Categorie
democrazia Media e tecnologia Popoli e politiche

Un popolo spaventato si governa meglio. Ecco come Bush ottenne il secondo mandato alla Casa Bianca. (Ogni allusione alle politiche sulla sicurezza del governo Berlusconi è assolutamente intenzionale).

Usa/ L’amministrazione Bush voleva alzare il livello di allerta contro il terrorismo alla vigilia delle elezioni 2004, una mossa politica più che di sicurezza-blitzquotidiano.it

Escono nuove rivelazione sulla politica di George W. Bush e soprattutto su come l’ex presidente degli Stati Uniti usasse la paura per gli attentati terroristici come mezzo per ottenere consensi. L’ex capo della Sicurezza degli Stati Uniti, Tom Ridge, infatti, rivela, nel suo libro “The Test of Our Times” (Un’indagine sui nostri tempi) che nel 2004 Bush tentò di far innalzare il livello di allerta sul terrorismo. Una richiesta che Ridge e altri della Sicurezza ritennero ingiustificata, tanto che la proposta venne bocciata.

Secondo quanto scrive Ridge, anche il Generale John Ashcroft e il segretario della Difesa Donald Rumsfeld appoggiarono la proposta di Bush, sostenendo che gli eventi internazionali, le minacce di Bin Laden e le elezioni alle porte avrebbero portato ad un incremento delle possibilità di attacchi terroristici.

Ma Ridge sostiene, come sostenne all’epoca opponendosi alla proposta, che le motivazioni che spinsero Bush a voler alzare il livello di allerta erano più politiche che di sicurezza. L’ex governatore della Pennsylvania, infatti, sottolinea come non ci fosse nessun dato concreto che potesse far temere un attacco terroristico.

Un’ipotesi che l’ex consulente alla Sicurezza, Frances Townsend, rimanda al mittente sostenendo che sulla proposta di Bush «vi fu un dibattito e Tom Ridge non era l’unica persona contraria all’incremento del livello di allerta, ma non ci furono mai discussioni di stampo politico».

A guardare il risultato di quelle elezioni e delle motivazioni che spinsero la maggior parte degli Americani a votare per Bush, qualche dubbio viene che Ridge avesse ragione. Proprio nell’agosto 2004 Bush tornò a parlare del pericolo di attentati terroristici e due mesi dopo i sondaggi dicevano che per un elettore su cinque il terrorismo era l’argomento che aveva maggiormente influenzato il voto. L’86 per cento di quegli elettori votò per Bush, consacrandone la vittoria, solo il 14 per cento preferì il candidato democratico John Kerry. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Media e tecnologia Pubblicità e mass media Sport

Prime vittime della guerra di Rai e Mediaset contro Sky:oscurata via satellite l’amichevole della Nazionale azzurra in Svizzera.

Labirinto tv, il telespettatore paga la guerra di Rai e Mediaset a Sky di ANTONIO DIPOLLINA-Repubblica.

Perché non si vede la partita? L’estate dello scontento televisivo vive di repliche infinite e di colpi di mano: che aprono interrogativi pesanti sull’immediato futuro, quando la gente tornerà dalle vacanze e sarà a casa. La domanda iniziale è risuonata l’altra sera. Se la sono posta quei telespettatori che da tempo sono abituati a guardarsi i canali principali (da Raiuno a Canale 5, da Raitre a La7, quelli in chiaro, insomma) attraverso il decoder di Sky. Un decoder che hanno in casa perché pagano regolare abbonamento per i canali di Murdoch, ma attraverso il quale è sempre stato più che comodo guardarsi Rai e Mediaset: primo perché basta accendere il decoder, secondo perché sono i primi che si trovano in lista, dal 101 in giù, terzo perché in digitale si vede meglio. Qualcuno nel tempo ha direttamente rinunciato all’antenna terrestre. Altri, in alcune zone, non ricevono il vecchio segnale terrestre-analogico e il decoder di Sky ha rappresentato la soluzione ottimale. Ma non finale.

L’altra sera la Rai ha oscurato via satellite l’amichevole della Nazionale azzurra in Svizzera. Sabato aveva fatto lo stesso con Inter-Lazio trasmessa da Pechino. Il giorno dopo un noto allenatore di serie A è stato intervistato dalla Gazzetta e ha risposto: posso dirvi quello che mi è sembrato leggendo i giornali, perché sono nella casa al mare, qui c’è solo la parabola e la partita non si vedeva.

Questa tendenza compulsiva all’oscuramento nasce in casa Rai in piena guerra tra colossi: Rai e Mediaset hanno stretto un patto di ferro in chiave anti-Sky. Si sono fatti la loro piattaforma satellitare che si chiama Tivusat. Qui sta il primo inghippo: secondo il contratto di servizio, l’altra sera la Rai – che ha l’obbligo di trasmettere su tutte le piattaforme, satellite compreso – in teoria non poteva oscurare la partita. Ma come ha spiegato – in veste imprecisata, ma comprensibile ai più – il viceministro alle comunicazioni Paolo Romani in una lettera al Corriere della sera, quello non vuol mica dire che Rai deve trasmettere su Sky. Infatti in teoria l’altra sera la partita è andata anche sul satellite, appunto per Tivùsat. Il punto è che per ricevere Tivusat serve un apposito decoder che al momento è più introvabile di un Gronchi rosa: e che inoltre costa circa cento euro – particolare questo che viene stranamente fatto passare sotto traccia nelle dichiarazioni ufficiali. Il decoder in questione è nettamente alternativo a quello di Sky: lo si compra, a patto di trovarlo, e si vedono via satellite tutti i canali Rai e tutti quelli Mediaset, compresi quelli trasmessi solo in digitale terrestre. L’invito è chiaro: avete il vecchio decoder e guardavate lì soprattutto Rai e Mediaset? Mollatelo, ne abbiamo uno noi nuovo di zecca e senza pagare abbonamenti.

Tecnicamente, il nuovo decoder serve per assicurare la visione dei canali Rai e Mediaset anche nelle zone dove è difficile la ricezione del digitale terrestre, ossia del sistema destinato a soppiantare del tutto in pochi mesi il vecchio analogico.

Qui stanno altri inghippi: prima di tutto si ammette che il digitale terrestre non è e non sarà mai ricevibile alla perfezione in tutte le zone di un paese piuttosto bizzarro dal punto di vista del territorio. Secondo, se qualcuno avesse avuto intenzione di abbonarsi a Sky perché in quel modo avrebbe visto “anche” i canali Rai e Mediaset, adesso ha un’alternativa molto conveniente a disposizione. Terzo, pare, si dice, che tutto sia l’anticamera per far sparire del tutto i canali Rai e Mediaset dal decoder di Sky (dove, nelle dichiarazioni più o meno ufficiali, si limitano a dire che la cosa gli farà più o meno il solletico: chissà).

Ma attenzione, lo scenario non è indolore per nessuno: i canali Rai e Mediaset sono molto visti attraverso Sky e la pubblicità va di conseguenza (per dire, nella lettera Paolo Romani dichiara secco che non c’è contraddizione, i canali in chiaro di Rai e Mediaset possono stare benissimo sia sul decoder Sky che su quello nuovo Tivùsat). E questo come atto finale di una guerra non dichiarata ma abbondantemente nelle cose e che fa accapponare la pelle a un paese molto attento ai conflitti di interesse (si scherza, eh): ovvero la santa alleanza Rai e Mediaset per arginare l’ascesa della pay tv di Murdoch, o quanto meno per infilare più spilloni possibili nelle possenti carni del colosso di derivazione australiana. Infine, pare, si dice, attraverso il nuovo decoder sat, un giorno la Rai – per ora unica assente – potrà sedersi anch’essa al banchetto della tv a pagamento.

E qui siamo al nostro povero telespettatore, al momento perlopiù ignaro nonché sdraiato in spiaggia. L’oscuramento di Svizzera-Italia via sat può anche essere stato poca cosa (l’Auditel ha comunque registrato quattro milioni e settecentomila spettatori, con il 30% di share), ma il segnale è quello: a settembre, quando si torna a pieno regime, non ci sarà una zona del paese uguale a un’altra, e forse uno spettatore uguale a un altro. Ognuno dovrà fare i conti con quello che riesce a vedere nella propria zona, con i progressivi passaggi al digitale terrestre, e con quello che vuole vedere: nonché con ciò che gli sarà consentito guardare senza correre a comprarsi nuovi decoder, fare nuovi abbonamenti o rinnovarli alle varie pay-tv – a fine agosto il calendario del calcio propone già il derby di Milano, in contemporanea assoluta con il momento di massimo rientro dalle vacanze: ci sarà da divertirsi.

