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Attualità Media e tecnologia

Se il libro è esurito, me lo stampo da solo.

Stampare un libro qualsiasi in 5 minuti? Adesso si può con l’”Espresso Book Machine”-da blitzquotidiano.it

Si chiama “Espresso Book Machine”, arriva da Londra ed è una macchina in grado di stampare un libro in circa 5 minuti. Il cliente può scegliere da un catalogo di 400 mila testi (saranno oltre un milione nella prossima estate) ed una volta trovato il libro desiderato può stamparselo premendo il tasto “fai il libro”. Tutto ciò per rendere subito disponibili dei testi ormai fuori stampa, o per evitare di sentirsi dire che il libro è esaurito.

Ma non solo, è un’invenzione destinata anche agli aspiranti scrittori, che possono entrare nella libreria con il cd del loro testo e stamparlo in 5 minuti. Per quanto riguarda i prezzi, i libri ancora in stampa costeranno come quelli sugli scaffali, mentre per i testi fuori catalogo il costo è di 11 centesimi di euro ogni pagina.

L’idea è stata dell’editore americano Jason Epstein, la cui macchina è stata eletta dalla rivista “Times” invenzione dell’anno. Dopo essere stata distribuita in Australia, Canada, Usa ed Egitto, verrà diffusa nei prossimi mesi anche in tutte le librerie della catena Blackwell.(Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Il gruppo editoriale Espresso nell’occhio del ciclone della “quarta crisi”.

A Roma il CdA di Gruppo Editoriale L’Espresso ha approvato i risultati consolidati del primo trimestre 2009

Nei primi mesi del 2009 l’ulteriore peggioramento del quadro macro-economico ha determinato una contrazione degli investimenti pubblicitari ancora più accentuata di quella manifestatasi nell’ultima parte del 2008. Secondo i dati pubblicati da Nielsen Media Research, il mercato pubblicitario nel suo complesso ha registrato nel primo bimestre del 2009 una flessione del 19,5% rispetto al 2008.

La contrazione, seppur con diversa intensità, ha riguardato tutti i mezzi ad eccezione di internet, la cui crescita tuttavia ha subito un forte rallentamento. I ricavi netti consolidati del Gruppo nel primo trimestre 2009 ammontano a 215 milioni, registrando una flessione del 18% rispetto al corrispondente periodo dell’esercizio precedente (262,3 milioni ).

I ricavi pubblicitari, pari a 109,3 milioni, mostrano una riduzione complessiva del 26,8%; la stampa quotidiana, in flessione del 22,4%, registra un calo più contenuto rispetto al mercato, grazie alla migliore tenuta dei quotidiani locali. I restanti mezzi mostrano andamenti sostanzialmente in linea con le evoluzioni dei mercati di riferimento. I ricavi diffusionali, esclusi i prodotti opzionali, sono pari a 65,8 milioni (-1,6% rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente).

I ricavi dei quotidiani sono in linea con i valori del 2008, mentre i periodici mostrano una leggera flessione. In termini di diffusioni, la Repubblica e L’Espresso hanno registrato flessioni più significative (rispettivamente -21,4% e -24,6%) imputabili, sostanzialmente, alla decisione di sospendere o ridurre alcune formule distributive ad alto contenuto promozionale, scarsamente remunerative. I quotidiani locali, infine, registrano diffusioni in linea con quelle dei primi tre mesi del 2008, confermando la maggior tenuta di questo settore rispetto alla crisi del mercato.

I ricavi dei prodotti opzionali ammontano a 35,8 milioni con un calo di appena il 7,9% in un contesto di mercato in forte contrazione, grazie al buon riscontro di pubblico ottenuto anche dalle nuove iniziative del periodo. Il margine operativo lordo consolidato è pari a 16,7 milioni con una flessione del 53,2% rispetto ai 35,6 milioni del primo trimestre 2008.

Va segnalato che l’impatto sul conto economico della drastica riduzione della raccolta pubblicitaria è stato attenuato dalla riduzione del 12% dei costi operativi, derivante essenzialmente dai piani di azione già messi in atto. Il risultato operativo consolidato è pari a 6 milioni (25,4 milioni nel primo trimestre del 2008) e il risultato netto consolidato registra una perdita di 2,5 milioni (utile di 10,5 milioni nel corrispondente periodo dell’esercizio precedente).

La posizione finanziaria netta consolidata è passata da -278,9 milioni di fine 2008 a -248,8 milioni al 31 marzo 2009 con un avanzo finanziario di 30,1 milioni equivalente a quello generato nel primo trimestre del 2008.

Prevedibile andamento della gestione
L’andamento del trimestre nonché le evidenze a disposizione sul mese di aprile confermano la drastica riduzione degli investimenti pubblicitari e non lasciano intravedere, allo stato attuale, alcun segnale di ripresa in un contesto generale che resta di forte incertezza, favorendo la riduzione degli investimenti o il loro rinvio.

Per far fronte all’evoluzione critica del mercato, e nello specifico del settore editoriale, il Gruppo ha già messo in atto una serie di misure di contenimento dei costi che hanno permesso, sin dal primo trimestre, di compensare in parte gli effetti del crollo della pubblicità. È tuttavia evidente, sulla base dei risultati del primo trimestre, la necessità di realizzare ulteriori azioni di contenimento dei costi, a partire da una semplificazione societaria e organizzativa e da una significativa reingegnerizzazione dei processi.

Parallelamente, il Gruppo mantiene l’impegno nella valorizzazione delle proprie testate e dei brand attraverso lo sviluppo dei propri contenuti sulle nuove piattaforme, con particolare riguardo ai siti web delle testate locali, e all’adozione, senza significativi investimenti, di nuovi miglioramenti qualitativi nella stampa e nella grafica dei propri giornali, tra i quali l’estensione nel corso dell’esercizio del full color alla quasi totalità dei quotidiani locali. Inoltre, il management intende continuare a rafforzare le competenze manageriali del Gruppo, presidiando le aree di maggiore criticità ai fini dello sviluppo. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

E Obama inventò l’e-democracy.

di Lorenzo Montagna, commercial director Yahoo! Italia

Tutto il percorso che ha portato Barack Obama alla 44ma presidenza degli Stati Uniti, dalle primarie alla candidatura ufficiale, dall’Election Day all’Inauguration Day, è stato caratterizzato da un nuovo approccio ai media, in particolar modo internet. Usando le sue stesse parole, un ‘cambiamento’ totale che rivoluzionerà per sempre il rapporto tra web, politica e democrazia. Sicuramente Obama non è stato il primo personaggio politico ad affacciarsi al web, ma è quello che l’ha fatto con più convinzione e maggiore determinazione.

L’epoca pre-Obama è caratterizzata dall’uso non mirato e marginale del web per fare propaganda politica. Si restava, comunque, nell’ambito di una comunicazione one- to-many, dove i commenti (se presenti) restavano senza risposta e la partecipazione era inesistente. Ecco, la partecipazione. Il merito di Obama (e del suo staff) è stato passare dalla comunicazione al dialogo, allargando la possibilità di partecipazione prima a pochi gruppi di sostenitori e poi, a macchia d’olio, a un intero partito, a un paese, al mondo.

