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Una donna minuta, un impegno maiuscolo.

Luigina Di Liegro è una persona minuta, con un bel sorriso e un paio di occhi penetranti. Tuttavia, è capace di sprigionare un’energia e una vitalità davvero invidiabili.
La incontro nel suo ufficio di Roma, presso la Fondazione Luigi Di Liegro, in via Ostiense. Per accedervi bisogna attraversare il cortile della mitica Centrale Montemartini che fu, agli inizi del Novecento, la prima centrale termoelettrica di Roma e oggi è invece un importante museo in cui statue e mosaici di età romana sono esposte nel suggestivo scenario dell’archeologia industriale di questo strabiliante luogo della Capitale.

Conosco Luigina da molti anni. È nipote di don Luigi, fondatore e animatore della Caritas diocesana di Roma, ammirato e stimato oltre gli ambiti del suo impegno religioso. Luigina, che ha dato origine alla Fondazione intestata a don Luigi, si è più volte impegnata in politica.

“Sono l’unica donna candidata nel mio collegio tra i principali schieramenti”, mi dice subito, con quel delizioso e inconfondibile accento italo-americano, che fece dire una volta a Veltroni, durante un’assemblea pubblica al teatro Valle: “Vi presento una candidata che parla come Stanlio e Ollio”. “Le donne che mi voteranno festeggeranno la giornata della donna il 4 marzo”.

D.: Luigina, la politica di questi tempi fa fatica a mostrare i suoi lati positivi. Volano parole grosse, polemiche spesso perniciose, si esagerano dettagli risibili, si sottovalutano cose semplici, ma importanti: per esempio la vita, il lavoro, la salute dei cittadini. Perché hai deciso di accettare una candidatura alle prossime elezioni politiche?

R.: Non c’è dubbio vi sia una brutta sintassi nel discorso politico odierno. Si fatica a sostenere anche un contradittorio, perché subito il livello si ferma ad affermazioni apodittiche, per non dire smaccatamente propagandistiche. Succede tutti i giorni da qualche anno, ma il livello trascende proprio durante le campagne elettorali. È un’abitudine pericolosa, perché influisce sulla capacità di scelta dei progetti politici su cui i cittadini sono chiamati a esprimersi col voto. Ma non si possono abbandonare le persone in balìa di questi momenti confusi.

D.: È come se tu stessi parlando di disagio.

R.: Diciamo che sono abituata a non tirarmi indietro di fronte alle difficoltà delle persone. Io credo che non sia facile essere un elettore. Da un lato grava su di lui il peso di scelte importanti, che riguardano non solo la sua vita, ma quella dei suoi cari, del suo ambiente, del suo futuro. Abbiamo passato anni molto duri, sotto la peggiore crisi economica, forse ancora più tremenda di quella che precedette la catastrofe della Seconda Guerra Mondiale. La crisi del 2008 ha inciso sulla carne e sulla mente delle persone. Un trauma terribile: assistere al proprio impoverimento, non sapere cosa fare col mutuo, veder infrangersi le aspirazioni per un miglior benessere dei figli, veder vacillare il proprio futuro lavorativo e quindi la stessa dignità del proprio ruolo nella società.

D.: Pensi sia questa la causa scatenante del populismo?

R.: Sai, “populismo” è una definizione corretta, ma rischia di diventare un vocabolo del dizionario del politichese. Più semplicemente, direi che la portata della crisi economica globale ha scatenato reazioni tanto comprensibili quanto micidiali: rabbia, rancore, invidia, vendetta. Questi sentimenti, diffusi presso larghi strati di popolazione, che si è sentita abbandonata a sé stessa, hanno gonfiato le vele di idee orribili come le nostalgie delle dittature del passato, ma anche illusioni non fondate sulla realtà dei fatti concreti.

D.: Per esempio?

R.: Un diffuso sentimento xenofobo e addirittura razzista. Eppoi, il ritorno a un’idea di nazionalismo, oggi marcata dal neologismo “sovranismo”, quella tendenza che si esprime con l’idea di “prima gli italiani”. Il nazionalismo ha provocato la terribile sciagura europea della Prima Guerra Mondiale. Quanto all’idea di una stirpe più importante, quella “italica”, essa è stata alla base della tragedia storica della Seconda Guerra Mondiale, della quale l’Italia fu tra i fautori. La propaganda è pericolosa: inventa truci figure retoriche, dall’Irredentismo al Fascismo bastarono pochi anni. Pensare oggi che si possa andare “a battere i pugni sul tavolo” delle istituzioni internazionali per favorire “gli interessi nazionali” è comico, direi grottesco. Ci vogliono idee, forti e condivise per cambiare le cose. Altro che facili slogan propagandistici.