I tre decoder in contemporanea (quello Sky, quello del digitale terrestre, quello nuovo Tivusat) in realtà non servono a nessuno, a meno di non essere particolarmente pazzi. Ma tecnicamente qualcuno che volesse avere davvero tutti i canali a disposizione potrebbe provarci. Nella situazione migliore ci sono i telespettatori di poche pretese, che vogliono solo i canali in chiaro e abitano in zone fortunate dove la ricezione del digitale terrestre è perfetta – ma bisogna avere il decoder dtt o un tv di ultima generazione. All’altro capo ci sono gli spettatori che da anni guardano tutto attraverso il decoder di Sky, che dovranno trovare soluzioni di volta in volta o definitive. In mezzo, altre tipologie di consumo e propensioni, di zone già raggiunte dal digitale, di zone dove non si vedrà mai e così via, ognuno a trovarsi una soluzione, tutti fondamentalmente vittime del casino stellare che sembrerebbe una guerra evoluta e moderna tra grandi operatori tv e che nella realtà è una cosa piccola e confusa, che potrà andare a regime solo in tempi medio-lunghi. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
democrazia Media e tecnologia

“Accetteremo di vivere nel mondo immaginario di Berlusconi o difenderemo il nostro diritto a sapere a che punto siamo?”

L’ossessione permanentendi GIUSEPPE D’AVANZO-Repubblica

L’Egocrate è ossessionato. Diventa isterico, quando lo si contraddice con qualche fatterello o addirittura con qualche domanda. Se non parli il suo linguaggio di parole elementari e vaghe senza alcun nesso con la realtà; se non alimenti le favole belle e stupefacenti del suo governo; se non chiudi gli occhi dinanzi ai suoi passi da arlecchino sulla scena internazionale; se non ti tappi la bocca quando lo vedi truccare i numeri, il niente della sua politica e addirittura le sue stesse parole, sei “un delinquente”, come ha detto di Repubblica qualche giorno fa.

O la tua informazione è “giornalismo deviato”: lo ha detto di Repubblica, ieri. Che al Prestigiatore d’affari e di governo appaia “deviato” questo nostro giornalismo non deve sorprendere e non ci sorprende. È “naturale”, come la pioggia o il vento, che il monopolista della comunicazione giudichi il nostro lavoro collettivo una “deviazione”. Lo è in effetti e l’Egocrate non sa darsene pace: ecco la sua ossessione, ecco la sua isteria. Deviazione – bisogna chiedersi, però – da quale traiettoria legittima? Devianza da quale “ordine” conforme alla “legge”? E qual è poi questa “legge” che Berlusconi ritiene violata da un giornalismo che si fa addirittura “delinquenza”? La questione merita qualche parola.

Il potere e il destino di Berlusconi non si giocano nella fattualità delle cose che il suo governo disporrà o ha in animo di realizzare, ma soltanto in un incantato racconto mediatico. Egli vuole poter dire, in un monologo senza interlocutori e interlocuzione e ogni volta che lo ritiene necessario per le sue sorti, che ha salvato il mondo dal Male e l’Italia da ogni male. Esige una narrazione delle sue gesta, capace di creare – attraverso le sinergie tra il “privato” che controlla e il “pubblico” che influenza – immagini, umori, riflessi mentali, abitudini, emozioni, paure, soddisfazioni, odi, entusiasmi, vuoti di memoria, ricordi artefatti.

Berlusconi affida il suo successo e il suo potere a questa “macchina fascinatoria” che si alimenta di mitologie, retorica, menzogna, passione, stupidità; che abolisce ogni pensiero critico, ogni intelligenza delle cose; che separa noi stessi dalle nostre stesse vite, dalla stessa consapevolezza che abbiamo delle cose che ci circondano. Mettere in dubbio questa egemonia mediatica che nasconde e, a volte, distrugge la trama stessa della realtà o interrompere, con una domanda, con qualche ricordo il racconto affascinato del mondo meraviglioso che sta creando per noi, lo rende isterico.

È una “deviazione” – per dire – ricordare che non si ha più notizia dei mutui prima casa e della Robin tax o rammentare che dei quattro “piani casa” annunciati, è rimasto soltanto uno, e soltanto sulla carta. È una “deviazione” ripetere che non è vero che “nessuno è stato lasciato indietro”, come non è vero che i nostri “ammortizzatori sociali” siano i “migliori del mondo”. È “criminale” chiedere conto a Berlusconi della realtà, delle sue menzogne pubbliche, delle sue condotte private che disonorano le istituzioni e la responsabilità che gli è stata affidata. Lo rende ossessivo che ci sia ancora da qualche parte in Italia la convinzione che la realtà esista, che il giornalismo debba spiegare “a che punto stanno le cose” al di là della comunicazione che egli può organizzare, pretendere, imporre protetto da un conflitto di interessi strabiliante nell’Occidente più evoluto.

Nessuna sorpresa, dunque, che l’Egocrate ritenga Repubblica un giornale di “delinquenti” indaffarati a costruire un’informazione “deviata”. Più interessante è chiedersi se, ammesso che non l’abbia già fatto, il governo voglia muovere burocrazie sottomesse – queste sì, nel caso, “deviate” – contro questa “deviazione” – e deviazione deve apparirgli anche una testimonianza contro di lui di una prostituta che ha pagato o l’indagine di un pubblico ministero intorno ai suoi comportamenti. È un fatto che Berlusconi esige e ordina che la Rai si pieghi nei segmenti ancora non conformi, come il Tg3, a quel racconto incantato della realtà italiana. Ancora ieri, Berlusconi – mentendo a gola piena e manipolando le circostanze – ha tenuto a dire che “è inaccettabile che la televisione pubblica, pagata con i soldi di tutti, sia l’unica tv al mondo ad essere sempre contro il governo”.

Sarà questa la prossima linea di frattura che attende un paese rassegnato, una maggioranza prigioniera dell’Egocrate, un’opposizione arrendevole. Lo si può dire anche in un altro modo: accetteremo di vivere nel mondo immaginario di Berlusconi o difenderemo il nostro diritto a sapere “a che punto siamo”? Se questa è la prossima sfida, i dirigenti i lavoratori della Rai, del servizio radiotelevisivo sapranno mettere da parte ambizione, rampantismo, congreghe e difendere la loro “missione” pubblica, la loro ragione di essere? Per quanto riguarda Repubblica, Berlusconi può mettersi l’anima in pace: faremo ancora un’informazione deviata dall’ordine fantastico, mitologico che vuole imporre al Paese.
(Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Finanza - Economia - Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi morde Murdoch.

Conti in rosso per Rupert Murdoch, News corp perde 203 mln di dollari-repubblica.it

Brutte notizie per l’impero mediatico di Rupert Murdoch. Nel quarto trimestre fiscale, News Corp registra una perdita netta di 203 milioni di dollari, la solida performance delle divisioni di trasmissioni via cavo (+39%) è stata annullata dal crollo delle entrate pubblicitarie. Un anno prima il gruppo, che controlla tra gli altri il Wall Street Journal e le emittenti televisive Fox, aveva registrato un utile di 1,13 miliardi di dollari. Il giro d’affari è calato dell’11% a 7,6 miliardi di dollari, mentre le entrate del settore tv, inclusa Fox, scendono del 27%. Il gruppo si aspetta una modesta ripresa nei prossimi mesi.

Per quanto riguarda Sky Italia, nel quarto trimestre fiscale la piattaforma digitale ha riportato utili per 155 milioni di dollari, in calo di 57 milioni rispetto ai 212 milioni dell’anno scorso. Per l’intero anno fiscale Sky ha registrato profitti per 393 milioni di dollari, in calo di 26 milioni dai 419 milioni dell’anno scorso. Rupert Murdoch, amministratore delegato del gruppo, nel corso della conference call per commentare i risultati si è detto “non preoccupato”. Il numero di abbonati è cresciuto di 235.000 unità nel corso dei 12 mesi, portando il totale alla fine del quarto trimestre a 4,8 milioni. Negli ultimi tre mesi dell’anno la crescita del giro d’affari è stata ridotta dallo slittamento dei dati relativi agli introiti derivati dai programmi calcistici, che in parte saranno iscritti nel bilancio del primo trimestre fiscale.

I risultati del gruppo per l’intero anno fiscale 2009 sono stati comunque in linea con le previsioni, che la società aveva rivisto per due volte al ribasso a causa del perdurare della crisi economica e della recessione globale. Rupert Murdoch è tornato sull’idea di rendere a pagamento tutti i siti di news del gruppo. L’accesso al Wall Street Journal è già in parte gratuito e in parte a pagamento. Il magnate australiano non è sceso nel dettaglio dell’operazione ma ha detto che questa misura potrebbe essere introdotta a metà del 2010. “Un’industria che regala i suoi contenuti – dice – sta cannibalizzando la sua capacità di fare buon giornalismo”.

