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Attualità Leggi e diritto

Violenza sulle donne: le leggi in Italia e in Europa.

La legislazione in Italia. La legge del 15 febbraio 1996 n.66 “persegue l’obiettivo di tutelare l’integrità non solo fisica ma anche psichica dei soggetti più esposti alle aggressioni e alle violenze sessuali e ha uno scopo preventivo e punitivo”. Solo nel 1996 quindi è stata introdotta la definizione di un’unica ipotesi di reato di violenza sessuale, includendo così anche quei casi in cui non vi è stato un contatto fisico tra vittima e aggressore. In pratica per violenza sessuale vengono considerate le situazioni in cui la donna è costretta a fare o a subire contro la propria volontà atti sessuali di diverso tipo: stupro, tentato stupro, molestia fisica sessuale, rapporti sessuali con terzi o non desiderati subiti per paura delle conseguenze e attività sessuali degradanti e umilianti. Anche i ‘toccamenti’ e i ‘palpeggiamenti’, seppur fugaci (la cosiddetta ‘mano morta’), costituiscono ‘atti sessuali’ punibili, in quanto la disciplina introdotta dalla legge n.66 del 1996, a proposito della ‘violenza sessuale’, mira a sanzionare tutti gli atti che, indirizzati verso ‘zone erogene’ (anche diverse, quindi, dagli organi genitali), compromettano la libertà sessuale dell’individuo. Quest’ultimo principio è stato sancito dalla Corte di Cassazione nel 2000.

Con la Legge 66 si è voluto eliminare la necessità di indagini, umilianti per la vittima, volte ad identificare nel caso concreto la specifica condotta compiuta dal colpevole. La precedente normativa prevedeva (che risale al Codice Rocco), infatti, sia l’ipotesi di violenza carnale, sia l’ipotesi di atti di libidine con applicazione di pene differenti. Oggi la violenza sessuale ha pene molto più severe per il colpevole: se è minorenne è prevista la pena della reclusione da cinque a dieci anni; la corruzione di minorenne prevede la reclusione da sei a tre anni; la violenza sessuale di gruppo che stabilisce la reclusione da sei a dodici anni.

Il disegno di legge antistalking. Lo scorso 29 gennaio, a larghissima maggioranza, l’Aula della Camera ha detto sì al disegno di legge contro lo ‘stalking’, ovvero quegli atteggiamenti tenuti da chi affligge un’altra persona, spesso di sesso opposto, perseguitandola e ingenerando stati di ansia e paura, che possono arrivare a comprometterne il normale svolgimento della quotidianità. Chiunque minacci o compia atti persecutori nei confronti di qualcuno rischia il carcere fino a 4 anni. Se poi a molestare è il coniuge (anche se separato o divorziato), il convivente o il fidanzato e se la molestia è rivolta a una donna incinta, la detenzione può durare fino a 6 anni. Adesso il provvedimento deve passare al Senato.(di Adele Sarno da kataweb.it)

Lo stupro è punito in Francia con pene fino a 15 anni di carcere. Diverse leggi, provocate anche dall’emozione suscitata da alcuni casi in cui lo stupratore era già stato condannato per crimini simili, hanno reso più severe le pene in caso di circostanze aggravanti. La recidiva può portare la reclusione fino a trent’anni, mentre se la violenza avviene con la tortura o atti di barbarie è punita con l’ergastolo. Aggravante è anche considerata la violenza sessuale «coniugale». Di recente, il presidente Nicolas Sarkozy ha chiesto nuove leggi ancora più severe per i criminali sessuali giudicati «pericolosi». In particolare, aprirà entro la fine dell’anno a Lione il primo «ospedale prigione», un istituto sanitario cui saranno inviate persone che hanno finito di scontare la loro pena per reati sessuali, ma che sono considerate ancora a rischio di recidiva.

Spagna. Proprio ieri la Spagna, commossa e indignata, scopriva che una diciassettenne scomparsa da oltre un mese, Marta del Castillo, è stata uccisa dal suo amichetto e gettata nelle acque sivigliane del Guadalquivir dove si cerca il corpo. I reati contro la donna, le violenze e gli stupri, sono trattati in Spagna con grande attenzione e durezza a causa di una forte sensibilità sociale, dovuta soprattutto alle numerose donne uccise dai mariti o compagni, spesso durante o dopo una tormentata separazione. Lo stupro, senza aggravanti, è punito con pene tra sei e dodici anni. Dal 2006, invece, con la cosiddetta “Legge sulla violenza di genere”, qualsiasi atto di violenza, anche uno schiaffo, se commesso contro una donna porta con sé una discriminazione positiva. La pena lievita perché si passa al reato immediatamente superiore.

Gran Gretagna. Recentemente il ministero della Giustizia inglese ha sollecitato la certezza della pena per chi viene accusato di stupro. Infatti solo il 6% delle violenze denunciate sfocia in una condanna al carcere. L’anno scorso la Corte d’Appello ha fatto giurisprudenza con una sentenza cruciale: può esserci stupro anche se la vittima, ubriaca o sotto effetto di stupefacenti, acconsente al rapporto. Inoltre le pene sono più rigide in base all’età della vittima. Se è maggiore di 16 anni la pena minima è di 5 anni di carcere. Se l’età è tra i 13 e 16 anni la pena sale a 8 anni; 10 se la vittima è minore di 10 anni. Aggravanti come rapimento, stupro di gruppo o lesioni pesanti possono aumentare la pena di base di 8, 10 o 13 anni (rispettivamente nei tre gruppi di età della vittima). Il codice prevede però, come condanna massima, l’ergastolo. Tuttavia l’attuale lunghezza media di una pena per stupro è di 7 anni e mezzo.

Germania. La legge tedesca prevede la reclusione da un minimo di un anno a un massimo di quindici per i reati di violenza carnale. Se la vittima è minorenne si passa da sei anni al carcere a vita. Nel 2007 sono stati denunciati 8.181 casi di violenza carnale. Ma anche in Germania la maggior parte delle violenze non viene denunciata. Tanto che di recente è stato approvato un provvedimento legislativo che nei casi di violenza carnale in famiglia il reato può essere perseguito anche senza la denuncia da parte della donna. Il fatto penalmente rilevante può essere denunciato anche da un estraneo al nucleo familiare. Può rivolgersi all’autorità giudiziaria chi è stato testimone della violenza, anche se è stata consumata all’interno della cerchia familiare. (fonte: ilmessaggero.it) Beh, buona giornata.

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Attualità

Violenza sulle donne:”La rabbia, il desiderio di vendetta, sono una sana reazione. Ma per la condanna c’è la giustizia.”

di Anna Maria Sersale  da ilmessaggero.it

Lo stupro è un’azione odiosa e spregevole. Nasce dalla cultura della forza, del dominio, del possesso. Umilia e lacera nel profondo. Ne parliamo con Anna Costanza Baldry, studiosa delle violenze inferte alle donne, psicologa e criminologa alla II Università di Napoli e membro del direttivo di “Differenza donna”, l’associazione che coordina Centri anti-violenza tra Roma e provincia, di cui il primo fondato nel ’92.

Baldry, dopo lo stupro che cosa prova una donna?
«Subire un’aggressione sessuale è devastante, che si tratti di un’adolescente o di una persona adulta. Molte delle vittime parlano di una situazione di morte, lo stupro viene paragonato alla morte. E non importa chi è lo stupratore: se è una persona che hai conosciuto e di cui ti sei fidata o lo sconosciuto che ti bracca. Fatta da uno o più maschi, è una violenza che non ha nulla di sessuale, è una violenza di genere, nel senso che è contro la donna».

Che cosa fa scattare la violenza?
«Ci possono essere forme di perversione o l’uso di sostanze droganti, che eliminano i freni inibitori, ma di solito dietro lo stupro c’è la volontà di dominio, il potere, lo sfregio, la volontà di lasciare il marchio. La cultura misogina di chi impone: “ora questa la posseggo io”».

Quali sono le conseguenze?
«La vittima si sente colpita nell’intimità, nel privato da un potere brutale. I danni non si possono misurare con la gravità del danno fisico, vanno ben oltre. E’ una lacerazione profonda dell’anima e del corpo».

Che cosa può lenire una simile tragedia?
«Mai pensare di avere sbagliato, mai crearsi delle colpe (sono andata nel posto sbagliato, non ho urlato abbastanza e così via). La cosa importante è denunciare l’aggressione, questo sì. Ed è importante affidarsi a persone specializzate, che possono fornire sostegno psicologico e aiuto per l’iter legale. Nè bisogna sentirsi deboli se ci si affida a un percorso di psicoterapia. Anzi, il contrario. Riconoscere a se stessi la possibilità di chiedere aiuto è un atto di coraggio che tiene lontano da un altro pericolo, quello di voler dimenticare e rimuovere senza essere usciti dall’incubo».

Possono restare dei segni per il resto della vita?
«Si può uscire da tutto questo, non è detto che la vita di una vittima resti segnata in modo ineluttabile. Bisogna riprendere il dominio di sé, parlare di quello che è accaduto. Bisogna liberarsi del ruolo di vittima, non è facile, ma ci si può riuscire, altrimenti permetti a quel bruto di continuare a distruggere la tua vita. La rabbia, il desiderio di vendetta, sono una sana reazione. Ma per la condanna c’è la giustizia». (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Società e costume

Sulla sicurezza il Sindaco di Roma ha le idee confuse.

“Mai alla violenza né alle ronde che si fanno giustizia da sole”, ha detto il Sindaco di Roma dopo i raid razzisti di ieri nella Capitale. Il fatto è che non è vero che gli squadristi che hanno aggredito alcuni cittadini stranieri si volevano fare giustizia da soli.  Essi hanno messo in atto una gesto politico, perfettamente compatibile con le dottrine xenofobe, troppo spesso tollerate, per non dire cavalcate anche all’interno della coalizione che ha vinto le scorse elezioni, compresa quello che lo ha portato al Campidoglio. Quelli sono militanti dell’ultra-destra, non cittadini che hanno cercato di farsi giustizia da soli.

Farsi giustizia da soli è il gesto disperato di chi crede di sostituirsi alla Legge per colpire i colpevoli, di chi scambia la vendetta personale con l’esercizio della giustizia. E’ un sentimento umano, ancorché aberrante, tuttavia prevedibile,  che, se spinto dall’emozione del momento può cogliere le vittime di una violenza e i loro parenti.

Però qui i colpevoli non sono ancora stati individuati, né dalla polizia né dalla magistratura. Qui i colpevoli sono indicati genericamente in tutti quelli che avrebbero il passaporto degli eventuali connazionali dei presunti colpevoli, che al momento dei raid non si erano ancora individuati. Prendere le distanze da un gesto odioso, confondendo i fatti con il significato dei fatti crea confusione: invece che una condanna, suona come una qualche attenuante.

La destra italiana ha creato un clima di tensione per giustificare una campagna elettorale all’insegna della sicurezza, con lo slogan “tolleranza zero”. Una volta andata al governo, la destra è rimasta prigioniera del clima che ha emozionato ansie e paure.  Tanto che il Sindaco s’impappina: confonde il farsi giustizia con le proprie mani con l’andare in giro in squadracce con i manganelli. Il dottor Freud avrebbe qualcosa da dire in proposito.

