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Il ritorno al nucleare in Italia è una follia energetica.

(fonte:www.rispondeferrero.com) L’articolo è tratto da http://prcserrenti.blogspot.com/2009/08/un-fisico-nucleare-spiega-il-perche-del.html

LA VIA ITALIANA AL NUCLEARE: UNA FOLLIA ENERGETICA

Autore: Prof. Massimo De Santi, Fisico nucleare, esperto di protezione dalle radiazioni ionizzanti Responsabile Dip.to Energia, Prc Toscano

Il popolo italiano si è già espresso per il NO al nucleare fin dal 1987 attraverso un Referendum che vide tra l’altro una forte partecipazione al voto. Eppure oggi, ancora una volta, così come dopo la grande crisi petrolifera del 1973, il governo ha approvato in fretta e furia una programma di emergenza per la costruzione di centrali nucleari per la produzione di energia elettrica, con la scusa di contribuire anche alla risoluzione del problema dei gas serra.

Il partner di turno in questa dissennata scelta sarebbe la Francia che ha certamente accumulato un grande background in campo nucleare sia esso civile che militare (non dimentichiamo mai questo dettaglio che non è trascurabile), ma che non ci sembra offrire tante certezze sotto il profilo della sicurezza, dell’impatto ambientale/sanitario e dello smaltimento delle scorie. Nonostante i suoi 50 anni di esperienza e le sue19 centrali atomiche con 58 reattori in funzione, la Francia oggi si trova in seria difficoltà per le scelte nucleari del passato, in particolare nello sviluppo del cosiddetto reattore veloce autofertilizzante (il cui intento era il risparmio di combustibile nucleare) che è stato un fallimento completo dal punto di vista economico-energetico, ma anche della sicurezza. Nel corso del 2008 proprio in Francia si sono verificati una serie di incidenti agli impianti nucleari che, anche se definiti di lieve intensità, non hanno ancora trovato una giustificazione plausibile da parte delle autorità competenti. Inoltre, a tutt’oggi non sono state eseguite le necessarie valutazioni di impatto sanitario (effetto delle radiazioni ionizzanti) nelle zone interessate. Non risulta, tra l’altro, che siano mai state eseguite da parte degli organi competenti studi approfonditi sul genoma umano nelle zone vicine agli impianti nucleari.

Questa cosiddetta rinnovata via italiana al nucleare è una follia energetica. E non c’è bisogno di essere degli esperti di economia energetica o di nucleare per comprendere le ragioni principali che andrò di seguito riassumendo. Siamo di fronte a un vero e proprio crimine ambientale, sanitario, sociale ed economico. Ma procediamo con ordine.

1. La costruzione di una centrale nucleare richiede mediamente 10 anni, mentre il nostro paese avrebbe, invece, bisogno di iniziare da subito la transizione dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili di energia. Ciò significa che le centrali, anche partendo oggi a costruirle, entrerebbero in funzione in ritardo rispetto agli scopi che si prefigge il governo. E poi le centrali non contribuirebbero alla diminuzione dell’effetto serra, in quanto l’estrazione dell’uranio, il suo trasporto, la sua lavorazione e la produzione delle barre di combustibile, la costruzione stessa della centrale , ecc. sono tutti processi che richiedono l’uso di combustibili fossili con la produzione di enormi quantità di CO2.

2. Il nostro paese dovrebbe importare “chiavi in mano” le centrali nucleari dalla Francia con ingente esborso di denaro pubblico e ciò in una situazione di crisi economica è un crimine sociale.

3. L’Italia non ha più tutte le competenze nucleari degli anni ‘60 e ‘70 che aveva accumulato attraverso un impegno crescente in ricerca, sperimentazione e nella stessa produzione di parti importanti delle centrali nucleari (Ansaldo Meccanica Nucleare, Fiat, Breda, ecc.).

4. Le 4 centrali nucleari previste, coprirebbero solo una parte minima del segmento della produzione elettrica che tra l’altro è solo una frazione del consumo totale di energia per il nostro paese. La maggior parte dei consumi, infatti, è coperto dai combustibili fossili (trasporti, riscaldamento delle abitazioni, ecc).

5. Per la realizzazione del nucleare lo Stato dovrebbe investire ingenti risorse finanziarie a scapito di un efficace programma di emergenza per il risparmio, l’efficienza dell’energia e le fonti rinnovabili, in linea con quanto previsto a livello europeo con le percentuali del 20%-20%-20% al 2020 con il rischio del superamento dei parametri di Kyoto e le relative sanzioni previste per i paesi che non raggiungono questi obiettivi.

6. Sulla sicurezza delle centrali non avremo garanzie sufficienti. Ciò in relazione al fatto che c’è una sicurezza intrinseca all’impianto che deriva dal tipo di tecnologia usata (in questo caso di importazione francese) sulla quale non possiamo intervenire, una sicurezza derivante dall’ubicazione dell’impianto stesso e una sicurezza di esercizio di cui, come dicevo al punto 3, non abbiamo più le competenze di alta specializzazione necessarie, che probabilmente in certa misura dovremmo importare dall’estero.

7. Elemento non trascurabile sarebbe poi la scelta dei siti (compatibili sul piano territoriale, ambientale e sanitario), che per una paese come il nostro stretto, lungo, densamente popolato e in gran parte sismico diventa praticamente un problema irrisolvibile. Le zone più idonee, infatti, sono normalmente vicine ai grandi corsi d’acqua o al mare, ma sono anche le zone più popolate è già cariche di impianti ad alto rischio (raffinerie, centrali termoelettriche, impianti chimici, ecc.). A meno che non si pensi di imporre la localizzazione delle centrali nucleari con l’esercito, più che con la forza della saggezza ecologica, del convincimento e della partecipazione democratica degli enti locali e delle popolazioni.

8. I piani di preventiva evacuazione delle popolazioni in caso di incidente credo che risulterebbero di difficile attuazione, soprattutto se si ipotizzano siti quali Montalto di Castro nel Lazio (così vicino a città come Civitavecchia, ma anche a Roma) o all’Isola di Pianosa in Toscana, lontano sì dai centri abitati, ma che presenterebbe grandi difficoltà di intervento da parte dei mezzi di soccorso (Vigili del Fuoco, mezzi sanitari, ecc.), oltreché pattugliamenti permanenti della costa per il rischio attentati. In caso di incidente catastrofico a una centrale (fusione del nocciolo del reattore nucleare, attentato, caduta di aereo, ecc), non ci sarebbero poi le condizioni minime per garantire la sicurezza delle popolazioni e il controllo sanitario del territorio, considerato che nel nostro paese non siamo in grado di far fronte neppure alla elementare sicurezza nei luoghi di lavoro.

9. Inquinamento radioattivo durante il normale funzionamento della centrale, dovuto allo sversamento nelle acque circostanti (fiume, mare, ecc) di numerosi radionuclidi a bassa e media intensità che inquinano le falde idriche e la stessa catena alimentare dei territori circostanti. E poi ci sono gli stessi gas radioattivi contenenti Iodio 131, elemento noto per i suoi effetti cancerogeni sulla tiroide. Le radiazioni ionizzanti sono sempre mutagenetiche e non esiste una soglia minima garantita: i loro effetti sull’uomo (insorgenza di tumori, leucemie, ecc.) si possono avere anche a distanza di più di 20/30 anni. A livello internazionale si è definita per le radiazioni nucleari una soglia di rischio accettabile – dose massima ammissibile – ma ciò, sia ben chiaro, non significa che tale soglia non sia dannosa, tanto è vero che per i lavoratori esposti a radiazioni si parla di indennità di rischio.

10. Lo smaltimento delle scorie – sia durante l’esercizio della centrale nucleare (barre esaurite di combustibile radioattivo, strutture contaminate, ecc.) che successivamente nella fase di smantellamento dell’impianto, quanto è terminata la sua funzione – è un problema ancora irrisolto, che comporta inoltre costi altissimi per il loro stoccaggio in depositi radioattivi (la cui sicurezza è tutta da dimostrare) in attesa del loro smaltimento definitivo (se e quando si troverà la soluzione). Ricordiamo, nello specifico, come memoria per tutti che il plutonio prodotto dalle centrali può servire anche per la costruzione di bombe nucleari (ma questo immagino non sia il proposito del nostro paese, anche perché queste sono già depositate nelle basi militari USA e NATO presenti in Italia). In ogni caso questo plutonio deve essere smaltito ed è considerato uno degli elementi più radiotossici che si conosca al mondo, tanto che si calcola che 1 milionesimo di grammo, se inalato, è potenzialmente sufficiente a indurre cancro nell’essere umano. Infine, il tempo di decadimento del plutonio (il tempo in cui dimezza la sua radioattività) è di 24.200 anni: occorrerebbero più di 100.000 anni per esaurire la sua carica radioattiva pericolosa per l’uomo, l’ambiente e tutte le biodiversità.

In definitiva la berlusconiana via italiana al nucleare è dettata dalla logica capitalistica di affare e di massimizzazione del profitto – gli utili per i privati si realizzano soprattutto nella fase di costruzione e di esercizio della grande opera – scaricando ogni perdita sul pubblico, cioè sul cittadino, senza risolvere il problema della dipendenza energetica del paese, la diminuzione dell’effetto serra, nè tanto meno offrendo l’uscita dai combustibili fossili. Il nucleare per il nostro paese sarebbe solamente una follia economica, energetica, ambientale e sanitaria e, in tempi di crisi come quella che stiamo attraversando, un vero e proprio crimine sociale.
(Beh, buona giornata)

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Finanza - Economia Lavoro

Ma quale ripresa: in Italia Pil a -5,2 e tasso di disoccupazione a 8,3.

Nubi nere continuano a caratterizzare la situazione economica. I dati dell’Istat non lasciano dubbi. Si parte dal brusco innalzamento del deficit-pil nei primi nove mesi del 2009, un dato quasi raddoppiato rispetto allo stesso periodo dell’anno prima. Si prosegue con l’occupazione che, a novembre, è diminuita di 389.000 unità rispetto allo stesso mese del 2008 e di 44.000 rispetto ad ottobre. Sempre secondo l’Istat il tasso di disoccupazione a novembre ha raggiunto l’8,3%, il dato più alto da aprile 2004.

Deficit-Pil. Nei primi tre trimestri del 2009, comunica l’istat, l’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche in rapporto al pil è stato del 5,2%, contro il 2,8% di gennaio-settembre del 2008 (era 6,1% al termine del secondo trimestre del 2009). Solo nel terzo trimestre dell’anno scorso il disavanzo pubblico è stato pari al 3,3% (era 3,2% ad aprile-giugno), più che raddoppiato rispetto all’1,3% dello stesso periodo del 2008. Nel terzo trimestre del 2009 il saldo primario è stato positivo e pari a 2,244 miliardi (era 14,921 miliardi nello stesso periodo del 2008), con un’incidenza positiva sul pil dello 0,6%, mentre era +3,9% a luglio-settembre dell’anno prima.

Nei primi nove mesi del 2009, il saldo primario rispetto al pil è negativo e pari allo 0,8%, contro il +2,3% dello stesso periodo del 2008. A luglio-settembre, aggiunge l’istituto di statistica, il saldo corrente (risparmio) è stato negativo e pari a 940 milioni, contro il valore positivo di 6,499 miliardi dello stesso trimestre dell’anno precedente, con un’incidenza negativa sul pil pari allo 0,2% (+1,7% nello stesso periodo del 2008). Nei primi nove mesi del 2009, inoltre, il saldo corrente in rapporto al pil è negativo e pari al 2,3% (era +0,3% nei primi tre trimestri del 2008).

Disoccupazione. Il tasso di disoccupazione a novembre ha raggiunto l’8,3%, il dato più alto da aprile 2004. A novembre 2008 il tasso di disoccupazione si era attestato al 7,1%. Le persone in cerca di occupazione nel mese erano 2.079.000, cioè 313.000 in più rispetto ad un anno prima e 30.000 in più rispetto ad ottobre. Il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 26,5%, segnando una riduzione di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente contro un aumento di 2,9 punti percentuali rispetto a novembre 2008.

Occupazione. L’occupazione a novembre è diminuita di 389.000 unità rispetto allo stesso mese del 2008 e di 44.000 rispetto ad ottobre. Lo rileva l’Istat sulla base dei dati destagionalizzati precisando che il calo tendenziale è dell’1,7% mentre quello congiunturale è dello 0,2%.

Eurozona. La disoccupazione nell’eurozona a novembre ha toccato quota 10% rispetto al 9,9% di ottobre. E’ il dato destagionalizzato diffuso da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, che precisa come si tratti del tasso più elevato da agosto 1998. Nel novembre 2008 il dato era pari all’8%. I dati sono stati diffusi da Eurostat, secondo cui i disoccupati nell’Eurozona sono 15,712 milioni nell’area euro a novembre (+185 mila da ottobre) e 22,899 milioni nell’Ue (+102 mila). Beh buona giornata.

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Finanza - Economia Lavoro

Le previsioni sull’andamento della crisi economica del Ministro dell’Economia del Governo italiano: “ho molta fiducia nella saggezza degli italiani, dei lavoratori, degli imprenditori”.

Il futuro degli uomini dipende dagli stessi uomini e volerlo sapere a prescindere dall’uomo è arroganza e superstizione: lo ha detto il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, in un’intervista rilasciata al Tg1 delle ore 20 del 3 gennaio.

«Il nostro futuro non è un destino fisso, un progresso o un declino inevitabile – dice Tremonti – Il nostro futuro dipende da noi, dalla nostra libertà, responsabilità, dalla nostra saggezza, dalla nostra speranza. Io per esempio, per questo tempo che stiamo vivendo, ho molta fiducia nella saggezza degli italiani, dei lavoratori, degli imprenditori. E’ per questa ragione che ho speranza. Il futuro degli uomini non è né un oroscopo, né un software, né un palinsesto, né un programma di computer».

Noi pensavamo che il futuro dell’Italia fosse una prerogativa delle scelte di politica economica del Governo. Noi pensavamo che il ministro dell’Economia facesse delle scelte con la consapevolezza di un coerente progetto di rilancio della nostra economia. Macché: lui “ha speranza”, lui “ha fiducia”.

Tornano alla mente le parole di un immobiliarista che qualche tempo fa ebbe a dire, con disarmante candore: “troppo facile fare il fro… col cu… degli altri”. Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia Lavoro

Il 2010 sarà l’anno della disoccupazione.

L’occupazione e’ calata ad ottobre, su base annua, dell’1,9% mentre nei primi 10 mesi di quest’anno il decremento e’ stato dell’1,4%. Lo segnala l’Istat. Sempre ad ottobre, rispetto a settembre, non c’e’ stata invece alcuna variazione. Tornando invece al confronto con il mese di ottobre 2008, l’Istat evidenzia che il calo dell’1,9% e’ da intendersi al lordo della cig. Al netto, infatti, il calo e’ ancora piu’ accentuato e nell’ordine del 3,7%.
(Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia Leggi e diritto Società e costume

La crisi è un dolo. Infatti a Dolo i carabinieri arrestano due casalinghe che rubano al supermercato. Casalinghe disperate? Il dolo? Roba da mangiare.

Due casalinghe di Marghera rubano merce e alimentari per 165 euro al supermercato Alì di Dolo e vengono arrestate in flagranza per furto aggravato dai carabinieri della Tenenza di Dolo. Ora si trovano in carcere alla Giudecca in attesa di un processo con rito direttissimo che dovrebbe tenersi nei prossimi giorni proprio a Dolo.

È quanto successo martedì scorso a S.M. di 53 anni e A. L. (55), entrambe casalinghe di Marghera con una situazione familiare alle spalle davvero pesante, fatta di disoccupazione e problemi reali di sostentamento. Le donne, incensurate, forse in preda alla disperazione hanno deciso di agire e far razzia in un supermercato per passare un Natale con la famiglia sicuro almeno dal punto di vista alimentare.

Il fatto ha suscitato molto scalpore a Marghera dove da tempo diversi consiglieri di Municipalità denunciano una situazione sociale sempre più pesante.

«Al di là del fatto in sé che non conosco e che è condannabile – dice Bruno Gianni, consigliere dei Comunisti Italiani – resta la situazione di questo quartiere che, con la crisi, è diventata sempre più pesante. Ci sono decine e decine di famiglie sull’orlo della miseria per la perdita del posto di lavoro. Questi episodi possono essere visti anche come una spia del disagio in atto». Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Crisi della pubblicità in Italia: anche nel loro piccolo i creativi della McCann si incazzano.

Sciopero in McCann Erickson-da kttbblog.spinder.com
Ieri in Mc Cann 4 persone hanno scoperto di non avere più un lavoro.
Quello che scrivo mi è stato riportato da un paio di gole profonde che, per ovvie ragioni, hanno chiesto di non essere menzionate.

I 4 sfortunati colleghi sono stati convocati di “sopra”, con “scuse varie”.
Gli è stato comunicato il licenziamento e, tornati “giù”, hanno trovato il loro Mac spento. Non gli è stato possibile portare via nulla.

Il licenziamento sembrerebbe aver colpito il reparto creativo.
Uno dei licenziati sarebbe padre di due bambini.
“il tuo stipendio è troppo alto per il ruolo che ricopri”
2500 euro al mese (ngp -nota gola profonda).

I dipendenti Mc Cann ieri hanno dichiarato uno sciopero e oggi dovrebbe esserci un’altra assemblea.

A quanto pare, altri nove dovrebbero essere licenziati a breve.
Era da almeno sei anni che non si registrava uno sciopero nel nostro settore,
dai tempi della Grey “guidata” da Valeria Monti.

La direzione creativa di Mc Cann viene definita “fuggita a Londra per non affrontare la situazione”. Questa affermazione potrebbe essere gratuita.
La sfiga esiste, è talvolta si è costretti a partire in un momento in cui si preferirebbe restare.
Restiamo sui problemi reali.
Il nostro lavoro ha perso valore perché si sono persi prima i valori.
Questo è successo molto prima dell’ultima crisi economica, ha iniziato ad accadere già nella seconda metà dei dorati anni ’80.

Un’agenzia nuova avviò una politica commerciale improntata su un dumping molto aggressivo, cosa relativamente normale.
Molte grandi agenzie si spaventarono e ne seguirono l’esempio, cosa meno normale.
Smettemmo di farci concorrenza con la forza delle idee, rendendo più deboli le nostre condizioni economiche, i nostri contratti, le nostra fondamenta.

Qualunque professionista operi nel nostro settore deve battersi, nel suo piccolo o nel suo grande, dicendo no a tutte quelle situazioni che possono concorrere a minare ulteriormente il nostro settore.
Mi riferisco alle gare non remunerate, alla mancata applicazione di qualunque tariffario, al fenomeno degli stagisti ad libitum non pagati.
Non parlo di un “cartello”, ma dovrebbe essere evidente a tutti che vendere un radiocomunicato a 100 euro, o una campagna integrata a 10 mila, è una follia.
Sono manovre che posso comprendere in un giovane agli inizi, non in una delle prime 10 agenzie d’Italia.
Continuare ad adeguarci a questa politica commerciale significa essere complici e conniventi con tutte le conseguenze. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Lavoro

Italia d’Autunno: superati 2 milioni di disoccupati.

Più di due milioni di disoccupati in Italia: è la prima volta dal marzo del 2004 che l’Istat rileva un numero così elevato di senza lavoro. A ottobre il tasso di disoccupazione è salito all’8% dal 7,8% di settembre. Il numero delle persone in cerca di lavoro è di 2.004.000, in aumento del 2% ( 39mila persone) rispetto a settembre e del 13,4% ( 236mila) su base annua. Il tasso di disoccupazione giovanile – aggiunge l’istituto di statistica – a ottobre è aumentato al 26,9% dal 26,2% di settembre.

Sono 14.741.000, con un aumento di 210.000 unità rispetto all’ottobre 2008, gli ‘inattivi’, che per la statistica sono i non occupati che nelle quattro settimane che precedono l’indagine non hanno effettuato neanche un’azione attiva di ricerca di lavoro (categoria ampia che include gli studenti, le casalinghe, ma anche i cosiddetti ‘scoraggiati’, cioè i disoccupati di lungo corso che ormai non cercano più lavoro perché si sono convinti che non lo troveranno). Il tasso di inattività è pari al 37,4 per cento, invariato rispetto al mese precedente e in aumento dello 0,4 per cento su base annua.

Penalizzata l’occupazione femminile. Infatti l’occupazione maschile a ottobre 2009 è pari a 13.801.000 unità, con un incremento dello 0,2 per cento rispetto al mese precedente ( 31 mila unità) e una riduzione dell’1,5 per cento (-217 mila unità) rispetto al corrispondente mese dell’anno precedente. L’occupazione femminile raggiunge le 9.298.000 unità, con una riduzione rispetto a settembre dello 0,3 per cento (-30 mila unità) e dello 0,7 per cento (-67 mila unità) rispetto ad ottobre 2008. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia Lavoro Media e tecnologia

Italia d’autunno: una lettera dall’inferno.

Ricevo e pubblico.

Cari Amici

scusate se vi chiedo un piccolo aiuto;

io a altri 1191 colleghi della ditta Agile ex Eutelia una sede è anche a
Pregnana Milanese (tutti derivanti da aziende come Olivetti e Bull): a fine
anno saremo tutti licenziati probabilmente senza poter usufruire degli
ammortizzatori sociali.

Ben presto a noi si uniranno altri 6600 colleghi di Phonomedia uno dei più
grandi call-center in Italia.

Tutto ciò grazie a degli imprenditori che qualcuno, con un eufemismo, ha
definito “diversamente onesti”

Questo sta accadendo nel silenzio più totale, nonostante varie
manifestazione anche eclatanti (incatenamenti davanti a Ministeri
competenti, salite sui tetti delle sedi, occupazioni delle sedi), sembra che
nessuno si accorga di noi.

Il Governo ci ignora, sembra che il destino di quasi 9000 famiglie non lo
interessi nemmeno!

Non stiamo percependo alcun stipendio nè rimborsi spese ormai da 3 (tre)
mesi !!!!!!!!!!. (conosco colleghi cinquantenni, con mutui e/o affitti, che
per mantenere la famiglia chiedono soldi a genitori e suoceri!!!!!!!!)

Vista la situazione qualcuno ha pensato di usare il tam-tam delle mail come
la vecchia “catena di S. Antonio” per fare conoscere la nostra situazione al
più alto numero di persone possibile, sperando che arrivi alle orecchie di
qualcuno….”in alto”.

Tutto quello che vi chiedo è: Inviare al più presto una mail con l’allegato
al maggior numero di amici possibile, con la preghiera che loro lo inviino
al maggior numero di amici possibile.

In questo modo in pochi giorni migliaia, forse,milioni di persone saranno al
corrente di quanto ci sta succedendo e chissà che la voce non arrivi a chi è
in grado di farsi sentire.

Per cortesia, fate capire ai vostri amici che NON è la solita catena di
S.Antonio, NON è uno scherzo si tratta di 9000 famiglie che non sapranno
come arrivare a fine mese !.

Vi ringrazio di cuore fin d’ora

gianfranco

(Beh, buona giornata)

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Quello che può fare la pubblicità per uscire dalla crisi.

Creativi anti-crisi: arriva l’agenzia di pubblicità di nuova generazione-di Jacopo Orsini-ilmessaggero.it

Uno dei fondatori lo definisce un «aggregatore di capacità». Una struttura leggera, «senza spargimento di costi», in grado di svolgere tutte le attività di comunicazione commerciale. Ma anche un «fornitore di idee» che le aziende potranno poi gestire con la loro struttura di pubblicità. Si chiama Consorzio creativi ed è un nuovo modo di concepire l’agenzia di pubblicità ai tempi della crisi.

«Le aziende hanno grandi difficoltà ad avere rapporti con le agenzie, che con la crisi si sono impoverite e annaspano», dice Marco Ferri, uno dei fondatori di Consorzio creativi. Il ciclone che ha investito l’economia mondiale infatti non ha risparmiato la pubblicità. I grandi marchi hanno tagliato fortemente gli investimenti (-16% nei primi nove mesi dell’anno secondo i dati di Nielsen Media Research) e anche le agenzie sono state costrette a ridurre costi e personale per non soccombere. Da qui l’idea di creare una nuova organizzazione più snella, senza i costi delle grandi holding, con l’ambizione di rivoluzionare il settore.

Il gruppo è composto da una rete di professionisti, tutti con parecchi anni di esperienza alle spalle (con Ferri i fondatori sono Paolo Del Bravo, Fabrizio Sabbatini, Agostino Reggio, Francesca Schiavoni e Paolo Costa). Un desk a Roma, un altro in fase di apertura a Milano. Via le strutture gerarchiche e burocratizzate dei grandi nomi del settore, ecco gruppi di lavoro che si creano intorno ai progetti concordati con le aziende e si sciolgono subito dopo. E attenzione concentrata soprattutto sui settori in via di sviluppo, come le energie rinnovabili.

Ma la crisi, inevitabilmente, dopo aver fatto crollare le vendite, modificherà anche il modo di comunicare e di fare pubblicità. Non capire che il mondo è cambiato, sarebbe rischioso anche per i pubblicitari. «Il nosto compito non è solo riempire di prodotti le case dei consumatori – spiega ancora Ferri -. La comunicazione commerciale deve informare in maniera corretta e non intrattenere trastullando». (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Media e tecnologia Pubblicità e mass media Società e costume

Consumare meno, consumare meglio. La crisi insegna.

(fonte:repubblica.it)
La crisi cambia il consumo e gli italiani fanno di necessita’ virtu’. Guariti dalla smania dell’acquisto i cittadini hanno imparato a comprare meno, meglio e ottenere piu’ soddisfazione dalla spesa “competente”. E, dall’equazione “piu’ consumi uguale piu’ felicita'” si e’ passati alla formula “meno consumo piu’ vivo meglio” (79,7%). Il ritratto del nuovo consumatore e’ stato dipinto dall’Osservatorio sui consumi degli italiani, indagine annuale di Consumers’ Forum, l’associazione che riunisce le maggiori associazioni dei consumatori e le piu’ grandi aziende italiane, curata da Giampaolo Fabris e Ipsos e presentata stamane in occasione del decennale. “I consumatori sono diventati piu’ esperti, chiedono alle aziende piu’ qualita’ e alle associazioni che li rappresentano piu’ presenza”, ha spiegato Sergio Veroli, presidente di Consumers’ Forum. “Il nuovo consumatore e’ per necessita’ piu’ attento a non sprecare, al rapporto prezzo-qualita’ e piu’ responsabile verso l’ambiente. In altri termini, si puo’ definire un consumatore virtuoso”. Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia Lavoro

Il governatore della Banca d’Italia: “Siamo meno sicuri che si stia effettivamente avviando una ripresa duratura, che non poggi solo sul sostegno straordinario delle politiche economiche”.

La crisi rovinosa si è fermata, ma la certezza di una nuova stabilità è ancora lontana. E’ il monito lanciato dal governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, nel corso del suo intervento alla Giornata mondiale del risparmio. “La caduta in cui le nostre economie si stavano avvitando, tra la fine del 2008 e l’inizio di quest’anno – dice il numero uno di via Nazionale – si è fermata. Siamo meno sicuri che si stia effettivamente avviando una ripresa duratura, che non poggi solo sul sostegno straordinario delle politiche economiche”. Anche da qui deriva la necessità, ”urgente”, di riprendere “il cammino delle riforme”.

Draghi diffonde anche cifre poco incoraggianti sul fronte dell’occupazione: in un anno, da settembre 2008 a settembre 2009 – sono stati persi, rivela, 650 mila possti di lavoro. Ed è probabile che negli ultimi mesi del 2009 ci saranno ulteriori perdite. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La crisi morde gli italiani e si mangia i consumi. Se il Governo non cambia politica economica, anche la pubblicità finisce nei guai.

Diminuisce il reddito disponibile lordo delle famiglie italiane, calano il potere d’acquisto, le spese per consumi finali e gli investimenti fissi lordi. Diminuisce anche la propensione al risparmio. È il quadro delineato dall’Istat nell’indagine riferita al secondo trimestre 2009.

Il reddito lordo a disposizione delle famiglie italiane, consumatori e micro-imprese, è calato di 11 miliardi di euro (-1%). Secondo l’Istat insieme al reddito si riduce anche la propensione al risparmio che è scesa dello 0,4% rispetto al trimestre precedente. Nel dettaglio, la propensione al risparmio delle famiglie nel secondo trimestre 2009 è stata pari al 15,2% del reddito lordo, in calo dopo molti trimestri di aumento.

La spesa delle famiglie per consumi finali si è ridotta invece dello 0,5%. Beh. buona giornata.

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Finanza - Economia Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La pubblicità italiana non riesce a uscire dalla quarta crisi.

Secondo Nielsen Media Research da gennaio ad agosto 2009 gli investimenti pubblicitari ammontano a 5.275 milioni di euro con una flessione del -16,4% rispetto al corrispondente periodo del 2008. Ad agosto 2009 verso agosto 2008 la variazione è del -15,8%. A livello di settori merceologici, considerando il periodo cumulato, si registrano: -11,6% per gli Alimentari, -21,9% per le Auto e -5,4% per le Telecomunicazioni.

Unilever, Wind, Vodafone, Telecom It. Mobile, Barilla, Ferrero, L’Oreal, Volkswagen, Procter&Gamble e Fiat Div. Fiat Auto guidano la classifica dei Top Spender nei primi otto mesi del 2009 con investimenti pari 715 milioni di euro, in calo del -13,4% sul corrispondente periodo dell’anno scorso.

La Televisione, considerando i canali generalisti e quelli satellitari (marchi Sky e Fox), mostra una flessione del -13,9% sul periodo cumulato e del -17,7% sul singolo mese.

La Stampa, nel suo complesso, da gennaio ha un calo del -23,9%. I Periodici diminuiscono del -28,8% con l’Abbigliamento a -28,7%, la Cura Persona a -25,7% e l’Abitazione a -29,5%. I Quotidiani a pagamento mostrano una flessione del -20,2% con l’Auto, l’Abbigliamento e la Finanza/Assicurazioni, i tre settori più importanti, che riducono la spesa rispettivamente del -36,9%, del -27,0% e del -32,0%. Sono in controtendenza l’Abitazione che aumenta del +7,7% e il Turismo/Viaggi con il +8,6% sul cumulato e il +17,5% sul mese. A livello di tipologie la Commerciale segna il -23,9%, la Locale il -15,3% e la Rubricata/Di Servizio il -17,7%. In contrazione anche la raccolta dei Quotidiani Free/Pay Press (-27,4%).

La Radio diminuisce del -15,8% in otto mesi e del -1,9% sul singolo mese. Fanno registrare variazioni negative anche: Affissioni (-26,4%), Cinema (-8,3%), Cards (+1,8%) e Direct Mail (-17,3%). Performance positiva invece per Internet che cresce del +6,2% raggiungendo i 371 milioni di euro. Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia Media e tecnologia

“Bisognerebbe non avere ogni giorno sinistra e media che cantano la canzone del disfattismo e del catastrofismo”, Berlusconi dixit.

Il Fondo Monetario Internazionale rivede le stime di crescita per l’Italia. Nel 2009, secondo l’Fmi, l’economia italiana si contrarrà del 5,1% rispetto al -4,4% previsto in aprile. Nel 2010 la contrazione sarà pari ad un -0,1%, a fronte del precedente -0,4% stimato. Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia Lavoro Popoli e politiche

Mentre l’Europa va a destra, l’economia va a fondo.

Quali prospettive per l’economia mondiale? – Economiadi Stefano Sylos Labini – da eticaeconomia.it/megachip.info

Oggi ci troviamo in un momento cruciale nell’evoluzione dell’economia mondiale. Da un lato il sistema capitalistico è precipitato in una gigantesca crisi di sovrapproduzione la quale è scoppiata per effetto del crollo della domanda aggregata.

Dall’altro lato le politiche keynesiane di spesa in deficit, che in questo periodo sono affiancate da una fortissima espansione monetaria attuata dalle Banche Centrali di tutto il mondo, rappresentano nel breve periodo l’unico sistema di intervento in grado di trainare la ripresa della domanda, della produzione e dell’occupazione. Così l’espansione del debito può far crescere il Pil e il gettito fiscale esercitando una spinta verso il contenimento del rapporto tra debito e reddito. La ripresa dell’economia a sua volta è una condizione fondamentale per riattivare il credito bancario e più in generale la creazione di moneta (potere di acquisto) da parte del mercato.

Nel modello di sviluppo che ha prevalso a partire dagli anni di Reagan e della Thatcher (inizio degli anni ’80) e che ci ha fatto precipitare nell’attuale crisi finanziaria ed economica, la crescita dei salari, della spesa sociale e dell’offerta di moneta pubblica (base monetaria) è stata sostituita con un’espansione eclatante dell’indebitamento privato . Così la domanda di beni di consumo, di abitazioni e di attività finanziarie è stata alimentata in larga misura dal credito bancario e da strumenti derivati[1].

Oggi il modello di sviluppo fondato su una crescente divaricazione nella distribuzione della ricchezza mostra tutti i suoi limiti perché l’eccesso di indebitamento privato può avere degli effetti nefasti nel momento in cui la crescita dell’economia tende a rallentare, si creano delle aspettative negative ed inizia a ridursi il prezzo degli immobili e delle azioni che garantivano i debiti privati. Nel settembre del 2008 tali fenomeni hanno provocato il crollo della fiducia nella capacità di rispettare gli impegni di pagamento e la paralisi del credito bancario all’economia. Si è determinata così una violentissima restrizione monetaria che ha prodotto un’enorme vuoto di domanda e quindi la caduta della produzione e dell’occupazione.

Si tratta perciò di rivedere il modello di sviluppo che si è imposto negli ultimi 30 anni perché senza un nuovo consumatore che prenda il posto del consumatore americano iper-indebitato, il mondo rischia di andare incontro ad un periodo prolungato di rallentamento economico.

In altri termini, la crisi che il mondo attraversa non è ciclica ma strutturale ed è legata all’eccessiva dipendenza dal consumatore americano. Il pianeta ha bisogno di maggior consumo in India, Cina ed Europa altrimenti, sarà difficile che ci sia una domanda adeguata in grado di assorbire le enormi potenzialità produttive che oggi esistono nei paesi avanzati e nei paesi di recente industrializzazione come Cina e India. E una maggiore domanda la si può ottenere solo puntando sull’espansione dell’occupazione e sulla crescita dei salari di centinaia di milioni di persone. Ciò significa che gli interventi pubblici attuati nel breve periodo vanno accompagnati con politiche per la redistribuzione del reddito che si devono fondare su una decisa lotta all’evasione fiscale e su una maggiore tassazione dei redditi alti, dei beni patrimoniali e delle attività finanziarie.

Nei paesi avanzati la creazione di occupazione e l’aumento dei salari rappresentano delle condizioni fondamentali non solo per il sostegno dei consumi, ma anche per la riduzione del lavoro precario e per eventuali riforme volte ad innalzare l’età pensionabile. Quest’ultima è una richiesta che proviene in primo luogo dalle Associazioni degli Industriali, le quali durante le fasi di crisi si comportano esattamente al contrario poiché ricorrono alla cassa integrazione e ai pensionamenti anticipati delle unità di lavoro più anziane con i livelli retributivi più alti.

L’eccesso di offerta in rapporto alla domanda e la disponibilità di forza lavoro abbondante e a basso costo a livello mondiale hanno determinato la continua perdita di forza contrattuale dei lavoratori sul piano economico e la crisi delle forze di sinistra sul piano politico. I salari dei lavoratori dei paesi avanzati con il procedere della globalizzazione e con la comparsa di nuove aree produttive sulla scena mondiale hanno subito una concorrenza fortissima da parte dei lavoratori immigrati a basso costo in patria e dei prodotti a basso costo realizzati nei paesi in via di sviluppo. A questo si aggiunge una tendenza verso la frantumazione delle attività produttive determinata dai fenomeni di esternalizzazione e del sub-appalto oltre ad un abnorme espansione del lavoro precario e ad un aumento rilevante della disoccupazione. Per tali motivi oggi è molto difficile mettere in pratica politiche redistributive in grado di far crescere i redditi più bassi nei paesi avanzati.

Per cercare di rompere questa situazione negativa la prima cosa da fare sarebbe quella di creare un salario minimo al di sotto del quale non si può scendere. E’ vero che questo intervento potrebbe determinare il ricorso al lavoro nero, per questo il salario minimo deve essere composto da una quota che viene pagata dall’impresa a cui si aggiunge una quota che deve essere corrisposta dallo Stato sottoforma di affitti agevolati, tariffe elettriche, telefoniche e del gas scontate, detassazioni sui beni di prima necessità, servizi a prezzo sociale (scuola, spese mediche, ecc.).

Ma come fare se i paesi avanzati hanno un deficit pubblico e delle spese per interessi sul debito molto elevate ? Probabilmente un intervento di sostegno potrebbe essere effettuato attraverso la creazione di base monetaria per assorbire quote rilevanti di debito pubblico. Ciò significa che anche le Banche Centrali dovrebbero svolgere un ruolo attivo nello sviluppo dell’economia, un ruolo che non deve essere solo difensivo e rivolto principalmente a sostenere il sistema bancario come sta avvenendo nel periodo attuale. Come abbiamo visto, in questi mesi la Federal Reserve ha prodotto un’eclatante espansione della base monetaria per cercare di arginare il crollo della domanda, della produzione e dell’occupazione e per evitare il fallimento di gran parte del sistema finanziario americano. E allora perché gli interventi delle Banche Centrali devono essere limitati solo ai periodi di crisi violenta e non devono proseguire sino a che non si raggiungono livelli di piena occupazione e di salari dignitosi per tutti ?

Secondo le concezioni dominanti una tale linea di intervento alimenterebbe l’inflazione, ma se i salari corrisposti dalle imprese crescono con la stessa velocità della produttività non si produce alcuna tensione sui prezzi al consumo, e se esiste capacità produttiva inutilizzata difficilmente si avrà un eccesso di domanda sulla produzione. In effetti oggi l’unico rischio di inflazione proviene dalla crescita del prezzo del petrolio per un aumento troppo rapido dei consumi rispetto all’offerta, per le tensioni geopolitiche e per i fenomeni di speculazione finanziaria. La possibilità di scongiurare l’“inflazione da petrolio” dipende in primo luogo dalla capacità del pianeta di riuscire a sviluppare nel lungo periodo fonti energetiche diverse rispetto ai combustibili fossili. Cioè dipende dalle strategie di politica energetica e industriale che saranno perseguite per aumentare le spese in ricerca, gli investimenti e la produzione di nuove tecnologie energetiche.

Accanto ad un sostegno immediato dei salari e delle fasce sociali più deboli, è augurabile anche un intervento per la creazione di occupazione attraverso grandi progetti tecnologici e infrastrutturali, come sta già avvenendo negli Stati Uniti. In Europa questi progetti potrebbero essere finanziati con gli “eurobonds”. La riduzione della disoccupazione oltre ad alimentare i consumi permetterebbe di far ottenere ai lavoratori un maggiore potere contrattuale e quindi consentirebbe di portare avanti politiche incisive per la redistribuzione del reddito, condizione fondamentale per garantire uno sviluppo sostenibile nel lungo periodo.

Inoltre, è necessario che il settore bancario, in cui vi sono gigantesche concentrazioni di potere, sia messo sotto un controllo politico e sociale molto più stringente di quanto possano fare oggi le autorità antitrust e gli organismi di regolazione internazionali proprio per canalizzare le risorse finanziarie verso gli investimenti produttivi e le spese sociali.

Per concludere, i paesi avanzati hanno altre grandi responsabilità oltre a quelle di offrire salari dignitosi e un’occupazione per tutti i cittadini residenti nei propri territori. Come detto, devono trainare una rivoluzione energetica per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e l’impatto ambientale della produzione e dei consumi sul clima del pianeta. Inoltre, è nell’interesse dei paesi avanzati promuovere lo sviluppo dei paesi poveri. Si tratta di decisioni non più rinviabili per ridurre i fenomeni migratori che stanno mettendo sempre più a rischio la coesione sociale nei paesi avanzati e che non sono moralmente accettabili per le popolazioni povere le quali vengono sradicate dai loro territori e sono costrette ad emigrare in ambienti ostili con dei costi umani altissimi. (Beh, buona giornata).

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[1] E’ importante sottolineare che l’enorme espansione della massa monetaria creata dal mercato sino alla crisi di settembre del 2008 non ha determinato una crescita significativa dei prezzi dei beni di consumo, mentre ha alimentato l’inflazione dei prezzi degli immobili e delle quotazioni azionarie. L’inflazione immobiliare e finanziaria a sua volta attraeva masse sempre più grandi di capitali in questi settori finché i prezzi non hanno iniziato a diminuire.

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Crisi economica globale: a picco gli indici della fiducia dei consumatori in tutto il mondo.

(fonte: advexpress.it)

Negli ultimi sei mesi, la fiducia dei consumatori a livello globale è precipitata ad un minimo record, perdendo sette punti, da 84 a 77, secondo il “Nielsen Global Consumer Confidence Index”. L’ultima indagine Nielsen sulla fiducia dei consumatori a livello globale, condotta ad aprile 2009 in 50 Paesi, ha mostrato che i mercati emergenti di Russia, EAU (Emirati Arabi Uniti) e Brasile hanno accusato un enorme calo di fiducia da parte dei consumatori negli ultimi sei mesi a causa della svalutazione monetaria, dell’indebolimento dei mercati di esportazione e della caduta dei prezzi delle merci a livello globale.

“Mentre l’Europa e i mercati sviluppati hanno visto precipitare drammaticamente la fiducia dei consumatori tra maggio e ottobre 2008, i mercati emergenti di Russia e America Latina hanno accusato maggiormente il colpo negli ultimi mesi”, ha dichiarato James Russo, Vice President, Global Consumer Insights, The Nielsen Company. In Russia la fiducia dei consumatori è scesa di 29 punti (arrivando a 75 punti rispetto ai 104 di settembre ’08), dando prova del maggior calo registrato da Nielsen a livello globale. Nei principali mercati emergenti invece la fiducia di EAU e Brasile è scesa di 21 punti. L’America Latina ha dimostrato il maggior calo di fiducia dei consumatori, con una diminuzione di 15 punti (da 97 a 82), mentre in Europa e Asia-Pacifico è scesa in entrambi i casi di sette punti.

“Sei mesi fa, mentre i mercati sviluppati procedevano spediti verso l’epicentro di una recessione globale, l’America Latina rappresentava l’area geografica più ottimista del mondo – tuttavia i lunghi tentacoli della recessione globale non hanno tardato a raggiungerla”, ha aggiunto Russo. Secondo l’indagine Nielsen, la fiducia dei consumatori in Brasile è scesa da 108 a 87 punti, mentre in Argentina è scesa da 94 a 78 punti. “Sebbene sia improbabile che gli effetti della crisi globale abbiano un impatto sui consumatori dei paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) e Latam (America Latina) simile a quello registrato nei paesi sviluppati, questi mercati stanno attualmente sperimentando un notevole rallentamento rispetto al boom e alla crescita degli ultimi anni”, ha affermato Russo.

“Verso la fine dello scorso anno, i consumatori russi hanno assunto un atteggiamento di ‘attesa’ nei confronti della difficile situazione economica globale, che da allora ha intrapreso un’inesorabile oscillazione verso il basso. La continua riduzione del prezzo del petrolio, la svalutazione monetaria e il rallentamento locale verificatosi in diversi settori hanno riportato alla memoria la crisi russa del 1998”, ha aggiunto Dwight Watson, Managing Director, The Nielsen Company, Russia.

L’Indonesia è in testa alla classifica Nielsen della fiducia dei consumatori a livello globale con 104 punti, seguita dalla Danimarca (102 punti) e dall’India (99 punti). I Paesi più pessimisti a livello mondiale secondo l’indice Nielsen sono la Corea (31 punti), seguita da Portogallo e Lettonia con 48 punti. La fiducia è precipitata in 49 Paesi su 50 – Taiwan è stato l’unico Paese a contrastare la tendenza globale, rialzando l’indice da 60 a 63 punti, ma pur sempre 14 punti sotto la media globale.

“Comunicazioni quotidiane di tagli di posti di lavoro e di calo dei profitti aziendali, fallimenti e pignoramenti, riduzione delle previsioni di PIL e di produzione hanno contribuito a diminuire la fiducia e il potere d’acquisto dei consumatori, portandoli ai livelli minimi dal dopoguerra. Negli ultimi sei mesi, la fiducia dei consumatori in Medio Oriente, Africa e Nord America è diminuita rispettivamente di due e tre punti. Tuttavia, l’assenza di un’ulteriore diminuzione della fiducia dei consumatori nordamericani potrebbe dar prova dei primi cauti segnali di speranza che la recessione stia finalmente per giungere al termine.” ha dichiarato Russo.

“I risultati che stiamo osservando secondo l’ultimo indice Nielsen della fiducia dei consumatori indicano che siamo giunti, o che stiamo per giungere, verso la fine di questo ciclo economico. In particolare negli Stati Uniti, dove si stanno chiaramente ritoccando spese e risparmi e dove il 40% dei consumatori dichiara di aver quasi terminato di pagare i debiti e di iniziare a risparmiare, si sta sviluppando un atteggiamento di ottimismo dovuto alla percezione del fatto che la fine del tunnel sia vicina, e quasi il 20% prevede una ripresa entro i prossimi 12 mesi”, ha commentato Russo.

L’Europa rimane l’area geografica più pessimista con 70 punti, sette sotto la media globale; chiara indicazione del fatto che la ripresa economica in Europa avrà luogo più lentamente. Secondo l’indagine Nielsen, il 77% dei consumatori online ritiene che la propria economia sia in recessione, rispetto al 63% di sei mesi fa.

“In generale, i consumatori hanno attraversato un periodo difficile alla fine del 2008 e si sono preparati ad affrontare un periodo altrettanto arduo nella prima metà del 2009, cosa che sta puntualmente accadendo. L’unica eccezione a livello globale è la Cina, dove il 65% dei consumatori su internet non ritiene che la propria economia sia in recessione”, ha dichiarato Russo.

Tra i consumatori online a livello globale che ritengono di essere attualmente in recessione, il 52% dichiara di essersi preparato ad una recessione globale che durerà 12 mesi o più. “Un consumatore su due non è in attesa di un miracolo per una rapida ripresa; probabilmente il miglior approccio auspicabile è di rimanere fermi ma stabili”, ha dichiarato Russo. Tuttavia, non tutti sono preparati a sopportare una recessione prolungata – alcuni consumatori stanno già pianificando il loro party post-recessione. Tra i recessionisti attuali, quasi un consumatore online su cinque (23%) ritiene che il proprio Paese uscirà dalla recessione entro i prossimi 12 mesi; tale classifica è capeggiata da vietnamiti (60%) e indiani (56%).

Due consumatori danesi e olandesi su cinque ritengono anch’essi di uscire dalla recessione entro un anno, insieme ad un consumatore su tre con sede in Austria, Svezia, Norvegia, Russia, Indonesia, Israele, Messico e EAU.

Mentre la fiducia dei consumatori a livello globale è precipitata ad un nuovo livello minimo, la paura della disoccupazione e l’incertezza del lavoro hanno raggiunto massimi storici. La certezza del lavoro è stata menzionata come principale preoccupazione tra i consumatori su internet in 31 dei 50 Paesi oggetto dell’indagine. La preoccupazione globale relativa alla certezza del lavoro è salita al 22% rispetto al 9% rilevato in occasione dell’ultima indagine.

“Per la prima volta in questa ricerca, il posto di lavoro è diventato una delle preoccupazioni principali della vita”, ha affermato Russo. Sei mesi fa i consumatori globali menzionavano l’economia e l’equilibrio tra vita privata e vita professionale tra le principali preoccupazioni, ma a seguito del peggioramento delle condizioni economiche, le priorità dei consumatori sono cambiate rapidamente”, ha dichiarato Russo.

“Dato il numero record di licenziamenti per esubero a livello globale in tutti i settori, la preoccupazione economica e quella sulla certezza del lavoro hanno superato ogni altra preoccupazione della vita quotidiana”, ha affermato Russo. I consumatori che hanno indicato il lavoro quale preoccupazione principale nella vita quotidiana sono situati in Cina (29%), Hong Kong (33%), India (29%), Singapore (32%), Vietnam (36%), Italia (24%), Spagna (34%), Ungheria (31%) e Messico (29%). “Questi numeri riflettono il livello di crescente preoccupazione a fronte di un mercato del lavoro in crisi in tutte le aree geografiche”, ha continuato Russo. L’incertezza del lavoro rimane una preoccupazione anche per il prossimo futuro. Un consumatore globale su cinque (26%) ha delineato prospettive di lavoro negative per i prossimi 12 mesi rispetto al 17% del mese di ottobre 2008. (Beh, buona giornata).

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Duemilioni di lavoratori senza tutele: “Sarebbe stato bello se, nello studio di “Porta a porta” o in quello di “Radio anch’io”, qualcuno avesse sollevato qualche obiezione al presidente del Consiglio, e gli avesse fatto notare l’inconsistenza dei suoi seducenti “annunci” e l’incongruenza delle sue sedicenti “verità”.

Welfare, le bugie del governo, senza tutele 2 milioni di lavoratori di MASSIMO GIANNINI-Repubblica.it

NELL’archetipo berlusconiano, il “principio della realtà immaginata” è il cuore della politica. La propaganda non lascia spazio alla verità e alla responsabilità. Neanche su una frontiera dolorosa, come la vita agra dei disoccupati e dei precari.

Tutto si gioca sempre e soltanto sulla manipolazione semantica del reale e nella rimozione psicologica dei fatti. Nella “realtà immaginata” dal Cavaliere, dunque, l’Italia è il Paese che “resiste meglio di tutti gli altri alla crisi”. E’ la patria dell’equità sociale, dove un magnifico Welfare “copre tutti quelli che ne hanno bisogno” e dove un governo magnanimo “non lascia indietro nessuno”.

Da almeno due giorni Silvio Berlusconi va ripetendo queste clamorose bugie dai microfoni del servizio pubblico radiotelevisivo. Aveva cominciato due sere fa nel solito salotto di Bruno Vespa, smerciando agli italiani le “meraviglie” del nostro sistema di ammortizzatori sociali, debitamente rimpinguati dal centrodestra, al punto di garantire “a tutti, ma proprio a tutti”, una degna protezione.

Ha continuato ieri mattina nel felpato studio di “Radio anch’io”, smentendo il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, “colpevole” di aver sostenuto l’esatto contrario solo sette giorni fa. “La sua informazione sui precari – lo ha accusato – non corrisponde alle cose che emergono dalla nostra conoscenza della società italiana”. Un concetto un po’ oscuro nella forma, ma chiarissimo nella sostanza: non credete alla realtà empirica descritta da Draghi, europessimista e antitaliano, ma credete alla “realtà immaginata” che vi racconto io, superottimista e salvatore della Patria.

Solo una settimana fa il premier, compiaciuto, aveva definito “berlusconiane” le “Considerazioni finali” del governatore. Se le aveva lette, mentiva allora. Se non le ha lette, sta mentendo adesso. Basta ricostruire i fatti, per svelare la frottola scandalosa pronunciata sulla pelle dei veri “invisibili” (i reietti del lavoro) e per far cadere ancora una volta la maschera circense indossata dal Cavaliere (qui, come sul Casoria-gate o sul dopo-terremoto).

A “Porta a porta” Berlusconi ha dichiarato: “Oggi come mai i cittadini pensano che lo Stato è vicino. Non ho notizia di qualcuno che dica “abbiamo fame”… Abbiamo, ed è già operativo, accorciato le pratiche per la cassa integrazione, e tutti coloro che perdono il lavoro hanno il sostegno dello Stato. Copriamo fino all’80% dell’ultimo stipendio, ma la gente che segue anche dei corsi può arrivare quasi al 100% dell’ultimo stipendio… I “co. co. pro.” possono avere una percentuale rispetto a quello che hanno introitato rispetto all’anno precedente… Ne ho parlato con il ministro Sacconi, ed è tutto già operativo”.

Delle due l’una. O il presidente del Consiglio non sa di cosa parla. O specula politicamente sulla vita della povera gente. E non lo dicono i pericolosi “bolscevichi” del Pd. Lo ha detto, appunto, il governatore di Bankitalia: “Il nostro tasso di povertà relativa è molto superiore alla media di Eurolandia: 20%, contro il 16% dei nostri partner. Il nostro sistema di protezione sociale rimane frammentato. Lavoratori identici ricevono trattamenti diversi solo perché operano in un’impresa artigiana invece che in una più grande. Si stima che 1,6 milioni di lavoratori dipendenti e parasubordinati non abbiano diritto ad alcun sostegno in caso di licenziamento. Tra i lavoratori a tempo pieno del settore privato oltre 800 mila, l’8% dei potenziali beneficiari, hanno diritto a un’indennità inferiore ai 500 euro al mese… La Cassa integrazione ordinaria è stata diffusamente usata… la sua copertura potenziale è tuttavia limitata – interessa un terzo dell’occupazione dipendente privata – e fornisce al lavoratore un’indennità massima inferiore, in un mese, alla metà della retribuzione media dell’industria… Per oltre 2 milioni di lavoratori temporanei il contratto giunge a termine nel corso di quest’anno. Più del 40% è nei servizi privati, quasi il 20 nel settore pubblico. Il 38% è nel Mezzogiorno”.

Così stanno le cose nel Paese reale, fuori dal mondo virtuale immaginato da Berlusconi. Perché non è poi così difficile stabilire chi stia mentendo, tra un premier che alla vigilia del voto europeo chiede al “suo” popolo di rinnovare e rafforzare il plebiscito, e un’istituzione neutrale e autorevole come la Banca d’Italia che non chiede niente a nessuno ma esige solo ascolto e rispetto.

Per averne conferma basta interrogare un po’ più a fondo il ministro del Welfare. Chi ha ragione, tra Berlusconi e Draghi? “A modo loro – è la sorprendente risposta di Maurizio Sacconi – possono avere detto tutti e due una cosa vera. Noi abbiamo esteso a tutti i lavoratori subordinati, “potenzialmente”, quella protezione del reddito che oggi, in assenza di queste misure straordinarie, sarebbe limitata solo a una parte dei lavoratori dipendenti: a quelli delle industrie sopra i 15 dipendenti, a una piccola parte del terziario. E questa operazione, da 32 milioni di euro nel biennio 2009-2010, “potenzialmente” copre tutti i lavoratori subordinati, anche quelli con contratti a termine, apprendisti o lavoratori interinali…”.

Il problema è capire cosa significhi quel “potenzialmente”, ripetuto due volte dal ministro. “Si tratta di vedere se il lavoratore ha maturato i requisiti di accesso – è la sua risposta – non si può accedere ai sussidi avendo lavorato solo un giorno. Da sempre, con unanime consenso delle forze politiche e sociali, il sussidio dev’essere responsabilmente gestito sulla base di un periodo già lavorato. Non a caso noi non proteggiamo un giovane in attesa della prima occupazione. Dobbiamo dargli servizi, opportunità di apprendimento, di congiunzione tra la scuola e lavoro, non certo un salario garantito…”. E dunque, per quanti lavoratori la coperta del nostro Welfare sarà inevitabilmente corta, tanto da lasciarli del tutto scoperti? “E’ impossibile dirlo”, conclude Sacconi.

Detto altrimenti: nell’irrealtà berlusconiana tutti sono “potenzialmente” coperti. Nel realtà italiana molti sono “concretamente” scoperti. Quanti siano gli uni e gli altri, in ogni caso, il governo non lo sa. Sacconi, che è persona onesta, ha almeno il coraggio di riconoscerlo. Il Cavaliere, cui manca il pregio minimo della “dissimulazione onesta”, spergiura il suo “tutti”, e la chiude lì. Lo dice Lui, dunque va creduto a prescindere.

Sarebbe stato bello se, nello studio di “Porta a porta” o in quello di “Radio anch’io”, qualcuno avesse sollevato qualche obiezione al presidente del Consiglio, e gli avesse fatto notare l’inconsistenza dei suoi seducenti “annunci” e l’incongruenza delle sue sedicenti “verità”. Ma ancora una volta, in quelle “dependance” mass-mediatiche di Palazzo Grazioli è risuonato solo il Verbo del Cavaliere. L'”irresponsabilità delle parole”, secondo Max Weber, coniugata all'”inverificabilità degli eventi”, secondo Karl Popper. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Lavoro Società e costume

La crisi e gli italiani: e pensare che la pubblicità diceva che la vita comincia a 50 anni.

La crisi ha colpito anche le categorie di lavoratori che sembravano più garantite
Dal 1995 per la prima volta la crescita dei senza lavoro supera quella degli occupati
Maschio, sposato, di mezza età
Per l’Istat è il “nuovo disoccupato”
Dal Rapporto Annuale emerge anche una maggiore vulnerabilità degli immigrati
Un milione e mezzo di famiglie ha gravi difficoltà per il cibo, i vestiti e il riscaldamento
di ROSARIA AMATO-repubblica.it

Aumentati nel 2008 i disoccupati maschi tra i 35 e i 54 anni

ROMA – Tra i 35 e i 54 anni, maschio, residente al Centro-Nord, con un livello di istruzione non superiore alla licenza secondaria, coniugato o convivente, ex titolare di un contratto a tempo indeterminato nell’industria. E’ il “nuovo disoccupato”, secondo la descrizione che ne fa il Rapporto Annuale dell’Istat. Perché la crisi non ha prodotto solo disoccupati ‘di lusso’ come i manager, non si è accanita solo sulle categorie da sempre in Italia ai margini del mercato del lavoro: i meridionali, i giovani, i precari, le donne. La novità della crisi è che a perdere il lavoro sono “i padri di famiglia”, le figure di riferimento, che magari portavano a casa stipendi mediocri, ma tali comunque da permettere ad altre persone (moglie, convivente, figli o altri parenti) di condurre un’esistenza dignitosa.

Più disoccupati anche tra gli stranieri. La crisi non ha risparmiato neanche gli stranieri, e anche in questo caso, i più colpiti sono stati gli uomini di età media: “L’andamento dell’ultimo anno – si legge nel Rapporto – segnala un forte calo delle donne disoccupate con responsabilità familiari, soprattutto di quelle con figli, arrivate a incidere non più del 70 per cento a fronte del 78 per cento di tre anni prima. Al contrario, gli effetti della crisi sembrano aver investito i loro coniugi/conviventi uomini, la cui incidenza è invece aumentata in maniera significativa, specie negli ultimi tre trimestri”.

Va peggio alla fascia 40-49 anni. Tanto che nel quarto trimestre del 2008 la quota dei disoccupati stranieri arriva a superare il 10 per cento del totale dei senza lavoro, contro il 6,1 per cento del primo trimestre del 2005. “In particolare – rileva l’Istat – gli stranieri tra i 40 e i 49 anni accusano più degli altri gli effetti della fase recessiva, e spiegano circa il 50 per cento dell’incremento della disoccupazione maschile”.

Il deterioramento del mercato. Dunque i due fenomeni sono collegati. I maschi adulti con carichi familiari, italiani o stranieri, sono diventati i più vulnerabili in una situazione di generale peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro: infatti nel 2008, per la prima volta dal 1995, la crescita degli occupati (183.000 unità) è inferiore a quella dei disoccupati (186.000 unità).

La disoccupazione si fa adulta. Perdono il lavoro i titolari di un contratto a termine, o atipico. Ma vengono licenziati anche i titolari di un contratto a tempo indeterminato ( 32 per cento nel 2008). In dettaglio, questa l’analisi dell’Istat: “Un disoccupato su quattro ha un’età compresa tra i 35 e i 44 anni, mentre l’aumento delle persone tra 35 e 54 anni spiega quasi i due terzi dell’incremento totale della disoccupazione. Si è passati nel tempo da una disoccupazione da inserimento, essenzialmente concentrata nei giovani con meno di 30 anni fino alla metà degli anni Novanta, a una sempre più adulta. Nel corso del 2008 questa tendenza ha accelerato”.

Più ‘padri’ atipici o precari. La crisi ha colpito di più le famiglie con figli, a loro volta vittime di un mercato del lavoro che più che mai li respinge (il tasso di occupazione dei ‘figli’, pari al 42,9 per cento, nel 2008 è sceso di sette decimi di punto rispetto al 2007). E allora, accanto alla disoccupazione dei ‘padri’, si registra un peggioramento del tipo di lavoro. “Tra il 2007 e il 2008 i padri con un’occupazione part time, a termine o con una collaborazione sono 17.000 in più; quelli con un’occupazione ‘standard’ 107.000 in meno”: cioè tra i tanti che vengono licenziati, qualcuno riesce a riciclarsi con un lavoro precario. Tra padri e figli, i più colpiti sono quelli meno istruiti, che al massimo hanno un diploma di scuola media superiore.

Le famiglie che non arrivano a fine mese. La diminuzione o il venir meno dei redditi da lavoro produce povertà. L’Istat individua circa un milione e 500.000 famiglie (il 6,3 per cento del totale) che arrivano alla fine del mese “con grande difficoltà” e che, nell’81,1 per cento dei casi, dichiarano di non essere in grado di affrontare una spesa imprevista di 700 euro. In questo gruppo ci sono le famiglie indietro con il pagamento delle bollette, che non possono permettersi di riscaldare adeguatamente l’abitazione (45,8 per cento). Hanno difficoltà ad acquistare vestiti (62,9 per cento) o ad affrontare le spese per malattie (46,6 per cento). In genere le famiglie di questo gruppo contano su un unico percettore di reddito con un livello di istruzione non superiore alla licenza media, di età inferiore ai 45 anni. Ci sono poi 1,3 milioni di famiglie che hanno difficoltà leggermente inferiori, ma che spesso, a causa dei redditi bassi (nella maggior parte dei casi possono contare su un unico percettore di reddito che ha la licenza media inferiore), hanno difficoltà nei pagamenti, nell’acquisto di alimenti e vestiti, e anche nel riscaldamento della casa.

Le famiglie ‘agiate’ sono 10 milioni. All’altro estremo si collocano le famiglie agiate: 1,5 milioni che arrivano alla fine del mese “con facilità o con molta facilità”, 8,6 milioni che lamentano solo qualche difficoltà sporadica, “imputabile più allo stile di consumo che a vincoli di bilancio stringenti”. Abitano soprattutto al Nord, con una prevalenza di residenti in Trentino Alto Adige e in Valle d’Aosta.

Le famiglie con difficoltà relative. Al centro si collocano le famiglie che non hanno difficoltà economiche eccessive, ma che non risparmiano (spesso si tratta di anziani); le famiglie giovani gravate da un mutuo per la casa, che assorbe una parte più che consistente del reddito disponibile; e infine le famiglie cosiddette ‘vulnerabili’. Si tratta di 2,5 milioni di famiglie, il 10,4 per cento del totale: sono a basso reddito, una parte ha una casa di proprietà, una parte vive in affitto. La loro vulnerabilità è data dal fatto che contano su un solo percettore di reddito, che nel 41,4 per cento dei casi ha preso soltanto la licenza elementare. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia

L’Istat smentisce chi dice che la crisi sta passando.

Gli ordinativi dell’industria italiana a marzo hanno registrato un calo del 26% rispetto a marzo 2008 e del 2,7% rispetto a febbraio 2009, comunica l’Istat. Nel settore auto, informa sempre l’istituto di statistica, il fatturato dell’industria a marzo è diminuito del 27,9% rispetto a marzo 2008, mentre gli ordinativi sono calati del 19%.

La flessione degli ordinativi è stata determinata dalla domanda estera con una contrazione del 9,4% mentre gli ordini domestici mostrano una crescita dell’1%. Al contrario il fatturato estero a marzo sale dello 0,1% e quello domstico accusa un calo dell’1,3%. Nel complesso il primo trimestre dell’anno evidenzia rispetto al precedente un calo del 9,9% per gli ordinativi e per il fatturato.

A marzo, a livello settoriale, i mezzi di trasporto accusano un calo del fatturato del 36,4% sul marzo del 2008 mentre gli ordinativi mostrano una contrazione del 30%. Per il fatturato le flessioni più contenute per la farmaceutica (-6,3%), estrazione minerali (-2,2%), alimentari (-2,7%). Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia

Joseph Stiglitz: alla domanda “come sarà il mondo una volta usciti dalla crisi?”, io non posso che rispondere che non lo so, perché ciò che ancora non conosciamo esattamente è l’intensità e la profondità delle ripercussioni della crisi sulle banche.

«Il gigantismo bancario ha intaccato il modello Usa» -sole24ore.com
Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia nel 2001 insieme a George Akerlof e Michael Spence, è considerato uno dei fondatori dell’economia dell’informazione grazie ai suoi studi sulle “asimmetrie informative”. Ma è anche una “voce fuori dal coro” nel mondo degli economisti, oltre che un intellettuale impegnato (ieri era alla Luiss di Roma per stilare insieme al gruppo di esperti di fama mondiale dello Shadow Gn una serie di raccomandazioni da presentare al prossimo G-8 dell’Aquila). E se gli si chiede un’analisi sulla «Lezione per il futuro» di Guido Tabellini pubblicata ieri, risponde di avere un gran timore che finiscano con il prevalere quelli che vorrebbero semplicemente il ripristino dello statu quo ante. Crisi di sistema o incidente temporaneo? «Intanto – precisa – non sappiamo ancora se sia davvero terminata la parte peggiore della tempesta finanziaria, quella che si è scatenata il 15 settembre 2008, con il fallimento di Lehman. E in ogni caso, dopo l’attuale turmoil, ritengo che dovremo fare i conti con un lungo periodo di crescita dell’economia reale nel mondo e in particolare negli Stati Uniti, piuttosto debole. Dunque, se dobbiamo provare a immaginare come sarà il dopo, dobbiamo parlare di quel che accadrà fra cinque o sei anni».

Un lungo tunnel, quindi. Che cosa troviamo all’uscita?
Ci sono cose di cui possiamo essere già ragionevolmente sicuri, ma ce ne sono anche molte altre ancora avvolte nell’incertezza. Sono convinto, ad esempio, che si verificherà in una certa misura un ribilanciamento del potere economico globale. Certamente il modello americano non sarà più considerato con la stessa deferenza del passato. Ci sarà una maggiore “contestabilità”, ci sarà più dibattito su quale sia il miglior modello economico, ad esempio all’interno dei paesi in via di sviluppo. Ma anche in Europa, prima, negli anni 90, molti dicevano: dobbiamo imitare tout court l’America se vogliamo avere successo. Penso che già oggi in questi termini non si esprima più nessuno. Adesso si dice: dobbiamo capire come si fa a produrre le grandi innovazioni che hanno introdotto gli Usa, evitando, però, i loro errori.

Già, che cosa è andato storto, a suo parere?
Ovviamente, è questo è già stato messo sotto la lente d’ingrandimento, ci sono state cose che non hanno funzionato nella normativa finanziaria e nella politica monetaria. Nel campo della regulation, oggi sappiamo che per funzionare deve essere onnicomprensiva e abbracciare l’intero sistema bancario e finanziario. Conosciamo, ormai, i guasti prodotti dall’eccesso d’ingegneria contabile, come l’enorme mole di transazioni finanziarie avvenute fuori dai bilanci. Sappiamo che sono stati concessi forti incentivi a comportamenti sbagliati. Sappiamo che l’era delle cartolarizzazioni ha finito con l’introdurre nuove asimmetrie informative. Poi, ci sono interrogativi più profondi, sul perché si sia creato un problema di domanda aggregata globale, oppure perché le Banche centrali abbiano adottato politiche monetarie così carenti. Insomma, per valutare la profondità di questa crisi bisogna considerare sia il funzionamento delle forze economiche, sia quali sono state le carenze di tipo intellettuale e culturale. In ogni caso, oggi negli Stati Uniti ci sono molti soggetti appartenenti alla comunità finanziaria, che vorrebbero con tutte le loro forze tornare allo statu quo ante, al mondo com’era prima del 2007 per avere lo stesso sistema finanziario, eccettuati i collassi e i fallimenti.

A chi si riferisce?
Mi riferisco a quelle grandi, grandissime banche, di cui si pensava che fossero troppo grandi per fallire; il loro gigantismo è una delle cause principali della crisi. Ma il modo nel quale hanno agito sia Obama, sia Paulson, con i rispettivi piani finanziari, in fin dei conti attraverso il consolidamento creditizio non fa che accrescere ancora queste istituzioni finanziarie, nel momento in cui le ristruttura. In altri termini, io non vedo ancora proposte serie di riforma della struttura finanziaria, ma solo una serie d’interventi cosmetici, perché le banche resistono con forza al cambiamento e non hanno la benché minima intenzione di lasciarsi ridimensionare. In sostanza, nonostante i loro fallimenti, le grandi banche continuano a esercitare una forte influenza politica negli Stati Uniti e hanno il potere di fermare il processo di riforma delle regole. In definitiva, alla domanda “come sarà il mondo una volta usciti dalla crisi?”, io non posso che rispondere che non lo so, perché ciò che ancora non conosciamo esattamente è l’intensità e la profondità delle ripercussioni della crisi sulle banche. L’area dell’incertezza è qui. (Beh, buona giornata).

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