Categorie
business Marketing Media e tecnologia Politica Pubblicità e mass media

3DNews/Santoro e la menopausa dell’Auditel.

20111127-224725.jpg
di Giulio Gargia
4 volte su 4. Se è una coincidenza, allora si tratta davvero di sfortuna nera. Per 4 settimane, tutte quelle di novembre, l’Auditel ha fornito in ritardo i dati del giovedì . Giorno in cui, dal l 4 novembre, va in onda il nuovo programma di Michele Santoro, con una formula che evidentemente mette a dura prova le capacità del servizio di rilevazione degli ascolti. Che a furia di ritardi del ciclo – di rilevazione – rischia di andare in menopausa.

“Anche oggi i dati dell`Auditel arriveranno in ritardo, formalmente a causa di `un problema tecnico`. Si tratta di un fatto allarmante, guarda caso ancora una volta in coincidenza con una puntata di Servizio Pubblico, il programma di Michele Santoro”. Così dichiarava giovedì scorso Flavia Perina, deputata Fli e membro della Vigilanza.

“A questo punto è innegabile ritenere l`Auditel un sistema obsoleto di rilevazione dei dati d`ascolto, che non tiene conto delle nuove modalità di fruizione dei prodotti televisivi. E diventa anche lecito pensare che forse una parte dei soci di maggioranza del consorzio, Rai e Mediaset in particolare, temono l`effetto Santoro”, concludeva la Perina. Che risolleva così uno dei problemi basilari della Tv : ma l’Auditel è attendibile ? Ora, senza entrare nel merito dei problemi che – secondo chi scrive e tanti altri – NON rendono tali i suoi dati, vogliamo ricordare che ogni volta che si presenta un nuovo network sulla scena TV, i suoi rapporti con l’istituto di via Larga non sono mai tranquilli. E’ successo con La7 ai tempi del mancato lancio del “terzo polo”, quando furono disdetti contratti già firmati con star come Fazio e Litizzetto, e alla rete fu imposta la consegna – accettata dai suoi vertici – di non superare il 3% nel giorno medio. E’ successo con Sky, quando ha chiesto di entrare nel comitato tecnico, tanto che ci sono stati comunicati di fuoco tra Mokridge, ad di Sky Italia e Pancini, direttore Auditel. E sta succedendo adesso con Servizio Pubblico e il network di Tv che lo manda in onda che si propone, almeno il giovedì sera, come un attore capace di rompere i sempre delicati equilibri su cui si spartisce la pubblicità. Perchè il problema è sempre quello : chi controlla gli spot, controlla la Tv . E dall’86 a oggi gli investimenti pubblicitari si sono ridistribuiti a favore della tv, grazie anche ai numeri che ha prodotto l’Auditel, che hanno orientato ingenti risorse a spostarsi da stampa e radio a favore della tv, e in particolare verso il costituendo duopolio RAI – Mediaset. Ma le modalità di produzione e divulgazione di questi dati hanno generato dubbi sempre più consistenti, corroborati da inchieste e libri che ne hanno minato l’attendibilità.

Il caso Santoro è solo l’ultimo , e nemmeno il più eclatante. Ma potrebbe essere quello che finalmente mette in crisi l’Auditel non tanto come apparato tecnologico obsoleto, come dice la Perina, ma in quanto macchina di costruzione e conferma del consenso attraverso la “ visione obbligata”. Come il PIL , che tutti gli economisti stanno rimettendo in discussione come parametro di misura del benessere di una società, così l’Auditel è destinato a implodere dentro una TV sempre più parcellizzata e specifica come quella digitale. E il fatto che le Tv locali siano sottostimate storicamente è un ulteriore conferma di come questa approssimazione chiamata Auditel sia ormai un residuo del passato da superare al più presto. Il problema non è la tecnologia: basterebbe collegare un cavetto telefonico a ogni decoder digitale per avere i dati degli ascolti in tempo reale, come sui siti Internet, in cui sai sempre quanti visitatori ci sono in quel momento. Il problema è l’apparato commerciale e industriale (grandi emittenti, centri media, agenzie dominanti ) di cui Auditel è il servomeccanismo, che non riuscirebbe a “ digerire” dei “ numeri” veri . E che dovrebbe dire ai suoi clienti investitori cose molto diverse da quelle finora avallate dalle curve e dai grafici d’ascolto.

Share
Categorie
Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Se una sera d’inverno un conduttore……..