La quattordicenne che è stata aggredita ha di fronte a se un lungo periodo per tentare di superare un’esperienza terribile: la violenza sulle donne.  Bisognerebbe crearle attorno un clima di solidarietà e comprensione, non di odio e vendetta. Le serve giustizia, non rappresaglie.

Senza contare che qui manca anche un gesto di solidarietà nei confronti di chi è stato aggredito a freddo, colpevole di essere cittadino romeno, mentre mangiava un kebab, in un negozio andato distrutto dalla furia razzista di una squadraccia, nelle strade di Roma, capitale d’Italia e metropoli europea.

Fosse solo per l’immagine internazionale di questa città, il suo sindaco dovrebbe pesare di più le parole. Beh, buona giornata.

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Attualità Leggi e diritto

Perché è sbagliato il disegno di legge sul fine vita presentato dal governo.

I professori di diritto civile contestano punto per punto le aberrazioni della proposta di legge governativa. Da Micromega.

1. Nelle ultime concitate settimane si sono verificate attorno al caso Englaro forzature istituzionali molto preoccupanti in sé e per sé, ma assolutamente inaccettabili quando si controverte di valori fondamentali della persona come il significato del diritto alla vita, la dignità dell’uomo, l’habeas corpus, il diritto all’autodeterminazione: temi che per rispetto delle radici stesse della convivenza civile in una società pluralistica richiedono di essere affrontati, in sede normativa, sulla base di approfondite e documentate conoscenze, di mediazione ed ascolto delle diverse posizioni etiche, e con procedure adatte a consentire la discussione, il confronto, la ricerca di un attento bilanciamento.

2. Ora il Parlamento sta per approvare in tempi stretti una legge in materia di direttive anticipate (c.d. testamento biologico). A quanto è dato di conoscere, la maggioranza pare intenzionata ad una discussione rapida di un testo fortemente limitativo del fondamentale diritto all’intangibilità del corpo. Verso questo obiettivo si procede a passi spediti, senza tener conto dei principi costituzionali di diritto interno e sovranazionale ed ignorando l’esigenza di rispetto di posizioni morali diverse.

3. Sembra quindi necessario richiamare alcuni capisaldi giuridici in materia:

a) La Convenzione di Oviedo, che l’Italia ha sottoscritto e di cui è stata approvata la legge di ratifica, dispone all’art 5, che “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso”. La previsione non riguarda solo le terapie in senso stretto, ma ogni “intervento nel campo della salute”, espressione più ampia che può corrispondere a quella di “atto medico”, vale a dire qualsiasi atto che, anche a fine non terapeutico, determini un’invasione della sfera corporea.
All’art 9 si prevede che “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione”, ove se da un lato non si qualificano i “desideri” come vincolanti, dall’altro è evidente che il rispetto va dato non soltanto alle “dichiarazioni di volontà” (men che meno alle sole dichiarazioni solenni come l’atto pubblico) ma ad ogni espressione di preferenze comunque manifestata.

b) La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea protegge il diritto alla vita (art.2) e il diritto all’integrità della persona (art.3) nel titolo dedicato alla Dignità, che è anche il primo, fondamentale diritto della persona (art.1). All’integrità della persona, in ragione della dignità, è consustanziale il principio di autodeterminazione stabilito nel secondo comma dell’art. 2, secondo il quale “Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge, ecc.” Ancora una volta il principio non è limitato ai trattamenti terapeutici, ma riguarda la libera determinazione nel campo medico-biologico.

c) La Costituzione italiana, che tutela l’autodeterminazione all’art. 13, configura all’art. 32 il principio del consenso come elemento coessenziale al diritto alla salute, e prevede che anche nei casi in cui il legislatore si avvalga del potere di imporre un trattamento sanitario, “in nessun caso possa violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Tale dignità non può essere intesa solo in un senso affidato a criteri oggettivi, ma implica il rispetto dell’identità senza la quale cade la ragion d’essere della dignità dell’uomo.

d) Il principio che consente il rifiuto di atti medici anche benefici è un’acquisizione consolidata della giurisprudenza europea, a valle di una evoluzione che risale alla fine dell’800; e più volte si è confermato che anche di fronte allo stato di necessità il libero, consapevole, lucido dissenso dev’essere rispettato. Un tale diritto di rifiutare le terapie, anche di sostegno vitale, non ha nulla a che fare con l’eutanasia, che consiste invece in una condotta direttamente intesa a procurare la morte.

e) Egualmente estraneo all’eutanasia è il principio condiviso in bioetica e in biodiritto per cui l’interruzione delle cure, anche senza volontà espressa del paziente divenuto incapace, debba essere praticata non solo quando le cure sono sproporzionate (c.d. accanimento terapeutico) ma anche quando esse siano inutili o abbiano il solo effetto del mantenimento in vita artificiale (cfr. l’art. L 1110-5, 2° comma, del Code de la santé publique, modificato dalla L. n. 2005-370 del 22 aprile 2005 “Relativa ai diritti del malato ed alla fine della vita”, e l’art. R 4127-37 del Code de la santé publique, modificato dal decreto n. 2006-120 del 6 febbraio 2006).

Confidiamo che il legislatore italiano saprà e vorrà tenere in conto questi principi e adeguare ad essi la disciplina delle direttive anticipate, evitando di espropriare la persona del diritto elementare di accettare la morte che la malattia ha reso inevitabile, di combattere il male secondo le proprie misure e – se ritiene – praticando soltanto il lenimento della sofferenza, senza rimanere prigioniera, per volontà di legge, di meccanismi artificiali di prolungamento della vita biologica.

Il documento è sottoscritto dai seguenti Professori di diritto civile:
(in ordine alfabetico)

Guido Alpa – Università di Roma La Sapienza
Giuseppe Amadio – Università di Padova
Tommaso Auletta – Università di Catania
Angelo Barba –  Università di Siena
Massimo Basile – Università di Messina
Alessandra Bellelli – Università di Perugia
Andrea Belvedere –  Università di Pavia
Alberto Maria Benedetti – Università di Genova
Umberto Breccia –  Università di Pisa
Paolo Cendon –  Università di Trieste
Donato Carusi –  Università di Genova
Maria Carla Cherubini – Università di Pisa
Maria Vita De Giorgi –  Università di Ferrara
Valeria De Lorenzi –  Università di Torino
Raffaella De Matteis – Università di Genova
Gilda Ferrando – Università di Genova
Massimo Franzoni – Università di Bologna
Paolo Gaggero – Università di Milano Bicocca
Aurelio Gentili –  Università di Roma Tre
Francesca Giardina – Università di Pisa
Biagio Grasso –  Università di Napoli Federico II
Gianni Iudica – Università Bocconi Milano
Gregorio Gitti – Università di Milano Statale
Leonardo Lenti – Università di Torino
Francesco Macario – Università di Roma Tre
Manuela Mantovani – Università di Padova
Marisaria Maugeri –  Università di Catania
Cosimo Marco Mazzoni – Università di Siena
Marisa Meli – Università di Catania
Salvatore Monticelli – Università di Foggia
Giovanni Passagnoli – Università di Firenze
Salvatore Patti – Università di Roma La Sapienza
Paolo Pollice – Università di Napoli
Roberto Pucella – Università di Bergamo
Enzo Roppo – Università di Genova
Carlo Rossello – Università di Genova
Liliana Rossi Carleo – Università di Napoli
Giovanna Savorani – Università di Genova
Claudio Scognamiglio – Università di Roma “Tor Vergata”
Chiara Tenella Sillani – Università di Milano Statale
Giuseppe Vettori – Università di Firenze
Alessio Zaccaria -Università di Verona
Mario Zana – Università di Pisa
Paolo Zatti – Università di Padova

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro

Il G7 di Roma visto da Carlo Azeglio Ciampi.

di CARLO AZEGLIO CIAMPI da ilmessaggero.it

La nuova Bretton Woods è diventata un obiettivo, ora dobbiamo operare perché diventi un risultato. Quello che avevamo richiesto in tempi non sospetti, dalle colonne di questo giornale (mercoledì 17 settembre 2008), è stato riconosciuto dal vertice dei 7 Grandi riunitosi a Roma come una priorità che «s’ha da fare» e lo constatiamo con soddisfazione. Siamo all’inizio del lavoro, il cammino sarà lungo. Intanto, però, cerchiamo elementi che suscitino fiducia guardando negli occhi la realtà; perché è lì che si troverà il punto di appoggio per costruire il nuovo mondo e creare quegli elementi di positività che contribuiscono a rispondere alla parte più contingente della crisi riattivando un processo di crescita, a partire dall’Europa.

Per cominciare davvero con il piede giusto, occorre imporsi preliminarmente un esame critico di quello che è successo. Questo è l’antefatto decisivo per costruire il nuovo ordine mondiale. Tenere conto degli errori commessi perché non vengano ripetuti nel cammino intrapreso. Per confermare a se stessi la necessità di nuove regole, ma prima ancora approfondire le vecchie con una valutazione attenta e rigorosa. Erano insufficienti o sbagliate? O, magari, sono state solo male applicate?

Dalla risposta a queste domande, si potrà capire perché il mondo è incorso in quello che è successo e si prenderà coscienza dei fenomeni più gravi che sono almeno tre.

Iniziamo dalle politiche economiche cinesi. Hanno dato una spinta al mondo, ma hanno commesso l’errore di tenere legata troppo a lungo la loro moneta al dollaro contribuendo, in questo modo, ad alimentare gli eccessi americani. Sarà un puro caso, ma ho voluto terminare il mio settennato da Capo dello Stato, tra l’autunno del 2005 e la primavera del 2006, facendo viaggi di lavoro in Cina, India e Turchia. Missioni condotte con un modello organizzativo del tutto nuovo, mettendo in contatto tra di loro centinaia di imprenditori italiani e uomini delle istituzioni e delle imprese di quei Paesi, proprio perché sentivo che il nuovo mondo partiva da lì. Mi sono venuti in mente in questi giorni i miei colloqui con il presidente della Repubblica cinese, seduti intorno allo stesso tavolo, in mezzo solo l’interprete, nei quali mi permettevo di dare qualche, piccolo suggerimento: state attenti, non investite tutte le vostre riserve in dollari, investite in euro o nello yen, fate meno attenzione alla crescita e più attenzione alla distribuzione del reddito per attenuare le diseguaglianze interne tra aree con redditi americani e campagne che sopravvivono con economie di trent’anni fa. Come dire: avete Shangai, ma anche lande di povertà che sono quelle che sono, ricordatevelo. Queste cose, questi errori, poi vengono a galla ed è positivo che oggi la Cina cresca al 6 e non al 10%. Quello che è successo oggi, con la crisi globale, è anche la conseguenza di questo andamento poco regolato del mondo.