Obama ha sicuramente tratto vantaggio dal web, ma è vero anche il contrario. La sua elezione ha fatto da traino a un media che aveva bisogno della consacrazione al di fuori della cerchia degli addicted. Aveva bisogno di uno shock, di un evento che dimostrasse a tutti le sue straripanti potenzialità di aggregazione e di interattività. Così come lo sbarco sulla Luna nel 1969 fu determinante per l’affermazione della tv, 40 anni dopo l’elezione di Obama lo è per internet: un’esperienza aggregante che un’intera generazione ricorderà di aver vissuto soprattutto online.

L’Obama-mania è culminata il 20 gennaio con l’Inauguration Day, un evento che ha messo a dura prova la resistenza del mezzo e che ha fatto registrare un incredibile boom di contatti. Yahoo! Notizie, per esempio, negli USA è stato visitato da più di 9 milioni di utenti unici (1), piazzandosi al terzo posto tra i portali di news e confermandosi un punto di partenza ideale per informarsi in rete, mentre su Flickr (2) 3.439 utenti hanno seguito live la cerimonia caricando più di 13.500 foto direttamente da Washington o dedicate all’evento. Così il tanto citato ‘popolo della rete’ è stato definitivamente sdoganato passando da nicchia a opinion maker, allargando il proprio bacino a tutti coloro i quali volevano sentirsi parte della rivoluzione in corso. Ecco perché, al di là dell’importanza storica, l’elezione di Obama sarà ricordata come uno degli eventi più coinvolgenti della storia. Questa è anche l’opinione dei nostri utenti che recentemente hanno collocato l’evento subito dopo l’attentato alle Torri Gemelle e la morte di Giovanni Paolo II in un sondaggio lanciato da Yahoo! Notizie (3).

Obama ha capito per primo il vero funzionamento della rete intesa non più come vetrina espositiva, ma finalmente come un intreccio di connessioni e ne ha sfruttato appieno le potenzialità del buzz. Tutto ciò che Obama ha detto, fatto e pensato durante la campagna elettorale è stato condiviso attraverso le più famose piattaforme del web. Non mostrato, ma condiviso. Le 53.526 foto caricate sul suo account Flickr sono state viste e commentate milioni di volte, ma non sono rimaste un fenomeno confinato alla rete, sono state riprese da tutti i siti, le televisioni e i giornali del mondo.

Il segnale che qualcosa sta cambiando, e che internet sta passando da media di nicchia a comun denominatore di molti, è il passo deciso verso forme di e-democracy concrete.

Alcune pubbliche amministrazioni, le più lungimiranti, stanno aprendo canali di interazione con i cittadini, altre si limitano alla messa in rete di documenti o alla digitalizzazione di procedure.

Alcuni personaggi politici stanno aprendo canali video e incentrando le proprie campagne sull’online.

Obama docet e sull’onda del suo successo segnalerei la campagna di comunicazione del ‘Plan E’, la soluzione alla crisi economica messa a punto dal governo Zapatero. Un lastminute website chiaro e funzionale dove il premier e i ministri spagnoli spiegano con video e immagini i piani del governo per uscire dalla crisi. È assente la parte ‘2.0’ di interazione e commento, ma è apprezzabile il tentativo d’importazione del modello web-centrico USA. (Beh, buona giornata).

Note:

1 Fonte: Nielsen Online , NetView Custom Analysis, 22 gennaio 2009

2 http://www.flickr.com/groups/inauguration2009/

3 Coinvolti più di 6.000 votanti. I risultati sono su http://it.notizie.yahoo.com/sondaggi/42319-risultati-wv.html

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La “quarta crisi” colpisce ancora duro il New York Times.

Editoria, Usa/ La New York Times Co. perde 74,5 milioni di dollari nel primo trimestre- da blitzquotidiano.it

Le brutte notizie per la New York Times Co. non sembrano finire mai. L’azienda, proprietaria dell’omonimo quotidiano, del Boston Globe e di 15 altri giornali, nel primo trimestre ha visto i suoi ricavi pubblicitari precipitare del 27 per cento.

Le perdite sono state pari a 74,5 milioni di dollari, o 52 centesimi per azione, molto peggio delle previsioni degli analisti. Nel primo trimestre del 2008 le perdite erano state appena di 335 mila dollari. (Beh, buona giornata).

FONTI INFORMATIVE
The Huffington Post

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Leggi e diritto Media e tecnologia

“Per difendere l’industria del contenuto, si preparano fili spinati e pene assurde: querele per i blogger, cause per chi scarica un film, sospensioni della connessione Internet.”

di VITTORIO ZAMBARDINO- Scene digitali- repubblica.it

E’ una sentenza molto “mainstream”, quella che oggi condanna i gestori di The Pirate Bay a varie pene detentive e a un forte risarcimento verso quelle Major dell’intrattenimento che avevano fatto richieste  anche più ingenti. E’ una brutta sentenza: che si “incastra” bene con le intenzioni punitive del governo francese, di quello inglese, e di quello italiano. Ed è un errore.

A pochi minuti dalla decisione del tribunale di Stoccolma, la blogosfera comincia a commentare, ma ci vorrà del tempo prima che un’opinione prenda forma. Non è difficile prevedere che sarà negativa. Intanto ecco TechDirt (in inglese) che sostiene che quella è “un’occasione perduta per l’industria dell’intrattenimento”. Vedremo cosa significa: intanto TechDirt in questi giorni sta riproponendo un tema importante: che la capacità delle macchine digitali e della rete di riprodurre e copiare indefinitamente hanno introdotto nella rete il concetto di “zero”. Hanno cioè smontato in modo irreversibile il conseguimento del profitto sulle opere dell’ingegno.

Sembra di sognare, eppure questo dato, che è chiaro, elementare, percepibile a chiunque guardi oltre l’orizzonte della propria scrivania, non viene colto dall’establishment industriale e politico.

La creatività e l’industria – Per essere chiari e onesti fino in fondo, il male che affligge la musica e il cinema, è lo stesso, anche se i sintomi sono diversi, che ha preso i giornali e in parte la tv. La riproducibilità totale del contenuto punta a distruggere il modello produttivo che finora ha presieduto all’attività di quelle industrie. Che per il momento studiano solo reazioni giudiziarie e/o politiche, invece di dedicarsi a nuove stretegie commerciali. I loro responsabili profetizzano la morte delle creatività e delle professioni che quelle industrie reggono: fare il musicista, il regista, il giornalista. Che è una bella sovrapposizione: il mondo avrà sempre bisogno di chi suona, racconta e informa. Il punto è in quali forme, canali, supporti.

Non facciamola lunga – l’argomento sarà ripreso – ma vale davvero assai poco produrre informazione terroristica, come ha fatto l’industria cinematografica italiana in un rapporto diffuso ieri: bambini che non sanno disegnare, cinema che chiudono, film che non si fanno più. O come fanno i nostri politici, di maggioranza e qualche volta di opposizione, quando parlano di social network come luoghi di abominio, magari con la consulenza degli industriali del cinema seduti accanto a loro, preoccupati perché le loro fiction finiscono su YouTube – a pezzi, niente paura.

Il rischio vero di guardare indietro – Questa cattiva informazione produce un rischio politico gravissimo. Devono saperlo tutti coloro che danno qualche importanza alla parola libertà.

Perché per difendere l’industria del contenuto, si preparano fili spinati e pene assurde: querele per i blogger, cause per chi scarica un film, sospensioni della connessione internet. In Francia, dove sono meno ipocriti, si ipotizza che gli utenti internet debbano, in un futuro non lontano, navigare solo all’interno di liste note di siti e quindi “autorizzati”. Noti all’autorità. In un articolo del nostro decreto sicurezza si conferisce al governo, cioè all’autorità politica, il diritto di decidere se una pagina viola le legge e chiudere magari tutto il sito. Cioè il governo decide cos’è reato in una manifestazione della libertà d’espressione.

Un piccolo passo grave – No non siamo noi che facciamo confusione fra argomenti: è proprio così, passare dal blocco del “pirata” ai controlli di massa e alla repressione della libertà di espressione, è un passo nella direzione più catastrofica. Un piccolo passo grave.

E’ il potere – che da noi è particolarmente intrecciato e confuso tra industria e politica – che fa volutamente confusione.

La ricerca creativa del nuovo – Allora via libera al “pirata”? Sono molte le cose che si potrebbero fare. Una rilfessione sui modelli di business ha portato Steve Jobs a creare con iTunes un meccanismo virtuoso di distribuzione della musica. Miliardi di brani venduti. Venduti.

Se non si fa il passo e non si riesce a capire che il “pirata” siamo moi, i nostri figli e che pirateria è il nuovo mercato, la nuova società, si rimane fermi al palo del delirio reazionario e repressivo. Bisogna inventare nuovi business, nuovi modi di vendere, nuove professioni. Perfino la repressione va ripensata per distinguere tra repressione del contrabbando e consumi personali…

Tanto non guarirete un’industria malata. Riuscirete solo a produrre una solida, diffusa, cultura autoritaria. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media Società e costume

“L’audience come misura del mondo.”

Televisione misura del mondo
di MARCO BELPOLITI da lastampa.it

Uno degli aspetti che più colpiscono nell’attuale processo d’omologazione in corso è l’idealizzazione del banale e dell’insignificante. Certo c’è stata «la casalinga di Voghera», assurta al rango d’intellettuale di riferimento dopo il patronage d’Alberto Arbasino, ma adesso tocca agli intellettuali di X Factor. Secondo Walter Siti, che ne ha scritto sulla Stampa sabato scorso, si tratta di un programma seguito da nutriti gruppi d’ascolto di cui farebbero parte scrittori e intellettuali di grido, che dibattono tra loro, non più di Marx e Nietzsche, di Adorno e Horkheimer, bensì di Morgan e Mara Maionchi.

Colpisce il fatto che le persone esposte allo sguardo ammirato di molti, se non di tutti, non siano più modelli alti, personaggi di rilievo intellettuale o morale, quanto piuttosto uomini e donne modesti, anonimi, assolutamente identici all’uomo della strada o alla donna della porta accanto. Realtà e spettacolo si avvicinano sempre più, così che il secondo ha inglobato la prima. Del resto, lo spettacolo non assolve più alla sua naturale funzione di rappresentare, drammatizzare, far riflettere, appassionare, svolgendo il ruolo catartico per cui era nato, ma s’identifica sempre più con la realtà stessa, così che non esiste più alcuna differenza tra le due cose: tutto è spettacolo, anche la vita, soprattutto quella intima.

Gli psicoanalisti, interessati a quello che accade fuori dalle loro stanze, da tempo ci stanno indicando un aspetto della trasformazione in corso, di cui il voyeurismo e l’esibizionismo televisivo, tipico dei nuovi programmi, ne è la spia più diffusa: una progressiva carenza di identità prima ancora che di valori. Anna Maria Pandolfi, in un preveggente studio di qualche anno fa, postulava per la società attuale un assetto narcisistico estremamente fragile e povero, per il quale «essere visti e conosciuti o solo guardati, quale che sia il prezzo che per ciò si paga, sembra essere l’unico rimedio a un pericoloso vissuto di non valore o addirittura di non esistenza».

L’audience come misura del mondo. La televisione, meglio la neotelevisione berlusconiana – modello straordinario di un ordinario «pensiero unico» -, ha realizzato proprio questo, secondo una tendenza omologante e appiattente a cui anche gli intellettuali raffinati – o presunti tali – si sono equiparati e genuflessi: tutti osservano la stessa cosa. Chi dice, o mostra, cose diverse, chi esce dal coro, con provocazioni oppure con un persistente silenzio, viene immediatamente eliminato. Non è più solo un’invenzione da intellettuali francesi, bensì un dato inconfutabile: la realtà mediatica ha sostituito nella testa di menti illuminate e di scrittori, che si vorrebbero trasgressivi, la realtà fattuale.

Jean Baudrillard, ci ricorda Anna Maria Pandolfi, in alcune pagine illuminanti e terribili, peraltro inascoltate, ci aveva avvisato diversi anni fa: quando tutto è esposto alla vista, non c’è più nulla da vedere. Il nulla sotto forma di rumore di fondo, schiamazzo, pseudo-discussione, è diventato la forma stessa della società italiana dell’inizio del XXI secolo attraverso il suo strumento mediatico più efficace: la televisione. Qualche giorno fa un’importante personalità istituzionale ha sostenuto con una boutade che non era il caso d’insistere sulle responsabilità nei crolli delle case, degli ospedali, degli edifici pubblici dell’Aquila.

Il senso di colpa o la vergogna, sottintendeva l’intervento autorevole dell’uomo politico, non hanno più alcun senso perché rivolti verso il passato. Il futuro è quello che conta. Ma quale futuro? Chi è capace di reggere la presenza del proprio o altrui errore, di ammetterlo o combatterlo, possiede, ricorda la psicoanalista Pandolfi, un Sé sufficientemente saldo e un’identità abbastanza definita per poter entrare nell’area della conflittualità, tollerare la colpa e sopportare la depressione che ne consegue.

Al contrario, chi rigetta tutto questo, dimostra il bisogno «di essere visto e parlato, per garantirsi della sua propria esistenza e negare il vuoto e la futilità del suo mondo interno e, ora, anche di quello esterno, tra i quali peraltro la distinzione non è più così netta». C’è solo da augurarsi che intellettuali intelligenti e acuti, scrittori bravi e di successo, si risveglino dal sonno della ragione che, non partorisce solo mostri, come ci avvisava Goya, ma anche e soprattutto il vuoto di una pseudo-vita omologante e banale. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Togliere la pubblicità dalla tv pubblica non ha aiutato le televisioni francesi a resistere alla “quarta crisi”.

I 3 milioni in più di telespettatori che il 5 gennaio 2009 hanno assistito alla prima serata senza pubblicità sul principale canale pubblico francese, non hanno confermato nel tempo l’interesse verso l’esperimento voluto da Nicolas Sarkozy

La legge per togliere la pubblicità dalla Tv pubblica, fortemente voluta dal presidente francese un anno fa, sembrerebbe non aver giovato all’intero sistema televisivo. Promulgata il 7 marzo scorso, ha visto la sua applicazione con due mesi d’anticipo grazie all’adesione spontanea, suggerita da Sarkozy , delle due reti ammiraglie France2 e France3 che hanno tolto la pubblicità dai loro palinsesti.

Risultato: i dati d’ascolto di France Télévisions, almeno fino ad ora, confermano un’audience in leggero calo: France 3 passa dal 12,9% di dicembre 2008 al 12,1% del febbraio 2009, mentre quella delle reti private Tf1 e M6 è rimasta sostanzialmente invariata, intorno rispettivamente al 26% e all’11%.

Con lo ‘stop’ alla pubblicità sulla tv pubblica dalle ore 20.00 in poi, a guadagnarci è stata soprattutto la tv digitale terrestre, che offre passaggi pubblicitari a tariffe convenienti e vanta una buona fetta d’audience.

A quattro anni dal lancio oltralpe, che ha portato nelle case francesi ben 14 canali gratuiti in aggiunta a quelli analogici, oltre ai 14 a pagamento, l’audience dei canali digitali a febbraio ha toccato quota 14% e secondo NPA Conseil, arriverà al 25% nel 2012, mentre i canali tradizionali si attesteranno al 60% (contro l’attuale 73% e l’89,8% del 2004). Il resto sarà occupato dai canali pay del cavo e del satellite.

Nonostante le premesse, l’esperimento francese non ha prodotto l’ipotizzato dirottamento delle risorse pubblicitarie dal piccolo schermo pubblico a quello privato. Come riportato a firma di Edoardo Segantini sul Corriere della Sera di lunedì 20 aprile, a cambiare destinatario, secondo gli obiettivi del governo, dovevano essere 800 milioni di euro di spot: il grosso, circa 480 mln, sarebbe andato alle reti nazionali private Tf1 (di Martin Bouygues, amico personale del presidente) e M6, del gruppo tedesco Bertelsmann. 160 mln a radio, stampa e affissioni, 80 a Internet e 80 ai canali digitali terrestri .

Che cosa è avvenuto in realtà lo spiega Augusto Preta, di ITMedia Consulting: anziché trasferire su altri media la pubblicità prima pianificata sulle reti pubbliche, dice l’analista, gli inserzionisti hanno semplicemente soppresso gli investimenti. In buona parte per effetto della crisi economica. Particolarmente pesante il bilancio di Tf1, prima rete privata di Francia, che nei primi due mesi del 2009 ha visto i suoi ricavi pubblicitari lordi diminuire del 20,3% rispetto allo stesso periodo del 2008, con una caduta del titolo in Borsa del 50 per cento. Ma anche M6 ha perso il 10% degli incassi da spot.

Secondo Stefano Carli di Affari e Finanza, il problema sta nel fatto che Sarkozy aveva previsto di compensare la perdita dei mancati ricavi pubblicitari di France 2 e 3 con un contributo del 3% sul fatturato pubblicitario, calcolato sull’anno precedente, delle altre Tv e lo 0,9% dei ricavi da banda larga delle telecom. Il resto è a carico dello Stato. Un controsenso dal punto di vista economico: Tf1 ha registrato -20% di spot nel 2008 e M6 -10% e pagheranno per una pubblicità mai arrivata.

Per ora in Francia sono in corso accese polemiche, mentre in Italia la proposta di Bondi di creare un sistema analogo a quello francese ha trovato a commento un silenzio quasi assoluto. Soltanto i canali digitali terrestri possono brindare visti i ricavi pubblicitari in crescita dell’85%. Ma in ogni caso, dal punto di vista del sistema, si tratta di pochi milioni di euro guadagnati a fronte delle centinaia persi dai maggiori network nazionali. In un mercato depresso, ‘gli inserzionisti stanno tentando di ottimizzare i loro investimenti’, ha spiegato Philippe Nouchi di ZenithOptimédia, centro media affiliato alla holding francese Publicis.

Inizialmente, Tf1 aveva approfittato dell’oscuramento degli spot sulla Tv pubblica per aumentare le proprie tariffe serali. Cosa che chiaramente non è stata ben accolta dal mondo della pubblicità. C’è stato un vero e proprio braccio di ferro con i grossi advertiser, tra cui probabilmente Danone (assente dagli schermi di Tf1 dall’inizio dell’anno) e Colgate .

L’esperienza francese ha dunque trovato un grosso ostacolo proprio nella crisi economica che ha impattato sulla globale crisi del mondo dei media, quella che è stata definita la “quarta crisi”. A cui si vanno ad aggiungere forti resistenze da parte dei network televisivi commerciali, che proprio non si rassegnano all’idea del calo tendenziale della tv nella filiera della comunicazione commerciale. Ad esempio, la contrarietà di Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset alla diminuzione della pubblicità dalle reti pubbliche italiane si spiega nel forte timore che se anche in Italia prendesse il via l’esperimento francese, ciò potrebbe comportare un dirottamento degli investimenti pubblicitari Rai verso Sky, invece che nelle casse del Biscione. Beh, buona giornata.

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Attualità Media e tecnologia

Ultime notizie da casa Berlusconi: Mimun al TG1, Orfeo al TG2.

Sarebbero stati stabiliti nel corso di un incontro di oltre due ore a Palazzo Grazioli i nomi dei professionisti a cui sarà demandata la guida dei due telegiornali più importanti della Rai.

Pare che sia prossimo ad approdare al Tg1 Clemente Mimun, mentre Mario Orfeo potrebbe assumere le redini del Tg2.

Al vertice hanno partecipato il premier Silvio Berlusconi e i sottosegretari alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e Paolo Bonaiuti, insieme ai capigruppo e ai vicecapi gruppo del Pdl di Camera e Senato. Erano presneti inoltre Paolo Romani, sottosegretario alle comunicazioni, Antonio Tajani, vicepresidente alla Commissione Europea, Denis Verdini, coordinatore del Pdl, e Aldo Brancher , sottosegretario alle riforme. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La crisi economica sta facendo a pezzi la pubblicità italiana.

Dopo un gennaio nero per l’adv (-18,7% ), prosegue anche a febbraio il trend negativo degli investimenti pubblicitari. Nel complesso, nel bimestre la Televisione presenta una flessione del -16% e la Stampa registra un calo del -27,4%. In diminuzione anche gli investimenti sulla Radio (-27,2%), sull’Outdoor (-36,2%), sul Cinema (-27,1%) e sulle Cards (-52,5%). Solo l’adv on line cresce del +3,9% .

Secondo Nielsen Media Research continua il difficile momento dell’advertising: dopo un gennaio nero (-18,7%), anche a febbraio i risultati non sono positivi e la diminuzione complessiva del primo bimestre 2009 si attesta a -19,5% rispetto al corrispondente periodo del 2008. La contrazione riguarda, con diversa intensità, tutti i mezzi ad eccezione di Internet. Wind, Ferrero e Volkswagen con circa 70 milioni euro di spesa guidano la classifica dei top spender.

Complessivamente le aziende attive in comunicazione sono 6.721 (erano 7.552 a gennaio-febbraio 2008) con un investimento medio di 155 mila euro (-9,3% ).

L’analisi dei mezzi mostra per la Televisione, considerando sia i canali generalisti che quelli satellitari (marchi Sky e Fox), una flessione sul bimestre del -16,0% . Tra i principali settori si evidenzia il calo di Alimentari (-14,7%), Auto (-17,6%), Telecomunicazioni (-2,7%) e l’exploit di Enti/Istituzioni (+39,2%).

La Stampa, nel suo complesso, ha un calo del -27,4%. I Periodici diminuiscono del -29,6% con l’Abbigliamento a -34,6%, la Cura persona a -28,7% e l’Abitazione a -16,8%.

I Quotidiani a pagamento mostrano una flessione del -26,4% con l’Auto e l’Abbigliamento , i due settori più importanti, che riducono gli investimenti rispettivamente del -45,3% e del -45,2%. E’ soprattutto la Commerciale Nazionale a frenare con una diminuzione del -33,9%, ma sono in calo anche la Locale (-16,7%) e la Rubricata/Di Servizio (-21,6% ).

In contrazione anche la Free Press (-25,3%). I primi due mesi dell’anno fanno registrare variazioni negative anche per la Radio (-27,2%), per l’Outdoor (-36,2%), per il Cinema (-27,1%) e per le Cards (-52,5% ).

Il Direct mail passa da 101 milioni del gennaio-febbraio 2008 a 79 milioni nel gennaio-febbraio 2009 (-22,0%). Performance, invece, positiva per Internet che cresce del +3,9% superando gli 83 milioni .

Da gennaio, con i dati storici relativi a tutto il 2008, Nielsen rileva un nuovo mezzo, l’Out of home tv, le televisioni degli aeroporti e della metropolitana di Telesia , società controllata da Class Editori. La raccolta nei primi due mesi di quest’anno è stata di circa 1 milione euro con un decremento del -7,9% sul corrispondente periodo del 2008. Beh, buona giornata.

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Il terremoto, una mano santa per la popolarità di Berlusconi.

Il premier e il sisma. Fiducia in crescita
Le conseguenze politiche del terremoto
di Renato Mannheimer da corriere.it

La tragedia del terremo­to ha avuto inevitabil­mente anche effetti po­litici e ripercussioni sull’opi­nione pubblica. In due direzioni principali. La prima è stata l’improvviso instaurarsi di un clima meno conflittuale tra le forze politi­che. Di fronte a una situazio­ne così drammatica, molte delle tradizionali dispute tra i partiti sono state accantonate dalla necessità di operare di comune accordo per reagire il più rapidamente e il più ef­ficacemente possibile al­l’emergenza. La seconda con­seguenza è costituita dalla forte accentuazione della dif­ferenza di popolarità tra le principali forze politiche, con un netto accrescimento del vantaggio, già consisten­te, acquisito dal presidente del Consiglio. Berlusconi ha confermato le proprie capaci­tà comunicative e la sua abili­tà nell’instaurare, spesso al di là di ogni intermediazione, un rapporto e un colloquio di­retto con la «gente».

Gli ultimi sondaggi confer­mano questo quadro. Quasi metà dell’elettorato (48%) ritie­ne che, al di là del proprio giu­dizio in merito, il Cavaliere sia riuscito oggi a riscuotere più fiducia di prima. Questa opi­nione è relativamente più pre­sente tra chi è politicamente simpatizzante per il centrode­stra: ma anche tra gli elettori del Pd la convinzione che Ber­lusconi abbia ottenuto un van­taggio è assai diffusa (36%).

Se si approfondisce l’anali­si e si interrogano i cittadini non tanto sulle loro conside­razioni di carattere generale, quanto sulla propria reazione alle iniziative del Cavaliere, l’immagine del successo di Berlusconi viene meglio deli­neata e chiarita nelle sue com­ponenti. Più di un quarto de­gli italiani (26%) dichiara di avere incrementato la pro­pria personale fiducia nel Pre­sidente del Consiglio proprio a seguito del suo comporta­mento in Abruzzo. Costoro sono naturalmente in gran parte già elettori del centro­destra e ne riproducono le ca­ratteristiche sociali (anziani, casalinghe, possessori di tito­li di studio medio-bassi). Ma anche una quota — modesta, ma significativa: poco meno del 10% — di votanti per il Pd «confessa» di provare, dopo il terremoto, più fiducia in Berlusconi.

Negli ultimi giorni, insom­ma, il Cavaliere ha visto incre­mentare ulteriormente la pro­pria popolarità, grazie special­mente alla mobilitazione del proprio elettorato già acquisi­to, ma anche attraverso la conquista delle simpatie di un piccolo segmento dei vo­tanti per l’avversario. La con­seguenza è un ulteriore allar­gamento del grado di consen­so goduto nel Paese — oggi superiore al 50% — e, ciò che forse è più importante, un au­mento della percentuale di in­tenzioni di voto per il Pdl che oltrepassano oggi il 45% e, se­condo alcuni, si avvicinano al 50%. (Beh, buona giornata).

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Scoop da Guantanamo: un detenuto telefona a Al Jazeera.

da repubblica.it

LA DENUNCIA per via telefonica degli abusi subiti in carcere è arrivata assolutamente a sorpresa. Mohammad el Gharani, detenuto nella blindatissima Guantanamo, aveva avuto il permesso di telefonare ad uno zio. Invece ha composto il prefisso del Qatar e si è messo in comunicazione con l’emittente tv Al Jazeera, cui ha raccontato, durante un’intervista improvvisata, di essere stato picchiato e di aver subito numerosi abusi nel carcere americano di massima sicurezza sull’isola caraibica voluto da George W. Bush per i presunti terroristi, che Barack Obama ha promesso di chiudere entro l’anno.

E’ la prima intervista con un prigioniero dietro le sbarre di Guantanamo, struttura che i giornalisti possono visitare solo se si impegnano, firmando un documento, a non parlare con nessuno dei detenuti. Sul sito in inglese di Al Jazeera è disponibile una trascrizione del colloquio registrato.

L’uomo, un giovane del Ciad, ha detto di esser stato rinchiuso a Guantanamo da quando aveva 14 anni. Gharani ha oggi 21 anni: un giudice distrettuale americano ne ha ordinato il rilascio in gennaio. Ha detto di esser stato picchiato nei sette anni della sua detenzione e che un gruppo di sei soldati americani gli hanno sparato addosso gas lacrimogeni una volta che si era rifiutato di lasciare la cella. “Questo trattamento è cominciato 20 giorni prima che il presidente Barack Obama si insediasse e da allora è proseguito quasi ogni giorno”, ha detto il giovane ad Al Jazeera.

“Da quando Obama è diventato presidente, non ci ha dimostrato che qualcosa cambierà”, ha detto ancora Gharani. Trasferito nei mesi scorsi in una delle aree della prigione destinate ai detenuti in attesa di rilascio, ottenuto il permesso di fare una telefonata, invece del parente ha chiamato un cameraman della tv di Doha, Sami al-Hajj, che a Guantanamo è stato rinchiuso per sei anni. A lui ha spiegato il suo rifiuto di lasciare la cella perché “non venivano garantiti i miei diritti”, come quello di interagire con altri detenuti e di avere “cibo normale”. Da qui la reazione violenta dei sei soldati, che hanno iniziato a picchiarlo con “con bastoni di plastica, svuotando due bombolette di gas lacrimogeni”. Gharani ha raccontato che gli hanno sbattuto la testa contro il pavimento e gli hanno rotto un dente. “Quando ho iniziato a urlare verso il superiore, dicendo ‘guarda cosa stanno facendo’, lui ha iniziato a ridere e ha risposto, ‘stanno facendo il loro lavoro'”, ha detto ancora.

Dal Pentagono, per ora, nessuna reazione alla richiesta di chiarimenti avanzata da Al Jazeera. La sola risposta arrivata finora è di un portavoce di Guantanamo, il comandante della Marina, Brook DeWalt, che ha detto di “non avere alcuna conferma sull’autenticità” del racconto del detenuto. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Media e tecnologia Popoli e politiche

La notizia è che il governo italiano intimorisce sistematicamente i giornalisti stranieri: “Questi interventi diplomatici presso organi di stampa di paesi democratici sono di solito praticati da governi autoritari o dittatoriali.”

di Bernardo Valli da Repubblica

Avrei scritto anch’ io, non volentieri ma con slancio, l’ articolo di Philippe Ridet pubblicato ieri da Le Monde. Questa mia immediata e candida affermazione deriva dal fatto che quanto dice il corrispondente del quotidiano parigino lo sentono molti italiani come me residenti all’ estero. In particolare se svolgono lo stesso mestiere di Ridet e quindi vedono quotidianamente come l’ immagine dell’ Italia si riflette fuori dai patri confini. L’ Italia soffre, scrive Ridet, ma non vuole essere criticata dagli stranieri. E il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che controlla in quanto diretto proprietario o in quanto capo del governo l’ ottanta per cento dei media, è l’ araldo di questa «resistenza». Resistenza che si esprime con una raffica di proteste dei nostri ambasciatori invitati dal loro ministro a reagire quando i quotidiani stranieri parlano male dell’ Italia.

È capitato al Times quando ha ironizzato sulle parole di Silvio Berlusconi che invitava i rifugiati dell’ Aquila a «passare il weekend di Pasqua al mare». È capitato al Guardian quando ha scritto che la fusione tra Alleanza Nazionale e Forza Italia segnava la nascita di una formazione «postfascista». È capitato al Pais quando ha definito Berlusconi uno dei leader «più sinistri». E allo Spiegel quando, al momento delle immondizie napoletane, ha chiamato l’ Italia «uno stivale puzzolente».

Questi interventi diplomatici presso organi di stampa di paesi democratici sono di solito praticati da governi autoritari o dittatoriali, particolarmente sensibili alle critiche, considerate insulti, anche perché spesso ignorano le libertà di informazione e di opinione, non essendo quest’ ultime parte della loro tradizione. Philippe Ridet racconta come lui e il suo collega del Wall Street Journal siano stati convocati alla Farnesina (sede del nostro ministero degli Esteri) e invitati a spiegare come vedevano l’ Italia e con quali criteri la raccontavano nelle loro corrispondenze.

I due giornalisti si sono trovati d’ accordo per dire, con un linguaggio diplomatico simile a quello usato dai loro interlocutori, che almeno quattro ostacoli impedivano di fare l’ elogio quotidiano della Penisola: «La mafia (e le sue declinazioni locali), l’ inefficienza dell’ amministrazione e dello Stato in generale, la politica xenofoba raccomandata – e a volte applicata – dalla Lega del Nord e gli spropositi verbali (mauvaises blagues) di Silvio Berlusconi». Aggiungo io, ancora, sebbene sia superfluo sottolinearlo, che queste convocazioni di giornalisti stranieri da parte delle autorità, sia pure fatte con garbo, vale a dire con diplomazia, sono di solito pratica corrente nei paesi emergenti, dove le critiche, indispensabile sale di ogni libero giornalismo, sono considerate violazioni di lesa maestà.

Scrive Ridet: «Suscettibile, Silvio Berlusconi? Sì, ma non più degli italiani che rifiutano di riconoscersi nello specchio che tende loro la stampa straniera. Eppure non sono avari nel criticare se stessi. Hanno persino inventato un’ espressione per questo, l’ autolesionismo, al fine di evocare la loro tendenzaa vedersi come gli ultimi della classe, impopolari in Europa. Ma quando qualcuno lo fa al loro posto, subito gli stessi che si descrivono “abitanti di un paese in cui nulla funziona” inforcano il cavallo dell’ orgoglio nazionale. Ne è un’ illustrazione l’ atteggiamento pieno di dignità offesa di Silvio Berlusconi che rifiuta l’ aiuto internazionale dopo il dramma dell’ Aquila». Il corrispondente di Le Monde ricorda l’ intolleranza di Silvio Berlusconi nei confronti dei giornali italiani che descrivono la corruzione, i pubblici abusi e i delitti mafiosi. Precisa Ridet, nella sua Lettre d’ Italie, che il presidente del Consiglio si è detto persino tentato di ricorrere «a misure dure». L’ irritazione di Berlusconi è dovuta anche al fatto che i giornalisti stranieri traggono dalla stampa nazionale le notizie per le loro corrispondenze.

Da un lato prospetta quindi «misure dure», e dall’ altro tenta di tenere a bada la stampa straniera mobilitando gli ambasciatori. Come fanno, appunto, i regimi autoritari. L’ operazione diplomatica è destinata ad alimentare la cattiva immagine della nostra democrazia, incapace di sopportare le critiche. E accentua la caricatura del presidente del Consiglio. Philippe Ridet è comunque garbato nella sua Lettre d’ Italie, poiché aggiudica tutto all’ orgoglio nazionale, ben radicato anche nel suo paese. Molti italiani che vivono fuori dai patri confini sono colpiti invece dal fatto che quell’ orgoglio non spinga a ripudiare democraticamente all’ interno, l’ immagine reale dell’ Italia oggi in Europa. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Media e tecnologia

Santoro punito, Vauro espulso. Beh, buona censura.

Viale Mazzini ha deciso. Santoro dovrà riparare, Vauro è sospeso perché una sua vignetta ha offeso le vittime e chi le piange. E’ il risultato della riunione che si è tenuta oggi alla Rai dopo le polemiche seguìte alla puntata di Annozero dedicata al terremoto in Abruzzo. “Indegna” secondo Gianfranco Fini, “non da servizio pubblico” secondo Silvio Berlusconi, e poi via via giudizi analoghi da altre voci del Pdl nei giorni scorsi. Il provvedimento è in una lettera del direttore generale Rai, Mauro Masi. Santoro, dalla prossima puntata (cioè domani), dovrà “attivare i necessari e doverosi riequilibri informativi specificatamente in ordine ai servizi andati in onda dall’Abruzzo”. Vauro, invece, non ci sarà. Beh, buona giornata.

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Spagna: via la pubblicità dalla tv pubblica?

Spagna; Zapatero: “drastica riduzione” pubblicità in Tv di Stato
Roma, 14 apr. (Apcom) – La Spagna come la Francia: Madrid mira a ridurre la pubblicità nella televisione pubblica. E l’annuncio viene dal presidente del governo socialista, José Luis Rodríguez Zapatero, che lo ha detto oggi a deputati e senatori del Psoe riuniti in seduta plenaria per discutere le prossime leggi che l’esecutivo invierà in Parlamento. Il leader socialista ha annunciato che il governo manderà alle Camera una nuova proposta di legge sulla riforma del settore audiovisivo; un precedente testo nella scorsa legislatura si era arenato per mancanza di consenso. Nella nuova legge sarà indicato come obbiettivo proprio quello che chiedevano le televisioni commerciali. Ovvero, come ha detto Zapatero caldamente applaudito dai suoi stessi parlamentari, “una drastica riduzione della pubblicità nella tv di Stato”, i canali della TVE. In novembre, la Unione delle televisioni commerciali (Uteca) aveva ribadito all’esecutivo l’esigenza che la Tve non trasmetta pubblicità e che si finanzi esclusivamente con fondi pubblici, e la richiesta che la tv di Stato si concentri a trasmettere eventi per cui non entri in competizione con le televisioni commerciali. Sotto tiro in particolare il pagamento da parte della Tve di 60 milioni di euro per i diritti di vari campionati di calcio, cifra che secondo l’Uteca è il triplo di quanto avevano precedentemente pagato le tv private. La decisione di Zapatero rischia di ridurre di parecchio il raggio d’azione della tv pubblica, rendendola di fatto dipendente in modo totale dalle sovvenzioni del governo in carica (che, caso raro in Europa, non prevede un canone diretto dei telespettatori). Va ricordato che dopo il ritorno della democrazia, Tve – con un unico canale generalista al quale qualche anno dopo se n’è aggiunto uno regionale – non è mai stata sottoposta a un processo di “lottizzazione”, ma occupata in toto dall’esecutivo al potere. Di fatto, Tve è sempre stata un strumento a disposizione dei governi ma non dei partiti, che hanno alleati più preziosi – e in teoria più al riparo da incertezze elettorali – nei grandi gruppi privati. La legge dovrebbe infatti favorire il potere di acquisto delle televisioni commerciali, le sole a dividersi la torta dei ricavi pubblicitari – relegando Tve ai telegiornali e a format poco costosi, e sperando quindi di ridurre l’entità della spesa totale necessaria al suo finanziamento. Un dibattito simile è avvenuto poche settimane fa in Francia, dove il presidente conservatore Nicolas Sarkozy ha presentato e visto approvare una legge che riduce progressivamente e drasticamente la trasmissione della pubblicità sui canali di France Television, la tv di Stato (peraltro in Francia finanziata anche con il canone). I critici hanno affermato che Sarkozy voleva in primo luogo favorire i proprietari dei canali commerciali e privati, molti dei quali sono suoi amici personali. (Beh, buona giornata).

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Attualità Media e tecnologia

Terremoto contro Santoro: tra le case distrutte de L’Aquila spuntano le macerie della libertà di informazione.

Berlusconi e Fini, con l’attacco a Santoro, durante la loro visita ai terremotati, dimostrano, con una ingenuità poco degna degli incarichi istituzionali che rispettivamente ricoprono, che lo scopo della loro presenza nei luoghi del disastro è stato puramente propagandistico, per non dire di segno smaccatamente elettoralistico.

Gli hanno fatto eco, come da copione, gli esponenti della maggioranza che di mestiere fanno i coriferi: il solito stucchevole piano preordinato dalla fabbrica delle veline governative: l’ attacco alla professionalità di Travaglio, Ruotolo e Vauro va al di là del merito della trasmissione che Anno Zero ha dedicato al terremoto. Questo modo di agire è ormai una rubrica quotidiana, la sola novità è che è andata in onda in edizione straordinaria nel giorno di Pasqua.

Il nuovo presidente e il nuovo direttore generale della Rai potevano evitare di farsi venire un colpo della strega pasquale nell’inchinarsi così rapidamente al volere del capo del governo: sono intercorse neanche un paio d’ore tra le agenzie che riferivano delle dichiarazioni, apparentemente estemporanee di Berlusconi e Fini e le agenzie che riportavano il “pronto intervento” dei vertici della Rai.

Emblematico, infine lo “sdegno” del vescovo dell’Aquila che ha espresso il proprio giudizio anche sul resto della trasmissione: “E’ vergognoso che si permetta sulla televisione pubblica un dileggio così incivile su un dolore tanto grande affrontato dagli aquilani con molta dignità -ha tuonato-e un così evidente disprezzo di tutti i soccorritori e i volontari che hanno contribuito con meravigliosa generosità e affrontando gravi rischi a salvare moltissime vite umane”.

Se abbiamo capito chi ha dato il là alla polemica, quello che non si capisce è come il vescovo non provi il senso del pudore: tra i suoi fedeli ci sono quei costruttori che hanno fatto crollare le case a fronte di un terremoto che non avrebbe avuto quella forza distruttiva se non con la complicità del malaffare. Se il vescovo si voleva occupare di cose terrene poteva e doveva pensarci prima.

Evidentemente, i peana alla coesione politica, alla volontà politica bipartisan di fronte alle tragedia del terremoto sono durati troppo poco per essere credibili.
Mentre si contavano i morti, disperatamente si cercavano i vivi tra le macerie e arrivavano i soccorsi, Berlusconi ha fatto fare un sondaggio sulla sua popolarità. Quando ha visto che saliva, allora ha fatto del terremoto il suo ultimo cavallo di battaglia. Pronto a saltare su un altro cavallo all’abbisogna di un nuovo sondaggio.

I cittadini de L’aquila sono avvisati: meglio una trasmissione giornalistica che mette sotto torchio la macchina degli aiuti, che governanti che fanno della loro tragedia uno spot propagandistico.
Gli spot, si sa, non sarebbero spot se non durassero il tempo necessario alla notorietà di chi li paga.

La ricostruzione è cosa lunga, seria e faticosa. E non è detto che vada a buon fine se non ci sarà una informazione libera a vigilare sulle promesse fatte dai politici di turno. Beh, buona giornata.

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Attualità Media e tecnologia

Terremoto: altra scossa sismica contro Anno Zero.

(fonte: ANSA).

”Non parlo piu’ di questo, ma mi sembra che i fatti mi abbiano dato ragione: la tv pubblica non puo’ comportarsi in questo modo”. Cosi’ il presidente del Consiglio, Silvio
Berlusconi, in visita alla tendopoli di Monticchio, vicino L’Aquila, risponde a una domanda sulle polemiche riguardanti la trasmissione Annozero di Michele Santoro sul terremoto in Abruzzo. (Beh, buona giornata).

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Attualità Media e tecnologia

Terremoto: scossa sismica contro Michele Santoro.

(fonte: AGI)

‘Anno zero’ e’ stata “semplicemente indecente, l’unica cosa stonata in questa tragedia”. Cosi’ il presidente della Camera, Gianfranco Fini, in Abruzzo con i terremotati, ha commentato ai microfoni di Sky Tg24, l’ultima puntata della trasmissione di Michele Santoro. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: il conflitto tra new e old media.

da blitzquotidiano.it

Internet e i giornali/ Un sito americano, Gawker.com: portiamo ai giornali il 40% del traffico. E accusa gli old media di incompetenza

Una polemica sull’uso dei contenuti dei giornali da parte dei siti internet sta divampando negli Usa. A originarla è stata la tesi che i giornali dovrebbero farsi pagare per le informazioni, riprese e rilanciate dai siti, esi sostenuta da molti nel mondo della carta stampata e formalizzata da Dan Singleton, editore e presidente dell’agenzia Associated Press.

Gawker.com, un sito internet di New York molto attento all’informazione, dai grandi temi al piccolo pettegolezzo, è partito con veemenza all’attacco. Gawker ha accusato i diriegnti della carta stampata di ignoranza e incompetenza. Anche il Wall Street Journal e il New York Times, ha scritto, possiedono aggregatori, che fanno prorpi il mestiere messo sotto accusa: entrambi i quotidiani contengono sezioni in cui si trovano titoli e notizie ripresi da altre fonti. “Peccato che i proprietari dei due giornali non se ne siano accorti”.

Al di là della polemica, Gawker.com sostiene una tesi che favorisce i siti internet e gli aggregatori di notizie in particolare. Riproducendo un grafico che dimostra la costanza del flusso, Gawker.com fa vedere come il 40% del traffico versi i siti ei giornali venga proprio da aggregastopri e motori di ricerca. (Beh, buona giornata).

[The] WSJ (a News Corp. property) and NYT (a key AP member) are both themselves news aggregators. Both maintain sections which quote headlines from external sites. So, constituents of these organizations already know aggregation is useful and fair. This knowledge just hasn’t reached AP’s and News Corp.’s leadership.

11 aprile 2009 | 16:47

FONTI INFORMATIVE
Gawker.com
Gawker.com – 2
Gawker.com – 3

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi secondo il nuovo direttore de Il Corriere della Sera.

(fonte: advexpress.it)
Ecco uno stralcio del discorso di insediamentoidi Ferruccio De Bortoli alla direzione del Corriere della Sera:

“Viviamo in una stagione nella quale l’informazione è una commodity gratuita, purtroppo – ha dichiarato – La si può avere ovunque. La nostra unica salvezza, ma anche la nostra grande opportunità, è spingere su una informazione di qualità, con notizie, approfondimenti e inchieste. Una informazione di qualità che si integri meglio con la rete. Ma sia difficilmente replicabile e giustifichi il suo valore d’uso. Noi dobbiamo spingere al massimo, ancora di più di quanto abbiate fatto finora, nell’integrazione fra web e carta. Ma distinguendo di più fra i due mezzi. Affinché il primo non soffochi la seconda e la rete costituisca la difesa e la promozione, con tutte le modalità multimediali, di un grande marchio di qualità come il Corriere della Sera. I giornali sono in crisi. In tutto il mondo. Ma non sono mai stati così letti, su carta e sul web, come oggi. Ci sarà una ragione se un navigatore sceglie, per avere un’informazione certificata, una testata storica. Vuol dire che quella testata è credibile, affidabile. I giornalisti devono affrontare la sfida, mettersi in gioco, uscire dalle protezioni corporative”.

E poi uno sguardo al futuro dei quotidiani: “I quotidiani hanno un futuro? Io sono convinto di sì e non lo dico per farmi coraggio o per farvi coraggio. Dico sempre, a mo’ di battuta, che i giornali vengono da lontano ma non appartengono al passato. Pensate a quanto è ancora forte, pur con diffusioni calanti, il rapporto fra un lettore e il suo giornale (…). Però, ve lo dico subito, bisogna essere più umili, mettersi di più nei panni di chi legge, avere la pazienza di rispondere alle mail, per esempio. Ogni lettore va curato personalmente, non deve mai sentirsi abbandonato dal proprio quotidiano. Perché poi non torna più. E perché, ricordatevi, nella rete il lettore sta un gradino sopra di noi. E’ insieme navigatore, utente, consumatore, certificatore e persino giornalista. Qualche volta migliore di noi. Guardate con interesse il fenomeno dei social network e del citizen journalism. Non con sufficienza. Nel minuto successivo alla scossa del terremoto in Abruzzo c’erano già otto persone che l’avevano comunicato, facendo i cronisti, su Twitter”.

Infine de Bortoli ha delineato le caratteristiche che dovrà avere il ‘nuovo’ Corriere della Sera. “Dobbiamo affrontare la sfida del cambiamento – ha detto – cercando di fare un giornale di maggiore qualità, più snello, con una grafica più sobria ma ugualmente accattivante, con un’infografica che consenta un vero secondo percorso di lettura, non una divagazione estetica. Avendo cura di spiegare e semplificare realtà complesse a un lettore che al 52% ci legge la sera, dopo cena. E al mattino ci sfoglia soltanto. Con un’ attenzione maggiore ai fatti e meno alla sovrastruttura degli avvenimenti. Più costruttivi e meno distruttivi”. (Beh, buona giornata).

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La quarta crisi: L’Associated Press contro i siti web, il New York Times contro l’Associated Press.

(fonte: blitzquotidiano.it)

Le aziende editrici di quotidiani americane, colpite dal calo della pubblicità, delle vendite e dal fatto che i lettori preferiscono collegarsi a internet per leggere le notizie gratuitamente piuttosto che acquistare i giornali, sono pronte al contrattacco.

Dean Singleton, presidente dell’Associated Press (una cooperativa con 1.400 abbonati solo negli Stati Uniti), ha dichiarato che «è giunto il tempo di finirla con i siti web che si appropriano illegalmente del nostro materiale giornalistico».

Intervenendo ad un convegno della Newspaper Association of America (NAA) a San Diego, California, Singleton ha detto che l’Ap si accinge a prendere provvedimenti per meglio tutelare i contenuti dei suoi clienti.

Cosa esattamente intende fare l’Ap e come non è ancora chiaro, ma si sa che cercherà la collaborazione dei portali web per individuare e perseguire legalmente chi si appropria di materiale Ap a sbafo.

La reazione dell’Ap e di altre aziende proprietarie di giornali si inquadra nella crisi che sta falcidiando i quotidiani americani, molti dei quali hanno chiuso o stanno per chiudere.

Al fine di aiutarli a sopravvivere, l’Ap ha annunciato una riduzione delle quote che i giornali abbonati pagano per ricevere i suoi servizi.

La controffensiva ad internet delle aziende proprietarie di giornali ha suscitato reazioni diverse da parte degli analisti, alcuni dei quali la trovano giusta, mentre altri ritengono che sia una perdita di tempo.

«Quello che l’Ap sta cercando di fare nel riconoscere la minaccia di internet – ha dichiarato alla Reuters Tom McPhail, esperto di media all’Università del Missouri – è troppo poco e troppo tardivo».

Le difese dei linking a internet dai quotidiani sono state, prevedibilmente, prese da un esperto legale di Google, Alexander MacGillivray, il quale ha sottolineato che la prassi convoglia traffico verso i siti dei giornali e conseguentemente pubblicità.

La realtà, ha detto MacGillivray, è ormai che «la vasta maggioranza» dei lettori preferiscono le news gratuite su internet, e che i giornali dovrebbero considerare Google un partner e non un rivale nei loro sforzi di aumentare la pubblicità online.

Il New York Times pubblica un’analisi del suo columnist Saul Hansell sul vespaio suscitato dal presidente dell’Associated Press, Dean Singleton, che minaccia ritorsioni ed azioni legali contro i siti web che si appropriano del materiale dell’agenzia.

Secondo Hansell, anche se l’Ap vincesse la sua battaglia «è difficile capire quali benefici otterrebbero l’agenzia o le aziende editoriali che ne sono proprietarie».

«Il vero problema – scrive Hansell – è che l’Ap non tiene in considerazione cosa rubano coloro che accusa di pirateria. Nel peggiore dei casi, costoro impediscono ai clienti dell’AP di mettere a disposizione dei lettori gli stessi articoli gratuitamente, riducendosi a raccogliere così ben scarse entrate pubblicitarie».

Ma quello che è veramente ironico riguardo alle sfuriate di Singleton, prosegue Hansell, «è che i suoi clienti paganti includono quasi tutti i siti web che offrono informazione gratuita».

Hansell conclude con un paradosso che certo non piacerà a Singleton, e cioè che «è la stessa esistenza dell’Ap a creare la piaga delle news gratuite. E quindi, in base alla logica dell’industria dei giornali, Singleton ha una sola scelta: risolvere il problema alla radice e chiudere la sua agenzia». (Beh, buona giornata).

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