Deve essere stato un collasso al buonsenso a buttare fuori dalla Rai Michele Santoro. Per la legge dei grandi numeri, Anno Zero avrebbe dovuto continuare fintanto che faceva incetta di spettatori, e dunque fin tanto che riusciva a proteggere il prezzo dei listini Sipra, la concessionaria di pubblicità della Rai. E invece no.

In certi ambienti si è talmente radicata l’abitudine di andare fuori legge, che con Santoro si è voluto violare la legge dell’Auditel. Ora che parte il nuovo programma, Santoro fa correre un grosso rischio a tutto il sistema. Perché se “Comizi d’amore” dovesse funzionare, il suo successo sfuggirebbe ai parametri di valutazione dell’audience. Questa volta non sarà, infatti, possibile misurare gli ascolti, attraverso le curve dell’Auditel o il calcolo dei grp’s , tanto cari ai grossisti dello share.

Santoro farà un programma che avrà come stella polare la multicanalità: dalla piazza al web, dal satellite di Sky al digitale terrestre delle tv locali. Se, come diceva Totò, è la somma che fa il totale, nessuna emittente, nessun centro media, nessuna concessionaria di pubblicità potrà rivendicarne il successo di ascolti, dunque portare a valore commerciale il programma.

Se da un lato è probabile il successo della nuova avventura di Santoro, dall’altro è comunque certa la messa in crisi dell’intero sistema economico, che si basa sulla compra-vendita della “merce” telespettatori. E se per giunta Santoro riuscisse nell’intento di intercettare un nuovo soggetto, cioè il tele-web-spettatore-attivo-massa, allora le categorie socio-demografiche con le quali si sono gabellati per anni gli investitori pubblicitari dimostrerebbero tutta la loro inefficacia pubblicitaria.

Altro che consigli per gli acquisti: potrebbe essere esattamente il contrario, cioè saranno le aziende a dover ascoltare i consigli dei consumatori, che parlando con la lingua della cittadinanza, riscriveranno le regole della sintassi della comunicazione commerciale.

La cosa comica è che potrebbe avverarsi quello che Berlusconi ha sempre temuto, di cui da tempo ha avuto prima fastidio, poi vera e propria paura: che il modernismo della tv commerciale finisse in una bolla. Come sta succedendo al suo tele-governo.Beh, buona giornata.


Share
Categorie
Attualità democrazia Media e tecnologia

Raiperunanotte: “Come se tutto quello che non si è potuto mai dire avesse trovato all’improvviso una finestra, uno sfogo impensato e impensabile.”

Un’altra Italia in tivù-l’espressonline.it
Raiperunanotte è stato un grande rito di liberazione collettiva. Lontano dalle censure e dal linguaggio ovattato di Rai e Mediaset. E ha messo a nudo la claustrofobia e il torpore in cui viviamo da troppi anni E’ stato un grande rito di liberazione collettiva. E’ stata una notte in cui in televisione si è potuto dire, per una volta, tutto quello a cui di solito non si può nemmeno accennare, tutto quello che è frenato dalle mille cautele dell’autocensura o dalle censure dirette dei grandi broadcaster.

E’ stata un’anomala puntata di “Annozero” che ha visto riapparire volti scomparsi dal monoscopio da tempo, come Daniele Luttazzi, con la sua comicità estrema. Che ha visto le argomentazioni lucide e pacate, seppur amareggiate, di Giovanni Floris e di Gad Lerner. Che ha visto la comicità surreale di Cornacchione giocare al rovescio sul partito dell’amore. E che ha trasmesso, recitate da voci di attori, le spaventose pressioni del premier all’Authority per le comunicazioni perché censurasse Santoro: quelle che le televisioni di Stato o direttamente in mano al premier si sono ben guardate dal rendere note, tanto meno in campagna elettorale.

Ma Raiperunanotte, la manifestazione-trasmissione per la libertà di stampa che è arrivata attraverso Internet o altri canali in centinaia di piazze e teatri e in centinaia di migliaia di case, è stato anche il battesimo di una nuova televisione: quella che non ha paura, quella che è forse normale in tutti i paesi dell’occidente, ma che da noi è diventato impossibile fare.

Non si sa ancora se è una televisione possibile, o se rimarrà l’esperienza di una sera: ma guardando e ascoltando gli ospiti di Santoro parlare, veniva da chiedersi che cosa sarebbe oggi l’Italia se per quindici anni non fosse stata anestetizzata da una comunicazione omologata, paludata, autocensurata anche nelle trasmissioni meno controllabili dal governo, come quelle di Floris e Santoro. Veniva da chiedersi che cosa sarebbe oggi l’Italia se i telegiornali non fossero – sempre, anche nei periodi in cui Berlusconi non è stato al governo – dei grandi silenziatori e degli inesorabili frenatori.

E’ stato, appunto, un grande rito di liberazione collettiva. Come se tutto quello che non si è potuto mai dire avesse trovato all’improvviso una finestra, uno sfogo impensato e impensabile.

A chi non è più un ragazzo, Raiperunanotte ha ricordato una storica trasmissione di Dario Fo, andata in onda a metà degli anni Settanta. Quando, dopo vent’anni di lontananza dalla Rai, lo scrittore e comico milanese ebbe la possibilità di portare il suo teatro sulla neonata Raidue. Allora il futuro premio Nobel recitava nella palazzina Liberty di Milano, in zona Vittoria; questa volta l’esplosione di libertà è arrivata dal Paladozza di Bologna, attrezzato a studio televisivo. Ma uguale era l’emozione e uguale la sensazione di violare un territorio abitualmente chiuso, quello appunto della tivù di Stato.

Questa volta, però, la Rai non c’era. Mentre Marco Travaglio raccontava l’odissea fantozziana della presentazione delle liste del Pdl del Lazio, il canale in cui avrebbe dovuto stare Santoro era impegnato nella trasmissione di una gara di pattinaggio: come nella vecchia Unione Sovietica, quando si riempivano i palinsesti di sport mentre i segretari del Pcus erano agonizzanti “per un raffreddore”.

E l’impressione che è emersa dalla nottata di ieri è stata proprio quella di un regime fatiscente e moribondo, claustrofobicamente chiuso in se stesso per quanto ancora furioso e capace di lunghi colpi di coda. Fuori, però, sta crescendo un’altra Italia che ha voglia di parlare, di ascoltare, di esistere. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità democrazia Media e tecnologia

Raiperunanotte: è stato un successo.

(fornte: corriere.it)
Un filmato montato con un parallelo tra un comizio di Mussolini e l’intervento di Berlusconi alla manifestazione del Pdl di Piazza San Giovanni e le loro domande «retoriche» rivolte al popolo. Così al Paladozza di Bologna è iniziata «Raiperunanotte», la trasmissione nata dall’iniziativa ideata da Michele Santoro contro la decisione della Rai di sospendere tutti i talk show politici per rispettare la par condicio. Niente Rai, niente “Annozero”, ma “Raiperunanotte”. Un evento reale e visibile, al Paladozza di Bologna e sui maxischermi nella piazza fuori, per miglia di persone che hanno voluto partecipare direttamente all’insolito talk show. Un evento mediatico trasmesso da altre tv, in particolare da Sky Tg 24, ma anche da emittanti locali. E che ha soprattutto giocato la carta del web. Dirette sono state effettuate dal sito “Raiperunanotte”, creato per l’occasione, dai siti di Corriere, Repubblica, Stampa, da YouDem e altri ancora.

NAPOLITANO – Prende poi la parola Santoro che, dal palasport emiliano, si rivolge al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: «Noi non siamo al fascismo – dice il giornalista – ma certe assonanze sono comunque preoccupanti… Noi siamo qui per il nostro lavoro di giornalisti. «Noi non solo abbiamo il diritto di parlare ma anche il diritto di farci sentire, e il dovere di parlare e farci sentire. Noi dobbiamo essere ascoltati e per questo stasera noi accendiamo le nostre luci perché ricominci Annozero». Santoro ha ricordato poi il caso delle intercettazioni di Trani: «Vorrei ricordarle signor presidente – ha aggiunto – che per una telefonata Nixon dovette dimettersi: aveva ordinato di spiare i suoi avversari del partito democratico e una commissione del Senato, quando scoprì che le telefonate erano state registrate, disse di pubblicarle per sapere cosa è successo. Qui si è compiuto un delitto di grande gravità: interferenza politica sulla libertà di espressione». E ha ricordato che il 25 marzo di 40 anni fa «la radio libera di Danilo Dolci fu chiusa per un intervento della polizia era la prima radio libera italiana. Aveva violato al legge perché aveva violato il monopolio». «Io – ha aggiunto, rivolgendosi sempre a Napolitano – non voglio tirarla per la giacchetta, non voglio nè che firmi nè che non firmi, ma voglio ribadire che se i partiti non si allontano dalla Rai, sarà sempre prigioniera del conflitto d’interesse. Noi abbiamo il diritto, ma anche il dovere di parlare e di farci sentire, noi dobbiamo essere ascoltati. Per questo – ha concluso – noi accendiamo le nostre luci perchè ricominci Annozero». Alla fine del discorso Nicola Piovani ha eseguito in diretta la sigla di Annozero.

CORNACCHIONE – Poi irrompe un esilarante Antonio Cornacchione: «Con questa iniziativa – dice Cornacchione – si può dimostrare che in Italia non c’è la censura e quindi anche questa manifestazione andrà a favore di Berlusconi. Sento un afflato di amore che arriva dagli spalti. Quanto amore arriva da voi amici! Siamo 2, 3, 4… 6 milioni. Le cifre me le ha date Verdini”. Nel suo intervento di dieci minuti circa, il comico spiega che la “censura ha colpito due paladini della libertà, due giornalisti che non guardano in faccia a nessuno: Feltri e Minzolini». «Silvio – continua – non ha mai censurato nessuno, ci tiene a rimanere incensurato».

TRAVAGLIO – Come fa di solito durante le puntate di Annozero, Marco Travaglio a «Raiperunanotte» ha ricostruito i passaggi della vicenda delle intercettazioni della procura di Trani sul caso Rai e Agcom, che avevano al centro proprio «Annozero», definendolo uno «scandalo peggiore del Watergate», che sarebbe stato eccessivamente minimizzato. Il suo intervento è stato accolto da un applauso scrosciante, è stato forse il più applaudito fra tutti i protagonisti dell’iniziativa. «Masi – ha detto Travaglio – ha sollecitato esposti contro la propria azienda. È come se Moratti prima del derby chiamasse l’arbitro per chiedergli di inventarsi un fallo per espellere il proprio centravanti, magari su richiesta del presidente del Milan. Berlusconi dice che si è sempre espresso anche pubblicamente contro Annozero: ma è come se uno dicesse per tutta la vita che vuole ammazzare la moglie, poi assolda un killer e al processo si scusasse dicendo… “va beh, ma io l’ho sempre detto…”».
Successivamente il giornalista è intervenuto anche sul pasticcio delle liste del Pdl a Roma, ironizzando sul decreto interpretativo del governo.

FLORIS -LERNER – Poi è intervenuto il conduttore di «Ballarò», Giovanni Floris che si è detto «non d’accordo sul parallelo con il fascismo ma non è questo il punto – ha aggiunto -. Io penso che il bello di questo periodo sia che a una ingiustizia come la chiusura delle trasmissioni sia seguito un periodo in cui le persone hanno reagito. Questo ha portato a più aria. Dopo tutta l’aria che è stata sottratta in questo Paese, penso che sia il momento di ricominciare a respirare». Le intercettazioni saranno valutate dalla magistratura, ma da quelle telefonate emerge che c’è un politico che vede una cosa che non gli piace e ne chiede la chiusura. L’idea che quello che non ti soddisfa possa essere chiuso è un’idea asfittica». A seguire Gad Lerner: «Di fronte all’evidenza della Rai trattata come una tv privata di proprietà privata dei partiti, perché questo è stato il meccanismo che ha bloccato le tramissioni, forse bisogna che anche noi ripensiamo il modo di stare in tv dei politici. Questa compagnia di giro bisogna che cambi, gli ospiti sembrano sempre gli stessi di qualsiasi cosa si parli. Sembrano essere competenti di tutto».

RECORD WEB – Poi Santoro segnala che la diretta di «Rai per una notte» è il più grande evento in diretta del web italiano con 100.000 contatti unici in contemporanea. Poi diventati 120.000. Santoro successivamente ha mostrato Piazza Azzarita e ha parlato di Roma, Milano, Torino, commentando: «Dall’Italia è venuta una risposta straordinaria».

LUTTAZZI – Successivamente è cominciato lo show di Daniele Luttazzi, tutto concentrato su Silvio Berlusconi. Ma anche sul direttore del Tg1 Minzolini e il direttore generale della Rai Masi accusati insieme al premier nel monologo del comico di «fare un uso criminoso della tv». «Erano otto anni che aspettavo di dirlo…» ha detto Luttazzi facendo riferimento all’«editto bulgaro» del 2002, che sancì il suo allontanamento dalla Rai insieme a Enzo Biagi e Michele Santoro. Aprendo il suo intervento, pieno di battute al vetriolo sul premier Luttazzi spiega: «Berlusconi ogni tanto ha dei rimorsi, poi pensa a quanto è ricco e tutto passa…»). Luttazzi ha fatto un monologo di una ventina di minuti, forte, esplicito, pieno di allusioni sessuali, ma soprattutto molto critico contro il governo ed in particolare contro «Silvio Lolito Berlusconi» come lo ha definito, «lui è un fuoriclasse, la costituzione gli va stretta, sarebbe come far giocare Tiger Woods a golf in uno sgabuzzino». Quindi, Luttazzi ha dettagliatamente spiegato la sua teoria sui motivi per cui Berlusconi avrebbe il 60% del consenso, con una metafora sul sesso anale. Nel suo monologo non ha risparmiato battute nei confronti dell’ex vicepresidente della Regione Puglia Frisullo e del direttore del Tg1 Minzolini. «C’è una differenza – ha detto Luttazzi – fra una prostituta e certi giornalisti: ci sono certe cose che una prostituta non fa». Dagli spalti applausi scroscianti, anche quando Luttazzi ha criticato l’eccessiva timidezza dell’opposizione. Alla fine Luttazzi conclude contro il partito dell’amore berlusconiano, ricordando con Quintiliano che «Odiare i mascalzoni è cosa nobile».

LA RICOSTRUZIONE DELLA VICENDA ANNOZERO – Arriva anche il momento più strettamente giornalistico con una ricostruzione delle intercettazioni telefoniche sul caso Santoro, con le telefonate del premier al mebro dell’Agcom Innocenzi e di quelle tra quest’ultimo e Masi.

BENIGNI – Poi è il momento dello show di Roberto Benigni che invita tutti ad andare in «Zimbabwe il paese della libertà dove però non ci sono i masai, ma i Masi». «Siamo il paese della libertà – scherza Benigni – dove si può chiudere una trasmissione e si può fare una manifestazione contro i magistrati». Benigni poi sciorina battute sui radicali «che si sdraiano dappertutto», e sulle cifre fornite da Denis Verdini sulla manifestazione di sabato del Pdl, infine saluta Enzo Biagi («Peccato che non possa partecipare a questa iniziativa»). «Sant’Agostino diceva che anche quando se ne fa un cattivo uso, come Santoro, la libertà è un bene – conclude l’attore -. Si riferiva proprio a Santoro…».

INTERVISTA A FEDE- La trasmissione si conclude con un’intervista al direttore del Tg4 Emilio Fede, che minimizza la porta delle intercettazioni e sottolinea: «Hanno forse chiuso Annozero?». Fede poi chiede «maggiore rispetto per il capo del governo». E conclude: «Berlusconi non ha mai chiesto la chiusura di Annozero».

CROZZA E VAURO – C’è spazio per un ultimo sipario comico con Crozza che imita il ministro Brunetta e per le tradizionali vignette di Vauro.

LA DENUNCIA DELLA FNSI – Poco prima che si accendessero le telecamere di «Raiperunanotte» il presidente dell’Fnsi Roberto Natale intervenendo al microfono svela: «Abbiamo notizie di telefonate al gruppo di lavoro di Santoro da parte di dirigenti Rai che vogliono sapere cosa stanno facendo i collaboratori ricordando l’obbligo di esclusiva». «Ricordi bene la Rai, la vergognosa Rai di questi giorni che questa è un’iniziativa sindacale – prosegue Natale – e non si azzardino a pensare a provvedimenti, pensino piuttosto alle scandalose telefonate del direttore generale». Il riferimento è alle intercettazioni relative all’inchiesta sul caso Rai- Agcom.
(Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità democrazia Leggi e diritto

PierFerdi Casini fa come Forrest Gump. Ma non si ricorda che “stupido è chi lo stupido fa”.

Casini: “Stupida la Trani-opposizione”. Santoro: “In Usa sarebbe Watergate”-blitzquotidiano.il

Pierferdinando Casini, leader dell’Udc, dice che: “Ci sono stupidi all’opposizione”. Non tutti, ma troppi. “Stupidi” quelli che si esaltano e si eccitano per l’inchiesta di Trani, “stupidi” perché non vedono che così offrono a Berlusconi una campagna elettorale che prima non aveva. “Stupidi” con l’aggravante della recidiva perché è più o meno da venti anni che va così: Berlusconi fa la vittima, la sua gente si innervosisce e mobilita e lui raccoglie voti con il secchio e la pala.

Ha ragione Casini, c’è uno “stupido eterno” in campagna elettorale ed abita all’opposizione? Indizi a favore della tesi di Casini ci sono. Due cortei sabato 20 a Roma, obiettivo Piazza San Giovanni e titolo già scritto: “Un milione con Berlusconi”. Ci saranno tutti i ministri e perfino carri allegorici. La Russa la chiama la “Festa della democrazia”. Democrazia da difendere dai “comunisti e dai pubblici ministeri”. Democrazia va ripetendo tre volte al giorno sempre uguale in ogni Tg Berlusconi in persona. Con alle spalle il simbolo elettorale del Pdl il premier annuncia e ripete: “Non vogliono farci parlare dei nostri successi…Vogliono impedirci di votare…Vogliono spiarci al telefono…Un piano ben congegnato…”.

E’ una trama, una sinfonia di campagna elettorale che prima di Trani Berlusconi non aveva. Prima la musica era: tangenti in Lombardia, una, due, dieci volte. E tangenti alla Protezione civile. E Pdl che impiccia e pasticcia con le sue liste. E Tremonti che non ha una lira per abbassare le tasse. E disoccupati che crescono e avanzano. Crescono e avanzano anche i ricchi ma questo in campagna elettorale meglio non dirlo.

Dopo Trani Berlusconi può provare a scuotere i suoi alla riscossa. Dopo Trani può raccontare che ogni volta che si vota i magistrati d’accordo con la sinistra lo accusano e indagano: il complotto. Complotto che se c’è, deve essere davvero “stupido”, infatti accuse, incriminazioni e processi non sono mai costati a Berlusconi neanche un voto. Se il complotto lo fanno per motivi politici ed elettorali devono davvero essere stupidi come zucchine.

Ma non è “stupida”, anzi è drammaticamente banale l’osservazione di Michele Santoro: “In America sarebbe stato Watergate”. In America fu Watergate e cioè dimissioni di un presidente perché quel presidente aveva dato incarico e preteso che pubblici ufficiali controllassero e condizionassero i luoghi e le mosse dell’avversario politico.

Quando si seppe il presidente non poté resistere al suo posto per democratica legge e popolare volontà. In Italia il presidente rivendica la sua fatica e il suo affanno per chiudere trasmissioni televisive, trova naturale e legittimo ordinare e pretendere che sia fatto. Trova disdicevole solo essere ascoltato mentre lo fa. In America sarebbe Watergate e non è “stupido” dirlo e pensarlo. Forse è “stupido” pensare che l’Italia sia l’America o possa mai esserlo. Ma, se così è, è “stupida” l’opposizione e “furbo” il paese?

“Stupida” o meglio stupefacente è la circostanza per cui sembrano elezioni Berlusconi contro Santoro. Sciocchi se non proprio “stupidi” sono argomenti pur di successo in campagna elettorale come quello di Gasparri: “L’inchiesta di Trani serviva a bilanciare lo scandalo della sinistra in Puglia sulla Sanità”. E’ arrivata infatti anche questa: l’arresto per tangenti dell’ex vice di Vendola, del Pd Frisullo. Che magistrati sono questi che arrestano uno di sinistra sotto elezioni? Magistrati “stupidi” che non sanno quello che fanno visto che la sera prima il premier aveva smascherato il piano nazionale della magistratura contro la destra?

Il premier ci dice che saremmo “stupidi” a non vedere il suo meraviglioso ed efficace governo e la odiosa malignità della sinistra e dei pubblici ministeri. L’opposizione ci invita a non commettere la “stupidità” di considerare normale la Rai zittita, il premier che chiama i Carabinieri contro Santoro, l’economia che langue. Instupiditi più che stupidi andiamo tutti verso l’appuntamento elettorale. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche Società e costume

Lo scandalo è che in Italia gli scandali non sono fatti gravi, ma semplici opinioni.