Occupiamoci ora delle numerose banche in difficoltà, a partire da quelle americane e inglesi. La loro, tanto per essere chiari, è una crisi di liquidità o una crisi di mala gestione? Perché nel primo caso aiutarle è dovuto e giusto, nel secondo invece bisogna essere contrari al salvataggio senza fallimento delle banche mal condotte. Se si è in presenza davvero dei frutti di una cattiva gestione, bisogna operare così: salvaguardare i depositanti, ma non l’azienda management e azionisti e discernere con oculatezza tra quello che c’è di sano e quello che è stato distrutto scovando tra le macerie della banca che va in dissoluzione. Non si salva la cattiva banca, piuttosto se ne fa una nuova con quello di buono che ancora c’era. Obama ha l’opportunità di fare uscire l’America migliorata da questa colossale crisi finanziaria, ma deve guardare in faccia la realtà, fare tesoro degli errori del passato. Mi auguro che il suo piano monstre sia ben gestito, l’esito finale è tutto da vedere.

Infine, l’Europa. Ha un’occasione irripetibile per fare una volta per tutte quell’Unione europea che ancora non c’è, per ritrovare uno slancio nuovo, per fare le cose. Che bel segnale sarebbe stato se si fosse assunta un’iniziativa europea per salvaguardare i redditi bassi e dare sussidi alla disoccupazione! Un’iniziativa presa a livello europeo trasferisce, di per sé, un messaggio di sicurezza e di fiducia, la coesione europea fatta di gesti e di atti conclusivi incorpora un quid che è un valore in più. Ecco il merito di chi volle l’euro, in quella moneta unica c’era incorporata una plusvalenza forte. Anche oggi, a parità di intervento, dovendo fare i conti con la crisi globale, le soluzioni europee hanno un quid in più. Non dimentichiamocelo mai.

Qualcuno potrà pensare che l’abbiamo presa lunga, ma stiamo parlando della nuova Bretton Woods. Non si può costruire un mondo nuovo se non si riconoscono prima gli errori del mondo vecchio. Non c’è altra via per non ripeterli. (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro

Il G7 di Roma visto da Giulio Tremonti.

di GIULIO TREMONTI da ilmessaggero.it 

Gentile direttore,

ho letto con grande interesse l’articolo di Romano Prodi pubblicato ieri sul Messaggero sotto il titolo “Il semaforo verde di Roma a una nuova Bretton Woods”. Romano Prodi pubblica sul suo giornale articoli sempre di grande interesse, questo è di grandissimo interesse e, se posso aggiungere, è anche un articolo che esprime la “cifra” della grande politica. Una “cifra” che somma due addendi essenziali. La visione e la cultura istituzionale: la capacità di mettere insieme materiali apparentemente eterogenei, economici e giuridici, facendone sintesi politica.

Bretton Woods fu all’inizio una lunghissima conferenza. Da questa derivò un sistema di princìpi. Solo alla fine tutto questo fu formalizzato in un trattato internazionale multilaterale. Quattro mesi sono un termine oggettivamente troppo breve per fare tutto questo, ma spero, speriamo sufficientemente lungo per disegnare la mappa del percorso. Un percorso che non serve tanto o solo per uscire dalla crisi, da questa crisi, ma anche e soprattutto per evitare che la fine di “questa crisi ne prepari una nuova” (Romano Prodi, Messaggero del 31 dicembre 2008 titolo “Per non passare da una crisi all’altra serve un leone non un gattino”). Concordo, e ringrazio di cuore. (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro

Il G7 di Roma visto da Romano Prodi.

di ROMANO PRODI da ilmessaggero.it

La breve ma intensa riunione del G 7 segna l’inizio di un’azione comune dei grandi paesi industrializzati contro
la crisi economica che, come dice il comunicato finale, ha
già portato a consistenti perdite occupazionali e si prevede durerà per quasi tutto il 2009.

Di fronte a questo crollo dell’economia è stata manifestata una comune determinazione nell’usare tutti gli strumenti disponibili per sostenere la crescita e l’occupazione e per rafforzare il traballante sistema finanziario.

Non solo il comunicato finale, ma tutti i partecipanti al
vertice romano hanno sottolineato come le politiche fino ad ora adottate dai diversi paesi siano tra di loro convergenti e siano state rapidamente messe in atto, ma hanno anche aggiunto che, agendo in modo unito e coordinato, gli effetti delle azioni prese dai singoli paesi saranno più efficaci per vincere la crisi.

In sintesi: le politiche fino ad ora adottate vanno bene ma bisogna fare presto perché la casa brucia e le fiamme non danno alcun segnale di spegnersi.

Il clima di concordia è stato messo ancora maggiormente in rilievo da una lunga espressione di apprezzamento per la politica economica, fiscale e monetaria seguita dalla Cina. Dopo gli attacchi del Tesoro americano alla gestione monetaria cinese, accusata di pratiche aggressive nei confronti dei paesi concorrenti, questa pace economica fra gli Stati Uniti e la Cina non può che fare bene alle prospettive di ripresa , perché uno dei punti più delicati della crisi è proprio l’enorme squilibrio fra l’economia americana e quella cinese.

Un altro punto fondamentale è la comune volontà nella lotta contro il protezionismo, un’affermazione che potrebbe anche sembrare di maniera, ma di cui avevamo assolutamente bisogno perché anche i dibattiti del Senato e della Camera americani hanno manifestato aspetti poco rassicuranti, non solo per rinnovati richiami al “Buy American” ma per emendamenti che propongono il divieto di assunzione di mano d’opera straniera nelle banche che hanno licenziato lavoratori americani.
Il neo ministro del tesoro Geithner dovrà quindi dimostrare una certa energia per essere coerente a Washington con quanto ha firmato a Roma.

Tra i G7 non è stato soltanto siglato un patto a combattere il protezionismo, ma anche a costruire nuove regole e standard più rigorosi per i mercati finanziari internazionali. Per raggiungere questi risultati i sette ministri delle finanze hanno affidato ai loro “deputies”il compito di preparare, entro quattro mesi, uno schema di progetto di riforma sui principi etici, giuridici ed economici di funzionamento dei mercati stessi.
In parole povere a preparare qualcosa di simile a una nuova Bretton Woods. Il termine di quattro mesi mi spinge tuttavia a una doppia riflessione

La prima è che all’inizio di Aprile vi sarà una conferenza dei G20, tra i quali abbiamo paesi assolutamente indispensabili non solo per uscire dalla crisi ma anche per scrivere un nuovo ordine economico internazionale

Una stretta unità d’azione fra G7 e G20 è perciò urgente..
La seconda riflessione riprende una frase dell’ex segretario di Stato americano Dean Acheson che, nelle sue memorie, non solo ci ricorda che Bretton Woods fu supportata da un formidabile lavoro tecnico ma che la gestazione dei lavori della Conferenza durò “più o meno due volte di quella degli elefanti”

Non sono un’esperto di zoologia, ma credo che questo equivalga a quasi quattro anni. Distinguiamo quindi i rimedi per uscire dalla crisi (che debbono essere applicati con urgenza) dalle pur indispensabili riforme del sistema, che esigono tempi da elefante, anche perché la situazione è ora molto più complessa di allora.

Dobbiamo perciò essere grati ai sette grandi di Roma perché hanno dato il semaforo verde per raggiungere entrambi gli obiettivi ma mettiamoci subito al lavoro per potenziare il motore dell’automobile che dovrà percorrere questa difficile strada. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Ecco i frutti avvelenati della politica sulla sicurezza a Roma.

da ilmessaggero.it

ROMA (15 febbraio) – Raid razzista contro un locale nel quale si trovavano alcuni romeni questa sera a Roma nella zona di Porta Furba, all’Appio, a poche centinaia di metri dal luogo nel quale sono stati aggrediti i due fidanzatini. Una seconda aggressione è stata denunciata da un cittadino romeno poco dopo le 22,30 in via Tuscolana.

Quattro cittadini romeni sono stati feriti, due in modo più serio, da alcuni giovani a volto coperto armati di mazze di legno. Il locale, un kebab turco di via Carrocceto, è frequentato anche da romeni e questa sera all’interno vi erano una decina di connazionali dei quattro feriti. Gli aggressori con il volto coperto da cappellini e passamontagna hanno infranto alcune vetrine sempre usando le stesse mazze di legno. Un raid durato alcuni istanti, poi gli aggressori sono fuggiti. Due dei romeni feriti, tutti tra i 20 e i 30 anni, sono stati medicati dal 118 direttamente sul posto mentre altri due sono stati trasportati all’ospedale San Giovanni per lievi contusioni.

La seconda aggressione. Un altro cittadino rumeno è stato ferito poco dopo le 22,30 in via Tuscolana 1884, nella zona di Osteria del Curato. Anche lui ha riferito ai soccorritori di essere stato aggredito per strada da una ventina di persone con passamontagna e armati di mazze. L’uomo è stato soccorso dal 118 e trasportato in codice verde al policlinico Casilino per contusioni alle gambe e ai piedi. Battute sono in corso in tutta la zona per individuare gli aggressori.

Manifestazione fascista. Nella stessa zona poco prima si era svolta una manifestazione degli estremisti di Forza Nuova per protestare contro lo stupro della Caffarella. Uno striscione con la scritta “Per voi bestie nessuna pietà” apriva uno sparuto corteo partito da piazza Zama e diretto al parco della Caffarella. Ai manifestanti, una trentina, si è aggiunto un gruppetto di abitanti del quartiere Appio Latino.

Occhio per occhio. Già in mattinata erano comparse scritte razziste firmate da Forza Nuova: “Rom assassini, vergogna!” e “Occhio per occhio”, con tanto di croce celtica, nei pressi del parco della Caffarella. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Società e costume

Sulla sicurezza il governo di destra mostra i muscoli, ma non sa che in Italia le vittime del partner per abusi psicologici, fisici e sessuali sono oltre 6 milioni.

 Il fatto che non riconosca la specificità della violenza sulle donne significa che la sicurezza in Italia è passata da farsa elettorale a tragica conseguenza di politiche sbagliate.

Secondo recenti dati forniti dall’Istat, il 6,6% delle donne con età fra 16-70 anni) hanno subito una violenza fisica e sessuale prima dei 16 anni. I parenti (zii, padri, nonni) sono responsabili nel 23,8% mentre gli sconosciuti del 24,8%. Le vittime del partner per abusi psicologici, fisici e sessuali ammontano ad oltre 6 milioni.

«Non siamo in grado di conoscere se gli stupri siano realmente aumentati, come appare dalle notizie di cronaca. Va infatti ricordato che solo una piccola parte delle violenze è denunciata», rileva il sociologo, Marzio Barbagli, dell’università di Bologna, in una pubblicazione uscita alla fine del 2008, “Immigrazione e sicurezza in Italia “(ed. Il Mulino), in cui sono stati elaborati dati del ministero dell’interno. Secondo questi dati il 60% dei casi di stupro sono perpetrati da cittadini italiani.

La quota degli stranieri sul totale delle persone denunciate per stupro sono passate, negli ultimi 20 anni, dal 9 al 40%. In testa alla “classifica” degli stupratori stranieri, i romeni (più che raddoppiati in tre anni), seguono i marocchini e gli albanesi. Rispetto alla nazionalità degli autori di violenze sessuali (dal 2004 al 2007) spicca l’avanzamento significativo dei cittadini romeni (da 170 a 447). La classifica segue con i marocchini (243-296), gli albanesi (127-153), i tunisini (80-121), peruviani (22-40), equadoregni ( 30-35), indiani (25-42), algerini (23-19).

Per quanto riguarda le vittime, Barbagli sottolinea che nella maggior parte dei casi, le violenze sessuali avvengono all’ interno della stessa nazionalità. Ad esempio, dal 2004 al 2006, delle violenze commesse da romeni, il 35,4% ha interessato italiane ma nel 46,6% le stesse romene. Di quelle, invece, commesse da italiani, l’84,2% è stato commesso su connazionali, il 4% su romene, il 3,4% su cittadine di altri paesi europei, il 2,1% su sudamericane e l’1,5% su africane.

Le denunce delle donne immigrate,  dice Barbagli, soprattutto se irregolari, sono ancora minori rispetto a quelle delle italiane perché le donne immigrate temono conseguenze. Di fatto poi «la violenza su italiane – commenta Barbagli – trova più spazio sulla stampa, fa più clamore e gli italiani, siano padri o mariti, si identificano di più con i padri e i mariti colpiti. Un clamore che invece non c’è ancora sulla violenza domestica che non riesce ad arrivare alla cronaca e che invece è in aumento spaventoso».  

Il che significa molto semplicemente che le attuali politiche governative in materia di sicurezza, di prevenzione e repressione della violenza sulle donne sono completamente fuori binario, rispetto alla realtà. Al contrario, sembra proprio che il problema non esista, e che si lasci solo spazio a campagne persecutorie contro gli stranieri.  Ma il problema della violenza sulle donne urla soluzioni, si aggrava con la negazione del problema stesso.

Anche se fosse solo un fatto di ordine pubblico non è certo tagliando risorse alle forze dell’ordine, né aumentando le sentinelle militari, né autorizzando le ronde di quartiere che è possibile immaginare un qualche successo.  Ammesso che risultati si cerchino e non invece, come sembra sempre più chiaro, non si persegua l’obiettivo politico-propagandistico di militarizzare le città, per far vedere che la destra c’ha i muscoli. E intanto le violenze contro le donne continuano, soprattutto tra le mura domestiche. Beh, buona giornata.

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche Salute e benessere Società e costume

“Nonostante il terrorismo mediatico, con le sue accuse al “partito della morte”, una salda maggioranza di cittadini continua a dichiarare che debba essere solo la persona a dover decidere della sua vita. Chi li rappresenterà in Parlamento, vista la debolezza dimostrata finora dal Partito democratico?”

di STEFANO RODOTA’ da repubblica.it

Torna un’espressione che sembrava confinata nel passato – “legge truffa”. Ed è giusto che si dica così, perché non altrimenti può essere definito il testo preparato dalla maggioranza per introdurre nel nostro sistema le “direttive anticipate di trattamento” (o testamento biologico) e che, in concreto, ha l’opposto obiettivo di cancellare ogni rilevanza della volontà delle persone. Non solo per quanto riguarda il morire, ma incidendo più in generale sulla possibilità stessa di governare liberamente la propria vita.

Poiché, tuttavia, si discute di fondamenti, appunto dello statuto della persona e del rapporto tra la vita e le regole giuridiche, bisogna almeno fare un tentativo di andar oltre la rozzezza delle argomentazioni che ci hanno afflitto in queste difficili settimane e che rischiano di trascinarsi anche nell’immediato futuro.

Due ammonimenti dovrebbero guidare chi si accinge a legiferare sulla dignità del morire. Il primo viene da un grande giudice americano, Oliver Wendell Holmes: “Hard cases make bad laws”, i casi difficili producono leggi cattive. Questa affermazione lapidaria è stata variamente interpretata e discussa, ma se ne può cogliere il nocciolo nell’invito a separare la legge dall’occasione, la creazione di una norma destinata a durare dall’emozione di un momento. Rischia di accadere il contrario. L’ossessione della turbolegge (ieri in tre giorni, oggi in tre settimane) possiede la maggioranza e frastorna il Pd. Non riflessione pacata, ma frettolosa imposizione di norme incuranti della loro coerenza interna e, soprattutto, della loro conformità alla Costituzione.

Il secondo ammonimento è nell’alta riflessione di Michel de Montaigne: “La vita è un movimento ineguale, irregolare, multiforme”. Quest’intima sua natura fa sì che la vita appaia come irriducibile ad un carattere proprio del diritto: il dover essere eguale, regolare, uniforme. Da qui, da quest’antico conflitto, nascono le difficoltà che oggi registriamo, più intense di quelle del passato perché l’innovazione scientifica e tecnologica fa progressivamente venir meno le barriere che le leggi naturali ponevano alla libertà di scelta sul modo di nascere, vivere, di morire.

L’occhio del giurista, e del politico, deve registrare questa difficoltà, e cogliere le novità del quadro. Da una parte, l’impossibilità di continuare ad usare il diritto secondo gli schemi semplici del passato, pena la sua inefficacia, la sua riduzione a puro strumento autoritario, la perdita di legittimazione sociale. E, dall’altra, l’ampliarsi delle possibilità di scelta che appartengono alla libertà individuale, che riguardano solo la propria vita, e che per ciò non possono essere sacrificate da mosse autoritarie, da imposizioni ideologiche, senza violare l’eguale libertà di coscienza.

La legge, dunque, deve abbandonare la pretesa di impadronirsi d’un oggetto così mobile, sfaccettato, legato all’irriducibile unicità di ciascuno – la vita, appunto. Quando ciò è avvenuto, libertà e umanità sono state sacrificate e gli ordinamenti giuridici hanno conosciuto una inquietante perversione. Non a caso “la rivoluzione del consenso informato” nasce come reazione alla pretesa della politica e della medicina di impadronirsi del corpo delle persone, che ha avuto nell’esperienza nazista la sua manifestazione più brutale. L’autoritarismo non si addice alla vita, né nelle sue forme aggressive, né in quelle “protettive”.

Riconoscere l’autonomia d’ogni persona, allora, non significa indulgere a derive individualistiche, ma disegnare un sistema di regole che mettano ciascuno nella condizione di poter decidere liberamente. Non a caso, riflettendo proprio sul consenso informato, si è detto che questo strumento, sottraendo il corpo della persona alle pretese dello Stato e al potere del medico, aveva fatto nascere “un nuovo soggetto morale”.

Se il testo sul testamento biologico proposto dalla maggioranza dovesse diventare legge, sarebbe proprio questo soggetto a scomparire. Ma qui s’incontra un altro, e ineludibile, ammonimento, l’articolo 32 della Costituzione. Ricordiamone le ultime parole: “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. è, questa, una delle dichiarazioni più forti della nostra Costituzione, poiché pone al legislatore un limite invalicabile, più incisivo ancora di quello previsto dall’articolo 13 per la libertà personale, che ammette limitazioni sulla base della legge e con provvedimento motivato del giudice. Nell’articolo 32 si va oltre. Quando si giunge al nucleo duro dell’esistenza, alla necessità di rispettare la persona umana in quanto tale, siamo di fronte all’indecidibile. Nessuna volontà esterna, fosse pure quella coralmente espressa da tutti i cittadini o da un Parlamento unanime, può prendere il posto di quella dell’interessato.

Siamo di fronte ad una sorta di nuova dichiarazione di habeas corpus, ad una autolimitazione del potere. Viene ribadita, con forza moltiplicata, l’antica promessa che il re, nella Magna Charta, fa ad ogni “uomo libero”: “Non metteremo né faremo mettere la mano su di lui, se non in virtù di un giudizio legale dei suoi pari e secondo la legge del paese”. Il corpo intoccabile diviene presidio di una persona umana alla quale “in nessun caso” si può mancare di rispetto. Il sovrano democratico, una assemblea costituente, ha rinnovato la sua promessa di intoccabilità a tutti i cittadini.

La proposta della maggioranza si allontana proprio da questo cammino costituzionale. Nega la libertà di decisione della persona, riporta il suo corpo sotto il potere del medico, fa divenire lo Stato l’arbitro delle modalità del vivere e del morire. Le “direttive anticipate di trattamento”, di cui si parla nel titolo, non sono affatto direttive, ma indicazioni che il medico può tranquillamente ignorare, con un grottesco contrasto tra la minuziosità burocratica della procedura per la manifestazione della volontà dell’interessato e la mancanza di forza vincolante di questa dichiarazione, degradata a “orientamento”. La libertà della persona viene ulteriormente limitata dalle norme che indicano trattamenti ai quali non si può rinunciare e, più in generale, da norme che vietano al medico di eseguire la volontà del paziente, anche quando questi sia del tutto cosciente.

Tutto questo ha la sua origine in una premessa che altera gravemente il quadro costituzionale, poiché si afferma che “la Repubblica riconosce il diritto alla vita inviolabile e indisponibile”. Ora, se è ovvio che nessuno può disporre della vita altrui, altrettanto ovvio dovrebbe essere il principio che vuole ogni persona libera di rifiutare la cura, qualsiasi cura, disponendo così della sua vita. Proprio questo diritto viene illegittimamente negato quando si vieta al medico “la non attivazione o disattivazione di trattamenti sanitari ordinari e proporzionati alla salvaguardia della sua vita o della sua salute, da cui in scienza e coscienza si possa fondatamente attendere un beneficio per il paziente”. Conosciamo, infatti, infiniti casi in cui persone hanno rifiutato interventi sicuramente benefici – dalla dialisi, alla trasfusione di sangue, all’amputazione di un arto – decidendo così di morire. Si introduce così un “obbligo di vivere”, che contrasta proprio con i diritti fondamentali della persona.
E’ abusivo anche il divieto di rifiutare l’alimentazione e l’idratazione, definite “forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze”, con una inquietante deriva verso una “scienza di Stato”. Quella affermazione, infatti, è quasi unanimemente contestata dalla scienza medica, sì che un legislatore rispettoso davvero dei diritti delle persone dovrebbe, se mai, limitarsi a prevedere modalità informative tali da mettere ciascuno in condizione di valutare e decidere liberamente, davvero in “scienza e coscienza”: ma, appunto, scienza e coscienza della persona, non del medico o di un legislatore invasivo. E si tratta pure di una affermazione puramente ideologica, che ha come unico fine quello di continuare a gettare un’ombra sulla conclusione della vicenda di Eluana Englaro. Inoltre, dietro il nominalismo della distinzione tra “trattamento” e “sostegno”, si coglie la volontà di aggirare l’articolo 32, dove l’imposizione di trattamenti obbligatori è legata a situazioni particolari o eccezionali (vaccinazioni obbligatorie in caso di epidemia). Questa prepotenza legislativa si concreta anche in un trasferimento di enormi poteri ai medici, caricati di responsabilità che li indurranno ad assumere atteggiamenti fortemente restrittivi, così trasformando la proclamata “alleanza terapeutica” con il paziente in una situazione che prepara nuovi conflitti che, alla fine, saranno ancora i giudici a dover decidere.

Delle molte sgrammaticature giuridiche di quel testo si potrà parlare in un’altra occasione. Ma qui conviene concludere con una domanda francamente politica. Nonostante il terrorismo mediatico, con le sue accuse al “partito della morte”, una salda maggioranza di cittadini continua a dichiarare che debba essere solo la persona a dover decidere della sua vita. Chi li rappresenterà in Parlamento, vista la debolezza dimostrata finora dal Partito democratico?  (Beh, buona giornata).

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Attualità Popoli e politiche

Il voto in Sardegna. Prima di chiedersi per chi votare sarebbe meglio capire per che cosa si vota./3.

La parola a Renato Soru: su www.renatosoru.it la lettera agli elettori indecisi. Beh, buona giornata.

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Attualità Leggi e diritto

Il pacchetto sicurezza? Un pacco.

“Il susseguirsi di atti di violenza dimostra il fallimento delle misure del governo sulla sicurezza. E’ inutile continuare ad illudersi che la soluzione sia più militari nelle città, quando continuano a diminuire le risorse per il comparto e non si provvede al reintegro degli organici mancanti della polizia. Alle città italiane servono più poliziotti, più carabinieri, non le ronde e né i militari”.Casini dixit. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Popoli e politiche

Incredibile ma vero: il G7 ha scoperto che la crisi è grave.

 
di MARIO DEAGLIO da lastampa.it
Il comunicato stampa conclusivo della riunione dei ministri economici dei G7, ossia dei responsabili delle sette maggiori economie del mondo contiene una lunga litania di ovvietà. Vi si afferma infatti che la crisi è grave.

Che è necessario ristabilire la fiducia dei mercati, sostenere crescita e occupazione, evitare l’eccessiva volatilità dei cambi. Vi è una rituale condanna del protezionismo anche da parte di rappresentanti di governi, come quello francese, che hanno firmato pochissimi giorni prima provvedimenti che vengono generalmente ritenuti protezionisti.

Non è stata annunciata alcuna nuova specifica azione «ammazzacrisi» ma i ministri hanno notato, con malcelato autocompiacimento, di aver posto in atto misure «sollecite, vigorose, risolute». Poche righe più sopra, però, avevano ammesso che queste politiche non hanno finora prodotto risultati e che la «dura recessione ha già provocato importanti effetti negativi sull’occupazione» e «si prevede che continuerà per gran parte del 2009». Questa incongruenza tra l’entità delle misure e la scarsità dei risultati, del resto, è tipica delle difficoltà del momento. Non bisogna, del resto, dimenticare che i venti della crisi hanno acuito le difficoltà di molti governi: da quello giapponese, ormai debolissimo, a quello britannico, alle prese con una crisi che sta incrinando alle fondamenta le prospettive di crescita del Regno Unito, che ha puntato quasi tutto sulla sua posizione centrale nella finanza internazionale. E infine a quello del neopresidente americano, le cui misure anticrisi sono state adottate controvoglia, proprio alla vigilia del G7, da un Congresso riluttante e sono state accolte da ulteriori, gravi cadute di Borsa.

Inserendosi nella linea di una lunga serie di analoghi comunicati, che hanno suggellato le numerose riunioni inconcludenti degli ultimi due anni, le contraddizioni di questo documento dimostrano una verità che forse preferiremmo non conoscere: non abbiamo, per il momento, una ricetta vincente, questa crisi è troppo diversa da tutte le precedenti per cercarla sui libri di testo o nell’esperienza storica. In altre parole, «il re è nudo», o, se si preferisce, come ha scritto su queste colonne Domenico Siniscalco, ci manca la «pallottola d’argento», l’unica veramente in grado di uccidere il vampiro che succhia le risorse delle nostre economie. Tale «pallottola» dovremo costruirla noi, nei prossimi mesi (o anni?) scordandoci la beata illusione di ripristinare tutto come prima con poche misure risolutive.

Per fortuna, pur in questa non lusinghiera prospettiva, la riunione di Roma presenta qualche spunto di interesse e indica che qualcosa comincia a muoversi. Vi sono frequenti sottolineature sulla necessità di azioni comuni e una nuova urgenza nell’invocare la riforma del Fondo Monetario Internazionale (che proprio i governi dei paesi ricchi, e soprattutto degli Stati Uniti, hanno finora di fatto osteggiato); si parla di riforma delle regole, un passo avanti rispetto alla rigidità su questo punto della precedente amministrazione americana; si loda apertamente la politica cinese, in quella che è corretto leggere come un’apertura al grande paese asiatico. La Cina, tra l’altro, detiene la maggior parte delle riserve valutarie del pianeta e, come altri giganti del mondo emergente, continua incomprensibilmente a essere tenuto fuori da queste riunioni, il che ne riduce molto l’efficacia. E non si dimentichi il cambiamento d’opinione del Presidente del Consiglio italiano, contestuale alla riunione di Roma, l’unico tra i capi di governo a minimizzare, fino all’altro ieri, la gravità della situazione.

Qualcosa comincia quindi a muoversi nel mondo ingessato di queste riunioni e può darsi che la diplomazia economica del paese ospitante, ossia dell’Italia, ne abbia qualche merito. Ma perché la crisi venga veramente affrontata è necessario ben altro; a Roma si è fatta strada la convinzione che questa crisi, visto che non può essere annullata con qualche misura miracolosa, deve essere gestita.

In quest’ottica, i ministri economici del G7 – che, dopo tutto, sono uomini politici – dovrebbero porsi la fondamentale domanda politica che ci occuperà nei prossimi mesi e forse nei prossimi anni. Questa domanda è molto semplice: chi pagherà per questa crisi? Saranno solo gli azionisti delle banche americane e inglesi fallite, nazionalizzate o tenute in piedi dal sostegno pubblico o i loro manager superpagati? Saranno i risparmiatori che hanno investito in una Borsa che ha mediamente dimezzato le loro risorse finanziarie? Saranno i lavoratori di tutto il mondo, e non solo quelli americani, con la perdita dei posti di lavoro? O non si tratterà, più in generale, dei cittadini del mondo ricco, travolti da una possibile, forse probabile, ondata di inflazione generata dal fortissimo indebitamento pubblico legato ai salvataggi e ai sostegni di questi mesi?

I ministri economici delle maggiori economie sviluppate del mondo, e, a maggior ragione, i capi di stato e di governo che tra qualche mese si riuniranno al G8 della Maddalena dovrebbero cercare di rispondere a queste domande che saranno con noi nel prevedibile futuro. A giudicare dai risultati della riunione di Roma, il cammino da compiere è ancora molto, molto lungo. (beh, buona giornata).

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Attualità

Il voto in Sardegna. Prima di chiedersi per chi votare sarebbe meglio capire per che cosa si vota./2.

di ILVO DIAMANTI da repubblica.it

 In Italia ogni elezione assume valore politico nazionale. Non importa se municipale, regionale o europea. Così avverrà per la Sardegna. Tanto più per la Sardegna. Anche se è davvero un’isola. Una regione “speciale”, per statuto, storia, società, economia. Tuttavia, si tratta della prima consultazione dopo le elezioni politiche dell’aprile 2008, il cui esito è stato tanto netto da rendere inattuale ogni possibile alternativa, politica e di leadership. Una sorta di elezione di mezzo termine in attesa dell’Election Day del prossimo giugno. Quando si voterà per il parlamento europeo e in molte importanti amministrazioni locali.

Si tratterà, dunque, di un test importante, per il centrosinistra e soprattutto per il Pd. Incerto sulle strategie e diviso da antiche rivalità personali. Il risultato della Sardegna potrebbe accentuarne le lacerazioni oppure aprire qualche spiraglio per guardare avanti. Per questo potrebbe sorprendere il protagonismo di Silvio Berlusconi, che da settimane batte l’isola, impegnato a pieno tempo nella campagna elettorale. Divenuta la “sua” campagna personale. Anche se, fino a prova contraria, egli governa il paese e non la Sardegna. Tanto attivismo e tanta attenzione hanno alcune spiegazioni precise. Anzitutto, la Sardegna è la capitale estiva dell’Italia di Berlusconi.

Fin dal 1994, quando il Cavaliere vi accolse Umberto Bossi, per scongiurare la defezione della Lega dal governo. Rammentiamo tutti il leader padano passeggiare, in canottiera, accanto a Berlusconi. Per poi tornarsene nel Nord. E rompere definitivamente con il Polo delle Libertà. Dopo il ritorno al governo del centrodestra, nel 2001, la Sardegna ha rafforzato il suo ruolo.

E’ divenuta la Capitale estiva della Repubblica. In particolare, Villa Certosa, a Porto Cervo. Più che una villa, una residenza presidenziale, coerente con le ambizioni di Berlusconi. Sede istituzionale sontuosa, dove il Presidente incontra la sua corte di consiglieri, amici e amiche. Ma soprattutto i suoi pari. I potenti del mondo. Capi di Stato e di governo. Aznar, Blair, Putin, Mubarak. Il Presidente li accoglie in tenuta informale: bandana, braghe corte e camicia aperta sul petto. E li guida in mezzo a foreste di cactus lussureggianti, piscine, spiagge, baie e luna park. Dove organizza grandi feste festose, nelle quali si esibisce al pianoforte, e canta, accompagnato dal fido Apicella.
Più che un Presidente, un Sovrano. O almeno un Principe.

La Sardegna è la “sua” Isola. Casa “sua”. Residenza estiva del “suo” governo. Per questo gli è difficile – anzi: intollerabile – abbandonarla ad altri. Soprattutto, a Renato Soru. Una storia, per alcuni versi, simile alla sua. Perché è un imprenditore, inventore di un’azienda innovativa e titolare di marchio di successo. Perché è, anch’egli, poco incline a piegarsi alle logiche della politica.

Capace di sciogliere il parlamento regionale, per marcare le distanze dalla sua stessa maggioranza, contro il suo stesso partito, il Pd. Per cui, oggi, egli appare il candidato di una lista presidenziale. Questa elezione appare, quindi, un confronto diretto, faccia a faccia. Un fatto personale: tra Soru e Berlusconi. Il quale, d’altronde, ha imposto un candidato a lui fedele, ma oscuro, Cappellacci, invece del sindaco di Cagliari, Floris, sicuramente più popolare e accreditato. Ma, appunto, Berlusconi voleva, anzi vuole, essere padrone lui, a casa sua. Senza fastidiosi concorrenti.

Peraltro, c’è chi vede in questa elezione il preludio a un prossimo, possibile confronto davvero nazionale. Quasi si trattasse, oltre che di eleggere il governatore della Sardegna, di designare il successore di Veltroni, in vista delle prossime, più o meno lontane, elezioni politiche. Una sorta di primarie del Pd. D’altronde, la politica italiana ormai si è presidenzializzata. Se non ancora dal punto di vista delle regole e del modello istituzionale, come vorrebbe Berlusconi, sicuramente nei fatti: nel modello di partito, nella comunicazione. E il centrosinistra, il Pd, pare abbia come unico problema e come unica missione la ricerca del candidato da opporre a Berlusconi. Un nuovo Berlusconi, magari. Simile a lui. Imprenditore, impolitico, decisionista. Insomma: uno come Soru.

Per questo Berlusconi preferisce chiudere subito i conti. Senza attendere che questa ipotetica alternativa si rafforzi; guadagni autorevolezza e legittimazione. Tuttavia, la campagna di Berlusconi in Sardegna ha anche finalità “interne” al centrodestra. Serve a ribadire la sua leadership, alla vigilia della fondazione del Pdl, di fronte a Fini, ma anche a Bossi. Sempre più insofferenti verso un premier che agisce da Presidente in un regime che presidenzialista, per ora, non è. E che non prepara alcuna successione. Perché pensa di vivere fino a 120 anni. Designando, semmai, il successore per via ereditaria, come in ogni regime dinastico che si rispetti.

Per questi motivi Berlusconi ha deciso di “scendere in campo” un’altra volta. D’altronde, lui vive la vita come una “campagna elettorale permanente”. Ha bisogno di competizioni. E vuole vincere. Sempre. Per rinnovare il mito del Leader Invincibile.

Ciò significa, però, che a rischiare è soprattutto lui. Perché se vincesse si tratterebbe di una conferma dell’esistente. Il consolidamento di una leadership e di una maggioranza già solide. Ma se Soru vincesse, lo sconfitto sarebbe Berlusconi. Il che alimenterebbe nuove tensioni fra gli altri leader del centrodestra. E restituirebbe la speranza al centrosinistra, schiacciato dalla delusione. Gli fornirebbe, inoltre, qualche suggerimento per una possibile alternativa al Cavaliere. Non necessariamente Soru. Non necessariamente un imprenditore. Ma neppure un professionista della politica. Semmai: un professionista impegnato in politica.

Per queste ragioni, il voto in Sardegna avrà in ogni caso conseguenze nazionali. Rinnovando il mito del Presidente Invincibile. Oppure secolarizzandolo. Insinuando il dubbio verso una leadership che, invece, si nutre di certezze. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Il voto in Sardegna. Prima di chiedersi per chi votare sarebbe meglio capire per che cosa si vota.

di MARCO BUCCIANTINI da unita.it

A ciascuno il suo affare. Nel comitato d’interessi che sostiene Ugo Cappellacci c’è tutto e il contrario di tutto, ma niente stona sotto la scritta “Berlusconi presidente”. Potere, ambizioni e affari tengono insieme tutto: lo scudocrociato e i quattro mori, quindi lo Stato e l’antistato. I liberali di Dini e un garofano di chissà quale rivolo socialista. Tutti lì, in prima fila al Palasport ad ascoltare le barzellette di Berlusconi, a vedere umiliato il candidato inesistente.

SARDISTI DA COSTA SMERALDA
I vertici del partito sardo d’azione hanno suicidato il sardismo per le poltrone. Così l’ex segretario Giacomo Sanna, che già provò la scalata al Parlamento nelle file della Lega Nord (!), è nel listino del presidente, e verrà eletto automaticamente in caso di vittoria. “E’ la svendita di un patrimonio allo straniero di Arcore, al razzismo leghista”, accusa Claudia Zuncheddu, sardista, che ha fondato i Rossomori, evocando Emilio Lussu e portando almeno una parte degli indipendentisti in appoggio a Soru. Il sostegno del partito sardo d’azione a Berlusconi è davvero ardito: la bandiera più famosa, i quattro mori su sfondo bianco e croce rossa, a sventolare su Villa Certosa, il simbolo del turismo aggressivo e sregolato, della colonizzazione. La residenza del premier è il monumento del programma di governo: si è costruito in barba alle leggi. Poi Tremonti condonò e la villa ora può essere mostrata nella sua interezza agli ospiti. Prima che il Cavaliere l’acquistasse era una semplice casa colonica, proprietà di Flavio Carboni, il faccendiere sardo coinvolto nell’omicidio del banchiere Roberto Calvi. Adesso è una provincia con il parco che ha rimpiazzato i sessanta ettari per il pascolo, poi l’anfiteatro, il campo di calcio, il bunker in caso di attacco nucleare, i laghetti artificiali. I sardisti stanno dunque con il conquistatore. Il segretario del Psd’Az è Efisio Trincas, che quando era sindaco di Cabras fu indagato per abusi edilizi in zone di particolare pregio e chiese allo Stato italiano di tradurre l’atto in dialetto sardo, prima che gli fosse notificato. Un sardismo da barzelletta. Di lui si ricorda la battaglia contro gli omosessuali: eppure il Psd’Az si era sempre speso in difesa delle minoranze. Come si cambia, per non morire.

IL COMITATO D’AFFARI
Dalle ambizioni personali di un gruppo che ha svenduto l’anima si passa al comitato d’interessi. Quello che vuole “togliere i lucchetti che Soru ha messo alla Sardegna”. Da 30 anni Berlusconi fa affari sull’isola, grazie al socio Romano Comincioli, plurindagato (faceva da tramite con il suddetto faccendiere Carboni), assolto dalle leggi ad personam volute proprio per salvare l’amico di Arcore, e ripagato alla maniera del Cavaliere: con il seggio al Senato. La sua firma appare anche in cambiali passate a uomini della Banda della Magliana per poi finire nelle mani di Pippo Calò, il cassiere della Mafia. Ma non importa. Lui è l’uomo di fiducia di Berlusconi in Sardegna. E lo si è visto in questo turno elettorale. Forza Italia sull’isola ha due potentati: quello di Comincioli e quello di Beppe Pisanu. Il primo è strettamente legato per affari allo studio di commercialista del padre di Cappellacci, Giuseppe. Il secondo è nume tutelare del sindaco di Cagliarti Emilio Floris: la scelta di candidare Ugo Cappellacci dimostra i rapporti di forza: Comincioli è un vecchio compagno di classe di Berlusconi che, si sa, tende ad affidarsi a questi sodali di lunga data. Ed è stato infatti il senatore a tessere gli accordi con i sindaci del nord dell’isola, scesi in campo per Cappellacci, nelle liste provinciali, a costo di sguarnire o comunque di complicare l’attività delle giunte comunali.
L’accolita intorno a Comincioli serve meglio al disegno di Berlusconi “contro la Sardegna dei vincoli”. Vuol prendersi la Regione, e con essa le terre che Soru ha provato a blindare. Fu il governo Berlusconi, nel 2005, ad impugnare davanti alla Consulta la salva-coste. Quella legge ha imbrigliato la mitica, faraonica Costa Turchese, evoluzione di quell’Olbia 2 che Berlusconi, Cappellacci sr. e Comincioli già avevano in mente a fine anni 70. Eccola, la loro oasi: 525.000 metri cubi di cemento su 450 ettari di terreno, 385 ville, due alberghi da 400 posti letto, 995 appartamenti in residence, 1 centro commerciale sulla costa nord-est. Tutto rispolverato allorquando il Tar rivelò un quadro normativo lacunoso sui piani urbanistici, sentenza che scatenò gli appetiti della Finedim di Marina Berlusconi, che ripropose l’idea, con una “chicca”: lo sventramento della spiaggia per realizzare un canale navigabile e collegare il mare con un porticciolo da costruire ex novo. Quel quadro normativo è stato puntellato da Soru, e si è impedita la violenta colata di cemento.

LA FIGLIA DEL SINDACO
Questo sbilanciamento sul gruppo Comincioli-Cappellacci, però, poteva erodere il consenso del Pdl nel capoluogo, dove Floris amministra in guerra con Soru, intento dichiarato la scorsa estate, in vista proprio delle elezioni: “Nessuna trattativa con il signor Renato Soru”. E così restano chiusi nel cassetto 220 milioni di euro di investimenti su Cagliari e oltre 1200 posti di lavoro. Una città paralizzata, con il Betile, museo regionale d’arte nuragica e contemporanea disegnato dall’anglo-irachena Zaha Hadid, rimandato a chissà quando. Cotanto zelo era l’annuncio di una candidatura di Floris, condivisa nel centro destra, e il sindaco poteva dunque essere mortificato dalla scelta di Cappellacci. Questo rischiava di compromettere l’impegno dello stesso amministratore nella campagna elettorale e intiepidire i fan del capoluogo. Berlusconi ha rimediato alla sua maniera: la figlia del sindaco è nel listino del presidente. E Rosanna è perfino commovente: “Fin da piccola volevo fare politica, ma l’ingombrante presenza di papà mi intimidiva”. Arruolati i Floris.

L’EDITORE
Nella foto di gruppo c’è anche un altro amico del Cavaliere: l’editore Sergio Zuncheddu, altro candidato mancato ma meno rancoroso di Floris. L’editore pubblica il quotidiano più letto dell’Isola, l’Unione Sarda, che da 4 anni picchia durissimo sull’inventore di Tiscali. Zuncheddu controlla anche le tv regionali e “Videolina ha per Cappellacci la cura che la Pravda aveva per Breznev.”, scrivemmo un mese fa. Potevamo dire: la stessa cura che Rete 4 ha per Berlusconi, perché infine Zuncheddu è un Cavaliere in sedicesimo. Come l’altro, parte dall’edilizia, dalle Città Mercato. A Capoterra, su un terreno che nel 1969 fu trasformato da paludoso a edificabile, e da avamposto di caccia dei cagliaritani si rivalutò enormemente, e che due mesi fa ha scontato con alluvioni e morti quell’affronto alle leggi della natura, Zuncheddu ha spadroneggiato con le centinaia di case costruite dalla sua cooperativa sullo stagno di Santa Gilla.

PICCOLO GRANDE UGO
Il piccolo ma troppo alto Ugo – al quale Berlusconi chiede sempre di scendere dalla pedana durante i comizi insieme, per non mostrare a tutti la clamorosa menzogna sull’altezza del premier – non è quella mosca bianca degli spot sorridenti confezionati dal pubblicitario Gavino Sanna. È vaccinato pure lui: è stato per anni al comando della Sardinia Gold Mining, che ebbe nel 1998 in concessione dalla Regione il territorio dei comuni della Marmilla. Si cercava l’oro, e il prezzo per la multinazionale fu ridicolo, mentre enorme è il danno ambientale, cui è difficile trovare argine, dopo il fallimento della società mista di capitale italiano, canadese e australiano. Cappellacci è stato presidente per quasi tre anni di quell’impresa e si dimise nel 2003 per entrare come ragioniere nella giunta regionale guidata da Italo Masala: a fine mandato, il debito della Sardegna sarà di 3 miliardi e mezzo di euro. Un record. Lo prende in cura Floris, e lo fa assessore al bilancio del comune di Cagliari: e il bilancio va in rosso. Adesso è in pista, e ricorda un po’ Ovidio Marras, avvocato del Cavaliere. Anche lui sconosciuto e lanciato nella corsa a governatore, ne uscì con le ossa rotte. (Beh, buona giornata).

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Quanto sta male la pubblicità italiana.

di Marco Ferri da ilmessaggero.it

ROMA (14 febbraio) – Secondo Nielsen Media Research, gli investimenti pubblicitari nel totale anno 2008 ammontano a 8.587 milioni. La variazione dicembre 2008 su dicembre 2007 è del -10,0%. Nel confronto mensile il calo interessa tutti i mezzi tranne Internet che cresce dello 0,9% sul dicembre 2007. L’analisi per mezzo vede nell’anno un calo dell’1,2% della Televisione e del 7,1% della Stampa, mentre la Radio segna +2,3% superando i 487 milioni di raccolta.

I Quotidiani a pagamento registrano il -7,0% con la Commerciale Nazionale a -10,7%, la Locale a -0,8% e la Rubricata/Di Servizio a -4,9%. Sui Quotidiani sono in forte diminuzione gli investimenti di Auto (-21,5%), Finanza/Assicurazioni (-18,4%) e Distribuzione (-11,3%). E’ positivo, ma in rallentamento, l’Abbigliamento (+6,9%).

I Periodici sono in flessione del 7,3%. Tra i settori, è positivo l’Abbigliamento (+1,5%), ma diminuiscono Abitazione (-7,5%), Cura Persona (-12,6%), Alimentari (-11,0%), Oggetti personali (-17,1%) ed Automobili (-15,5%).

C’è da notare che questi dati smentiscono clamorosamente la professione di ottimismo di molti manager della pubblicità italiana, che sul finire del 2008 rilasciavano dichiarazioni tranquillizzanti circa l’andamento del mercato, nonché delle rispettive agenzie. Come si può vedere, la realtà era ed è tutt’ora molto diversa, tanto da far pensare che la situazione miri verso ulteriori peggioramenti.

Non è, infatti pensabile ci possano essere incrementi di spesa pubblicitaria da parte di aziende, globali e nazionali che subiscono la pesante congiuntura della crisi economica. Tutti i settori sono in crisi, molti tagliano e taglieranno ulteriormente, accanto ai budget di comunicazione, anche stabilimenti e posti di lavoro.

Questa situazione non può che riverberarsi anche sulla agenzie di pubblicità, con il conseguente ulteriore taglio dei livelli occupazionali, già in atto a partire dalla seconda metà dello scorso anno. In barba, appunto alle dichiarazioni pubbliche di buona salute finanziaria delle agenzie di pubblicità, rese dalla quasi totalità dei top manager della pubblicità italiana.

Questa “cortina fumogena” di ottimismo gratuito ha, anzi, peggiorato la situazione, dando la viva impressione di essere totalmente impreparati ai nuovi scenari descritti alla crisi, aggravando ancor di più le già scarse risorse di reputazione e autorevolezza di cui godono le aziende di comunicazione italiana presso gli investitori pubblicitari.

Tra circa un mese, a metà di marzo, Upa, l’associazione degli inserzionisti pubblicitari e Assocomunicazione, l’associazione delle imprese di comunicazione commerciale hanno convocato un meeting a Roma sullo stato dell’arte della pubblicità italiana. Visti i dati, poco edificanti e sottolineati i comportamenti, poco trasparenti sarebbe il caso di suggerire agli organizzatori di mettere al primo punto dell’agenda dei lavori dell’assise romana la correttezza nell’informazione sull’andamento del mercato e sui bilanci delle agenzie. Come, per altro si faceva fino ai primi anni del 2000, quando questi dati erano comunicati e pubblicati su Advertising Age, la famosa rivista americana.

E’ vero che la pubblicità ha il dovere di dire la verità, solo la verità, tutt’altro che la verità. Ma questo può valere nella comunicazione dei messaggi, dove l’esagerazione e i meccanismi di rovesciamento sono leciti, perché accettati dai lettori come il tipico linguaggio della pubblicità, irridente, provocatorio, sorprendente e per questo accettabile, magari con un sorriso.

Tutto ciò non è invece accettabile quando si ha a che fare i numeri dei fatturati. Lì è in gioco la correttezza dei rapporti tra i protagonisti del mercato della comunicazione commerciale in Italia. Alla quale farebbe bene che a essere molto creativi fossero copywriter e art director, non Ceo e direttori finanziari. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche

“Una politica dell’immigrazione ridotta a controllo e sicurezza può fruttare in termini di voti, ma non prepara un futuro sereno per la convivenza sociale.”

di Maurizio Ambrosini da lavoce.info

Il pacchetto sicurezza approvato in Senato contiene norme sull’immigrazione dal chiaro significato: maggior controllo e maggiore severità. Al di là delle considerazioni etiche sul diritto speciale riservato agli stranieri, sono provvedimenti del tutto inefficaci. Non ci sono né le risorse, né le forze per espellere davvero gli irregolari, che in gran parte sono donne occupate nelle famiglie italiane. Dovremmo invece seguire l’esempio di altri paesi occidentali, dove gli inasprimenti legislativi sono accompagnati da misure a favore dell’integrazione.

Del pacchetto sicurezza approvato nei giorni scorsi dal Senato, fanno discutere in modo particolare le norme relative agli immigrati: una serie di modifiche normative, che spaziano dalla definizione dell’immigrazione irregolare come reato alla verifica dell’idoneità abitativa degli alloggi, dal permesso di soggiorno a punti all’inasprimento della tassazione sui permessi di soggiorno, fino alla norma più controversa, quella della facoltà di denuncia degli immigrati senza documenti che si presentano ai servizi sanitari pubblici.
Il significato è univoco: una volontà asserita di maggior controllo sull’immigrazione, di maggior rigore e severità. Fino a istituire una sorta di diritto speciale a carico degli immigrati, più esplicito nel caso degli irregolari, con i quali secondo il ministro degli Interni “bisogna essere cattivi”. È una linea che sembra incontrare ampio consenso da parte della maggioranza degli italiani, anche in seguito a recenti episodi di cronaca.
In questo contributo non intendo addentrarmi in considerazioni di natura etico-politica, relative ai diritti umani e ad altri aspetti controversi. Vorrei limitarmi ad alcune considerazioni relative all’efficacia presumibile dei provvedimenti e quindi agli obiettivi perseguiti.

IL REATO DI IMMIGRAZIONE

Cominciamo dalla definizione dell’immigrazione come reato, non più punito con il carcere, ma con un’ammenda, comminata dal giudice di pace. A costo di ripetere una constatazione già espressa su questo foglio, i posti disponibili nei centri di identificazione ed espulsione (Cie) sono circa 1.160 in tutta Italia. Se aggiungiamo i 4.169 dei centri di prima accoglienza, pure destinati a ospitare gli immigrati irregolari, arriviamo a poco più di 5.300. Gli immigrati espulsi, fino all’ottobre 2008, sono stati in tutto 6.500, mentre gli irregolari circolanti sul territorio nazionale sono, stando alle auto-denunce dell’ultimo decreto flussi, almeno 740mila. La sproporzione è evidente, così come la natura retorica della misura. Difficile credere che qualcuno pagherà mai l’ammenda. Non ci sono né le risorse, né le forze per espellere davvero gli irregolari, che per la maggior parte sono donne occupate nelle famiglie italiane. Del resto, la grande maggioranza degli immigrati oggi regolari, sono stati nel passato irregolari, due su tre in Lombardia: le categorie sono molto più fluide di quanto si pretende. In realtà, l’immigrazione irregolare, in Italia come negli Stati Uniti e in molti altri paesi, è vituperata a parole e tollerata nei fatti, anche perché funzionale a molti interessi.
Non deve infatti sfuggire il fatto che tra le molte norme del pacchetto sicurezza, nessuna inasprisce le pene per i datori di lavoro di immigrati irregolari. Anzi, i controlli ispettivi sui luoghi di lavoro sono stati alleggeriti. Eppure lì si trova la calamita che attrae l’immigrazione irregolare, tanto che l’Unione Europea ha preannunciato un giro di vite sul tema.
Non dimentichiamo poi che gli immigrati rumeni, in quanto comunitari, non potranno essere perseguiti.

LA SALUTE DELLO STRANIERO

Quanto alla norma più discussa, quella sulla sanità, molti hanno già osservato che se gli irregolari non si curano, ne scapita l’igiene pubblica e quindi la salute di tutti, perché malattie come la Tbc o l’Aids potrebbero propagarsi più facilmente. Molti medici si sono già dichiarati contrari, varie associazioni hanno chiamato alla disobbedienza. Ma c’è un altro elemento, molto prosaico, da tenere presente: che succede se un immigrato dichiara di non avere i documenti? Ammettiamo che parta una denuncia: in un qualche commissariato arriverà una segnalazione secondo cui una persona sconosciuta, presumibilmente straniera, si è presentata al pronto soccorso per farsi medicare. Se anche partisse una volante, il ferito sarebbe già lontano. Solo in caso di ricovero, e ipotizzando una notevole efficienza delle istituzioni preposte all’ordine pubblico, la disponibilità di posti nei Cie, le risorse per il rimpatrio e quant’altro, si potrà immaginare un qualche effetto. Che sarà comunque molto modesto, costoso e pagato con una minor tutela della salute pubblica.

SOLDI, ROM E PERMESSI A PUNTI

Un terzo esempio: non si potrà più trasferire denaro verso l’estero se non si è in possesso di permesso di soggiorno. L’effetto sarà soltanto quello di favorire lo sviluppo di un mercato di intermediari, provvisti di regolari documenti, che effettueranno l’operazione al posto di chi non potrà più farla personalmente, in genere soprattutto madri che mandano denaro ai figli lontani. Vorrei richiamare un precedente: il prelievo delle impronte digitali degli immigrati disposto, tra roventi polemiche, in seguito alla legge Bossi-Fini. Una volta effettuata qualche azione dimostrativa, non se ne è più saputo nulla.
Per i campi rom, nell’estate scorsa, nuovi annunci di raccolta delle impronte e nuove polemiche. Nei fatti, le impronte prelevate sono state pochissime, a Milano quasi nessuna, e non è dato sapere se siano servite a qualcosa. Di certo, se non altro, si sono sgonfiate le voci incontrollate sull’arrivo e l’insediamento di decine di migliaia di rom: per la provincia di Milano, si è arrivati a parlare di 20mila unità.
Un cenno finale va al permesso di soggiorno “a punti”: un’innovazione che tende a rendere gli immigrati dei sorvegliati speciali, dallo status precario e reversibile. Credo servirebbero di più, come in altri paesi, misure che incoraggino un’integrazione positiva: per esempio, giacché le competenze linguistiche vengono viste dall’Olanda al Canada come un requisito necessario per l’inserimento nella società, un piano massiccio di alfabetizzazione in lingua italiana, sul modello delle 150 ore che hanno consentito nel passato alle classi popolari di accedere all’istruzione di base. L’accertamento della conoscenza dell’italiano dovrebbe produrre qualche beneficio, come un accorciamento dei tempi per l’accesso alla carta di soggiorno e alla cittadinanza. Così si istituirebbe un incentivo a impegnarsi su questo aspetto saliente dell’acculturazione nel nuovo contesto di vita.
Nei paesi occidentali, gli inasprimenti legislativi nella gestione dell’immigrazione, e indubbiamente ne sono intervenuti, giacché il tema quasi ovunque è salito di rango nell’agenda politica, sono generalmente accompagnati da misure a favore dell’integrazione: non si vuole ingenerare l’idea dell’immigrato come nemico da combattere, anche per non alimentare spinte xenofobe nella società.
Dovremmo forse imparare che una politica dell’immigrazione ridotta a controllo e sicurezza, all’insegna del pregiudizio e dell’ostilità, può fruttare in termini di voti, ma non prepara un futuro sereno per la convivenza sociale. (Beh, buona giornata).

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Attualità Società e costume

Guido Ceronetti sul caso Eluana: “Dobbiamo un po’ tutti ri-imparare a morire: dunque a vivere e a trascendere la morte.”

di GUIDO CERONETTI da lastampa.it
Non permettiamo che si raffreddi. Il caso Englaro va riattizzato costantemente: che davanti a quel Golgotha arda un lume sempre. Tutti dobbiamo gratitudine a quella vittima sacrificale e alla sua famiglia: perché la passione civile non finisca in una cloaca e la passione etica e religiosa trovino altre e ben diverse, e superiori, vie.

Si sono visti stormi di avvoltoi, sulla breve agonia di Udine, scendere in picchiata a disputarsi i resti di una creatura disfatta e sfamarsi a beccate ignobili di qualcosa che già più non era e che altro non aveva da offrirgli, tetri pennuti ciechi, che carne di sventura.

Tale lo spettacolo, da iscrivere nel tragico delle cronache italiane che non avranno uno Stendhal per trascriverle. L’Italia, se qualcuno vorrà capirla sine ira et studio, non è un luogo pacifico, non è una penisola turistica, non è un animale da stabulario economico – l’Italia è, è stata sempre, una città di risse feroci, di brigantaggio, di vendette, di medioevi e di cattivi governi. Gli avvoltoi, che non si annidano soltanto sulle torri dei Parsi a Benares, hanno voliere, spalti, e più d’una cupola anche a Roma, e non c’è televisione o campo di calcio in grado di oscurarne la presenza e il volo. Qua, dunque, non si può vivere avendo per fine esclusivamente il far soldi e pensare alla salute. Qua si nasce perché l’Italia ci faccia male, ci ferisca, ci sia una madre crudele, inzuppata di sadismo. Vederlo o non vederlo: that is the question.

L’imbarbarimento di profondità, progressivo, non è da statistiche. Puoi vederlo chiaramente anche lì: nel pullulare di cure mediche di spavento, nell’ignorare i limiti sacri della vita, i diritti dei morenti e di «nostra sirocchia morte corporale» – cure di coma irreversibili criminalmente protratti, cure che la tecnomedicina, settorialista e antiolistica, sempre più andrà sperimentando sulla totalità del vivente.

L’Italia debole, che con strenuo sforzo – in cui va compreso il tributo di una risalita coscienza collettiva, di risorse d’anima e mentali inapparenti, antiavvoltoio, di pensieri silenziosi ma renitenti ai ricatti e alle violenze verbali dell’estremismo cattolico, materialista e anticristico – ha liberato dalle catene Eluana, è un resto di Italia dei giusti, di Italia che sa giudicare umanamente e cerca la libertà nella legge, che non accetta che l’impurità più grossolanamente sofistica prevalga sulla verità semplice e pura.

Dobbiamo un po’ tutti ri-imparare a morire: dunque a vivere e a trascendere la morte. Comprendere l’insignificanza della vita e dell’esistenza materiale è luce in tenebris.

Per chi, pensando, ritenga che la vera salvezza consista nel liberarsi dalla schiavitù delle rinascite in corpi mortali, Eluana col suo lungo martirio avrà meritato la tregua nirvanica, e non tornerà in mondi come questo a patire sondini e beccate di avvoltoi – condannati, per loro intrinseca natura, a commettere empietà.

Da cristiani autentici si sono comportate le Chiese evangeliche: schierate dalla parte di Eluana, hanno voluto ricordare che un essere umano non è soltanto un aggregato scimmiesco di funzioni e che è delitto tradirne l’anelito al padre ignoto al di là del finito.

Il combattimento spirituale è brutale. La meno ingiusta Italia, che assumerà Eluana per segno, non deve temere di accettarlo, di restare unita, respinto l’avvoltoio, per la pietà e la luce. (Beh, buona giornata).

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Attualità Scuola

Il consiglio nazionale della pubblica istruzione boccia il ministro dell’istruzione che boccia il consiglio.

di FLAVIA AMABILE da lastampa.it

Finora a bocciare il ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini e la sua riforma della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, erano stati soltanto i sindacati e l’opposizione. Ora invece è arrivata una bocciatura anche da parte del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, organo dello stesso Ministero, che liquida il Regolamento con alcuni giudizi molto severi: «non coerente» con l’autonomia scolastica, «compromette l’efficacia dell’offerta formativa», «non garantisce pari opportunità di offerta e di scelta sull’intero territorio nazionale» e renderà difficile soddisfare le aspettative delle famiglie sui tempi offerti dalle singole scuole. Detto in altre parole: mamme e papà potrete dire addio al tempo pieno. A meno di miracoli come l’improvviso arrivo di finanziamenti straordinari. 

Dal ministero rispondono al giudizio del Consiglio ricordando che «il Cnpi è un organo con funzioni meramente consultive, e che comunque mai ha accolto con favore una riforma scolastica perché è un organo conservatore, teso a difendere lo status quo». E, quindi, aggiungono, «bisognerà rivedere la sua composizione, riformarlo in modo da rendere meno politico e sindacale il suo contributo, aumentando invece il carattere tecnico dei suoi pareri». 

Il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, infatti, è un organo nato nel 1974. Ha come funzione quella di fornire una consulenza tecnico-professionale al ministro, a volte su richiesta del ministro, altre volte perché obbligato a farlo. Presidente è lo stesso ministro della Pubblica Istruzione, ed è composto da 74 consiglieri, la maggior parte eletti dalle varie categorie del personale scolastico. 

Il 17 novembre scorso i consiglieri avevano già espresso «fermo dissenso e viva preoccupazione sulle scelte operate» dal ministro Gelmini in materia di maestro unico e orario di 24 ore settimanali, che avrebbero provocato – denunciavano i consiglieri del ministro – «una destrutturazione del sistema scolastico pubblico ed una netta riduzione quantitativa e qualitativa dell’offerta formativa». E quindi avevano chiesto «una profonda revisione dei provvedimenti adottati» ed un coinvolgimento nelle future decisioni. 

Il 29 dicembre il ministro accetta, almeno in parte, le loro richieste. Invia al Consiglio una nota con il Regolamento approvato e chiede il loro parere. Il parere arriva un mese e mezzo dopo, il 12 febbraio, ed è una bocciatura a 360 gradi dei provvedimenti del ministro dell’Istruzione. Bocciato «l’azzeramento delle compresenze e di fatto di tutte le forme di utilizzo del personale docente in compiti diversi dall’insegnamento frontale» che «influisce pesantemente sulla qualità dell’offerta formativa» e «induce a ricercare risorse compensative esterne», e quindi gli studenti avranno insegnanti sempre meno garantiti e non necessariamente adeguati alle discipline da insegnare. 

Bocciata l’introduzione dei cambiamenti anche dalle classi successive alla prima «non tenendo conto delle scelte organizzative e didattiche della scuola, delle scelte già operate dalle famiglie, della prassi consolidata di una graduale implementazione di modifiche ordinamentali». Il modello delle 24 ore settimanali «diventa, da subito, il modello della suola pubblica. In tal modo si rendono residuali gli altri modelli». E, quindi, i consiglieri conludono la loro relazione rilevando che sui tempi scuola il Regolamento «possa alimentare nelle famiglie aspettative che, in assenza di congrue e correlate risorse, potranno difficilmente essere soddisfatte, mettendo la scuola nella difficile situazione di dover riorientare le scelte e riorganizzare l’offerta». (Beh, buona giornata).

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Attualità Popoli e politiche

In Israele vince la destra, ma “l’intero sistema politico israeliano è in continuo e lento movimento verso le posizioni di pace della sinistra.”

di ABRAHAM B. YEHOSHUA da lastampa.it
Europei e americani interessati ai problemi del Medio Oriente non possono analizzare e comprendere i risultati delle ultime elezioni in Israele unicamente in base al solito criterio: sinistra opposta a destra, colombe che sostengono il processo di pace e la formula «due Stati per due popoli» contro falchi che lo osteggiano.

Più che in molti altri Paesi, infatti, in Israele i conflitti politici e ideologici non rispecchiano soltanto i rapporti di forza e i contrasti su opinioni e valori interni alla società israeliana, ma sono significativamente influenzati dalle posizioni e dall’atteggiamento degli arabi in generale e dei palestinesi in particolare. Il successo della destra israeliana alle recenti elezioni è dunque anche dovuto all’aggressività di Hamas a Gaza e di Hezbollah in Libano dopo il ritiro unilaterale da quelle zone operato dai governi di centro-sinistra. Ironicamente, si potrebbe affermare che queste organizzazioni terroristiche potrebbero reclamare un posto nella futura coalizione di Netanyahu per il «lavoro» svolto a suo favore negli ultimi anni. Sarebbe quindi un errore pensare che la svolta a destra dell’elettorato israeliano segni un ribaltamento ideologico. Tutto sommato è più questione di Stato d’animo che di ideologia.

Da 42 anni sono schierato a sinistra. Dalla guerra dei Sei giorni sostengo il diritto di autodeterminazione del popolo palestinese entro i confini del 1967. Dalla metà degli Anni 70 riconosco gli esponenti dell’Olp come i rappresentanti del popolo palestinese e asserisco la necessità di condurre un negoziato di pace con loro a patto che riconoscano lo Stato di Israele.

Posso dunque testimoniare che l’intero sistema politico israeliano è in continuo e lento movimento verso le posizioni di pace della sinistra. Non dimentichiamo che fino a una decina di anni fa anche Tzipi Livni e molti esponenti di Kadima erano membri del Likud e sostenitori dell’ideologia del «Grande Israele» prima di moderare le loro convinzioni. E al di là delle sue posizioni razziste e nazionaliste anche «Israel Beitenu» di Avigdor Lieberman, partito sostanzialmente laico, è a favore di concessioni territoriali ai palestinesi, non tanto come riconoscimento dei loro diritti ma per limitare il loro numero entro i confini di Israele. Quindi, malgrado il rammarico e l’amarezza per la svolta a destra dell’elettorato israeliano, occorre capire che questo risultato è determinato più dall’umore della gente che da ferme convinzioni ideologiche.

Nel 2003 un nuovo partito denominato «Shinui», assertore di un’ideologia strenuamente antireligiosa, aveva ricevuto l’ampio sostegno degli elettori in un periodo in cui i ricatti politici dei partiti religiosi indisponevano molti di loro. Questo partito nel frattempo è sparito dal panorama politico e il suo posto è stato preso dalla formazione di ultradestra di Lieberman che mescola scaltramente laicità e nazionalismo e gode del favore di numerosi israeliani di origine russa. Nel 2006 era stato il turno di un bizzarro partito per i diritti dei pensionati, completamente scomparso dopo il voto dell’altro ieri, di ottenere non pochi seggi in Parlamento.

Gli israeliani non sono dunque autonomi nelle loro decisioni ma interagiscono con chi li circonda e dipendono dalle posizioni e dalle azioni dei loro nemici. Talvolta la loro reazione ad ansie e timori è giustificata, talaltra eccessiva, ma sempre contrassegnata da un senso di sfiducia di base. Ciò che avviene in Israele dipende inoltre dalle posizioni del governo degli Stati Uniti e dalle promesse della comunità europea di garantire la sicurezza dello Stato ebraico.

Quindi, nonostante i comprensibili timori per il rafforzamento della destra, non dobbiamo dimenticare che il nuovo governo americano e la comunità europea hanno la forza, il dovere e anche il diritto di spingerci verso grandi concessioni sia sul tema della pace con la Siria sia su quello della creazione di uno Stato palestinese. E come nel caso dell’accordo di pace con l’Egitto, siglato nel 1979 da un leader storico della destra, Menachem Begin, è forse più opportuno che sia un esecutivo di destra, supportato dalle fazioni di sinistra della Knesset, a fare future concessioni piuttosto che un governo composto unicamente da partiti di sinistra. (Beh, buona giornata)

(Traduzione di A. Shomroni)

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