D.: Sembra stia tornando il leitmotiv “meno tasse”.

R.: Il dissesto dei conti pubblici italiani è noto. C’è un macigno fiscale che pesa sulle spalle di tutti. Siamo il paese dell’illegalità, della corruzione e dell’evasione fiscale. Ma quello che mi preoccupa è che immaginare di pagare di meno non tiene conto dell’impoverimento delle risorse pubbliche per il welfare. Una delle ragioni del disagio, sfociato in vero e proprio malessere privato e collettivo sta nella tenaglia che ha stretto le persone: mentre guadagnavano di meno, aumentavano le spese per i servizi sanitari, i costi per l’istruzione, i biglietti dei trasporti, mentre si sono dilatati i tempi per godere della previdenza sociale. Stiamo parlando dei pilastri dello stato sociale. Pagare meno tasse e pagare di più i costi sociali significa dare con una mano e togliere con l’altra. In realtà, favorirebbe solo i ceti sociali forti. Che sono proprio quelli che hanno pagato meno la crisi e in qualche clamoroso caso se ne sono avvantaggiati. La tassazione progressiva è il metodo democraticamente corretto, bisogna calibrarlo in modo flessibile alla ripresa economica.

D.: Un’altra parola chiave è stata “onestà”.

R.: Fammi dire una cosa chiara: questo è un artificio retorico, piuttosto stucchevole. Mio zio, don Luigi, era una persona onesta, infatti non aveva tempo di andare in giro a dire “io sono onesto”. Come tutte le persone oneste, del resto. E in Italia sono molte più di quanto certa propaganda non voglia farci credere. La corruzione è una conseguenza del modo sbagliato di governare i processi di crescita e di sviluppo. Non il contrario. C’è un modo un poco spaccone di vedere le cose: “adesso vado lì e glielo faccio vedere io”. Non funziona così. È vero che ci sono modi sbagliati di affrontare i problemi. Ma spesso sono proprio le soluzioni che non corrispondono più ai risultati che si speravano.

D.: Stai dicendo che mancano idee?

R.: Sto dicendo che le ricette non guariscono il malato. Sono le cure che combattono la malattia. Fare politica significa prendersi cura delle persone. Sono tempi in cui vecchie e non risolte contraddizioni hanno la capacità di presentarsi sotto nuove e inedite forme. Come certe infezioni non più aggredibili cogli antibiotici. E vecchie formule non sono efficaci. E allora bisogna stare lì e non demordere, stare vicino alle persone, perché la loro voglia di stare meglio sia una delle formidabili forme di autoaiuto per trovare le soluzioni adatte e durature. Senza preconcetti, ma neanche accontentandosi di piccoli segnali di ripresa. Che anzi, vanno valorizzati perché da semplici segnali diventino robusti passi in avanti.

D.: Sei candidata nello schieramento di centrosinistra. Non hai niente da rimproverargli?

R.: L’elenco degli errori e delle contraddizioni è tanto lungo quanto a tutti noto. Non riguarda solo l’Italia. Ho vissuto a lungo negli USA e vedere, per esempio, che dopo Obama è arrivato Trump la dice lunga sulla poca capacità della politica di costruire su solide e durature basi. Tuttavia io non ne è ho mai fatto una mera questione di etichette. Chi dice che destra e sinistra non esistono più sa bene di dire una sciocchezza, infatti spesso è un artificio retorico per giustificare brusche sterzate a destra, cioè nel conservatorismo, nell’ineguaglianza, nella brutalità del ragionamento e delle scelte politiche. La semplificazione può portare a situazioni aberranti, come considerare qualcuno come meno umanamente importante di qualcun altro. Come se non fossimo tutti esseri viventi, e quindi titolari di diritti e di dignità di persone.

D.: Dimmi un errore grave del centrosinistra.

R.: Aver ceduto alla tentazione della personalizzazione della politica.

D.: Però sei candidata in un collegio uninominale, ben quattro formazioni politiche si concentrano sul tuo nome.

R.: Una bella responsabilità. Di cui sento il peso. Soprattutto per le aspettative che il mio nome può aver creato tra chi mi voterà. E poi certo, anche in quelle di chi mi ha offerto la candidatura. Sai che sono l’unica donna candidata tra i tre principali schieramenti nel mio collegio elettorale? Mi sento anche la responsabilità di essere un punto di riferimento per le elettrici.

D.: Secondo te chi potrebbe vincere?

R.: L’astensione potrebbe essere il primo “partito”.

D.: Che fare?

R.: No, guarda io non faccio appelli. Posso solo dire che per me non è il tempo né dell’astensione per rabbia e rancore, né del disimpegno per disillusione e amarezza. Sono tutti sentimenti che comprendo e rispetto. Il fatto è che non possiamo pensare che ci sia qualcun altro che risolva le cose se questi non siamo noi stessi. In prima persona. Tra l’ottimismo e il pessimismo, io da tempo ho scelto il cammino: una passo dietro l’altro verso un obiettivo raggiungibile. E poi, di nuovo in marcia. Lo faccio nella vita. Lo farò alla Camera.

D.: Il tuo slogan elettorale, chiamiamolo così, recita “competenza e sensibilità”. Perché?

R.: In realtà lo dice il mio curriculum. La mia competenza specifica deriva dal mio incarico presso l’Anci, l’associazione dei comuni italiani. Grazie a questa esperienza conosco opportunità e procedure per attingere ai fondi utili al sostegno delle attività utili a Pomezia e a Ciampino. Ma anche come assistere i municipi per il miglioramento della qualità dei servizi nei territori compresi tra i il VI e il IX municipio. La mia sensibilità deriva da gran parte della mia vita, dedicata ai disagi psichiatrici, attività svolta da anni dalla Fondazione Luigi Di Liegro.
Competenza politica e sensibilità sociale sono le caratteristiche salienti della mia storia personale e pubblica. Non è uno slogan è la semplice verità.

Luigina vola via, inseguita dai martellanti impegni che la campagna elettorale impone ai candidati. Mi ha lasciato una sensazione positiva. Ha le idee chiare, ma non le urla, non te le vuole imporre. Certo ha molta energia, la qual cosa si confà con il luogo in cui si è svolta la nostra conversazione, cioè la più antica Centrale termoelettrica di Roma.
Il fatto è che mentre parla con te hai la sensazione che in realtà sia lei a essere in ascolto. Che mi sembra la buona dote di una donna che presta alla politica attitudini che si sono formate nel sociale,

Luigina Di Liegro è candidata alla Camera nel collegio Uninominale Roma 7.
Personalmente faccio ancora parte di quei dieci milioni di elettori che non hanno ancora deciso se e chi votare.
E comunque, non avrei la fortuna di avere Luigina Di Liegro tra i candidati del mio collegio elettorale.
Roma, 15.02.18

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democrazia Leggi e diritto Movimenti politici e sociali Politica Potere

Attenti al voto futile.

Tra poche ore si vota. Si vota prima della scadenza, perché il partito di Berlusconi ha tolto la fiducia parlamentare al governo Monti. Berlusconi, che era stato costretto alle dimissioni per manifesta incapacità di governare un paese in crisi, ha scatenato una campagna elettorale furibonda, a colpi di promesse irrealizzabili, come la presunta restituzione della tassa Imu sulla prima casa, invadendo i media, come in nessun altro paese del mondo gli sarebbe stato permesso.

Non solo, Berlusconi ha trascinato il paese alle elezioni politiche anticipate con una legge elettorale truffaldina, detta, appunto, “porcellum”. Berlusconi va punito per sempre perché ha fatto di tutto per non cambiare questa legge. Vanno puniti con lui tutte le forze politiche e sociali che lo hanno sostenuto anche in questa ultima sciagurata avventura: la Lega Nord, la Destra, Grande Sud e tutta quella “corte dei miracoli” al seguito, composta da partitini, formati da piccole personalità di grande appetiti di potere, sparse in tutt’Italia. Vanno puniti i candidati nelle liste del Pdl, liste piene di inquisiti dalla magistratura, liste di mezze figure, sia dal punto di vista politico che etico.

L’attuale “offerta” politica che si offre domani agli elettori italiani è apparentemente ricca di scelte. Dico apparentemente, perché in realtà l’unica possibilità di fermare Berlusconi e i suoi accoliti è una vittoria al Senato del centrosinistra.

Infatti, quello che è consigliabile è tenere ben presente che, proprio per colpa di Berlusconi, andremo a votare con due sistemi elettorali, uno alla Camera e uno al Senato. Alla Camera i sondaggi, finché sono stati pubblici, non segnalavano grandi chances per il partito di Berlusconi. Qui votare chi ognuno pensa possa svolgere un ruolo migliore non troverebbe ostacoli.

Il pericolo viene dal Senato: se in alcune regioni, per esempio come la Lombardia, la legge elettorale dovesse premiare il partito di Berlusconi, ecco che egli riuscirebbe a mettere un’ipoteca sulla formazione del nuovo governo. Sono convinto che chi vota Grillo o Monti o Giannino o Ingroia certo non vorrebbe succedesse un Berlusconi ancora in sella.

Si è parlato del ricatto del voto utile. Io direi, piuttosto, del pericolo del voto futile: chi è conservatore come Monti, di sinistra come Ingroia, barricadero come Grillo, o moderato come Giannino (al netto dei titoli di laurea) non è giusto che non abbia la possibilità di esprimere il proprio voto. Ma è proprio quello su cui contano Berlusconi e accoliti: sfruttare i vantaggi del “porcellum” e fregare ancora una volta la democrazia, i cittadini, gli elettori, grazie al differente meccanismo elettorale.

Dunque, perché il voto non sia una esercitazione futile, è necessario prendere seriamente in considerazione il “voto disgiunto” tra Camera e Senato. Per sicurezza, consiglierei di fare lo stesso anche per le Regionali in Lombardia e nel Lazio. Maroni e Storace, sodali di Berlusconi
devono perdere sonoramente. Solo così, sconfitto su tutti i fronti, Berlusconi uscirà dalla cronaca politica e per entrare, senza più ostacoli in quella giudiziaria. Beh, buona giornata.

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A dieci anni dal G8 di Genova, a un mese dai referendum, a una settimana dagli scontri con i No Tav in Val di Susa.

Questa intervista con Vittorio Agnoletto è apparsa oggi 10 luglio su 3Dnews, inserto culturale della domenica del quotidiano Terra.

Vittorio Agnoletto, all’epoca dei fatti portavoce del Genoa social forum, e Lorenzo Guadagnucci, giornalista che si trovava nella scuola Diaz al momento del sanguinoso blitz della polizia, hanno scritto un libro sulle tragiche giornate del luglio 2001 a Genova, dove il movimento “no global” si era dato appuntamento per protestare contro il G8. Il libro si intitola “L’eclissi della democrazia” ed è edito da Feltrinelli.

Agnoletto, sono passati dieci anni dai fatti del G8 di Genova ed ecco puntuale un libro su quegli episodi. Non c’è il rischio che tutto sappia un poco di commemorazione?

No. Perché non è un libro rivolto al passato. Ma al futuro. Raccontiamo non solo quello che successe davvero a Genova, dalla morte di Carlo Giuliani a piazza Alimonda, all’assalto alla scuola Diaz, alla “macelleria messicana” così come fu definito da un funzionario di polizia quello che successe nella caserma Bolzaneto. Ma soprattutto, raccontiamo come si è tentato in tutti i modi di nascondere la verità, di bloccare i processi, di ostacolare il lavoro dei magistrati.

Con il dovuto rispetto, Agnoletto mi lasci dire che non è una novità che in Italia la verità sui fatti politici si perda nel “Porto delle nebbie”. Fin dai tempi di piazza Fontana….

Sì, ma qui c’è un fatto inedito. I magistrati di Genova non solo sono riusciti a non far fallire le inchieste, ma addirittura per la prima volta nella storia repubblicana le inchieste della magistratura hanno portato alla condanna in secondo grado di decine di agenti, funzionari e dirigenti delle forze dell’ordine, inclusi i massimi vertici della polizia di stato e dei servizi segreti. Un esito giudiziario clamoroso, senza precedenti.

Giustizia è stata fatta?

No. Tutti i condannati, anche se svergognati da ricostruzioni dei fatti rigorose, sono rimasti al loro posto, con l’avallo dell’intero arco politico parlamentare.

Non si è mai voluta istituire la commissione parlamentare di inchiesta sui fatti di Genova. Quando lei dice “l’intero arco politico parlamentare” dice che anche i partiti di centrosinistra non hanno voluto che si andasse fino in fondo.

E’ vero. Quando Prodi tornò a Palazzo Chigi,la commissione parlamentare rimase lettera morta.

Rimane comunque il fatto che la feroce repressione annichilì il movimento No Global. Aldilà delle sia pur gravissime violazioni della legalità, possiamo dire che, parafrasando il titolo del libro, l’eclissi della democrazia ha funzionato?

Il movimento seppe resistere ancora qualche mese, fino alla grande manifestazione di Firenze contro la guerra. Poi, è vero: il tessuto sociale si sfilacciò, molte delle componenti del movimento tornarono nei loro territori, nelle loro realtà.

Fenomeno che in Italia abbiamo già vissuto nei decenni passati. Una parte entra nella spirale repressione – lotta alla repressione; le altre componenti si disperdono nelle rispettive realtà. Ciò che però è insopportabile in questa coazione a ripetere è il ruolo della sinistra parlamentare.

Beh, bisogna essere consapevoli che, per esempio al Pd il movimento No Global non è mai piaciuto. La critica puntuale contro il neoliberismo è una contraddizione che il Pd fatica molto a risolvere anche oggigiorno, nonostante che alla crisi energetica e a quella ambientale si sia aggiunto lo tsunami della crisi finanziaria che ben presto è sfociata nella gravissima crisi economica che attualmente sta sconvolgendo tutto il mondo occidentale.

Poi però succede che quel movimento che ha prodotto un nuova visione del mondo sembra oggi aver germogliato: l’idea della difesa dei beni comuni ha prodotto recentemente lo straordinario risultato della schiacciante vittoria dei Sì ai referendum dello scorso giugno.

Sì. Fu a Porto Alegre che, per esempio affrontammo il tema dei beni comuni. Esso è diventato programma di governo in alcuni paesi dell’America latina, ma ha lavorato, lavorato molto fino a diventare un tema importante anche nel Vecchio Continente, anche in Italia. Credo che anche il movimento No Tav abbia qualcosa che fa pensare che il filo intessuto dal movimento No Global non si sia mai del tutto spezzato.

In Val di Susa sembra però che la luna di miele tra l’opposizione parlamentare e i movimenti sia finito. Insomma, il vento sta cambiando, ma non a tutti fa piacere.

Gli argomento dei No Tav sono chiari, sono ragionamenti maturi, concreti. Gli abitanti della Val di Susa sanno che chi difende il progetto non riesce a più a nascondere che gli unici beneficiari sarebbero solo i costruttori.

Come per il famoso ponte sullo Stretto di Messina o per l’ormai defunto piano di costruzione delle centrali nucleari in Italia.

Esatto. La gente non crede più alle favole. E credo neanche al tentativo di raccontarle meglio da parte di alcuni esponenti del centrosinistra. Comunque, leggere “L’eclissi della democrazia” è utile anche per capire come il governo intende muoversi, per esempio in Val di Susa.

Agnoletto, si riferisce alla improvvisa ricomparsa sulla scenadei famigerati Black Block?

In effetti questa ricomparsa mediatica dei black block è un segnale preciso: si vuole far credere che la questione è semplicemente di ordine pubblico, che il problema è la violenza politica di “frange estremiste”. Insomma, ancora lo stesso schema: deviare il dibattito dalla sostanza della protesta alle forme della protesta è un espediente che serve nascondere la vera natura dell’Alta Velocità in Val di Susa, che serve a ostacolare il dibattito tra gli abitanti su temi importanti, squisitamente politici, che pongono sul tappeto domande precise: che uso del territorio, che tipo infrastrutture, per quale tipo di produzione di merci da trasportare, che rapporto con le risorse energetiche, che dialettica con l’ambiente, che tipo di benessere, quale qualità dei consumi?

Se il movimento No Tav è ricco, mi pare che finora le risposte sono state molto povere e tanto rabbiose.

Il che non è un bel segnale. Si rischia di spianare la strada alla repressione. Come è successo a Genova nel 2001.
(Beh, buona giornata).

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