La nostra infinita emergenza
di BARBARA SPINELLI da lastampa.it

Sono ormai anni che viviamo nell’emergenza, e quasi non ci accorgiamo che ogni mossa, ogni parola detta in pubblico, ogni sopracciglio intempestivamente inarcato, son sottoposti a speciali esami di idoneità, che mescolano etica e estetica, dover essere e presunto buon gusto. La mossa, la parola, il sopracciglio, devono adeguarsi all’ora del disastro: sia esso attentato terroristico o ciclone, tsunami o terremoto. Chi rompe le righe si copre di colpe, prestamente censurate. Vergogna e indecenza sono il marchio impresso sulla fronte di chi non ha tenuto conto del perentorio buon gusto. L’emergenza è diventata una seconda pelle delle democrazie, e per questo non ci accorgiamo quasi più dell’anormale convertito in normale: delle libertà che per l’occasione vengono sospese, dell’autonomia di giudizio che vien tramutata in lusso fuori luogo.

È un po’ come il corno che cresce d’improvviso sulla fronte di tutti i concittadini di Bérenger, protagonista dei Rinoceronti di Ionesco: arriva il momento in cui la protuberanza è talmente familiare ed estesa che chi non la possiede si sente un reietto, e lo è. Anche durante il terremoto in Abruzzo è stato così, e questo spiega lo scandalo assolutamente abnorme generato da una trasmissione televisiva – Anno Zero di Santoro – che era un po’ diversa dalle altre perché fondata sulla denuncia polemica: dell’organizzazione dei soccorsi, e soprattutto della secolare commistione fra affari, corruzione, malavita, edilizia.

Indecente è stata definita la trasmissione, perché questa non era ora di far scandalo: di «seminare zizzania con i morti ancora sotto le macerie, di descrivere l’Italia come il solito Paese di furbi, incapaci di rispettare ogni legge scritta e morale», ha scritto Aldo Grasso sul Corriere della Sera, l’11 aprile. Lo spazio smodato dato su giornali e telegiornali all’evento è esemplare, perché conferma una malattia democratica diffusa. Incapaci di dominare eventi più grandi di loro, le democrazie vivono sempre più di emergenze, ne hanno bisogno esistenziale. A partire dall’ora in cui è pronunciata la frase fatale: «Questo non è il momento», già è stato di eccezione. In tempi normali è proprio questa l’ora delle controversie. Se non nel mezzo del disastro, quando farne l’archeologia e denunciare?

Non così in stato d’eccezione, quando è il regnante a decretare natura e vincoli del momento. La sua sovranità è essenzialmente sulla vita e la morte, e il momento è dunque quello delle bare allineate, del supremo dolore, del lutto vissuto nell’unanime afflizione. Grazie a questo momento si crea un’unità magica, propizia all’intensificazione massima della sovranità. Viene mobilitato anche l’Ecclesiaste: «C’è un tempo per demolire e un tempo per costruire». La Bibbia per la verità parla all’anima, ma nell’emergenza anima e politica si fondono. Assieme, esse giustificano lo stato d’eccezione che sempre esordisce con la soppressione, non si sa se davvero provvisoria, di libertà e abitudini alla critica vigenti in epoche di pace. Giorgio Agamben, che ha studiato tale materia, racconta come morte e lutto siano ingredienti dello stato d’eccezione sin da Roma antica: l’emergenza si chiamava iustitium, e in quei giorni veniva abolito il divieto di mettere a morte un cittadino senza ricorso a un giudizio popolare (Agamben, Lo Stato di eccezione, Torino 2003).

Stato d’eccezione o emergenza sono in realtà imbellimenti di quel che effettivamente accade, camuffano lo stato di guerra: per l’Oxford English Dictionary, sono suoi sinonimi, eufemismi. È in guerra che i comportamenti liberi, biasimatori, son ribattezzati disfattisti. Nell’emergenza guerra, disastro e morte richiedono un dover-essere e un dover-dire. È a questo punto che lo stato di eccezione si tramuta in regola, e il sistema giuridico politico in «macchina di morte». La morte fa tacere il popolo e al tempo stesso nutre il sovrano. È il grande correttore, regolatore: non dici cose scomposte davanti a una salma, anche se veritiere. Il potere usa la morte: diviene necrofago. L’uomo colpito da catastrofe è ridotto a vita nuda e quest’ultima sovrasta la vita buona, prerogativa di chi tramite la politica e la libera opinione esce dalla minorità. La nudità politica, scrive Hannah Arendt nelle Origini del Totalitarismo, può esistere anche senza diritti civili.

Il fenomeno non è nuovo, Agamben lo spiega molto bene. I giorni dello iustitium sono anche i giorni in cui si celebra il lutto del sovrano. Leggi e libertà non sono abolite ma sospese, perché l’essenza del potere (potere di vita e di morte) non appaia vuoto. Da allora ogni disastro, naturale o terrorista, è occasione di affermare tale essenza. Di mettere in scena non il morire o il multiforme soffrire dei cittadini, ma la possibile morte del sovrano e della stessa politica. L’unità si fa non attorno alle salme ma al sovrano, il quale dice: «Sono io in causa, e la vera posta in gioco è la dilazione della mia messa a morte, l’anticipazione rituale del lutto della mia persona».

Nella storia della democrazia c’è anche questo: l’eccezione che cessa d’esser tale, facendosi regola. Che non proclama più giorni di lutto, ma epoche. Tutto è guerra, in permanenza si tratta di riconfermare il sovrano unendo il mio col suo, la solidarietà emotiva di cui ho bisogno io e quella di cui necessita lui. L’idea che tale sia la guerra moderna nasce nel ’14-’18, ed è teorizzata da uno dei suoi protagonisti, Erich Ludendorff, nella Guerra Totale scritta nel 1935. Nella guerra democratica totale scompare la distinzione tra fronte e retrovia, militari e civili (Heimatfront è la fusione hitleriana – animista, dice Ludendorff – tra fronte e patria). Il governo delle emozioni permette di metter fra parentesi libertà e norme, e in questo ha le stesse funzioni della violenza fuori-legge. Il giornalista che aderisce agli imperativi di tale emergenza distrugge il proprio mestiere.

Nei disastri c’è chi soffre, chi governa, chi racconta (messaggero nella tragedia antica, giornalista oggi) e chi indaga rammentando. Ogni ambito ha un suo dover-essere, una sua autonomia. Se la priorità per il messaggero sono i sofferenti, si racconterà tutto quel che essi provano: gratitudine ma anche rabbia, sollievo per i soccorsi e ira suscitata da uno Stato complice di speculazioni edilizie. Chi ha letto Gomorra, ricorderà quel che Saviano scrive nel capitolo sul cemento armato, «petrolio del Sud», a pagina 235-236: «Tutto nasce dal cemento. Non esiste impero economico nel Mezzogiorno che non veda il passaggio nelle costruzioni: appalti, cave, cemento, inerti, mattoni, impalcature, operai… L’imprenditore italiano che non ha i piedi del suo impero nel cemento non ha speranza alcuna. È il mestiere più semplice per far soldi nel più breve tempo possibile.… Io so e ho le prove. So come è stata costruita mezza Italia. E più di mezza. Conosco le mani, le dita, i progetti. E la sabbia. La sabbia che ha tirato su palazzi e grattacieli. Quartieri, parchi e ville. A Castelvolturno nessuno dimentica le file dei camion che depredavano il Volturno della sua sabbia… Ora quella sabbia è nelle pareti dei condomini abruzzesi, nei palazzi di Varese, Asiago, Genova».

L’emergenza, come la guerra, ha sue leggi speciali. Non sono le leggi della dittatura, perché la dittatura crea nuove leggi. Lo stato d’eccezione permanente è più insidioso: non instaura regolamenti nuovi, ma sospende leggi e libertà creando vuoto legale, anomia. L’Ecclesiaste a questo punto non è parola di Dio, ma decreto del sovrano che assieme al giornalista-messaggero invoca unanimismo. Il giornalista nega se stesso, quando consente a mettere sullo stesso piano gli abusi dell’edilizia e gli «abusi di libertà» di chi punta il dito su tali abusi: invece di vigilare, giustifica – per sé e i concittadini – lo stato d’eccezione. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità Leggi e diritto Media e tecnologia

Santoro punito, Vauro espulso. Beh, buona censura.

Viale Mazzini ha deciso. Santoro dovrà riparare, Vauro è sospeso perché una sua vignetta ha offeso le vittime e chi le piange. E’ il risultato della riunione che si è tenuta oggi alla Rai dopo le polemiche seguìte alla puntata di Annozero dedicata al terremoto in Abruzzo. “Indegna” secondo Gianfranco Fini, “non da servizio pubblico” secondo Silvio Berlusconi, e poi via via giudizi analoghi da altre voci del Pdl nei giorni scorsi. Il provvedimento è in una lettera del direttore generale Rai, Mauro Masi. Santoro, dalla prossima puntata (cioè domani), dovrà “attivare i necessari e doverosi riequilibri informativi specificatamente in ordine ai servizi andati in onda dall’Abruzzo”. Vauro, invece, non ci sarà. Beh, buona giornata.

Share
Follow

Get every new post delivered to your Inbox

Join other followers: