assenso”.

Ora è il momento di ”riportare il confronto su un piano costruttivo – si legge – isolando quanti più o meno consapevolmente stanno in queste ore lavorando per destabilizzare il rapporto tra i cofondatori del Pdl. Per questi motivi confermiamo la fiducia al presidente Fini a rappresentare tali istanze”. ”In merito alle polemiche che l’incontro Fini-Berlusconi ha suscitato nei media e nell’opinione pubblica – scrivono gli ex di An – riteniamo necessario esprimere soldiarietà a Fini contro il quale sono stati espressi giudici ingenerosi con toni a volte astiosi. Per parte nostra, riteniamo che le questioni poste da Fini meritino un approfondimento e una discussione attenta nelle competenti sedi di partito”. ”Nel corso della Direzione di giovedì prossimo – sottolineano – sarà lo stesso presidente della Camera a chiarire le sue proposte, aprendo un dibattito che ci consentirà di articolare e aggiornare un progetto di rilancio del Pdl, aperto alla partecipazione di tutte le componenti del partito”. ”La prospettiva di una escalation e anche il solo parlare di scissioni ed elezioni anticipate risultano incomprensibili per noi e per l’opinione pubblica che invece si aspetta una fase più incisiva dell’azione del nostro governo. Bisogna, quindi, riportare il confronto su un piano costruttivo”.

A stretto giro la replica di 75 ex parlamentari di Alleanza nazionale non di ‘osservanza finiana’ che hanno firmato un documento in cui si definisce il Pdl una scelta ”giusta e irreversibile”. Pur senza sottovalutare i problemi ”politici e organizzativi” che il partito deve affrontare”. Le stesse posizioni espresse da Fini dovranno trovare nei luoghi di discussione del partito la possibilità di essere discusse. Nel Pdl deve esserci un ”costante, libero, proficuo confronto di idee”, garantendo al massimo ”la democrazia interna”. Tra le firme, quelle degli ex colonnelli Gianni Alemanno, Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa, Alterno Matteoli, più il ministro Giorgia Meloni, a lungo a capo dell’organizzazione giovanile di An.

Nel testo si afferma, tra l’altro, che occorre superare “definitivamente” le “quote di provenienza” tra gli ex di An e di Forza Italia attraverso “la convocazione di un nuovo congresso nazionale del Pdl da celebrare nei tempi più rapidi possibili”. Per i firmatari del testo, inoltre, ”deve essere difeso il sistema bipolare, aprendo la stagione delle riforme istituzionali per il rafforzamento della democrazia diretta”. In particolare, scrivono i parlamentari non finiani, ”è necessario attuare, insieme al presidenzialismo, il federalismo fiscale in modo efficace e solidale”. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Botte da “orbace” tra finiani e berluscones in tv.

DAGOREPORT-dagospia.com
“Con questi mai più!” È il commento secco come una lapide che si chiude dello stato maggiore di Berlusconi commentando la trasmissione “L’ultima parola” di Gian-gigione Paragone in onda ieri notte su ‘Rai-bue’ che ha tenuto sveglio il nano di Arcore fino all’una di notte. Da un lato due finiani doc come Italo Bocchino (faresiluro) e Adolfo Urso (Farefuturo), dall’altra la nemica più intima di Fini, alias Daniela Santadeché e Maurizio Lupi, proconsole meneghino di Comunione e Fatturazione.

“Bocchino e Urso come Travaglio e Di Pietro. Nessuna argomentazione politica, solo attacchi personali sotto la cintura a Lupi e alla Santanchè”, la reazione di stamane tra i berluscones.

La prima scintilla quando Bocchino ha chiesto maggiore democrazia all’interno del Pdl. Pronta la replica della Fantanchè: “Ricordati la democrazia ai tempi di An. Veniva gestita solo dalle sopracciglie di Gianfranco…E tu lo sai meglio di me”.

Da quel momento per due ore accuse personali che hanno spinto Charlotte Rossella, presente in studio a chiedere ai finiani due o tre cose che vi vanno bene visto che sembra che siete contro tutto

Urso paonazzo, tanto da apparirere più un esagitato ultrà che un viceministro, ha detto che comunque loro votano sempre per la maggioranza. “Vorrei pure vedere che in consiglio dei ministri votare contro. Quello è un vostro dovere…”, gli ha risposto seccamente la Santanchè.

Il culmine della telerissa, che ha sancito difatto la scissione è andato in onda quando Bocchino ha dato del lottizzato di Comunione e Liberazione a Lupi che gli ha risposto chiedendogli le immediate dimissioni da presidente vicario dei deputati del Pdl. Con Bocchino che replicava “squadrista, fascista, questo è il vostro modo di governare “e, rivolto a Paragone, “tu sei un servo di Bossi”.

Come ha sibilato il Banana stappando champagne: ‘Se andasse via, sarebbe la fine di un incubo’.
(Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Io ti do una cosa a te, tu mi dai una cosa a me: Zaia era ministro diventa Governatore, Galan era Governatore diventa Ministro. Ogni culo ha la sua poltrona. Tutto a posto, niente in ordine nel Governo Berlusconi.

Cerimonia di giuramento questa mattina al Quirinale per il nuovo ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Giancarlo Galan, che prende il posto di Luca Zaia, eletto alla presidenza della Regione Veneto. Poco prima il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha ricevuto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Napolitano ha quindi firmato il decreto con il quale sono state accettate le dimissioni di Zaia ed è stato nominato ministro dell’Agricoltura l’ex governatore della giunta regionale di Venezia. Dopo la cerimonia Berlusconi e il nuovo ministro sono andati a palazzo Chigi per la riunione del Consiglio dei ministri.
Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia

Fini e l’attacco “Arcore” della maggioranza.

PDL: BERLUSCONI INCONTRA COORDINATORI, NESSUNO SEGUIRA’ FINI.
(AGI) – Roma, 15 apr. – E’ gia’ partita la ‘caccia all’uomo’.
Secondo quanto si apprende da fonti parlamentari del Pdl, Silvio Berlusconi avrebbe incaricato i vertici del partito di contattare tutti i deputati legati in qualche modo al presidente della Camera per far capire che dar vita a un gruppo autonomo “e’ un’iniziativa suicida”. Nel comunicato, redatto al termine dell’incontro a Palazzo Grazioli, si parla di stupore e di atteggiamento incomprensibile da parte della terza carica dello Stato. Espressioni e stati d’animo che il premier ha rimarcato piu’ volte durante l’incontro. “Non credo – ha osservato il premier secondo quanto viene riferito – ci sara’ qualcuno disposto a seguire Fini”. Dalle parti della presidenza della Camera si ritiene che siano piu’ di 70 tra deputati e senatori pronti a sottoscrivere un nuovo patto. Il premier con i vertici avrebbe fatto ‘la conta’. “In tutto non sono neanche venti”, questa e’ la considerazione del premier sempre secondo quanto viene riferito. (Beh, buona giornata).
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