Murdoch ha anche detto che potrebbe rompere l’alleanza con Amazon sul lettore digitale Kindle, se non si arriverà ad una rinegoziazione degli accordi. Il tycoon si è detto scontento delle relazioni tra Kindle e i lettori online dei suoi giornali, lasciando anche trapelare la possibilità di un accordo tra News Corp e Sony. (beh, buona giornata).

Share
Categorie
Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: contro Sky, Mediaset spinge la Rai ad autoinfliggersi “un danno emergente e un lucro cessante”.

Pacco dono per Mediaset di GIOVANNI VALENTINI-Repubblica.

Stupito, irritato, amareggiato. Il Capo dello Stato ha tutto il diritto di esprimere la propria delusione sulla “rottura annunciata” fra la Rai e Sky che priverà l’azienda pubblica di un ricavo di oltre cinquanta milioni di euro all’anno, in seguito al trasferimento dei canali Raisat su una nuova piattaforma satellitare. E in particolare, ha ragione Giorgio Napolitano a lamentarsi delle modalità con cui è maturato il fallimento della trattativa: una decisione per così dire unilaterale che la direzione generale ha praticamente imposto – come un diktat – a tutto il Consiglio di amministrazione.

In quanto custode e garante della Costituzione, il presidente della Repubblica non può evidentemente disinteressarsi di quel servizio pubblico su cui s’imperniano nel nostro Paese principi fondamentali come il pluralismo e la libertà d’informazione, sanciti solennemente dall’articolo 21. Anzi, con tutto il rispetto che si deve alla sua figura e alla sua persona, è lecito pensare che un intervento più tempestivo sarebbe valso forse a impedire o magari a prevenire un tale esito.

Danno emergente e lucro cessante, avevamo avvertito su questo giornale nelle settimane scorse, mentre già si preparava la rottura. Danno emergente: perché il prossimo bilancio della Rai s’impoverirà di questa cospicua entrata finanziaria e staremo a vedere che cosa avrà da eccepire in proposito la Corte dei Conti. Lucro cessante: perché, oltre a perdere l’audience e quindi la pubblicità raccolta attraverso la pay-tv, ora l’azienda di viale Mazzini dovrà sostenere “pro quota” l’onere della nuova piattaforma di Tivùsat. E tutto ciò, in buona sostanza, per fare un favore o un regalo a Mediaset nella sfida della concorrenza con Sky, come ha riconosciuto – tardivamente – perfino il presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza, Sergio Zavoli.

Si dà il caso, così, che l’ex segretario generale della presidenza del Consiglio, appena trasferito alla direzione della televisione pubblica, non trovi di meglio che confezionare subito un pacco-dono per l’azienda televisiva privata che fa capo allo stesso presidente del Consiglio. Un voto di scambio o una partita di giro, si potrebbe anche dire. Naturalmente, a spese del cittadino contribuente, telespettatore e abbonato alla Rai. Come già a suo carico era stata la multa di oltre 14 milioni di euro inflitta dall’Autorità sulle comunicazioni a viale Mazzini per la nomina dell’ex direttore generale, Alfredo Meocci, insediato alla guida dell’azienda dal centrodestra nonostante la palese incompatibilità con il precedente mandato di commissario nella medesima Authority.

Con buona pace del presidente Garimberti e dei consiglieri di minoranza, siamo dunque alla definitiva subordinazione della Rai agli interessi e alle convenienze di Mediaset. Un’azienda di Stato, la più grande azienda culturale del Paese, che via via si trasforma in una filiale, una succursale, una dépendance del Biscione. Già omologata al ribasso sul modello della tv commerciale, quella della volgarità e della violenza, delle veline e dei reality fasulli, adesso la tv pubblica si allea e si associa con il suo principale concorrente sotto il cielo tecnologico della tv satellitare.

Sarà verosimilmente proprio di fronte a questo scempio che il centrosinistra, risvegliandosi da un lungo e ingiustificabile letargo, s’è deciso finalmente a riproporre con forza la questione irrisolta del conflitto d’interessi: prima, con una dichiarazione di guerra del segretario reggente del Pd, Dario Franceschini, il quale ha annunciato bellicosamente che su questa materia (e speriamo anche su altre) il suo partito non resterà più fermo e silente; poi, addirittura, con una proposta di legge presentata da Walter Veltroni e sottoscritta da tutte le opposizioni, sostenuta dal contributo di un esperto costituzionalista come l’ex presidente della Rai, Roberto Zaccaria. Meglio tardi che mai, dobbiamo ripetere. Ma che cosa avevano fatto nel frattempo Veltroni e Franceschini per risolvere l’anomalia di un presidente del Consiglio che controlla direttamente tre reti televisive private e indirettamente anche le tre reti pubbliche? E pensare che c’è ancora qualche illustre professore che esorta il Pd a emanciparsi dall’influenza di “alcuni giornali” (quanti e quali?), mentre una maggioranza di governo condiziona impunemente giornali, telegiornali e giornali radio.
Nel regno del conflitto d’interessi, la rottura fra la Rai e Sky diventa la prova regina di un’occupazione “manu militari” di tutto il sistema dell’informazione. Un attentato al pluralismo, alla libertà d’opinione. E anche questa, purtroppo, si rischia di apprezzarla solo quando la si perde. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Tv italiane: ecco un gran casino.

Sky, Rai, Mediaset, digitale terrestre. Ecco come cambia-blitzquotidiano.it

Per gli spettatori italiani è un periodo di grandi cambiamenti. Una girandola di sostituzioni, diritti non acquisti, nuove concessioni, stanno modificando il panorama dell’offerta televisiva di tutti noi.

A cambiare nuovamente le carte in gioco interviene adesso un ‘annuncio di Sky che, in maniera irrituale, annuncia un divorzio probabilmente irreparabile: dal 1 agosto i canali di RaiSat non saranno più visibili sulla piattaforma satellitare di Sky.

Cosa faranno allora gli appassionati di RaiSat, il canale recipiente del David Letterman Show, i cuochi amatori, fedeli seguaci del Gambero Rosso, i giovanissimi telespettatori, allettati dall’offerta di Yoyo e Smash Girl? Per adesso stanno a guardare, aspettando le decisioni che il Cda di Viale Mazzini dovrebbe dare nei prossimi giorni, quando la Rai, ingolfata dalle nomine e paralizzata dai problemi di salute del suo Dg, si desterà dal torpore estivo di questi giorni.

Ma cosa si può già sapere che cambierà nell’offerta della nostra Tv?

La tv satellitare di Murdoch sostituirà i dieci canali ospitati di Rai Sat con una nuova programmazione. Vedremo alloratra i nuovi canali, Sky Cinema Italia, dedicato ai film italiani (si comincia con il restauro del Gattopardo di Luchino Visconti), e poi Fox Retro, con i telefilm più celebri del passato, Nick Junior, Baby Tv, il canale di casa Fox per i piccolissmi, Lady Channel, per le signore. Inoltre il David Letterman Show della Cbs resterà sulla piattaforma Sky, che, subodorando un cattivo esito delle trattative con la Rai, aveva già acquistato i diritti per lo spettacolo dell’intrattenitore newyorchese.

Per la tv generalista italiana sono previsti altri cambiamenti. Mediaset, Rai e La7 stanno presentando la loro offerta satellitare, per ora gratuita e visibile sul normale digitale terrestre. Il decoder cui hanno affidato la commercializzazione del loro prodotto, TivùSat (prezzo 100 euro fornito, per adesso, dalle marche Humax, Abn e Telesystem), permetterà di vedere sia il digitale terrestre sia i canali satellitari TivùSat. Chi riceve il digitale terrestre vedrà tutti i canali gratuiti di Rai, Mediaset e La7.

Nel corto periodo di fatto potrebbe non cambiare quasi nulla dal digitale terreste al digitale satellitare Rai-Mediaset-La7. Chi ha già comprato il decoder del digitale terrestre può fare a meno di comprare quello di TivùSat, vedrà comunque tutto. Chi comprerà il decoder di TivùSat vedrà tutto ma dovrà avere la parabola. Chi ha solo la parabola e vede tutto con l’abbonamento a Sky per adesso può fare a meno di comprare il decoder di TivùSat ma può darsi che un domani sia obbligato a farlo.

Aspettando gli inevitabili sviluppi, si delinea sempre più l’allontanamento di Rai da Sky e il seguente consolidamento dell’alleanza Rai-Mediaset-La7.

TAG: baby tv, cbs, david letterman show, decoder, digitale terrestre, fox retro, gambero rosso, gattopardo, luchino visconti, mediaset, murdoch, nick junior, parabola, rai, satellitare, sky, sky cinema italia, smash girl, tivù sat, viale mazzini, yoyo

Share
Categorie
Finanza - Economia - Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Dice che da settembre ci saranno segnali di ripresa. A forza di tagliare, mi chiedo che cosa ci sarà da riprendersi.

Una scombinata combriccola di incapaci entra notte tempo all’Ikea vicino Napoli, piazza una carica davanti alla cassaforte e boom! manda a puttane tutto l’incasso del week end. Tanto rumore per nulla: hanno mandato in fumo un paio di centinai di migliaia di euro.

I giornali ci hanno scherzato su, citando il famoso film “Audace colpo dei soliti ignoti” di Nanni Loy. A me è venuto in mente un altro film, che va in loop da tempo. Un manipolo di audaci manager della pubblicità italiana da qualche anno a questa parte entra in ufficio e patatrac! perde clienti, manda a casa gente, distrugge valori economici e professionali.
I “soliti ignoti” dell’arcinoto film si accontentarono di un piatto di pasta e ceci. Questi qui sono insaziabili come locuste: triturano tutto quello che capita loro sotto i denti, lasciandosi dietro un desolante panorama di distruzione. Ma cècati! se a qualcuno viene in mente che distruggendo non si costruisce un bel niente, men che meno un’onorevole via d’uscita dalla crisi che incombe pesante come il coperchio di un tombino di ghisa sulla pubblicità e sui media.

Ma, tant’è, questo è quello che ci offre questa arida estate della pubblicità italiana. Se tutto va bene, attenzione, ho detto proprio tutto, l’obiettivo è al massimo proteggere i margini e registrare un calo minore rispetto alla media del mercato. E a culo tutto il resto! Il che è un bel paradosso. In un momento in cui i clienti, come minimo, sono sparagnini, dunque anch’essi, per proteggere i propri margini non investono in comunicazione, che cosa fanno le Agenzie?: semplice, fanno lo stesso.

Però, se tutti fanno la stessa cosa, come si crede di uscire dalla crisi? Va avanti tu che a me mi scappa di ridere? Se ognuno aspetta che sia l’altro a fare la prima mossa, stiamo davvero freschi. Sarà pure un’estate calda, ma questo modo di stare freschi ve lo potete pure tenere. Dice che da settembre ci saranno segnali di ripresa. A forza di tagliare, mi chiedo che cosa ci sarà da riprendersi. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Per fermare la recessione basta la televisione?

L’indice di fiducia dei consumatori mondiali è salito da 77 a 82 punti secondo i risultati della “Consumer confidence survey”, la ricerca trimestrale condotta da Nielsen a fine giugno. La ricerca dice anche che è calata la percentuale dei consumatori che pensano che il proprio Paese sia in recessione: dal 77% di aprile all’attuale 71%.

In Europa è l’Italia insieme alla Gran Bretagna a segnare il maggior incremento nell’indice di fiducia che passa dai 70 punti di aprile ai 77 di giugno.

“Per quanto riguarda il nostro Paese – ha dichiarato Stefano Galli, Amministratore delegato di Nielsen Italia – il dato di giugno segna una inversione di tendenza del clima di fiducia che torna a posizionarsi sui livelli della fine del 2007”. L’incremento di 7 punti nell’indice di fiducia sarebbe anche legato ai messaggi più rassicuranti e alle decisioni prese a supporto delle famiglie e delle imprese da parte del governo nell’ultimo periodo e alla forte caduta della pressione mediatica sul tema della crisi.

“A questo riguardo i buzz online- ha detto Galli- le discussioni in rete contenti la parola ‘recessione’ sono infatti diminuiti del 35% , come dimostrano i dati Nielsen”.

Insomma, per far risalire gli indici della fiducia dei consumatori italiani bisogna prendere due piccioni con una fava. Vale a dire: la tv deve sempre parlar bene del governo, i giornali non devono mai parlar male della crisi.

Le cose vanno male lo stesso, visto che il 20% degli intervistati si dice molto preoccupato per la possibile perdita del posto di lavoro, come rilevato da Nielsen. Però almeno l’indice della fiducia risale.

Ci sarebbe da chiedersi: a che serve l’indice della fiducia, se è basata sulle mezze verità di giornali e televisioni? Oh, bella: serve proprio ai giornali e alle televisioni, che potrebbero riprendere ad accogliere la pubblicità delle aziende, convinte che se uno ha fiducia nella ripresa, riprende a spendere.

Uno potrebbe dire: ma se la tv parla bene del governo e i giornali non parlano male della crisi, non è che questo è un bel modo per manipolare la realtà? Sì certo: ma secondo una certa “scuola di pensiero” molto in voga da noi in questi mesi, è proprio questa la fava di cui ai due piccioni, cioè giornali e televisioni. O no? Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Attualità democrazia Media e tecnologia

Berlusconi e il falò delle sue vanità.

L’analisi. Non è “tipico italiano”, Berlusconi esplora nuovi territori
politico-emotivi, configurando un diverso rapporto con l’elettorato
Perché per noi inglesi Silvio è inconcepibile di JOHN LLOYD-repubblica.it

Il caso Berlusconi ormai è globale. Il premier italiano è diventato un’icona, sul suo conto un turbine di notizie, di storie. Poche persone conoscono il nome dei presidenti e dei primi ministri di paesi che non siano il loro (eccezion fatta per Barack Obama), ma gran parte della gente sa chi è Silvio Berlusconi.

E sa anche che molti, forse troppi italiani continueranno ad appoggiarlo, a votare per lui e a dargli fiducia. Leggono le sue smentite e i commenti tra ironia e provocazione tipo “Non cambierò, agli italiani piaccio così come sono” e “Non sono un santo, lo avete capito tutti”. Sono due, credo, i motivi per cui Silvio Berlusconi mantiene la sua popolarità: motivi che né lui né i suoi sostenitori possono citare, verosimilmente le reali ragioni per cui non sentirà l’obbligo di dimettersi. Sono motivi importanti perché non limitati ai confini italiani: anche se come già nel ventesimo secolo con il fascismo e Benito Mussolini, la Democrazia Cristiana e Don Luigi Sturzo e l’eurocomunismo con Enrico Berlinguer, un movimento e il suo leader possono essere pionieri in politica, nel bene e nel male.

In primo luogo Berlusconi è – la frase è tratta da Il falò delle vanità di Tom Wolfe – il “padrone dell’universo”. Un uomo simile, scriveva Wolfe, “non ha limiti di sorta”. La sua posizione sociale, la sua ricchezza, il suo potere, lo fanno sentire al comando e al contempo invulnerabile. Wolfe si riferiva a un operatore di borsa (prima del crac finanziario!): pensate a quanto più deve sentirsi padrone dell’universo Berlusconi. Pensate a quello che ha realizzato, ai suoi colossali successi: ha creato dal niente un colosso mediatico, uno dei maggiori d’Europa; ha sommato società da lui create ad altre acquisite poi, raggiunta la mezza età, ha fondato dal nulla un partito reclutando parlamentari e strateghi, è diventato leader della destra unita, è stato eletto tre volte a primo ministro. Come se non bastasse la sua principale attività economica è la televisione, la tv popolare, quella che milioni di persone amano guardare. Possiede una delle maggiori squadre di calcio italiane e il calcio è lo sport più popolare in Italia e nel mondo. Non è solo padrone dell’universo commerciale e politico, è padrone del gusto popolare. In realtà sotto molti aspetti ha contribuito a crearlo. Con un potere del genere – unico al mondo – chi non si sentirebbe padrone?

E quale uomo non trarrebbe una carica sessuale da tutto questo? Si dice che alle belle ospiti della sua dimora mostrasse i video dei suoi trionfi politici prima di tornare a piaceri più intimi. Se è vero sembra la scena di un film: l’uomo eccitato da se stesso, dalla sua abilità, dal suo potere.

Che invidia fa Berlusconi a molti uomini – e, a quanto pare, anche donne. Essere ricco e potente al punto di poter schioccare le dita e far comparire bellissime donne da scaricare poi senza alcun impegno è una delle più comuni fantasie maschili. Non meraviglia che sia ammirato: è l’ammirazione di uomini invidiosi e forse anche di donne curiose.

Ma c’è anche un motivo più profondo, di carattere sempre più universale. In Occidente la sensibilità emotiva è cambiata o sta cambiando. Mentre un tempo ammiravamo il contegno e il ritegno, oggi apprezziamo chi manifesta le emozioni. I personaggi (la principessa Diana è stata un modello sotto questo aspetto) che mostrano le proprie debolezze, anche un tempo chiamate peccati, sono oggetto di ammirazione e di comprensione, più che di censura. In Gran Bretagna Jade Goody, la giovane donna apparsa ubriaca, nuda e sopra le righe al Grande Fratello, morta di cancro quest’anno, è stata pianta da milioni di persone. Lo stesso fenomeno emerge, meno spiccato, in politica. Quando Bill Clinton, dopo settimane di bugie, dovette confessare la relazione con Monica Lewinsky, la sua popolarità crebbe. E quando il premier britannico Gordon Brown mostra scarse emozioni e debolezze viene considerato un represso e ne soffre. Toccò l’apice della popolarità quando la sua primogenita morì poco dopo la nascita: allora la sua commozione lo rese umano, vicino alla gente.

L’umanità di Silvio Berlusconi – “Non sono un santo” – non è in dubbio. E la mutata sensibilità fa sì che molti proprio per questo si sentano più a proprio agio con lui. Come se i peccati commessi da un padrone dell’universo scusassero i nostri. Uomo di spettacolo, Berlusconi ha portato lo spettacolo in politica e, adottandone alcune consuetudini e rifiutando di mostrare vergogna o di scusarsi (i padroni dell’universo non si vergognano mica!), forse trarrà persino vantaggio da questo caso.

E all’estero cosa ne pensano? Nel mondo anglosassone in cui un comportamento simile sarebbe (a) inconcepibile e (b) motivo di immediate dimissioni si dice spesso “tipico italiano!”. Ma non era così in passato: i leader democristiani e comunisti erano nella maggioranza dei casi uomini austeri che vivevano la vita private con discrezione e in pubblico erano sobri, misurati, addirittura scialbi. Non è “tipico italiano”, è molto contemporaneo. Berlusconi esplora nuovi territori politico-emotivi, configurando un diverso rapporto con l’elettorato, sistema seguito in una qualche misura da Nicolas Sarkozy.

Il più recente studio sul voto – vedi The Political Brain di Drew Westen – sostiene che i cittadini votano con le emozioni più che con il ragionamento. Con la sua ricchezza e con il suo potere mediatico Berlusconi ha agito a livello emotivo in tutta la sua vita pubblica e continua a farlo. Chissà che altri non imparino da lui? (Beh, buona giornata).

Traduzione di Emilia Benghi

Share
Categorie
democrazia Media e tecnologia

L’Observer: “Berlusconi è al sicuro da ogni denunzia grazie a una legge che lui stesso ha fatto passare. Importa a qualcuno che la democrazia italiana sia distorta in questo modo?”

La stampa inglese sui media italiani.”La Ue può tollerare questa situazione?” di VINCENZO NIGRO-Repubblica

L’Observer afferma che le “buffonate” (antics) di Berlusconi “meritano la nostra censura”
Giorno dopo giorno, le critiche della stampa britannica al premier Silvio Berlusconi stanno cambiando di livello e qualità. Questa mattina The Observer, l’edizione domenicale del Guardian, pubblica un commento dal titolo “Le buffonate di Berlusconi meritano la nostra censura”, che però delle buffonate del primo ministro racconta ormai poco o nulla.

Nel senso che il suo comportamento è stato dato per accertato, visto che da settimane da Palazzo Chigi non è arrivata nessuna seria smentita agli incontri con prostitute e a tutto il resto. L’Observer scrive quindi che la sua battuta “non sono un santo” è una risposta incontestabilmente giusta e vera, ma questo non cancella per nulla i problemi del capo del governo italiano. “Mentre è vero che la politica italiana ha le sue dinamiche, l’eccezione culturale (per l’Italia) non giustifica un governo marcio. Il vero scandalo è il modo in cui la storia è stata cancellata” dai media italiani. “Berlusconi controlla abbastanza del sistema dei media italiani da limitare gli articoli di critica al suo comportamento. Quando non controlla direttamente giornali o tv, è proprietario di compagnie che controllano i budget pubblicitari. Le notizie sul suo scandalo sessuale sono state limitate ad alcuni siti web e a un solo grande giornale, La Repubblica”.

“Berlusconi è al sicuro da ogni denunzia grazie a una legge che lui stesso ha fatto passare. Importa a qualcuno che la democrazia italiana sia distorta in questo modo? E’ un fatto doloroso a cui assistere, ma l’Italia è ancora un paese importante, attualmente presidente del G8, un partner importante dell’Ue, una grande economia dell’eurozona. Gli altri paesi dell’Unione europea dovrebbero essere meno indifferenti a un partner che porta il loro club in tali condizioni”. L’ultima domanda dell’Observer è se gli altri leader europei “avrebbero tollerato, da un paese che si apprestasse a diventare membro dell’Ue, una situazione in cui la società civile è così evidentemente sottomessa alla volontà del Premier? Certamente no”.

Il Daily Telegraph, dopo gli articoli di sabato, titola su “Silvio Berlusconi leggermente contrito, corteggia la Chiesa”. Il giornale conservatore scrive che “nelle prossime settimane il libidinoso primo ministro italiano giocherà un ruolo poco visto nel suo repertorio alimentato dal testosterone: il penitente”. Secondo il Telegraph il premier ha intenzione di ripulire la sua immagine dopo le rivelazioni sulla sua vita privata, per “mostrare agli italiani che può giocare il ruolo del leader responsabile e devoto, quanto quello del settuagenario playboy”. Di qui la decisione di trascorrere l’estate all’Aquila e non a villa Certosa. E, nel tentativo di riavvicinarsi ai cattolici, “l’unica comunità che ha visto le buffonate di Berlusconi con disapprovazione”, ha organizzato una visita al santuario di padre Pio.

Sulla stessa linea anche il Sunday Times, con un articolo dal titolo “Le registrazioni sul sesso costringono Berlusconi ad un’estate di sobrietà”. Dopo le ultime rivelazioni sulla sua vita privata “il leader italiano corre ai ripari per recuperare la dignità”. Anche l’edizione domenicale del Times ricorda che “nel tentativo di compiacere la Chiesa cattolica Berlusconi intende visitare Padre Pio”. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi spinge la pubblicità verso Internet, frenano centri media, agenzie di pubblicità e l’entablishment dei media italiani.

(da Affaritaliani.it)
Si tiene oggi, mercoledì 15 luglio al Salone delle Fontane, all’zona Eur, lo Iab Forum Roma 2009, evento dedicato alla comunicazione interattiva. Fra gli interventi più attesi c’è Layla Pavone, presidente di Iab Italia e managing director Isobar Communications, che con Affaritaliani ha fatto il punto in questa intervista dello stato della pubblicità online in Italia, nel contesto di una crisi che sta penalizzando fortemente pressoché tutti i media con la sola eccezione della Rete.

“Questa crisi – spiega Layla Pavone – ha portato le aziende a incrementare l’attenzione ai costi, a dove mettere ogni euro investito. E internet si conferma un mezzo che genera efficacia ed efficienza, completamente misurabile, permettendo fra l’altro variazioni e cambiamenti ‘in tempo reale’ e quindi un’ottimizzazione ‘strada facendo’ degli investimenti. Una flessibilità che tutti gli altri media non hanno. E poi ci sono le grandi possibilità che il web offre da qualche anno a questa parte con la diffusione della banda larga, ormai giunta anche in Italia a un livello di penetrazione rilevante favorendo l’utilizzo di internet come medium di entertainment, oltre che di informazione e di utilità”.

Quindi stiamo entrando in una nuova fase di internet…
“Sì. Fino a qualche tempo fa la caratteristica di ‘utilità’ era predominante. Oggi questo è acquisito, i consumatori si basano sul web quando devono informarsi ad esempio su un prodotto, non importa se poi lo acquisti online o offline. Ora sta crescendo moltissimo tutta l’area dell’entertainment, che va dalla visione di video al gioco, fino all’ascolto di musica, trasformando la Rete in un medium ‘caldo’. Questo ha incrementato il tempo passato online dagli utenti, tempo che oggi è mediamente è di un’ora e mezza a persona. Un dato assolutamente rilevante; e per le aziende oggi è fondamentale indirizzare gli investimenti pubblicitari là dove sono gli utenti”.

Insomma, in questo contesto di crisi le aziende investono meno soldi, ma quelli che investono li indirizzano maggiormente su un medium “cost effective” come internet…
“Assolutamente sì”.

Ma se le aziende hanno capito le potenzialità di internet come mezzo pubblicitario, secondo lei i centri media lo hanno capito altrettanto? Spesso gli editori digitali lamentano una scarsa propensione a ridistribuire gli investimenti pubblicitari verso i media digitali da parte di chi gestisce i grandi budget.
“I centri media sono stati certamente i primi ad avere un’attenzione e una sensibilità strategici per l’importanza di internet, dal momento che svolgono continuamente analisi sui consumatori. Fanalini di coda in questo movimento sono piuttosto le agenzie creative, per quanto stiano ora cercando di recuperare il terreno perduto: queste sii sono arroccate nel difendere l’autorevolezza conquistata ai tempi in cui la televisione pesava moltissimo sugli investimenti pubblicitari, quando si pensava che per fare una campagna pubblicitaria bisognasse necessariamente partire da uno spot televisivo. Oggi le cose sono completamente cambiate ma le agenzie creative se ne sono rese conto in ritardo. Poi certo, nessuno è mai contento, capisco che gli editori digitali vogliano di più. Ma, più che con i centri media, bisognerebbe prendersela con l’entablishment dei media italiani…”

Tornando a parlare di pubblicità online, bisogna comunque distinguere fra display, search, viral…
“Sicuramente restano trainanti search e display, che rispondono a obiettivi diversi di marketing e comunicazione. Il primo ha la funzione di traghettare in brevissimo tempo l’utente verso l’informazione che sta cercando, anche se di carattere commerciale. Quindi l’azienda deve farsi trovare al posto giusto, nel momento giusto, quando un navigatore ricerca informazioni su prodotti e servizi. Dall’altra parte il ruolo del display è legato al concetto di awareness, di ‘ricordo’ e di coinvolgimento emozionale, detto che – come dicevamo – internet sta diventando un medium ‘caldo’, capace di trasferire la stessa ’emozionalità’ che è sempre stata riconosciuta alla televisione. Senza ovviamente escludere la possibilità di generare, attraverso un click, un coinvolgimento diretto che nessun altro mezzo consente. Attenzione: questa classificazione fra mezzi e tipologie di advertising è importantissima ma non deve escludere le numerose sinergie possibili, che garantiscono risultati decisamente superiori rispetto all’utilizzo di un singolo veicolo. Ad esempio le ricerche dimostrano che esiste sinergia fra tv e search o fra search e display online”.

Ultimamente, poi, le aziende mostrano una certa attenzione per i social network: solo una moda del momento?
“E’ un mondo ancora tutto da esplorare e sperimentare. Al di là dei cosiddetti fan page, brand channel e in generale pagine che sono riconducibili a siti web ‘evoluti’ in termini di engagement in quanto ospitati all’interno di social media, se un’azienda vuole investire su un social network non fa altro che investire in pubblicità tabellare. Il che va benissimo, ma ci sono molte altre potenzialità da esplorare in questo settore. E si faranno sicuramente degli errori, come ne sono stati fatti nel momento del boom di Second Life: i social media realtà che raccolgono milioni di persone, è vero, ma quando si parla di business bisogna avere le giuste competenze per ‘prendere le misure’ a questi strumenti, altrimenti si rischiano grandi cantonate…”

Questo Iab Forum si tiene proprio nel pieno del dibattito scatenato dalle dichiarazioni di Rupert Murdoch, secondo il quale l’informazione online dovrà muoversi verso il modello a pagamento, visto che le risorse pubblicitarie non sono sufficienti a coprirne i costi. Si va verso un’integrazione fra advertising e fee per i contenuti online?
“In parte sì e in parte no. Non credo sia più possibile tornare indietro e far pagare ciò che per 10-15 anni l’utente ha avuto gratuitamente, anche perché sull’informazione online c’è una concorrenza agguerritissima che mi consentirà sempre di trovare, gratis, le notizie veloci, in pillole. Anche attraverso gli user generated content. Le opportunità del pay si profilano piuttosto per quei gruppi editoriali molto forti e consolidati, che hanno un patrimonio di contenuti a valore aggiunto, di qualità, il cui valore può essere sfruttato per generare ricavi”.

Ma i grandi editori sembrano ancora restii a spostare l’attenzione verso il digitale, anche se nell’attuale situazione di crisi qualcosa si sta muovendo…
“Finora, sia all’estero sia in Italia, si sono perse moltissime opportunità in questo senso. Ci sono realtà che potrebbero ‘pacchettizzare’ i loro contenuti di valore e offrirli a pagamento su internet, ma non lo hanno fatto principalmente perché le varie divisioni in cui sono organizzate non riescono a mettersi d’accordo per mettere a fattor comune il patrimonio di cui queste aziende dispongono. Credo che la situazione sia abbastanza chiara: o si fa un atto di umiltà e si mettono da parte le barriere, oppure morti e feriti non mancheranno”.
(Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Finanza - Economia - Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Se la pubblicità fa i conti senza l’oste: il consumatore.

Secondo l’Istat la spesa media mensile per famiglia è stata pari a 2.485 euro, praticamente invariata in termini nominali rispetto all’anno precedente (+0,2%), ma in netto calo se si tiene conto dell’inflazione

Nel 2008 la spesa media mensile per famiglia è stata pari a 2.485 euro, praticamente invariata rispetto all’anno precedente (+0,2%). Il dato emerge dall’analisi annuale dell’Istat sui consumi delle famiglie. La variazione, che tiene conto del tasso di inflazione pari al 3,3%, mette in evidenza la netta flessione della spesa in termini reali.

Lo scorso anno, la spesa per generi alimentari e bevande si è attestata sui 475 euro, circa 9 euro in più rispetto al 2007. Il risultato sembra essenzialmente dovuto alla sostenuta dinamica inflazionistica dei generi alimentari (+5,4%). Le famiglie hanno però cercato di contenere le spese: più del 40% delle famiglie ha dichiarato di aver limitato l’acquisto o di aver scelto prodotti di qualità inferiore o diversa rispetto all’anno precedente (la percentuale è del 43,4% se si considera l’acquisto di pane; il 49,2% per la pasta, il 55,7% per la carne, il 58% per il pesce e il 53,7% per frutta e verdura).

Le spese familiari per generi non alimentari passano dai 2.014 euro del 2007 ai 2.009 euro del 2008. Aumentano le spese per combustibili: la composizione percentuale rispetto al totale della spesa passa dal 4,7% del 2007 al 5,2% del 2008. L’aumento è determinato, spiega l’Istat, da un lato dalla spesa contenuta nel 2007 e dall’altro dalla sostenuta dinamica dei prezzi per combustibili nel 2008.

Analizzando la situazione a livello territoriale si riscontra una sostanziale stabilità del livello di spesa in termini nominali: nel Nord la spesa media mensile delle famiglie è stata pari a 2.810 euro (+0,5% rispetto al 2007), nel Centro a 2.558 euro (+0,7%) e nel Mezzogiorno a 1.950 euro (-1%). Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi premia The Economist.

Mentre la maggior parte delle testate soffre per il pesante calo degli investimenti pubblicitari, The Economist Group, l’editore inglese di The Economist, e Axel Springer, il gruppo tedesco che pubblica tra gli altri Bild Zeitung , il quotidiano più diffuso d’Europa, vantano un aumento nel numero di copie vendute e bilanci record, anche grazie all’on line.

Mentre la maggior parte delle testate soffre per il pesante calo degli investimenti pubblicitari determinato dalla crisi che ha investito l’economia mondiale, ci sono due editori che possono essere ben contenti dei propri risultati: si tratta, come si apprende da una notizia pubblicata oggi, 14 luglio, sul sito del Corriere della Sera , di The Economist Group, l’editore inglese di The Economist, e di Axel Springer, il gruppo tedesco che pubblica tra gli altri Bild Zeitung , il quotidiano più diffuso d’Europa.

The Economist Group, che nel suo portafoglio vanta, oltre alla testata ammiraglia, mensili specializzati, alcuni siti internet, l’Economist Intelligence Unit, Roll Call (ovvero il notiziario del Congresso Usa, ndr.) e Capitol Advantage , ha chiuso l’anno fiscale lo scorso 31 marzo con un bilancio record. E pensare che nel 2006 era proprio The Economist, che oggi diffonde quasi 1,4 milioni di copie, a fare previsioni in merito alla scomparsa dei quotidiani, che sarebbe avvenuta, secondo il giornale, nel 2043.

L’altra eccezione in questo momento difficile per la stampa è costituita da Axel Springer, che pubblica Bild Zeitung , Die Welt , le testate regionali di Amburgo e Berlino e gestisce alcuni portali, che fruttano già un sesto dei ricavi totali. Ebbene il Gruppo, 10.600 dipendenti e focus sui giornali legati al territorio, vanta ricavi per 2,7 miliardi di euro, e un utile di 571 milioni .

Pare che il punto di forza del Gruppo stia nella minore dipendenza dalla pubblicità rispetto alla concorrenza: l’adv porta a Axel Springer il 43% dei ricavi, mentre per gli altri Gruppi la percentuale sale al 54%, per non parlare dei piccoli annunci, che portano solo il 18% dei ricavi a Axel Springer e invece valgono per oltre la metà del fatturato in Germania e Regno Unito. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Finanza - Economia - Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Crescono i ricavi, scendono i profitti: la Bbc assaggia la quarta crisi.

L’azienda interamente posseduta da British Broadcasting Corporation (BBC) ha visto i propri ricavi crescere del 9.5% rispetto ai 916,3 milioni di sterline dei 12 mesi chiusisi il 31 marzo 2008. Il profitto operativo è sceso del 12,8% (da 117,7 milioni di sterline a 102,6 milioni) a causa di investimenti organici già programmati e altre voci straordinarie che hanno inciso sulla bottom line.

BBC Worldwide Ltd, ramo commerciale e filiale interamente posseduta da British Broadcasting Corporation (BBC), pubblica oggi, 14 luglio, la propria annual review relativa all’anno fiscale 2008/09.

L’azienda ha visto i propri ricavi crescere del 9.5% e superare il miliardo di sterline rispetto ai 916,3 milioni di sterline dei 12 mesi chiusisi il 31 marzo 2008. Il profitto operativo è sceso del 12,8% passando da 117,7 milioni di sterline a 102,6 milioni di sterline a causa di investimenti organici già programmati e altre voci straordinarie che hanno inciso sulla bottom line.

L’impatto dei costi straordinari ha generato profitto prima di interessi e tasse a 85,7 milioni di sterline (2007/08: 117,7 milioni di sterline). Si sono registrati profitti significativi in linea con l’aumento del turnover a partire da oltre 150 milioni di sterline. BBC Worldwide ha anche dato a BBC pagamenti pari a 68,8 milioni di sterline rispetto i 49,9 milioni di sterline dei precedenti 12 mesi che con investimenti diretti nei programmi e nei diritti detenuti da BBC hanno sostenuto la crescita del ritorno alla corporation di circa il 20% pari a oltre 170 milioni di sterline. Beh, buona giornata.

Nell’annunciare i risultati, John Smith (nella foto), chief executive di BBC Worldwide, ha commentato che queste cifre testimoniano il continuo rafforzamento del business a fronte di investimenti pari a circa 50 milioni di sterline in nuove iniziative e nell’ambito di uno scenario generale che vede l’industria dei media e dell’entertaiment in pesanti difficoltà.

L’azienda ha registrato progressi in tutti gli obiettivi di crescita strategici che si era prefissata:
– la quota di entrate generate fuori dal Regno Unito ha raggiunto il 51,3 rispetto il 48,6 per cento del precedente anno fiscale (obiettivo: due terzi entro il 2012)
– i ricavi dell’attività online sono aumentati dal 2.7% al 4.6% (obiettivo: 10% entro il 2012)
– sono stati lanciati 15 canali a marchio BBC e la potenzialità di produzione televisiva si è estesa a New York, Toronto, e Parigi (obiettivo: canali fast track e di business production)
– sono state garantite quote di minoranza ad un numero di case di produzioni indipendenti per fornire finanziamenti per la distribuzione dei diritti ed è stato acquistato dai partner FoxTel e Fremantle il rimanente 80% del canale di entertainment Uk.tv, joint venture australiana (obiettivo: utilizzare le acquisizioni per il raggiungimento del piano generale)

“BBC Worldwide ha dimostrato di possedere solidità di business e forza finanziaria in un anno difficile per l’intera industria, aumentando i propri ricavi di oltre un miliardo di sterline,e aumentando sostanzialmente i profitti per la BBC – ha aggiunto – Nonostante la situazione incerta e il forte investimento nelle diverse aree di business, siamo incoraggiati dalle prospettive di crescita e di performance delle operazioni principali e dei brand a livello mondiale”.

BBC Worldwide rimane in trattativa con Channel 4 in termini di una possibile joint venture. Smith ha spiegato che la diminuzione dei profitti della BBC Worldwide è dovuta all”investimento organico programmato e a due voci straordinarie: la svalutazione associata a Kangaroo , servizio di contenuti video online insieme a ITV e Channel 4, e il costo per 2 entertain, joint venture con la Woolworths Group pic per la distribuzione di dvd.

“Abbiamo continuato ad investire malgrado le impegnative condizioni di mercato. La nostra strategia di diversificare le aree di business e di territorio e i nostri continui investimenti in nuove opportunità, specialmente digitali, riflettono la nostra fiducia in BBC Worldwide nonostante le condizioni di mercato rimangano incerte per il resto dell’anno e per il 2010”, ha concluso John Smithl. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Media e tecnologia Pubblicità e mass media

RAI al bivio: Sky o Tivù Sat?

Rai-Sky/ Incontro chiave a Milano Masi-Mockridge per futuro tv di Stato sul satellite-blitzquotidiano.it

Incontro chiave, lunedì 13, tra Rai e Sky, per il rinnovo dei diritti per i canali Raisat (in scadenza il 31 luglio) e per il futuro satellitare di Raiuno, Raidue e Raitre. Il direttore generale Rai Mauro Masi, che riferirà nel cda di mercoledì 15 luglio, e l’amministratore delegato Sky Tom Mockridge erano a capo delle rispettive delegazioni. Fonti di viale Mazzini hanno definito il vertice, durato circa un’ora, “serio e concreto”.

Per i canali Raisat il rinnovo appare più che possibile, mentre per i canali “free” la Rai medita di mollare il gruppo di Murdoch in seguito alla formazione del nuovo consorzio “Tivù sat”, nato proprio per far concorrenza a Sky.

Tutto dipenderà dall’offerta economica di Sky: questa dovrà essere molto robusta, soprattutto perchè, come comunicato dall’authority per le comunicazioni, Sky ha già sorpassato Mediaset in quanto a ricavi e tallona la Rai (prima solo grazie al canone) molto da vicino. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: chi si compra Business Week?

Stando ad alcune indiscrezioni, il gruppo editoriale McGraw-Hill avrebbe preso la decisione di mettere in vendita il settimanale Business Week . Il gruppo avrebbe già affidato alla banca Evercore Partners il compito di cercare nuovi acquirenti. Attualmente, la testata è diffusa in 140 paesi e ha una readership di 4,8 mln di lettori.

La causa della vendita sarebbero le difficoltà economiche in cui verte il giornale, problemi causati dal crollo degli investimenti pubblicitari e dalla concorrenza del web. Infatti, nel primo trimestre 2009 la raccolta pubblicitaria ha subito un calo del 38%. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: le news on line hanno 10 milioni di utenti al giorno.

(fonte: advexpress.it)
Nielsen Online elabora e commenta i dati Audiweb del mese di maggio relativi ai siti di news, in particolare quelli di quotidiani, Tg e canali news dei principali portali. A maggio si rileva una lieve flessione della rete rispetto al mese di aprile: gli utenti medi giornalieri sono circa 10 milioni, il 5% in meno rispetto al mese di aprile.

Lo stesso trend si ritrova restringendo l’analisi alle news online, soprattutto perché il terremoto in Abruzzo del 6 aprile ha fatto registrare dei picchi di utenza in quel mese in quasi tutti i siti di notizie.

Considerando che il mese di maggio non ha avuto fatti di cronaca equiparabili a quel drammatico evento, si può dire che l’utilizzo di questa tipologia di siti è stato intenso anche a maggio. Stabili le prime tre posizioni della categoria. Repubblica.it rileva 930 mila utenti medi giornalieri, circa il 10% di tutti i navigatori attivi, e rimane sostanzialmente stabile rispetto al mese precedente. Ogni utente di Repubblica ha trascorso in media 6 minuti al giorno sul sito, visitando 13 pagine.

Molto simili i consumi medi giornalieri su Corriere della Sera, che però rileva una lieve flessione rispetto ad aprile, attestandosi a circa 790 mila utenti giornalieri. Al terzo posto, stabile a 660 mila utenti, si conferma Libero News. Il tempo medio giornaliero più basso (meno di 5 minuti) e il numero di pagine viste più elevato (17 per persona), confermano una specificità di fruizione dei contenuti, dovuta a notizie più brevi e rapide da consultare.

Mediaset.it TGCom, con oltre 400 mila utenti medi giornalieri e alti consumi del sito, si posiziona alla spalle dei tre grandi. Rispetto al mese di aprile però cede il passo alla Gazzetta dello Sport , che come tutti i siti di informazione sportiva nel mese di maggio rileva un forte incremento, per l’importanza degli eventi sportivi del mese: la fine del campionato italiano di calcio, le finali di Champions League e Coppa Uefa, il Giro d’Italia, l’inizio del Roland Garros oltre a notizie quali la rottura dei rapporti di Ancelotti con il Milan, l’esonero di Ranieri dalla Juventus e le prime voci di calciomercato.

Nonostante il grande incremento di utenza, rimane stabile all’undicesimo posto il sito del Corriere dello Sport mentre guadagna una posizione quello del TuttoSport, che arriva a sfiorare i 100 mila utenti medi giornalieri. Stabili al sesto e settimo posto ANSA e Il Sole 24 Ore, mentre Editrice La Stampa e Virgilio Notizie guadagnano entrambi una posizione ai danni di Yahoo! News , che scivola dall’ottava alla decima posizione.

Le prime evidenze sui dati Audiweb powered by Nielsen Online di giugno confermano il gradimento degli italiani per le notizie online, con ulteriori crescite rispetto ai dati di maggio per la maggior parte dei siti di news. Questo è da imputarsi sicuramente agli eventi del mese, dalle elezioni alla bufera scatenata dalle foto di Villa Certosa, ma è anche il segnale di un crescente apprezzamento per questa tipologia di informazione. Le news in digitale hanno infatti il vantaggio decisivo rispetto agli altri mezzi dell’aggiornamento in tempo reale, la possibilità cioè di verificare assiduamente nel corso della giornata l’evolversi degli avvenimenti rispondendo in tal modo al bisogno immediato di informazione degli utenti, soprattutto in circostanze di forte coinvolgimento. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: “Il gruppo Mediaset si è confermato leader sul mercato pubblicitario aumentando la sua quota dal 54,7 al 55,1 per cento, una posizione dominante che la stessa legge Gasparri, all’articolo 14, invita a valutare, e su cui attendiamo nei prossimi mesi la nuova istruttoria dell’Agcom, dopo il pubblico richiamo con cui tre anni fa ha pudicamente rinviato la questione.”

AGCOM E IL GIOCO DELLE TRE CARTE
di Michele Polo-lavoce.info

La relazione annuale dell’Autorità di garanzia per le comunicazioni sottolinea la fine del duopolio televisivo con il sorpasso di Sky su Mediaset. Ma è un messaggio fuorviante. Perché nasconde l’evoluzione dell’audience tra i principali canali, vero indicatore di allarme rispetto al problema del pluralismo. La pay-tv è un modello di televisione che non ha bisogno di grandi livelli di pubblico. E mentre la scomparsa del mondo televisivo tradizionale è ancora lontana, Mediaset conferma la posizione dominante sul mercato pubblicitario, con una quota del 55,1 per cento.

Con qualche giorno di ritardo sulla data dovuta del 30 giugno, l’Autorità di garanzia per le comunicazioni ha presentato la sua Relazione annuale sul settore delle comunicazioni elettroniche e su quello dei media. Su quest’ultimo ci concentreremo, a partire dal messaggio forte che è stato subito ripreso dai giornali: la fine del duopolio, il sorpasso del gruppo Sky rispetto a Mediaset.
Spiace doverlo dire di un’Autorità che ha come compito istituzionale quello della sorveglianza sulla correttezza dell’informazione e sul pluralismo, ma questo messaggio è fuorviante, parziale e omissivo. Vediamo il perché.

I RICAVI E L’AUDIENCE

Il forte peso economico del gruppo Sky non è una novità, e già nella relazione dell’anno scorso lo poneva sostanzialmente alla pari con il gruppo Mediaset: rispettivamente 2.347 e 2.411 milioni di euro, contro i 2.729 della Rai. Con le correzioni apportate nel frattempo, si apprende nella relazione di quest’anno che il sorpasso era già avvenuto nel 2007 (2.422 a 2.411) e si è consolidato durante il 2008 (2.640 e 2.531). Un forte riequilibrio delle risorse tra Rai, Sky e Mediaset è quindi un dato che da almeno tre anni caratterizza il sistema televisivo italiano.
Ma questo messaggio forte ha lasciato in ombra alcuni aspetti che invece risultano importanti nel fare il quadro dell’ultimo anno televisivo. Il gruppo Mediaset si è confermato leader sul mercato pubblicitario aumentando la sua quota dal 54,7 al 55,1 per cento, una posizione dominante che la stessa legge Gasparri, all’articolo 14, invita a valutare, e su cui attendiamo nei prossimi mesi la nuova istruttoria dell’Agcom, dopo il pubblico richiamo con cui tre anni fa ha pudicamente rinviato la questione.
Ma il secondo dato che non troviamo nella relazione del presidente Calabrò è l’evoluzione della audience tra i principali canali televisivi, vero indicatore di allarme rispetto al problema del pluralismo. Il dato sorprendente è che, in una struttura della relazione che ripercorre fedelmente, tabella per tabella, gli stessi indicatori e le medesime analisi quantitative dello scorso anno, il testo si arresta alla descrizione delle quote di mercato nella raccolta pubblicitaria (Mediaset in posizione dominante) e in quella delle offerte televisive a pagamento (Sky superdominante col 91,1 per cento). La tabella successiva, che lo scorso anno riportava l’evoluzione della audience tra i diversi gruppi televisivi, è scomparsa dalla relazione. E bisogna con cura certosina stanare nella nota 22 a pagina 9 della presentazione del presidente Calabrò il dato prezioso: la audience complessiva di Rai, Mediaset e La7, pari al 83,9 per cento (!) ha ceduto nel 2008 una quota del 1,4 per cento di telespettatori al gruppo Sky, che con l’insieme dei suoi canali raggiunge quindi una audience media del 9,5 per cento.
Terminata questa faticosa cernita, possiamo quindi dire che il gruppo Sky si conferma secondo operatore per ricavi, pur rimanendo attestato su una audience sull’insieme dei suoi canali che non raggiunge un quarto di quella di Rai e Mediaset. Quest’ultima, inoltre, è riuscita con successo, grazie alla sua efficiente concessionaria, a contenere l’impatto negativo della crisi sui ricavi pubblicitari, al contrario di quanto avvenuto per la carta stampata e le reti televisive pubbliche.

IL PLURALISMO CHE NON C’È

Restano quindi i problemi che da anni caratterizzano il mercato televisivo italiano. La crescita indubbiamente positiva di un terzo operatore pay, il gruppo Sky, esercita principalmente un impatto sul mercato dei contenuti, dove la concorrenza per i diritti di trasmissione sui principali eventi sportivi, sui film, sui serial di successo e oggi anche per alcuni personaggi del varietà molto popolari, si fa sempre più accesa. Tuttavia, questo operatore, basato su un modello di ricavi (abbonamento da sottoscrizione) complementare a quello di Mediaset (pubblicità) e Rai (canone e pubblicità), riesce a consolidare la propria posizione economica senza la necessità di raggiungere elevati livelli di audience durante la giornata.
Un riequilibrio della audience, d’altra parte, sarebbe quello che potrebbe realmente portare a una maggiore articolazione delle scelte del pubblico, con un beneficio per l’obiettivo del pluralismo. Così, tuttavia, non è. E non lo è per ragioni tante volte commentate su questo sito. La pay-tv è un modello di televisione che non ha bisogno di grandi livelli di audience, e che erode selettivamente fasce di pubblico in determinati momenti, su determinati programmi, lasciando, almeno in una prospettiva temporale ancora lunga, gran parte dei telespettatori ai grandi canali generalisti. Le fughe in avanti di quanti vedono nel digitale, e nei molti canali che consente, la fine del mondo televisivo tradizionale non sono giustificate dalle forze economiche che governano il settore dei media né dai dati, se si ha l’accortezza di riportarli.
Per il pluralismo in Italia, anche quest’anno, profondo rosso. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: è utile e fattibile far pagare le news su internet?

Editoria on line/ Murdoch lo dice, gli altri lo fanno: il New York Times vuole mettere il suo sito a pagamento-blitzquotidiano.it

Rupert Murdoch l’aveva detto. Il magnate dell’editoria aveva predetto la fine delle notizie on-line gratis. Ora anche il New York Times, dall’alto del suo record di 18 milioni di contatti singoli al mese, sta valutando di far pagare l’accesso al suo sito, unica risposta al crollo dei profitti.

«Stiamo considerando la possibilità di introdurre una tariffa mensile di 5 dollari per accedere ai nostri contenuti, inclusi articoli, blog e multimedia» dice un annuncio pubblicato sull’ edizione cartacea del New York Times.

Non è la prima volta che il New York Times fa questo esperimento. Nel 2005 lanciò il “Times Select”, che introduceva una tariffa per l’ accesso ad alcune opinioni ed editoriali, ma chiuse il programma due anni dopo.

Sulla questione delle news a pagamento su internet si è espressa anche Layla Pavone, presidente della sezione italiana di Iab (Interactive Advertising Bureau). Intervistata dal Corriere della Sera, la Pavone ha affermato: «È troppo tardi per fare pagare le notizie agli utenti, almeno se parliamo di internet, perché per quanto riguarda il mobile il discorso è già molto diverso. Sul web è difficile fare un passo indietro dopo quasi venti anni di notizie free. Personalmente non credo che l’informazione a pagamento possa avere un impatto positivo sui business model delle aziende editoriali».

TAG: giornali on line, iab, internet, layla pavone, new york times, pagamento, rupert murdoch

Share
Categorie
Media e tecnologia

Silvietto e il G8, Silviotto e il G Etto: “Non stupisce che perfino fatti secondari siano mal raccontati, come fossero schegge insensate: ad esempio l’assenza dal programma G8 di Carla Sarkozy, giunta all’Aquila il giorno dopo il vertice. I giornali arzigogolano su una persona che ha voluto far l’originale, differenziarsi. Nessuno rammenta l’appello di 13.000 donne italiane – presumibilmente ascoltato da Carla – perché le first ladies non venissero al G8.”

Barbara Spinelli-La Stampa.

Share
Follow

Get every new post delivered to your Inbox

Join other followers: