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“Caro direttore, Ti chiedo di essere sollevata dall’incarico di conduttrice del tg 1 della notte”.

Elisa Anzaldo lascia il Tg1, di Giuseppe Giulietti-articolo21.com

“Caro direttore, Ti chiedo di essere sollevata dall’incarico di conduttrice del tg 1 della notte. Ritengo non sia più possibile per me rappresentare un telegiornale che, secondo la mia opinione, ogni giorno rischia di violare i più elementari doveri dell’informazione pubblica: l’equilibrio, l’imparzialità, la correttezza, la completezza…”
Così il 19 aprile scorso la giornalista del Tg 1 Elisa Anzaldo, una cronista serena, coraggiosa, stimata da tante colleghe e colleghi, senza distinzione di parte alcuna, aveva scritto al suo direttore Minzolini, manifestando un disagio professionale e civile profondo e doloroso per chi in quella testata ha speso tanta parte della vita.
In quella prima lettera la Anzaldo non si nascondeva certo dietro lettere anonime o sentito dire, ma documentava e denunciava alcuni episodi di ” malainformazione”.

Ne riportiamo alcuni: “Ancora ieri – scrive la giornalista – non abbiamo dato conto degli sviluppi dell’inchiesta Minetti- Fede- Mora. Domenica sera, 17 aprile, è stato “sfilato” alle 20 un pezzo pronto sui manifesti “Via le BR dalle procure completo in ogni sua parte, intervista a Lassini, parere del sindaco Moratti e di Pisapia, questione autosospensione di Lassini dalle elezioni comunali.
“Nel titolo delle 20 dell’11 aprile si metteva insieme il rinvio a giudizio dell’ex segretario del Quirinale Gifuni con l’arresto del prefetto Ferrigno per reati sessuali, Qual è il criterio giornalistico adottato?”
“Non c’era notizia nei nostri titoli delle 20 del 6 aprile dell’apertura del processo Ruby a Mlano, Forse non è stata considerata una notizia?”

La lettera non riceve risposta, o almeno non ha ricevuto una risposta riferibile, almeno in questa sede.
Per questo Elisa Anzaldo riprende carta e penna e riscrive al suo direttore in data 11 maggio e, fedele al suo ruolo di scrupolosa cronista, arricchisce ulteriormente la denuncia con altri fatti spariti o resi incomprensibili, anche qui ci limitiamo a citare testualmente:

“Non si comprende perchè i telespettatori del tg1 non abbiano avuto notizia della proposta di modifica, da parte di un parlamentare, dell’articolo 1 della Costituzione. Perchè se si tratta di una non notizia tutti i quotidiani gli hanno dedicato l’apertura?
Ed erano forse degne di due righe le critiche di un ministro, Galan, ad un altro ministro, Tremonti? Questione che ha reso necessario l’intervento del premier?
O perché abbiamo ignorato, nonostante fossero disponibili i mezzi, la nuova emergenza rifiuti a Napoli sino a quando il governo non ha nuovamente inviato l’esercito…allora si..
Non meritava una notizia, nel decreto dello sviluppo, la concessione delle spiagge per 90 anni?
E la notizia che il governo ha sollevato conflitto di attribuzione dei poteri alla Consulta per non avere la Procura di Milano considerato un legittimo impedimento la partecipazione del premier ad un consiglio dei ministri?
E l’arresto di due assessori leghisti per tangenti? Alle 20 niente.
E la chiusura delle indagini sull’inchiesta per i grandi eventi, con la richiesta di rinvio a giudizio per ‘ex capo della Protezione Civile. Per noi tre righe, per i giornali intere pagine…”

Queste alcune solo alcune, delle osservazioni della Anzaldo, alla fine delle quali con grande fermezza conferma da una parte le sue dimissioni dalla conduzione del tg 1 della notte, dall’altra la sua volontà di restare a lavorare in redazione, come caposervizio alla cronaca e di voler continuare a proporre “quelle che ritengo siano notizie di cronaca”, anche quelle che non vengono considerate tali dalla direzione”.

Non vogliamo strumentalizzare in modo alcuno questa testimonianza che, purtroppo, conferma quanto avevano denunciato Maria Luisa Busi, Tiziana Ferrario che insieme ai Piero da Mosso, ai Raffaele Genha, ai Paolo Di Giannantonio, ai Massimo de Strobell, sono già stati messi in condizione di andarsene, oppure stanno aspettando che sia il giudice a riconoscere le loro ragioni professionali.
La lettera della Ansaldo è impressionante proprio per il suo rigore, per la capacità di stare ai fatti o meglio “ai non fatti”, di documentare omissioni e faziosità che, ancor prima che la politica, colpiscono l’articolo 21 della Costituzione e cioè il diritto dei cittadini ad essere informati in modo ampio e completo.
La cosa sarebbe grave anche se riguardasse un tg privato lo è ancora di più se riguarda il più grande tg della Rai, quello che un tempo amava confrontare se stesso con il Corriere della Sera, mentre oggi contende la palma della faziosità al Tg4. Non si tratta di poca cosa, dal momento che stiamo parlando dello svilimento di tanta parte del patrimonio pubblico e della sua credibilità.
Vogliamo sperare, anzi ne siamo certi che, di fronte alle consuete volgarità e banalizzazioni che si scateneranno contro questa scelta della Anzaldo (peraltro e per l’ennesima volta un’altra coraggiosa donna che si ribella all’ordine ingiusto,) la redazione, il sindacato, interno e nazionale, vorranno sentire come propria questa denuncia, impugnarla collettivamente e pretendere che questa situazione abbia fine e che siamo rimosse radicalmente le cause, anzi la causa di questo malessere, di questa umiliazione.
Forse come nel finale del film ” L’attimo fuggente ” sarà davvero il caso che chi non vuole rendersi complice, salga sul banco o sulla scrivania e cominci a battere i piedi sino a quando la nuova direzione generale non deciderà di restituire l’onore professionale al Tg 1 e non solo al Tg1.

Prima di predisporre una nuova lenzuolata di nomine, sarebbe davvero il caso che quella che, un pò troppo pomposamente, è già stata battezzata la “nuova Rai” della signora Lei, procedesse a liberare l’azienda da veleni e arroganze che la stanno conducendo a morte, con grande gioia della concorrenza, saldamente nelle mani del loro presidente del consiglio.

Da parte nostra grazie a Maria Luisa Busi, a Tiziana Ferrario, a Elisa, Anzaldo, a quella parte del comitato di redazione che ha reclamato il rispetto della legge e a quante e a quanti non hanno alzato ancora bandiera bianca
Qualcuno li deriderà. Ma tra qualche giorno, gli opportunisti di sempre, faranno la fila per farsi fotografare accanto a chi non ha venduto la dignità.

Adesso è il momento di chiedere e di pretendere che, anche alla Rai, persino al tg 1, siano ripristinate le regole della repubblica, senza eccezione alcuna. (Beh, buona giornata).

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Un’altra brillante performance di Augusto Minzolini, direttore del TgUno.

Dell’Utri, botta e risposta tra Repubblica e Tg1: “Lo avete quasi assolto”, “sparisce solo il vostro teorema”-blitquotidiano.it

Botta e risposta tra il quotidiano La Repubblica e il Tg1 di Augusto Minzolini. Oggetto della polemica il caso Dell’Utri: il senatore, martedì 29 giugno è stato condannato in appello per concorso esterno in associazione mafiosa a 7 anni di carcere. La sentenza di secondo grado, però, riduce di due anni la pena e smentisce il ruolo del senatore nella presunta trattativa tra Stato e Mafia degli anni ‘90.

Il Tg1, nell’edizione delle 13:30 ha dato la notizia di Dell’Utri come seconda, subito dopo quella della morte di Pietro Taricone. Il “taglio” del servizio su Dell’Utri, però, non è piaciuto a La Repubblica che, sul suo sito accusa Minzolini di averne combinata un’altra, dando di sfuggita la notizia della condanna e mettendo enfasi sull’assoluzione.

In un pezzo a firma di Carlo Ciavone Repubblica attacca Minzolini e Tg1: “Nel servizio mandato in onda, dopo l’obbligatoria notizia della condanna sulal quale si spende una sola frase, abbondano frasi come “costruzione accusatoria spazzata via”, oppure “accuse di pentiti senza riscontri”, o ancora “doccia fredda per il Procuratore Generale Gatto”… Il quale però, sennatamente, fa in tempo a ricordare al microfono di Minzolini che occorrerà aspettare per conoscere soprattutto “perché” una parte delle accuse a Dell’Utri sono state ritenute infondate”. “Come dire che – affonda ancora Ciavone – tutto sommato, avere rapporti con la mafia non è poi così grave, se poi non si vada a chiedere i voti, in cambio di favori”.

La replica del Tg1 al quotidiano di Enzo Mauro arriva qualche ora dopo sul sito internet ed è affidata a un pezzo non firmato, aggressivo già dal titolo: “Se a sparire sono i teoremi di Repubblica”. Per il Tg1 la notizia è stata raccontata nel “modo più corretto, da cronisti, facendo ascoltare il dispositivo letto dal presidente della Corte d’appello che partiva proprio dall’assoluzione per il senatore per poi passare alla riduzione della condanna. Microfono poi alla pubblica accusa e infine alla difesa”.

A sparire, quindi, almeno secondo il Tg1 non è la condanna di Dell’Utri ma i teoremi di Repubblica. Come? Scrive il Tg1 che “il teorema fu cavalcato con grande enfasi da Repubblica. Il teorema fu subito smentito da un boss che doveva confermare le dichiarazioni del primo. Il teorema attendeva ora che la corte d’appello ne confermasse la validità. Il teorema è stato smentito dai giudici”. Quindi, conclude il pezzo del sito del Tg1: sparisce “il teorema che non ha retto al giudizio di una Corte. E’ questa forse la ragione di una polemica montata sul nulla”.

Ma se la polemica è “montata sul nulla” c’era davvero bisogno di una risposta?
(Beh, buona giornata).

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La lettera aperta che Maria Luisa Busi, giornalista Rai ha scritto a Augusto Minzolini, direttore del TgUno. Una fotografia dell’Italia.

(fonte: repubblica.it).
“Caro direttore ti chiedo di essere sollevata dalla mansione di conduttrice dell’edizione delle 20 del Tg1, essendosi determinata una situazione che non mi consente di svolgere questo compito senza pregiudizio per le mie convinzioni professionali. Questa è per me una scelta difficile, ma obbligata. Considero la linea editoriale che hai voluto imprimere al giornale una sorta di dirottamento, a causa del quale il Tg1 rischia di schiantarsi contro una definitiva perdita di credibilità nei confronti dei telespettatori”.

“Come ha detto il presidente della Commissione di Vigilanza Rai Sergio Zavoli: ‘La più grande testata italiana, rinunciando alla sua tradizionale struttura ha visto trasformare insieme con la sua identità, parte dell’ascolto tradizionale”.

“Amo questo giornale, dove lavoro da 21 anni. Perché è un grande giornale. E’ stato il giornale di Vespa, Frajese, Longhi, Morrione, Fava, Giuntella. Il giornale delle culture diverse, delle idee diverse. Le conteneva tutte, era questa la sua ricchezza. Era il loro giornale, il nostro giornale. Anche dei colleghi che hai rimosso dai loro incarichi e di molti altri qui dentro che sono stati emarginati. Questo è il giornale che ha sempre parlato a tutto il Paese. Il giornale degli italiani. Il giornale che ha dato voce a tutte le voci. Non è mai stato il giornale di una voce sola. Oggi l’informazione del Tg1 è un’informazione parziale e di parte. Dov’è il Paese reale? Dove sono le donne della vita reale? Quelle che devono aspettare mesi per una mammografia, se non possono pagarla? Quelle coi salari peggiori d’Europa, quelle che fanno fatica ogni giorno ad andare avanti perché negli asili nido non c’è posto per tutti i nostri figli? Devono farsi levare il sangue e morire per avere l’onore di un nostro titolo.

E dove sono le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro? Un milione di persone, dietro alle quali ci sono le loro famiglie. Dove sono i giovani, per la prima volta con un futuro peggiore dei padri? E i quarantenni ancora precari, a 800 euro al mese, che non possono comprare neanche un divano, figuriamoci mettere al mondo un figlio? E dove sono i cassintegrati dell’Alitalia? Che fine hanno fatto? E le centinaia di aziende che chiudono e gli imprenditori del nord est che si tolgono la vita perchè falliti? Dov’è questa Italia che abbiamo il dovere di raccontare? Quell’Italia esiste. Ma il tg1 l’ha eliminata. Anche io compro la carta igienica per mia figlia che frequenta la prima elementare in una scuola pubblica. Ma la sera, nel Tg1 delle 20, diamo spazio solo ai ministri Gelmini e Brunetta che presentano il nuovo grande progetto per la digitalizzazione della scuola, compreso di lavagna interattiva multimediale”.

“L’Italia che vive una drammatica crisi sociale è finita nel binario morto della nostra indifferenza. Schiacciata tra un’informazione di parte – un editoriale sulla giustizia, uno contro i pentiti di mafia, un altro sull’inchiesta di Trani nel quale hai affermato di non essere indagato, smentito dai fatti il giorno dopo – e l’infotainment quotidiano: da quante volte occorre lavarsi le mani ogni giorno, alla caccia al coccodrillo nel lago, alle mutande antiscippo. Una scelta editoriale con la quale stiamo arricchendo le sceneggiature dei programmi di satira e impoverendo la nostra reputazione di primo giornale del servizio pubblico della più importante azienda culturale del Paese. Oltre che i cittadini, ne fanno le spese tanti bravi colleghi che potrebbero dedicarsi con maggiore soddisfazione a ben altre inchieste di più alto profilo e interesse generale”.

“Un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni professionali: levare al pezzo la propria firma. Un conduttore, una conduttrice, può soltanto levare la propria faccia, a questo punto. Nell’affidamento dei telespettatori è infatti al conduttore che viene ricollegata la notizia. E’ lui che ricopre primariamente il ruolo di garante del rapporto di fiducia che sussiste con i telespettatori”.

“I fatti dell’Aquila ne sono stata la prova. Quando centinaia di persone hanno inveito contro la troupe che guidavo al grido di vergogna e scodinzolini, ho capito che quel rapporto di fiducia che ci ha sempre legato al nostro pubblico era davvero compromesso. E’ quello che accade quando si privilegia la comunicazione all’informazione, la propaganda alla verifica”.

Nella lettera a Minzolini Busi tiene a fare un’ultima annotazione “più personale”: “Ho fatto dell’onestà e della lealtà lo stile della mia vita e della mia professione. Dissentire non è tradire. Non rammento chi lo ha detto recentemente. Pertanto:
1)respingo l’accusa di avere avuto un comportamento scorretto. Le critiche che ho espresso pubblicamente – ricordo che si tratta di un mio diritto oltre che di un dovere essendo una consigliera della FNSI – le avevo già mosse anche nelle riunioni di sommario e a te, personalmente. Con spirito di leale collaborazione, pensando che in un lavoro come il nostro la circolazione delle idee e la pluralità delle opinioni costituisca un arricchimento. Per questo ho continuato a condurre in questi mesi. Ma è palese che non c’è più alcuno spazio per la dialettica democratica al Tg1. Sono i tempi del pensiero unico. Chi non ci sta è fuori, prima o dopo.
2)Respingo l’accusa che mi è stata mossa di sputare nel piatto in cui mangio. Ricordo che la pietanza è quella di un semplice inviato, che chiede semplicemente che quel piatto contenga gli ingredienti giusti. Tutti e onesti. E tengo a precisare di avere sempre rifiutato compensi fuori dalla Rai, lautamente offerti dalle grandi aziende per i volti chiamati a presentare le loro conventions, ritenendo che un giornalista del servizio pubblico non debba trarre profitto dal proprio ruolo.
3) Respingo come offensive le affermazioni contenute nella tua lettera dopo l’intervista rilasciata a Repubblica 2, lettera nella quale hai sollecitato all’azienda un provvedimento disciplinare nei miei confronti: mi hai accusato di “danneggiare il giornale per cui lavoro”, con le mie dichiarazioni sui dati d’ascolto. I dati resi pubblici hanno confermato quelle dichiarazioni. Trovo inoltre paradossale la tua considerazione seguente: ‘il Tg1 darà conto delle posizioni delle minoranze ma non stravolgerà i fatti in ossequio a campagne ideologiche”. Posso dirti che l’unica campagna a cui mi dedico è quella dove trascorro i week end con la famiglia. Spero tu possa dire altrettanto. Viceversa ho notato come non si sia levata una tua parola contro la violenta campagna diffamatoria che i quotidiani Il Giornale, Libero e il settimanale Panorama – anche utilizzando impropriamente corrispondenza aziendale a me diretta – hanno scatenato nei miei confronti in seguito alle mie critiche alla tua linea editoriale. Un attacco a orologeria: screditare subito chi dissente per indebolire la valenza delle sue affermazioni. Sono stata definita ‘tosa ciacolante – ragazza chiacchierona – cronista senza cronaca, editorialista senza editoriali’ e via di questo passo. Non è ciò che mi disse il Presidente Ciampi consegnandomi il Premio Saint Vincent di giornalismo, al Quirinale. A queste vigliaccate risponderà il mio legale. Ma sappi che non è certo per questo che lascio la conduzione delle 20. Thomas Bernhard in Antichi Maestri scrive decine di volte una parola che amo molto: rispetto. Non di ammirazione viviamo, dice, ma è di rispetto che abbiamo bisogno”.

E conclude: “Caro direttore, credo che occorra maggiore rispetto. Per le notizie, per il pubblico, per la verità.
Quello che nutro per la storia del Tg1, per la mia azienda, mi porta a questa decisione. Il rispetto per i telespettatori, nostri unici referenti. Dovremmo ricordarlo sempre. Anche tu ne avresti il dovere”. (Beh, buona giornata).

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democrazia Media e tecnologia

Come il direttore del Tg Uno si guadagna lo stipendio.

L’Osservatorio di Pavia realizza per la Commissione di Vigilanza sulla Rai i un rapporto mensile. Secondo l ‘Osservatorio nel mese di Aprile il il Tg1 (il tv governativo, diretto da Augusto Minzolini) ha riservato a tutti i partiti di opposizione (Pd, Udc e Idv in particolare) il 19,6% degli spazi. Il resto se lo spartiscono il governo (43,2%) e i partiti di maggioranza (15%). Ancora più evidente lo squilibrio se si guarda ai politici più presenti in video: sui primi tre gradini del podio ci sono tre esponenti del centrodestra: al primo posto c’è ovviamente Berlusconi, che sul Tg1 delle 20 ha parlato per 667 secondi. Più del doppio del tempo riservato al secondo classificato, il presidente della Camera Gianfranco Fini, che ha fatto sentire la sua voce per 314 secondi, tallonato dal ministro degli Esteri Franco Frattini con 294 secondi. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La matematica non è una scienza esatta, neanche più un’opinione. La matematica è una polemica.

di Marco Ferri-advexpress.it
La matematica non è una scienza esatta, neanche più un’opinione. La matematica è una polemica
15/4/2010
Un milione gli spettatori che avrebbero cambiato canale, giovani o anziani, laureati o diplomati. Questo il bilancio del primo anno di Augusto Minzolini alla guida del Tg1.

Lo dimostrerebbe la rielaborazione dei dati Auditel che il consigliere Rai Nino Rizzo Nervo presenterà al Cda di lunedì.

“È un fazioso e non sa leggere i dati”, ha detto il direttore del Tg1 del consigliere Rai.

“Un conto è il diritto di critica, anche aspra. Altra cosa sono gli insulti. Come presidente del consiglio di amministrazione della Rai, non posso tollerare che un direttore insulti un consigliere”, ha detto il presidente della Rai Paolo Garimberti.

In attesa di sapere se i conti tornano, cioè di scoprire se chi dice di aver ragione ha torto, e se chi ha torto magari ha ragione, la domanda è una, solo una: che in Italia gli scandali siano una opinione lo sapevamo da tempo. Ma mo’ pure la matematica è diventata un’opinione?

Se così è, ditecelo chiaramente, che magari aggiorniamo i libri scolastici dei bimbi delle elementari. E anche i listini Sipra. Grazie. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia

Grave attacco di gelosia. Emilio Fede ricoverato in ospedale.

Dopo “l’editoriale” di Augusto Minzolini, direttore del TG Uno, andato in onda ieri alle 20, il direttore del Tg4 Emilio Fede è stato ricoverato ieri sera all’ospedale San Raffaele per un leggero malore. Il giornalista si sarebbe già ripreso. Fede è ricoverato al settimo piano, nella stessa stanza che ha ospitato Silvio Berlusconi durante la degenza in seguito al ferimento per il lancio di una statuetta dopo un comizio in piazza del Duomo, si è già ripreso.

Al San Raffaele oggi è stata organizzata una festa per i 90 anni del fondatore, don Luigi Verzè. Alla festa partecipa anche il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che, al termine, non è escluso vada a far visita ad Emilio Fede. Così fanno pace. Beh, buona giornata.

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Minzolini non è indagato. Ha solo telefonato.

Il direttore del Tg 1, Augusto Minzolini, non è indagato dalla Procura di Trani. Lo si apprende da fonti giudiziarie che parlano di “fantasiosa ricostruzione giornalistica”.-da Rainews 24

Nei confronti di Minzolini alcuni organi di stampa avevano ipotizzato una iscrizione nel registro degli indagati per il reato di concussione, lo stesso per il quale potrebbero essere sottoposti ad accertamenti il premier Silvio Berlusconi e il componente dell’Agcom Innocenzi. (Beh, buona giornata).

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I fratelli Berlusconi, entrambi sotto inchiesta: ragazzi, vi date una calmata?

Silvio Berlusconi, il membro dell’Agcom Giancarlo Innocenzi e il direttore del Tg1 Augusto Minzolini sono indagati per concussione dalla procura di Trani, l’inchiesta è nelle mani del sostituto procuratore Michele Ruggiero. Le indagini sono state condotte dalla Guardia di Finanza. I magistrati della Procura non hanno voluto commentare la notizia: “Oggi e domani non diciamo nulla, è inutile fare domande”. In serata fonti vicine alle indagini hanno confermato che si tratta di concussione. Non confermata né smentita l’iscrizione dei tre nel registro degli indagati.

Paolo Berlusconi, fratello del presidente del Consiglio, risulterebbe indagato dalla Procura di Milano per millantato credito. La vicenda riguarderebbe i suoi presunti rapporti con Roberto Raffaelli, manager di Research control system, società che ha messo a disposizione le attrezzature per effettuare intercettazioni negli uffici giudiziari sparsi in tutta Italia.

A quanto si è appreso, Paolo Berlusconi avrebbe promesso a Raffaelli di fargli aumentare il volume di affari.
Le indagini starebbero cercando di accertare se ci sia stato o meno una dazione di denaro da parte di Raffaelli a Paolo Berlusconi. Raffaelli risulta già coinvolto in una inchiesta del pm di Milano Massimo Meroni relativa ad una fuga di notizie sulla nota intercettazione di un dialogo tra Piero Fassino e Giovanni Consorte. Beh, buona giornata.

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Perché se le stanno dando di “santa” ragione?

L’undicesima domanda: ma Berlusconi è ancora lucido? Il Tg1 “oscura” Fini, la querela boomerang a Repubblica, l’insulto di Feltri a Boffo e la Chiesa cancella la cena del perdono di Lucio Fero-blitzquotidiano.it

A questo punto s’impone a forza di logica e di fatti l’undicesima domanda: il Berlusconi degli ultimi giorni e delle ultime ore è politicamente lucido? O non è in preda ad una rabbia mal condita da senso di onnipotenza che può finire per essere autolesionista se non proprio auto distruttiva? Perché un uomo sostanzialmente invulnerabile in termini di consenso allinea mosse in sequenza serrata che lo mettono in pericolo?

L’altra sera il Tg1 di Augusto Minzolini non dà nei titoli di testata dell’edizione principe delle venti la notizia che la terza autorità dello Stato italiano, il presidente della Camera Gianfranco Fini, ha definito «vagamente razziste» le leggi vigenti sull’immigrazione. In Italia nessuno ha fatto una piega, ma il metodo è sovietico: la tv di Stato cancella quella parte di Stato che non piace al Politburo vincente. Minzolini non può aver fatto da solo, perché qualcuno gli ha impartito quest’ordine? L’ordine e la sua esecuzione non turbano nessuno, il che non toglie sia un ordine rabbioso.

Passano poche ore e Berlusconi e il suo staff decidono di querelare “Repubblica” per le famose dieci domande al premier. Querela vuol dire processo. Processo nel quale, quando si terrà, i querelanti dovranno dimostrare che mai Berlusconi incontrò Noemi senza la presenza dei genitori, che mai prostitute furono invitate in quanto tali a Palazzo Grazioli o a Villa Certosa… Saranno interrogati come testi Patrizia D’Addario, Tarantini, gli uomini delle scorte, Noemi e i suoi genitori. Sarà un massacro mediatico per Berlusconi querelante, anche se Berlusconi fosse puro come un giglio, lui che ha detto: «Non sono un santo». E se venisse convocata a testimoniare anche Veronica Lario. Un uomo esperto di comunicazione e immagine come Berlusconi queste cose le sa, perchè allora querela? L’opinione pubblica italiana ha assorbito senza troppi scossoni la sessualità esuberante e compulsiva del premier, il danno è stato limitato. Perchè rimettere in moto il ventilatore del fango, anche ammesso, e per nulla concesso, che di solo fango si tratti?

E infine la più grossa e incomprensibile, il gesto che per la prima volta da venti anni assimila Berlusconi a quel Tafazzi che da solo si martellava gli attributi, quel Tafazzi che è sempre stato la rappresentazione tragicomica della capacità di comunicazione della sinistra. Tafazzi stavolta si incarna in Vittorio Feltri, neo direttore de Il Giornale, neo nominato per volontà e scelta di Berlusconi. Il Giornale scrive che Boffo, direttore dell’Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani, farebbe bene a tacere su morale e dintorni perché nel suo passato ci sono niente meno che intimidazioni alla moglie di un uomo con cui Boffo avrebbe avuto una relazione. Insomma omosessuale e protervo. L’articolo compare la mattina del giorno in cui è prevista una cena di riconciliazione tra Berlusconi e il cardinale Bertone a L’Aquila. Una cena che celebra una “Perdonanza” antica con evidenti e propagandati, annunciati riflessi ad una contemporanea perdonanza. Ma è evidente che la Chiesa non può tollerare l’insulto pubblico al direttore del suo giornale. La cena, l’incontro vengono annullati. Berlusconi balbetta di una sua volontaria rinuncia per «evitare strumentalizzazioni». Ma è evidente che è stata la Chiesa a dire che quella cena e perdonanza a questo punto non erano più possibili. La scena è quella di Berlusconi che va ad abbracciare Gheddafi ma che la Chiesa non abbraccia.

Ha deciso e fatto da solo Vittorio Feltri? Forse sì, forse no, non è dato sapere. Certo è che Feltri deve aver respirato un clima, un clima rabbioso che in qualche modo la ha autorizzato a mordere. Ma mettersi contro la Chiesa, creare o subire un incidente diplomatico e politico così clamoroso non è scelta o azione lucida. Per la prima volta Berlusconi invulnerabile incontra sulla sua strada qualcuno tanto potente da infliggergli ferita, forse ferita destinata anche ad infettarsi. Questo qualcuno è la Chiesa cattolica che in Italia conta e può molto? No, questo qualcuno che fa davvero male a Berlusconi è Berlusconi stesso. Quindi l’undicesima domanda: l’uomo più abile e vincente dell’ultimo ventennio italiano è ancora lucido? E, se non lo è, perché?

(Beh, buona giornata).

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La quarta crisi e le nomine Rai: “Il fatto è che tra Rai e Mediaset controllano il 90% o giù di lì dell’audience e delle risorse pubblicitarie e non c’è barba di antitrust che senta il prurito di occuparsene.”

Le nomine Rai confermano che Berlusconi ha una marcia in più di Marco Benedetto-blitzquotidiano.it

1. Tutti si indignano, inutilmente. La Rai è per sua natura lottizzata, e questo non si deve giudicare un aspetto negativo, ma un valore democratico. La Rai è una macchina di diffusione di informazioni e idee in una posizione di semi monopolio, strutturata come un’azienda, ma per la quale, data la rilevante natura politica del suo ruolo, la sua rispondenza alle esigenze della democrazia vale di più della sua funzionalità al prioritario obiettivo aziendale di generare profitti. Non è quindi uno scandalo che i partiti, secondo il peso in Parlamento, abbiano l’effettivo potere di nomina di capi e sottocapi a tutti i livelli, fino all’ultimo redattore. Anzi è un fatto positivo, perché in questo modo i partiti, che sono lo strumento primario e prioritario della partecipazione dei cittadini alla vita politica, e le idee che i partiti esprimono, hanno accesso alle onde radio e tv.

Il problema è piuttosto quello del controllo dell’altro semimonopolio, che è in mano a un privato. Il fatto che poi quel privato sia anche capo del Governo e quindi eserciti un’influenza dominante sulla Rai, in quanto rappresentante pro tempore dell’azionista Stato, come dimostra la vicenda che stiamo commentando, è solo un’aggravante del problema. Il fatto è che tra Rai e Mediaset controllano il 90% o giù di lì dell’audience e delle risorse pubblicitarie e non c’è barba di antitrust che senta il prurito di occuparsene. Ma forse questo è il tema che la sinistra avrebbe dovuto affrontare, quando lo poteva fare (e ahinoi nessun sa dire quando lo sarà di novo): non tanto quello di espropriare Berlusconi della sua azienda, quanto quella di imporre all’altro semimonopolio regole di governance democratica analoghe a quelle della Rai.

Quelli che se la prendono con la partitocrazia nella Rai, che modello hanno da proporre in alternativa? La meritocrazia per concorso per titoli, punti e esami? Da come funziona lo Stato italiano, che su un tale meccanismo si dovrebbe basare, non c’è da esserne troppo entusiasti. La Rai in mano ai privati? Ma forse i privati sono le vestali del sacro fuoco del merito? Decenni di vita in questo mondo dell’informazione coronati dalle più recenti esperienze dirette e solo osservate portano a concludere il contrario.

Le scelte dei vertici sono condizionate nel migliore dei casi da affinità ideologiche con la proprietà, nella peggiore dalla volontà di compiacere poteri superiori; comunque i criteri non sono mai neutri. La differenza tra il pubblico e il privato è che, per i ruoli sottostanti, nel pubblico scelgono gli azionisti (secondo la giusta quanto vilipesa definizione di Bruno Vespa), nel privato i capi e capetti della più o meno lunga catena di comando, sempre secondo criteri di affinità ideologica, culturale, politica o amicale.

2. Da un po’ di giorni tutti si affannano a dire e indignarsi. Il presidente della commissione parlamentare di vigilanza Rai Sergio Zavoli, un mito per i giornalisti italiani, indimenticabile e ineguagliabile, per chi ha dall’età il privilegio di averlo potuto ascoltare, cantore del Giro d’Italia dell’epoca d’oro di Coppi e Bartali, è più che intrinseco alla Rai. Vien da dire che forse c’era Zavoli prima della Rai e certo alla schiera dei giornalisti Rai è intrinseco. Ha alzato la voce non per dire che Augusto Minzolini sia inadatto a dirigere il Tg1, ma semplicemente per dire che forse dentro la Rai c’era tanta gente altrettanto capace. Discorso più da sindacalista che da vigilante sul corretto funzionamento dell’ente.

3. In realtà quello che si deve sottolineare su come sono andate le nomine è che Silvio Berlusconi ha vinto un’altra volta. Mentre tutti strillano, Lui ha portato a casa quello che voleva: ha piazzato Minzolini, del quale ha piena fiducia, al Tg1 e ha bloccato ogni ambizione di Mauro Mazza, che gli ex An volevano al Tg1, facendolo nominare direttore della Rete 1: un premio di consolazione su cui tutti metteremmo la firma. Per il resto si vedrà dopo le elezioni.

Anche se An e Forza Italia sono confluiti nell’unico partito Pdl, gli uomini dei due ex partiti conservano, come naturale, culture e affinità politiche e ideologiche derivanti dai partiti di provenienza. E mentre l’ex Forza Italia è Berlusconi, l’ex An conserva una sua compattezza e una conseguente autonomia culturale rispetto al Capo, che non è rappresentata solo dalle più o meno comprensibili uscite di Gianfranco Fini, il loro ex leader, ma anche da quell’intreccio di amicizie, lealtà e interessi dei suoi ex colonnelli. A questi è vicino Mazza e Mazza questi volevano al Tg1.

Per questa stessa ragione, e nessuno può dargli torto, Berlusconi non ce lo voleva. Da qui il blitz di mercoledì pomeriggio. Lo stallo sulle nomine a Tg e Rete 2 ne è una conseguenza: gli uomini ex An non gradivano la nomina a direttore di Raidue di Susanna Petruni, una giornalista che, a quanto pare, ha come merito principale quello di seguire Berlusconi nelle sue trasferte; e alla fine non gradivano nemmeno più tanto la nomina a direttore del Tg1 di Mario Orfeo, direttore del Mattino di Napoli e ottimo giornalista di carta stampata di grande scuola: poiché non è la capacità in discussione, ma la lealtà, non è un discorso che vada tanto giù agli ex camerati quello che gli fa Berlusconi: di cosa vi lamentate? Orfeo è vostro, il fatto che lo voglia io non cambia le cose.

Invece, a quanto pare, per gli ex uomini di An le cose cambiavano e così tutto è stato rinviato a dopo le elezioni. Che sia loro convenuto lo si saprà solo il 7 giugno. Il rischio è che se Berlusconi esce rafforzato dal confronto elettorale, butterà sulla bilancia della Rai la sua spada di Brenno e magari non ci sarà più il posto nemmeno per Orfeo.

Lo stesso rischio corre la sinistra, in particolare il Pd. Per consuetudine ormai consolidata, alla maggioranza vanno due Tg e Reti, all’opposizione ne va una, con il numero 3 da tempo sempre alla sinistra, così come il numero 2 alla destra, e con Tg e Rete 1 che si spostano secondo la lancetta del voto.

Secondo la prassi, quindi, in questo giro di nomine il Pd avrebbe dovuto confermare o cambiare i direttori dei due feudi di sia pertinenza e tutti davano per decisa la conferma di Paolo Ruffini alla terza rete e l’esordio alla direzione del Tg3 di Bianca Berlinguer, figlia dello scomparso segretario del Pci dei tempi dell’eurocomunismo. Però poi qualcosa si è inceppato e Dario Franceschini ha smentito l’assenso dato da Massimo D’Alema al pacchettino delle nomine di sinistra. A quel che si è potuto leggere, Franceschini trova sbagliato procedere alle nomine in Rai prima delle elezioni. Potrebbe avere ragione, se fosse sicuro di un balzo in avanti del suo partito il 7 giugno.

Ma da tutte le avvisaglie che si sono potute percepire negli ultimi mesi, quello di Franceschini può rivelarsi un calcolo sbagliato. Le avvisaglie sono che Berlusconi sembra avviato su un piano inclinato che ha come punto di arrivo i ritratti di Napoleone e Giulio Cesare. Lo si è capito dai suoi attacchi, anche recenti, ai giornali e ai magistrati, lo si è capito dalla sua dichiarata ambizione di arrivare al 51% dei suffragi: un numero magico per un imprenditore del suo calibro, perché quel numero vuol dire che con appena una piccola frazione sopra la metà del capitale uno può farla da padrone in un’azienda.

Estendendo la logica del 50,1% alla politica, Berlusconi è pronto a fare il padrone anche lì. E a questo punto c’è solo da confidare nel suo buon cuore e nella sua cvolontà di rispettare la prassi politica italiana. E se invece decidesse di far saltare il tavolo e mettere ad esempio a dirigere il Tg3 una persona, magari di sinistra, ma non indicata dalla segreteria del Pd? Sarebbe semplicemente la ripetizione di quel che vuole fare col Tg2, quindi non è fantapolitica, ma probabilità. E sarebbe per il Pd una ulteriore sconfitta. (Beh, buona giornata).

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