Categorie
democrazia

Anche per il presidente Napolitano non è facile fare auguri spensierati di buon Anno Nuovo.

Il testo integrale del messaggio di fine anno di GIORGIO NAPOLITANO
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA- (fonte: lastampa.it)

Buona sera e Buon Anno a voi tutti, italiane e italiani di ogni generazione. Non vi stupirete, credo, se dedico questo messaggio soprattutto ai più giovani tra noi, che vedono avvicinarsi il tempo delle scelte e cercano un’occupazione, cercano una strada. Dedico loro questo messaggio, perché i problemi che essi sentono e si pongono per il futuro sono gli stessi che si pongono per il futuro dell’Italia.

Incontrando di recente, per gli auguri natalizi, i rappresentanti del Parlamento e del governo, delle istituzioni e dei corpi dello Stato, ho espresso la mia preoccupazione per il malessere diffuso tra i giovani e per un distacco ormai allarmante tra la politica, tra le stesse istituzioni democratiche e la società, le forze sociali, in modo particolare le giovani generazioni. Ma non intendo tornare questa sera su tutti i temi di quell’incontro. Ribadisco solo l’esigenza di uno spirito di condivisione – da parte delle forze politiche e sociali – delle sfide che l’Italia è chiamata ad affrontare; e l’esigenza di un salto di qualità della politica, essendone in giuoco la dignità, la moralità, la capacità di offrire un riferimento e una guida.

Ma a questo riguardo voi che mi ascoltate non siete semplici spettatori, perché la politica siete anche voi, in quanto potete animarla e rinnovarla con le vostre sollecitazioni e i vostri comportamenti, partendo dalle situazioni che concretamente vivete, dai problemi che vi premono.

Siamo stati anche nel corso di quest’anno 2010 dominati dalle condizioni di persistente crisi e incertezza dell’economia e del tessuto sociale, e ormai da qualche tempo si è diffusa l’ansia del non poterci più aspettare – nella parte del mondo in cui viviamo – un ulteriore avanzamento e progresso di generazione in generazione come nel passato. Ma non possiamo farci paralizzare da quest’ansia : non potete farvene paralizzare voi giovani. Dobbiamo saper guardare in positivo al mondo com’è cambiato, e all’impegno, allo sforzo che ci richiede. Che esso richiede specificamente e in modo più pressante a noi italiani, ma non solo a noi: all’Europa, agli Stati Uniti. Se il sogno di un continuo progredire nel benessere, ai ritmi e nei modi del passato, è per noi occidentali non più perseguibile, ciò non significa che si debba rinunciare al desiderio e alla speranza di nuovi e più degni traguardi da raggiungere nel mondo segnato dalla globalizzazione.

E innanzitutto è conquista anche nostra, è conquista della nostra comune umanità il rinascere di antiche civiltà, il travolgente sviluppo di economie emergenti, in Asia, in America Latina, in altre regioni – anche in Africa ci si è messi in cammino – rimaste a lungo ai margini della modernizzazione. E’ conquista della nostra comune umanità il sollevarsi dall’arretratezza, dalla povertà, dalla fame di centinaia di milioni di uomini e donne nel primo decennio di questo nuovo millennio. Paesi e popoli con i quali condividere lo slancio verso un mondo globale più giusto, più comprensivo dell’apporto di tutti, più riconciliato nella pace e in uno sviluppo davvero sostenibile.

E’ in effetti possibile un impegno comune senza precedenti per fronteggiare le sfide e cogliere le opportunità di questo grande tornante storico. Siamo tutti chiamati a far fronte ancora alla sfida della pace, sempre messa a dura prova da persistenti e ricorrenti conflitti e da cieche trame terroristiche : della pace e della sicurezza collettiva, che esigono tra l’altro una nuova assunzione di responsabilità nella Comunità Internazionale da parte delle grandi potenze emergenti. Siamo chiamati a cogliere le opportunità di un processo di globalizzazione tuttora ambiguo nelle sue ricadute sul terreno dei diritti democratici e delle diversità culturali, ed estremamente impegnativo per continenti e paesi – l’Europa, l’Italia – che tendono a perdere terreno nell’intensità e qualità dello sviluppo.

Ecco, da questo scenario non possono prescindere i giovani nel porsi domande sul futuro. Non possono porsele senza associare strettamente il discorso sull’Italia e quello sull’Europa, senza ragionare da italiani e da europei. Molto dipenderà infatti per noi dalla capacità dell’Europa di agire davvero come Unione: Unione di Stati e di popoli, ricca della sua pluralità, e forte di istituzioni che sempre meglio le consentano di agire all’unisono, di integrarsi più decisamente. Solo così si potrà non solo superare l’attacco all’Euro e una insidiosa crisi finanziaria nell’Eurozona, ma aprire una nuova prospettiva di sviluppo dell’economia e dell’occupazione nel nostro continente, ed evitare il rischio della sua irrilevanza o marginalità in un mondo globale che cresca lontano da noi. Sono convinto che questa sia una verità destinata a farsi strada anche in quei paesi europei in cui può serpeggiare l’illusione del fare da soli, l’illusione dell’autosufficienza.

Pensare con positivo realismo in termini europei equivale a non illuderci, in Italia, di poter sfuggire agli imperativi sia della sostenibilità della finanza pubblica sia della produttività e competitività dell’economia e più in generale del sistema-paese. D’altronde, sono convinto che quando i giovani denunciano un vuoto e sollecitano risposte sanno bene di non poter chiedere un futuro di certezze, magari garantite dallo Stato, ma di aver piuttosto diritto a un futuro di possibilità reali, di opportunità cui accedere nell’eguaglianza dei punti di partenza secondo lo spirito della nostra Costituzione.

Nelle condizioni dell’Europa e del mondo di oggi e di domani, non si danno certezze e nemmeno prospettive tranquillizzanti per le nuove generazioni se vacilla la nostra capacità individuale e collettiva di superare le prove che già ci incalzano. Tanto meno, ho detto, si può aspirare a certezze che siano garantite dallo Stato a prezzo del trascinarsi o dell’aggravarsi di un abnorme debito pubblico. Quel peso non possiamo lasciarlo sulle spalle delle generazioni future senza macchiarci di una vera e propria colpa storica e morale.Trovare la via per abbattere il debito pubblico accumulato nei decenni ; e quindi sottoporre alla più severa rassegna i capitoli della spesa pubblica corrente, rendere operante per tutti il dovere del pagamento delle imposte, a qualunque livello le si voglia assestare. Questo dovrebbe essere l’oggetto di un confronto serio, costruttivo, responsabile, tra le forze politiche e sociali, fuori dall’abituale frastuono e da ogni calcolo tattico.

Ma affrontare il problema della riduzione del debito pubblico e della spesa corrente, così come mettere mano a una profonda riforma fiscale, vuol dire compiere scelte significative anche se difficili. Si debbono o no, ad esempio, fare salve risorse adeguate, a partire dai prossimi anni, per la cultura, per la ricerca e la formazione, per l’Università? Che questa scelta sia da fare, lo ha detto il Senato accogliendo espliciti ordini del giorno in tal senso prima di approvare la legge di riforma universitaria. Una legge il cui processo attuativo – colgo l’occasione per dirlo a coloro che l’hanno contestata – consentirà ulteriori confronti in vista di più condivise soluzioni specifiche, e potrà essere integrato da nuove decisioni come quelle auspicate dallo stesso Senato.

Occorre in generale individuare priorità che siano riferibili a quella strategia di più sostenuta crescita economico-sociale che per l’Italia è divenuta – dopo un decennio di crescita bassa e squilibrata – condizione tassativa per combattere il rischio del declino anche all’interno dell’Unione Europea.
Vorrei fosse chiaro che sto ragionando sul da farsi nei prossimi anni ; giudizi sulle politiche di governo non competono al Capo dello Stato, ma appartengono alle sedi istituzionali di confronto tra maggioranza e opposizione, in primo luogo al Parlamento.

E vorrei fosse chiaro che parlo di una strategia, e parlo di priorità, da far valere non solo attraverso l’azione diretta dello Stato e di tutti i poteri pubblici, ma anche attraverso la sollecitazione di comportamenti corrispondenti da parte dei soggetti privati. Abbiamo, così, bisogno non solo di più investimenti pubblici nella ricerca, ma di una crescente disponibilità delle imprese a investire nella ricerca e nell’innovazione. Passa anche di qui l’indispensabile elevamento della produttività del lavoro : tema, oggi, di un difficile confronto – che mi auguro evolva in modo costruttivo – in materia di relazioni industriali e organizzazione del lavoro.

Reggere la competizione in Europa e nel mondo, accrescere la competitività del sistema-paese, comporta per l’Italia il superamento di molti ritardi, di evidenti fragilità, comporta lo scioglimento di molti nodi, riconducibili a riforme finora mancate. E richiede coraggio politico e sociale, per liberarci di vecchie e nuove rendite di posizione, così come per riconoscere e affrontare il fenomeno di disuguaglianze e acuti disagi sociali che hanno sempre più accompagnato la bassa crescita economica almeno nell’ultimo decennio.

Disuguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Impoverimento di ceti operai e di ceti medi, specie nelle famiglie con più figli e un solo reddito. E ripresa della disoccupazione, sotto l’urto della crisi globale scoppiata nel 2008.
Gli ultimi dati ci dicono che le persone in cerca di occupazione sono tornate a superare i due milioni, di cui quasi uno nel Mezzogiorno ; e che il tasso di disoccupazione nella fascia di età tra i 15 anni e i 24 – ecco di nuovo il discorso sui giovani, nel suo aspetto più drammatico – ha raggiunto il 24,7 per cento nel paese, il 35,2 nel Mezzogiorno e ancor più tra le giovani donne. Sono dati che debbono diventare l’assillo comune della Nazione. Se non apriamo a questi ragazzi nuove possibilità di occupazione e di vita dignitosa, nuove opportunità di affermazione sociale, la partita del futuro è persa non solo per loro, ma per tutti, per l’Italia : ed è in scacco la democrazia.

Proprio perché non solo speriamo, ma crediamo nell’Italia, e vogliamo che ci credano le nuove generazioni, non possiamo consentirci il lusso di discorsi rassicuranti, di rappresentazioni convenzionali del nostro lieto vivere collettivo. C’è troppa difficoltà di vita quotidiana in diverse sfere sociali, troppo malessere tra i giovani. Abbiamo bisogno di non nasconderci nessuno dei problemi e delle dure prove da affrontare : proprio per poter suscitare un vasto moto di energie e di volontà, capace di mettere a frutto tradizioni, risorse e potenzialità di cui siamo ricchi. Quelle che abbiamo accumulato nella nostra storia di centocinquant’anni di Italia unita.

Celebrare quell’anniversario, come abbiamo cominciato a fare e ancor più faremo nel 2011, non è perciò un rito retorico. Non possiamo come Nazione pensare il futuro senza memoria e coscienza del passato. Ci serve, ci aiuta, ripercorrere nelle sue asprezze e contraddizioni il cammino che ci portò nel 1861 a diventare Stato nazionale unitario, ed egualmente il cammino che abbiamo successivamente battuto, anche fra tragedie sanguinose ed eventi altamente drammatici. Vogliamo e possiamo recuperare innanzitutto la generosità e la grandezza del moto unitario : e penso in particolare a una sua componente decisiva, quella dei volontari. Quanti furono i giovani e giovanissimi combattenti ed eroi che risposero, anche sacrificando la vita, a quegli appelli per la libertà e l’Unità dell’Italia! Dovremmo forse tacerne, e rinunciare a trarne ispirazione? Ma quello resta un patrimonio vivo, cui ben si può attingere per ricavarne fiducia nelle virtù degli italiani, nel loro senso del dovere comune e dell’unità, e nella forza degli ideali.

Ed è patrimonio vivo quello del superamento di prove meno remote e già durissime, come il liberarci dalla dittatura fascista, il risollevarci dalla sconfitta e dalle distruzioni dell’ultima guerra, ricostruendo il paese e trovando l’intesa su una Costituzione animata da luminosi principi. No, nulla può oscurare il complessivo bilancio della profonda trasformazione, del decisivo avanzamento che l’Unità, la nascita dello Stato nazionale e la sua rinascita su basi democratiche hanno consentito all’Italia. Di quel faticoso cammino è stato parte il ricercare e stabilire – come ha voluto sottolineare ancora di recente il Pontefice, indirizzandoci un pensiero augurale che sentitamente ricambio – “giuste forme di collaborazione fra la comunità civile e quella religiosa”.

Sono convinto che nelle nuove generazioni sia radicato il valore dell’unità nazionale, e insieme il valore dello Stato unitario come presidio irrinunciabile nell’era del mondo globale. Uno Stato, peraltro, in via di ulteriore rinnovamento secondo un disegno di riforma già concretizzatosi nella legge sul federalismo fiscale. Sarà essenziale attuare quest’ultima in piena aderenza ai principi di “solidarietà e coesione sociale” cui è stata ancorata.
Sarà essenziale operare su tutti i piani per sanare la storica ferita di quel divario tra Nord e Sud che si va facendo perfino più grave, mentre risulta obbiettivamente innegabile che una crescita più dinamica dell’economia e della società nazionale richiede uno sviluppo congiunto, basato sulla valorizzazione delle risorse disponibili in tutte le aree del paese.

Il futuro da costruire – guardando soprattutto all’universo giovanile – richiede un impegno generalizzato. Quell’universo è ben più vasto e vario del mondo studentesco. A tutti rivolgo ancora la più netta messa in guardia contro ogni cedimento alla tentazione fuorviante e perdente del ricorso alla violenza. In particolare, poi, invito ogni ragazza e ragazzo delle nostre Università a impegnarsi fino in fondo, a compiere ogni sforzo per massimizzare il valore della propria esperienza di studio, e li invito a rendersi protagonisti, con spirito critico e seria capacità propositiva, dell’indispensabile rinnovamento dell’istituzione Università e del suo concreto modo di funzionare.

Investire sui giovani, scommettere sui giovani, chiamarli a fare la propria parte e dare loro adeguate opportunità. Che questa sia la strada giusta, ho potuto verificarlo in tante occasioni. Dall’incontro, nel gennaio scorso, con gli studenti di Reggio Calabria impegnati sul tema della legalità, a quello, in novembre, con i giovani volontari di Vicenza mobilitatisi per far fronte all’emergenza alluvione ; e via via potendo apprezzare realtà altamente significative. Penso ai giovani che con grandissima consapevolezza e abnegazione fanno la loro parte nelle missioni militari in aree di crisi : alle famiglie di quelli tra loro che sono caduti – purtroppo ancora oggi – e di tutti gli altri che compiono il loro dovere esponendosi a ogni rischio, desidero rinnovare stasera la mia, la nostra gratitudine e vicinanza. Penso ai giovani magistrati e ai giovani appartenenti alle forze di polizia, che contribuiscono in modo determinante al crescente successo nella lotta per liberare l’Italia da uno dei suoi gravi condizionamenti negativi, la presenza aggressiva e inquinante della criminalità organizzata.

Sì, possiamo ben aprirci la strada verso un futuro degno del grande patrimonio storico, universalmente riconosciuto, della Nazione italiana. Facciano tutti la loro parte : quanti hanno maggiori responsabilità – e ne debbono rispondere – nella politica e nelle istituzioni, nell’economia e nella società, ma in pari tempo ogni comunità, ogni cittadino. Dovunque, anche a Napoli : lasciatemi rivolgere queste parole di incitamento a una città per la cui condizione attuale provo sofferenza come molti in Italia. Faccia anche a Napoli la sua parte ogni istituzione, ogni cittadino, nello spirito di un impegno comune, senza cedere al fatalismo e senza tirarsi indietro.

Sentire l’Italia, volerla più unita e migliore, significa anche questo, sentire come proprio il travaglio di ogni sua parte, così come il travaglio di ogni sua generazione, dalle più anziane alle più giovani. A tutti, dunque, agli italiani e agli stranieri che sono tra noi condividendo doveri e speranze, il mio augurio affettuoso, il mio caloroso buon 2011.

Share
Categorie
Attualità democrazia Finanza - Economia Lavoro Leggi e diritto Popoli e politiche Società e costume

Quest’anno, niente auguri di Buon Anno nuovo.

La vicenda della non concessione dell’estradizione a Cesare Battisti, chiude un anno di incapacità, gaffes e cialtronerie in politica estera del governo Berlusconi. Scrive Benedetta Tobagi, su Repubblica di oggi, 31 dicembre:

” La pagina nera della gestione vergognosa di questa vicenda di estradizione va ad aggiungersi alle gaffes collezionate dal premier Silvio Berlusconi all’estero, oggetto di scherno (per gli stranieri) e profondo imbarazzo (per buona parte dei cittadini italiani), che negli anni hanno degradato l’immagine dell’Italia e della sua diplomazia. E sì che la vicenda è antica, e si sa quanto sia delicata, su molteplici fronti. Nel campo dei rapporti bilaterali, la legittima
domanda della giustizia italiana si scontra con la Realpolitik, nutrita dai fortissimi interessi economici che legano Italia e Brasile: basti ricordare che Lula l’altroieri stava inaugurando un nuovo stabilimento Fiat in Brasile, oppure Telecom, che considera il Brasile “una seconda patria”, o l’accordo di partnership militare, 5 miliardi di forniture militari da Finmeccanica e Fincantieri (che imporrebbe al ministro della Difesa La Russa un imbarazzato silenzio, anziché dichiarazioni ammiccanti a un generico boicottaggio)”.

Per poi aggiugere la ferale notizia dell’ennesima lingua biforcuta di Berlusconi: ” Se si può dubitare della buona fede del senatore brasiliano Eduardo Suplicy, fiero sponsor di Battisti, altrettanto triste scetticismo suscitano le smentite da Palazzo Chigi da parte di un premier che è uso invalidare dichiarazioni battute dalle agenzie e riprese dalle telecamere”.

L’anno si chiude, ma le vicende che riguardano l’incapacità del governo Berlusconi continueranno anche oltre la mezzanotte dell’ultimo giorno del 2010. Esse riguardano la governabilità di una compagine senza maggioranza reale; la grottesca vicenda della munnezza a Napoli, perché di promesse in promesse i napoletani faranno il Capodanno tra i cumuli di immondizie nelle strade; l’apertura dell’inchesta a Lecce, promossa dagli azionisti Alitalia contro la dissennata scelta di liquidare la compagnia di bandiera, per farla mangiare da una nuova campagnia, permettendo di scaricare i debiti su una bad company, violando le leggi, come al solito; la vicenda della Fiat, che dimostra l’incapacità assoluta del governo di mediare le tensioni sociali,vicenda che porterà a una scontro frontale tra diritti acquisiti e interessi meramente finanziari dell’azienda torinese. E poi ci sono i terremotati de L’Aquila, cittadini senza città, dunque senza cittadinanza. E poi ci sono studenti, insegnanti, precari e ricercatori per i quali, come ha sottolineato lo stesso presidente della Repubblica, sono state varate norme sbagliate. E poi ci sono pastori sardi, trattati come servi della gleba, pestati, respinti e deportati in Sardegna, come se non fossero cittadini italiani, come se per il nostro governo fossero “indesiderati” sul territorio italiano. E poi c’è il generale impoverimento delle famiglie italiane, su cui graveranno, senza controlli, gli aumenti previsti di tutte le tariffe nel 2011. E poi, proprio oggi un altro militare italiano è caduto in Afghanistan

Purtroppo, il cambio di un anno è solo una superstizione del calendario. Il cambio di un governo, bugiardo, cialtrone, incapace, arrogante, sciagurato e pericoloso è da venire. Solo quel giorno ci potremo fare davvero auguri di buon anno. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Attualità Lavoro

Sulla vicenda Fiat, il Partito democratico non sa che pesci pigliare. Forse ha deciso che “certi diritti non possiamo più permetterceli”. Lo aveva detto Tremonti e sostenuto Bonanni. Adesso lo ammette anche il principale partito d’opposizione. Che ha deciso di cambiare ragione sociale: basta opposizione, solo qualche obiezione.

Un documento varato al termine della riunione delle segreterie del Pd piemontese e del Pd torinese con il responsabile dell’Economia e del Lavoro della segreteria nazionale del partito Stefano Fassina parla di investimenti “preziosi e irrinunciabili” ma anche di “strappi ingiustificabili sulle regole”. “L’accordo su Mirafiori come l’accordo su Pomigliano – si legge ancora – vanno valutati su due piani distinti, sebbene connessi: la riorganizzazione delle condizioni del lavoro; le regole della rappresentanza, della democrazia e della partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici alle sorti dell’impresa. Sul primo piano, la ridefinizione, impegnativa ed intensa, avviene a fronte di una prospettiva di sviluppo e di occupazione. Sul piano delle regole della rappresentanza e della democrazia si compiono strappi ingiustificabili, mentre non si fa alcun passo avanti per la partecipazione dei lavoratori nell’impresa, anzi il ritorno alle rappresentanze sindacali aziendali è un chiaro passo indietro”.

In Italia non c’è più opposizione, solo qualche obiezione, niente di più. Beh, buona giornata

Share
Categorie
Lavoro

Marchionne porta l’Italia all’avanguardia della scienza e della tecnica. Infatti in Fiat dal dicembre del 2011 a Pomigliano si produrrà un modello di auto assolutamente innovativo: la Nuova Panda. Mica cazzi.

A Pomigliano a partire dal dicembre del prossimo anno sarà prodotta la nuova Panda. Esulta il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. “La firma – è il suo commento – consolida l’investimento promesso, e già avviato, mentre migliora le condizioni retributive e le potenzialità di progressione reddituale e professionale dei lavoratori. Il Governo ha fatto la sua parte con la detassazione – al dieci per cento – di tutta la parte del salario che si può ricondurre alle intese per la maggiore produttività del lavoro”. “Tutto ciò – ha proseguito – nasce da esigenze pratiche e non da disegni ideologici. Ben venga tuttavia un’utile discontinuità nel sistema di relazioni industriali, soprattutto là ove il vecchio impianto politico-culturale fondato sull’inesorabile conflitto sociale ha prodotto bassi salari e bassa produttività”. Sacconi non c’era, e se c’era dormiva. Se questo è un ministro del lavoro! Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Lavoro

Lavoratori, Bonanni a tutti.

Bonanni rivendica la firma dell’accordo Fiat. Secondo il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni, “il Sud ha bisogno come il pane di accordi come quello di Pomigliano. Mentre un sindacato minoritario pensa solo al conflitto e ad organizzare scioperi, tutti gli altri sindacati pensano a come far uscire i lavoratori e le loro famiglie dalla precarietà e dall’incertezza”. Il compito dei sindacati, ha aggiunto, “è quello di fare accordi portando risultati concreti ai lavoratori, anche in situazioni difficili e complicate come quelle che stiamo vivendo, visto che ci sono pochissime imprese che investono nel nostro paese. Gli accordi di Mirafiori e di Pomigliamo rappresentano un segnale di fiducia e di speranza per il paese perchè dimostrano che in Italia si può ancora investire, con il contributo determinante dei sindacati aumentando i salari e la produttività, senza intaccare i diritti fondamentali come qualcuno in malafede si ostina a far credere”. Che schifo. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Attualità

Non dite a Antonio Gramsci che il portavoce della Federazione della Sinistra non si ricorda dei pastori sardi.

Oliviero Diliberto (Cagliari, 13 ottobre 1956) è un politico, giurista e docente italiano. Attualmente ricopre il ruolo di Portavoce Nazionale della FdS ed è segretario nazionale del PdCI che ne fa parte. Con un passato prima nel Partito Comunista Italiano e poi nel PRC.

Oggi non era a Civitavecchia, dove la polizia ha prima caricato e poi impedito ai pastori sardi di raggiungere la Capitale per protestare contro il governo Berlusconi e contro la giunta Cappellacci, presidente della Regione Sardegna.

Diliberto politico, giurista, docente, segretario nazionale del Pdci e portavoce della Federazione della Sinistra: troppi incarichi per occuparsi dei pastori della sua Sardegna, più lesto ad aggiornare il suo profilo su Wikipedia che a buttarsi nella mischia delle contraddizioni sociali.

(Poi dice che uno si butta a destra, come diceva Totò). Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Attualità democrazia

A che servono i deputati del centro-sinistra?

Le lotte contro l’arroganza del potere del governo Berlusconi insorgono in tutta Italia.

Studenti, precari, operai, cassaintegrati, cittadini contro la munnezza, ma anche contro i tagli alla sanità e agli asili nido, ma anche i pendolari. E poi gli eroici pastori sardi.

Senza contare gli agenti di polizia e gli opertori della sicurezza, in lotta da mesi contro le bugie del governo.

L’unica risposta che il governo sa dare è mandare reparti di polizia. In tutti gli anni in cui in Italia ci sono stati disordini sociali, i deputati, i senatori, i consiglieri comunali, provinciali e regionali della sinistra hanno partecipato alle manifestazioni per interporsi tra i manifestanti e le forze dell’ordine, con lo scopo di garantire la legalità del diritto di manifestare, con lo scopo di impedire degerazioni violente.

Oggi tra le forze dell’ordine e i manifestanti ci sono i telefonini che riprendono manganellate, abusi ed eccessi di rabbia. Il fatto è che la loro funzione è di testimonianza di ciò che è successo. Mentre alla democrazia italiana farebbe bene che certe cose non succedessero.

La domanda è semplice, e perentoria: quando i manifestanti scendono in piazza, dove sono, che fanno, a che pensano i deputati e i senatori dell’opposizione? Beh, buona giornata.

Share
Categorie
democrazia Lavoro Leggi e diritto Popoli e politiche

La protesta dei pastori sardi ricorda a tutti che la Sardegna non è solo la villa di Berlusconi, la villa di Lele Mora e neppure solo il locale notturno di Briatore. E ricorda a Bossi che è troppo facile fare il furbo con le quote latte dei produttori “padani”. E ricorda a tutti che in Italia in lotta contro il governo ci sono studenti, operai, precari, cittadini vittime della munnezza, ma anche i pastori. Chi non si fa pecora il lupo non se lo mangia.

(fonti: repubblica.it; ansa.it)

Scontri fra allevatori sardi e polizia al porto di Civitavecchia. Circa duecento membri del Movimento Pastori Sardi sono sbarcati questa mattina all’alba, decisi a compiere un blitz nella capitale. Ma ad attenderli hanno trovato un presidio delle forze dell’ordine che ha impedito loro di salire sui pullman che li stavano aspettando per condurli a Roma. E li ha bloccati nell’area portuale. Due di loro sono stati denunciati in stato di libertà per resistenza a pubblico ufficiale, tutti sono stati denunciati per manifestazione non autorizzata.

“Siamo padri di famiglia, invece ci stanno trattando come criminali – dice Felice Floris, uno degli organizzatori della protesta – siamo venuti con intenzioni pacifiche e invece continuano a impedirci di muoverci. Stasera torneremo in Sardegna scortati dalle forze dell’ordine anche durante la traversata. E’ una vergogna – aggiunge – siamo stati sottoposti a un vero e proprio sequestro preventivo, insieme ai pullman i cui autisti sono stati identificati e minacciati di denuncia se solo si fossero mossi. Non solo, successivamente ci hanno privati dell’elementare diritto di salire sui treni diretti a Roma. E pensare – conclude il leader del Movimento – che una nostra delegazione voleva solo proporre al ministero la costituzione di un Coordinamento mediterraneo dei paesi che praticano la pastorizia allo scopo di far fronte alle attuali normative che penalizzano pesantemente l’intera categoria”.

Il comparto agro pastorale della Sardegna è sul piede di guerra da mesi. Gli allevatori del Movimento pastori sardi (Mps) chiedono contributi per il settore (un de minimis di 15 mila euro per azienda) ed un equo prezzo per il latte ovi-caprino.

La protesta è rivolta contro il Governo ma soprattutto contro la Regione, accusata di non aver mantenuto gli accordi siglati il 2 novembre scorso a Cagliari dopo giorni di occupazione del Consiglio regionale culminati con una guerriglia urbana che ha portato in carcere alcuni manifestanti.

I pastori, insoddisfatti dalle risposte della Giunta Cappellacci, contestano la legge salva-agricoltura – 147,7 milioni in tre anni – approvata dall’Aula a novembre nei giorni caldi della contestazione, con le associazioni professionali di categoria che si sono spaccate andando in ordine sparso.

Al Movimento guidato da Felice Floris non piacciono gli interventi messi in campo dalla Regione sia per l’eseguità dei fondi a disposizione che per le modalità di assegnazione delle risorse.

Secondo i pastori, il rischio è che i contributi coprano solo una parte delle aziende, lasciando le briciole a quelle più piccole. Per sostenere la loro protesta, gli allevatori hanno promosso in questi mesi iniziative eclatanti con blocchi stradali che hanno tagliato in due la Sardegna, occupazione di porti e aeroporti. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità democrazia Popoli e politiche

La giunta Alemanno e la “fascistopoli” romana: al signor Riccardo Pacifici non viene in mente di aver frequentato “politicamente” pessime compagnie, e male esserne stato infine ripagato?

La “fascistopoli” dell’Atac e dintorni, grazie al metodo di governo del sindaco Alemanno ha fatto venire fuori non solo rigurgiti di clientelismo degni della peggiore Democrazia Cristiana
(da Petrucci a Giubilo, passando per lo Squalo, il Luparetta e compagnia cantando), ma anche la schiumetta dei fascistelli attempati, che collocati nelle aziende municipalizzate si credono
ancora di essere adepti di Pino Rauti, mentre semmai sono i raccomandati di Isabella Rauti, la moglie del Sindaco.

In tutto questo lezzo, sono saltati alla luce scherzi e lazzi antisemiti che Roma, medaglia d’oro della Resistenza, proprio non merita prima ancora che proprio non può sopportare: la deportazione e lo sterminio degli ebrei romani, rastrellati al Ghetto dai nazisti con la complicità dei fascisti, è una tragedia che non appartiene solo alla Comunità Ebraica romana, ma a tutta Roma e ai suoi cittadini, all’Italia e agli italiani, all’Europa e a tutti i cittadini d’Europa. E al Mondo e a tutte le generazioni degli esseri umani su questo Pianeta.

La Comunità Ebraica di Roma ha il diritto di eleggere i suoi rappresentanti. Le simpatie politiche di Riccardo Pacifici sono un suo problema, potrebbero anche essere un problema della Comunità che lo ha nominato.

Ma questi sono problemi che sapranno risolvere tra loro. Quello che però è giusto è chiedere al signor Pacifici come ha potuto credere, come persona e come nominato dalla sua Comunità di essere disponibile alla benevolenza di chi è antisemita puro, dimenticando che le Leggi Razziali colpirono anche gli ebri fascisti.

Questo lo deve a tutti noi, che non siamo membri della Comunità Ebraica, né della Chiesa Cattolica, né convertiti all’Islam, e neppure buddisti, e neanche Protestanti, e magari neppure credenti, lo deve a tutti coloro che non possono tollerare alcuna discriminazione politica, religiosa, razziale, non fosse altro perché è sancita dalla Costituzione della Repubblica italiana.

Al signor Riccardo Pacifici non viene in mente di aver frequentato “politicamente” pessime compagnie, e male esserne stato infine ripagato? Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Lavoro

Sacconi è un ministro che fa rima con Berlusconi, un economista della paghetta o semplicemente un disertore della vanga?

Una delle cause della disoccupazione giovanile in Italia? Avere ‘cattivi maestri’ e ‘cattivi genitori’. Lo sostiene il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, secondo cui è necessario rivalutare il “lavoro manuale, l’istruzione tecnica e professionale evitando che una scelta liceale sia fatta per sola convenzione sociale e magari non vedendo che un govane ha l’intelligenza nelle mani”.

I giovani, ha detto Sacconi parlando su Radio Rai 1, “sono certamente particolarmente esposti alla disoccupazione soprattutto perché pagano il conto di cattivi maestri e qualche volta di cattivi genitori, perché distratti e cattivi maestri che li hanno condotti a competenze che non sono richieste dal mercato del lavoro”. L’ultimo della classe ha parlato (è ripetente, dopo quello che ha combinato per Alitalia, adesso ripete a memoria che l’intesa Fiat può fare scuola. A lui sì che gli ci voleva la Gelmini!) Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Finanza - Economia Lavoro

Accordo di Mirafiori: alla Fiat tornano i sindacati gialli, urge lo sciopero generale contro i “padroni” e il governo dei “padrini”.

“E’ vero che l’accordo di Mirafiori è storico – dice Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato centrale della Fiom – ha un solo precedente: il 2 ottobre 1925 quando Mussolini, la Confindustria e i sindacati fascisti e nazionalisti sottoscrissero l’abolizione delle commissioni interne. Oggi Marchionne Cisl e Uil aboliscono in Fiat e Mirafiori le Rsu e le elezioni democratiche. E’ un atto di un autoritarismo senza precedenti nella storia della Repubblica: nemmeno negli anni ’50 si tolse ai lavoratori Fiat il diritto a votare per le loro rappresentanze. Per Cisl e Uil è una vergogna assoluta”. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Attualità Leggi e diritto Media e tecnologia

Berlusconi fa finta di tenere botta, perché s’aspetta botte e a paura dei botti.

“Mi hanno accusato di tutto, dalle stragi alla mafia, alla corruzione: di tutto. Non c’è nulla da cui io sia stato lasciato esente. Ma io tengo botta” ha replicato il presidente del Consiglio. “Tu mi capisci perché anche tu sei vittima – ha continuato Berlusconi con evidente riferimento alle vicende giudiziarie di don Gelmini – ma io cerco modestamente di imitarti, come tieni botta tu tengo botta io”. Anche perché, ha aggiunto Berlusconi, “deluderemmo tanti se lasciassimo”. Beh, buona giornata.

p.s: Don Pierino Gelmini è stato rinviato a giudizio per avere molestato sessualmente 12 giovani quando erano ospiti della Comunità Incontro di Amelia. Questa la decisione del Gup di Terni Pierluigi Panariello. Il processo comincerà il 29 marzo 2011. Berlusconi sarà ancora in carica?

Share
Categorie
Attualità Media e tecnologia Popoli e politiche Pubblicità e mass media

Buon Natale agli italiani vittime dell’Italia delle bugie, bugie grosse come il ponte sulla Stretto di Messina.

FS, incubo di Natale sull’intercity- repubblica.it

Sette ore e mezza senza WC. Partiti da Milano alle 7:05 di questa mattina e diretti a Reggio Calabria, i viaggiatori dell’Intercity 1589 si sono ritrovati su un convoglio privo di bagni agibili. Solo a Roma e a Formia il treno ha sostato per quasi un’ora per permettere loro di utilizzare i servisi delle stazioni, accumulando un forte ritardo. Surreale giustificazione di un capotreno: “Forse è colpa dei passeggeri: utilizzano male le toilette”

Tra ritardi e malfunzionamenti, alle Ferrovie dello Stato non è mai servito molto per trasformare in un incubo la vigilia di Natale dei propri utenti. Ma questa volta è davvero difficile immedesimarsi nelle sofferenze provate dai passeggeri del treno Intercity 1589, partito stamani alle 7:05 da Milano e diretto a Reggio Calabria. In viaggio attraverso tutta la Penisola…senza bagni agibili.

Per quei malcapitati viaggiatori la “liberazione” giunge solo a metà percorso, dopo sette ore e mezza di viaggio, alle stazioni di Roma e Formia, dove l’altoparlante si rivolge direttamente a loro con questo annuncio: “Chi vuole usufruire delle ritirate si rechi al binario uno…”. E il personale delle ferrovie ha dovuto anche insistere per persuadere i clienti ad abbandonare le carrozze per raggiungere i servizi delle stazioni.

“Da dieci ore non bevo e non mangio, sapendo di non poter contare su una toilette – racconta Daniela -. E’ vergognoso, sono partita da Milano e devo andare a Palermo: una vigilia di Natale in queste condizioni proprio non me l’aspettavo. E ho avuto paura di scendere, temevo che il treno ripartisse senza di me”. Maria Lucia, altra testimone diretta dell’incredibile situazione. “A Formia abbiamo sentito questo annuncio anni Venti – ricorda -, ci invitavano a ‘usufruire delle ritirate’ lasciando il treno. E’ pazzesco. E nei bagni non c’è nemmeno acqua”.

A Napoli il treno giunge con un’ora e venti di ritardo e con i passeggeri ormai rassegnati.
“Ci sono state due lunghe soste – spiega Salvatore – una di cinquanta minuti a Roma, l’altra di quaranta a Formia, e ora siamo fermi qui, dove finalmente hanno ripristinato l’agibilità di un bagno, uno solo!”.

Sul treno, ovviamente, viaggiano anche bambini e anziani. “Mio marito è cardiopatico, ha subito tre operazioni di ernia – dice Maria – e sono un po’ spaventata all’idea di continuare il viaggio in queste condizioni. Noi siamo diretti a Lamezia”. Indignata anche una madre con le sue due figlie giovanissime: “Viaggiare così con due bambine piccole non è da paese civile”.

Ed è surreale scoprire, tra tante testimonianze, le parole di un capotreno che prova a giustificare così l’accaduto: tutti i bagni del convoglio sono inagibili per colpa “degli utenti: se i servizi sono inaccessibili è forse anche perché vengono utilizzati male”.
(Beh, buona giornata).

Share
Categorie
democrazia Popoli e politiche Società e costume

L’adolescenza molesta del piccolo satapro col cerone.

Il bamboccione al potere, di Marco Bracconi-repubblica.it

Chiunque abbia cresciuto dei figli sa che c’è una età in cui la colpa è sempre di qualcun altro. Se si va male a scuola è perché il professore è stronzo, se si perde la partita è colpa dell’arbitro cornuto, se si va a sbattere col motorino è perché il comune non ripara le buche.

E’ una età particolare, che va assecondata con pazienza, e ai poveri genitori non resta che continuare a spiegare che la colpa, se le cose non vanno come dovrebbero, non è sempre degli altri.

Silvio Berlusconi sta appunto attraversando questa delicata fase del suo sviluppo.

Se nessuno apprezza il suo straordinario lavoro in Abruzzo perché c’è chi butta fango. Se a Napoli si farà Natale tra i rifiuti è perché c’è una manovra contro di lui. Se in pochi gli riconoscono il ruolo di grande capo della politica estera europea è perché la stampa internazionale si fa dettare i pezzi da Di Pietro. Se il debito pubblico sale ancora è perché qualcuno lo ha fatto salire prima di lui.

Quando l’adolescente si comporta così, i bravi genitori gli tolgono il motorino o lo spediscono a ripetizioni di greco e latino. Ma in Italia, si sa, i papà e le mamme sono molli come pasta di sale. E coccolano fieri il loro bamboccione, tutti contenti se il pargolo – piangendo e fottendo – finisce a Palazzo Chigi, e domani al Quirinale. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
democrazia

Quando parla il Capo dello Stato, il capo del Governo dovrebbe levarsi il cerone dalle orecchie.

“Resta prerogativa del capo dello Stato sancire l’impossibilità di completare la legislatura parlamentare e quindi sciogliere le Camere”. Giorgio Napolitano, Capo dello Stato, dixit. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Attualità democrazia

Un celerino scrive agli studenti: «Siamo con voi. Se siamo in piazza è per consertivi che il vostro diritto di manifestare sia rispettato». Gasparri, Alemanno, Mantovano e Maroni: il Daspo dovrebbe essere dato a voi.

(da ilmessaggero.it)

«Siamo con voi. Se siamo in piazza è per consertivi che il vostro diritto di manifestare sia rispettato». È quanto scrive Maurizio Cudicio, un poliziotto della questura di Trieste, in una lettera aperta agli studenti che «che mercoledì andranno in piazza».

«Io poliziotto, sono figlio e padre, e quando finisco di lavorare torno a casa dalla mia famiglia – scrive Cudicio nella lettera pubblicata su Grnet.it, il portale di informazione indipendente del comparto Difesa e Sicurezza – Mia moglie mi chiama al cellulare e mi dice di non fare tardi. Io la tranquillizzo e le dico che tornerò prima possibile. Passano le ore e mi ritrovo in ospedale con la testa rotta. Studente, mi rivolgo a te, io sono consapevole che non sei stato tu, tu hai tutte le ragioni del mondo di manifestare per i tuoi diritti, ma quello che non sai forse è che noi poliziotti siamo con voi, siamo dalla vostra parte e non siamo contro nessuno».

«Noi rappresentiamo lo Stato quando ci vedete in strada – continua la lettera – ma credimi siamo orgogliosi di farlo, amiamo il nostro lavoro ma siamo in piazza anche per voi. Per noi siete tutte persone che hanno diritto di manifestare e noi siamo in piazza perchè questo diritto sia rispettato. Non siamo lì per divertimento e facciamo di tutto, credimi studente, per evitare che qualcuno si faccia male. Certo gli ordini sono ordini e noi siamo obbligati ad eseguirli, ma sappiamo benissimo dove dobbiamo fermarci per il bene nostro e vostro. Abbiamo paura, sì tanta a volte e in certi momenti forse sbagliamo, ma credimi, parlo con il cuore, quando ci troviamo tra due fronti, in mezzo alla guerriglia urbana è veramente dura».

Cudicio ha creato un gruppo su Facebook, Movimento poliziotti, con il quale si propone di creare un punto di incontro fra cittadini e poliziotti. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità democrazia

Avviso agli uomini della polizia italiana: e se i black block fossero nel governo?

(fonte: repubblica.it)

Il rapporto italiano sulla morte di Nicola Calipari in Iraq, almeno nella parte che definiva l’uccisione del funzionario dei servizi da parte di un posto di blocco americano come “non intenzionale”, era costruito “specificatamente” per evitare ulteriori inchieste della magistratura italiana. Lo si legge in un cable siglato dall’ambasciatore Usa a Roma, Mel Sembler, nel maggio 2005, diffuso dal Guardian, media partner di Wikileaks.

Il governo Berlusconi, secondo il documento, voleva “lasciarsi alle spalle” la vicenda, che comunque non avrebbe “danneggiato” i rapporti bilaterali con Washington. Nicola Calipari fu ucciso la notte del 4 marzo 2005. L’agente era in un’auto dei servizi assieme alla giornalista Giuliana Sgrena, appena rilasciata dai suoi rapitori dopo una lunga mediazione. L’auto si ndirigeva all’aeroporto di Bagdad quando dal check-point americano partirono alcuni colpi d’arma. Calipari fece scudo col suo corpo per difendere la giornalista e fu ucciso da un proiettile alla testa. Il soldato che sparò fu poi identificato in Mario Lozano, addetto alla mitragliatrice al posto di blocco.

ll cablo, datato 3 maggio 2005, il giorno dopo gli incontri a Palazzo Chigi tra l’ambasciatore Sembler e, tra gli altri, l’allora ministro degli Esteri Gianfranco Fini, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e il capo del Sismi Niccolò Pollari, per discutere del rapporto italiano sulla morte di Calipari. Il governo italiano, scriveva l’ambasciatore Sembler, “bloccherà i tentativi delle commissioni parlamentari di aprire indagini”, malgrado vi siano già delle precise richieste delle opposizioni in proposito, sostenendo la tesi del “tragico incidente”. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Attualità democrazia Finanza - Economia Lavoro

Poliziotti incazzati col Governo, circondano la villa di Berlusconi ad Arcore.

(fonte: corriere.it)

Duecento poliziotti sono tornati sotto Villa San Martino (la villa di Berlusconi di Arcore) per protestare contro il governo che «da due anni e mezzo non mantiene gli impegni». «Il pacchetto sicurezza è stato convertito in legge, ma purtroppo il nostro emendamento è stato ritirato: permangono quindi i disagi e i tagli alla sicurezza, per questo siamo tornati», dice Santo Barbagiovanni, segretario regionale della Silp Lombardia. «Abbiamo anche inviato delle letterine al premier per chiedergli che ci regali qualcosa di buono. La categoria è preoccupata – spiega Barbagiovanni – soprattutto di fronte alla possibilità che dopo il 31 dicembre i nostri straordinari rischieranno di non essere pagati. Non è un buon regalo alla categoria e c’è un forte disagio». «I nostri colleghi stanno tutti i giorni a prendere le botte in piazza o essere additati come comunisti e il governo li ripaga così: i carabinieri poi la pensano esattamente come noi, ma non possono dare voce ai loro disagi. Non si tratta di politica o ideologie, ma di impegni che il governo ha sottoscritto con il comparto e che non ha onorato. Sono fatti oggettivi», conclude il sindacalista, che poi fa un riferimento alle polemiche di questi giorni sulle «misure preventive» ipotizzate per scongiurare incidenti durante i cortei studenteschi: «Non condividiamo nessun tipo di Daspo, la piazza è giusto che esprima la propria opinione. Il bavaglio non è segno di una democrazia vera come quella del nostro Paese». (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Finanza - Economia

Il 10 per cento possiede il 45 per cento della ricchezza. In Sudamerica? No, nell’Italia di Berlusconi.

Il 45% della ricchezza complessiva delle famiglie italiane alla fine del 2008 è in mano al 10% delle famiglie. E’ uno dei dati contenuti nel rapporto su “La Ricchezza delle famiglie italiane” elaborato dalla Banca d’Italia. La metà delle famiglie italiane, quelle a basso reddito, detiene solo il 10% della ricchezza complessiva. E’ il neoliberismo, bellezza. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Finanza - Economia Lavoro

Job gap.

(fonte: blitzquotidiano.it)

Segnali di ripresa troppo timidi, aziende scoraggiate dalla crisi. Il risultato? Il 2011 non sarà ancora l’anno della ripresa dell’occupazione. Gli economisti lo chiamano “job gap”, una lacuna del mercato del lavoro che si è aperta con la crisi e che ancora non si chiude.

Come scrive il Sole 24 Ore: “Secondo le ultime rilevazioni del Centro studi di Confindustria nel 2011 l’occupazione rimarrà pressoché immobile (+0,1%), dopo il forte calo registrato nel 2010 (-1,7%, dopo il -2,6% del 2009) e riprenderà a salire solo nel 2012 (+0,9%). Il tasso di disoccupazione invece continuerà ad aumentare tra il plotone sempre più consistente di chi cerca un impiego: solo dopo aver toccato l’apice (9%) nel quarto trimestre, inizierà a scendere molto gradualmente nel corso del 2012″.

Le notizie non sono confortanti per l’Italia, che recupererà il livello di attività pre-recessione solo nel secondo trimestre del 2015. Dall’inizio del 2010 il nostro Paese ha bruciato 600mila posti di lavoro e per l’anno prossimo il job gap sarà di 440mila. “Oltre che dalla crescita anemica del Pil – commenta Tito Boeri, ordinario di economia del lavoro alla Bocconi, al Sole 24 ore – il riassorbimento della forza lavoro è indebolito da un sistema di ammortizzatori sociali estremamente dilatato che prolunga la durata del paracadute pubblico anche in situazioni in cui si potrebbe tornare alle normali condizioni di attività. È fondamentale – commenta Boeri – riformare gli ammortizzatori sociali per evitare ogni forma di utilizzo improprio”. Secondo il Centro studi di Confindustria, nei prossimi mesi il ricorso alla Cassintegrazione interesserà 315mila lavoratori.

Il nodo è riuscire a fare riforme in tempi in cui, data la crisi, si fanno tagli ai bilanci. Come? Secondo il giuslavorista Michele Martone “Bisogna trovare un punto di equilibrio tra rigore dei conti pubblici e consenso sociale, è necessario incentivare fiscalmente le imprese avviate dai giovani, tagliare il più possibile la burocrazia e proseguire sulla strada della detassazione dei premi di produttività”.

Secondo l’economista Maria Cecilia Guerra: “Bonus e incentivi fiscali spot sono soluzioni tampone: tra gli interventi più urgenti c’è una riforma fiscale strutturale che sposti il baricentro del prelievo dal lavoro al patrimonio, in modo da abbassare il costo del lavoro e realizzare una redistribuzione della ricchezza più equilibrata”. (Beh, buona giornata).

Share
Follow

Get every new post delivered to your Inbox

Join other followers: