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Di che cosa parliamo quando parliamo di “quarta crisi”.

Editoria, pubblicità e informazione:
un matrimonio in crisi

di Marco Ferri da ilmessaggero.it
ROMA (23 marzo) – Lorenzo Sassoli de Bianchi, presidente di Upa, l’associazione degli investitori pubblicitari, a conclusione del Summit della pubblicità che si è svolto a Roma recentemente, ha detto «La comunicazione è e resta driver competitivo, posto di lavoro per talenti, stimolo all’innovazione e libertà di scelta per il consumatore».

Editoria e pubblicità, rapporto in crisi. Se c’è un merito che va riconosciuto a Upa è di aver messo al centro dell’attenzione del mondo dei media e della pubblicità la grave crisi di quel rapporto che ha costruito il successo di molte marche commerciali e ha fatto la fortuna di molte testate giornalistiche. In realtà, come per le altre tre crisi (ambientale, energetica e finanziario-economica) la crisi dell’informazione viene prima della “tempesta perfetta”: tanto che non ha saputo prevederla. Schiacciata dall’insorgenza dei new media (internet in testa) e dalla invadenza della tv (sia generalista che tematica, vale a dire sia analogica che digitale) la stampa ha perso colpi, per poi perdere copie, diffusione, lettori e pubblicità.

Come se non bastassero la crisi ambientale, la crisi energetica e la crisi finanziaria, che ha subito tracimato sulla crisi economica, ecco allora la quarta crisi: la crisi dell’informazione sta attraversando tutto il mondo occidentale. A prima vista sembrerebbe che la crisi dei giornali sia la diretta conseguenza della crisi della pubblicità, che da anni foraggia tutti i mass media. In realtà, come per le altre tre crisi (ambientale, energetica e finanziario-economica) la crisi dell’informazione viene prima della “tempesta perfetta”: tanto che non ha saputo prevederla. Schiacciata dall’insorgenza dei new media (internet in testa) e dalla invadenza della tv (sia generalista che tematica, vale a dire sia analogica che digitale) la stampa ha perso colpi, per poi perdere copie, diffusione, lettori e pubblicità.

Futuro difficile da prevedere. Difficile immaginare cosa accadrà nel prossimo futuro, in particolare alla carta stampata, soprattutto negli Usa. Sono preoccupanti le previsioni per i grandi giornali, dal New York Times (che, per ripianare i bilanci in rosso ha dovuto vendere il grattacielo, disegnato da Renzo Piano, che ospita la redazione a New York), per non parlare del Wall Street Journal (che ha annunciato tagli e licenziamenti pari al 50 per cento degli addetti): questi eventi fanno pensare a una discesa più ampia della stampa americana. Anche il Washington Post ha annunciato di tagliare dal prossimo 30 Marzo l’inserto dedicato al business, compresa le pagine quotidiane dedicate ai listini di Borsa.

Comunque, l’ipotesi di uno scenario futuro del rapporto tra pubblicità e media è fosco. Per Martin Sorrell, capo di uno dei più grandi colossi della comunicazione globale nei paesi sviluppati la tv rimarrà ancora dominante, ma dall’attuale quota di mercato attorno al 30-35% scenderà al 20-25%. Internet, oggi attorno al 12% salirà anch’ essa al 20-25%. E quanto alla carta stampata, si vedrà anche qui una riduzione al 20-25%. Insomma, giornali e riviste saranno i più esposti alla concorrenza dei media via internet. Un fatto è certo: il totale degli introiti derivanti dalla pubblicità commerciale in Italia scende nel 2008 da 8 miliardi e 172 milioni di euro a 7 miliardi e 978 milioni, secondo dati di Nielsen Media Research, azienda specializzata nel monitoraggio degli investimenti pubblicitari. Il che ha spinto gli operatori della comunicazione commerciale a interrogarsi, alla ricerca di soluzioni possibili e realizzabili nei prossimi anni. Dice ancora Lorenzo Sassoli di Upa: «La sfida è quella di riuscire a cogliere umori e valori dei consumatori per realizzare l’incrocio perfetto tra esposizione ai mezzi e consumi, nella consapevolezza che oggi la stessa persona che guarda uno spot, scrive della mia marca su un blog e riceve un mio invito sul cellulare».

L’incognita web. Eccola, allora tutta intera l’esplicitazione della “quarta crisi”, quella che lega pubblicità e informazione: la spasmodica ricerca di un nuovo paradigma tra informazione e pubblicità che perpetui la società dei consumi, oltre la crisi dei consumi. Se questo è il pensiero di chi spende i soldi per la pubblicità nell’informazione, emblematica è la sinergia del ragionamento con chi sta sperimentando, per altro con successo, forme alternative di informazione sul web. Arianna Huffington, co-fondatrice ed editrice dell’Huffington Post, attualmente il sito più famoso d’America, lei, indicata da Time tra i 100 personaggi più influenti degli Stati Uniti, partecipando al Summit della pubblicità, organizzato appunto da Upa ha tracciato tre tendenze in atto: a) i giovani vivono online; b) di crescente importanza è la fase d’ascolto del proprio pubblico da parte di ogni testata giornalistica; c) centrali i contenuti generati dagli utenti. In particolare, secondo Arianna Huffington, intervistata da Kara Swisher del Wall Street Journal, il futuro vedrà giornali, TV e internet alimentarsi a vicenda.

La domanda è: è pronto il mercato italiano a questo profondo cambiamento? «Questo è il momento della transizione, ovvero il peggiore. Gli editori si ritrovano con un vecchio apparato dai costi sproporzionati alle diffusioni e alla raccolta pubblicitaria», ha detto Marco Benedetto, che ha appena fondato blitzquotidiano.it, sito emulo di Haffington Post.
Forse la quarta crisi è solo un momento di transizione verso la convergenza di stampa, tv e internet. Oppure, come per la crisi ambientale, la crisi energetica e la crisi finanziario-economica, anche la crisi del rapporto tra pubblicità e informazione è una crisi strutturale, che rimanda alle contraddizioni della società dei consumi.

Per dirla come la dice Zygmunt Bauman «in veste di compratori siamo stati adeguatamente preparati dagli uomini di marketing e dai copywriter pubblicitari a svolgere il ruolo di soggetto: finzione vissuta come verità di vita, parte recitata come “vita reale” che col passare del tempo spinge da parte la vera vita reale, privandola di ogni possibilità di ritorno» (“Consumo, dunque sono”, Editori Laterza, Roma-Bari 2009). Il che fa pensare che dalla “quarta crisi” non si esce solo riorganizzando il sistema dei media, perché sia più flessibile alle esigenze della comunicazione commerciale. Ma ripensando il ruolo del cittadino-consumatore, nei nuovi scenari sociali nei quali ci troveremo a vivere, quando le crisi attuali avranno portato a termine l’opera di sconvolgimento che stanno provocando. «Assistiamo alla selezione della specie – ha detto Enrico Finzi, presidente di Astra Ricerche, una delle più importanti aziende italiane di ricerche di mercato -. Ma la crisi comporta anche la nascita di una società parzialmente nuova dove ci saranno più professionalità, integrazione, e una comunicazione più veritiera e creativa». E’ probabile che all’interno delle aziende, il marketing ingloberà la comunicazione perché produzione, ricerca, distribuzione, comunicazione e politiche di prezzo saranno più variegati e avranno una regia centralizzata. Dice ancora Finzi: «Avremo quindi “markettari” con una forte competenza di comunicazione, ma non avremo più due funzioni distaccate. La regia dei registi sarà all’interno dell’azienda, la regia della realizzazione esternalizzata, ma con forte controllo dell’azienda».
E’ probabile che le cose vadano così, vale a dire che alla fine le aziende saranno più forti e decisioniste nei processi di comunicazione commerciale e che di conseguenza i media diventeranno perfettamente compatibili a queste nuove regole. Fosse questa la via d’uscita, significherebbe rimandare ancora la madre di tutte le questioni: chi è al centro del processo di comunicazione, l’azienda che produce o il cittadino che consuma?

Si dovrà per forza di cose verificare l’amara profezia di Zygmunt Bauman, secondo cui «consumiamo ogni giorno senza pensare, senza accorgerci che il consumo sta consumando noi e la sostanza dei nostri desideri. E’ una guerra silenziosa, e la stiamo perdendo?». (“Consumo, dunque sono”, Editori Laterza, Roma-Bari 2009).
Ai “posters” l’ardua sentenza, come ha detto una volta Pasquale Barbella, uno dei più brillanti copywriter della pubblicità italiana. (Beh, buona giornata).

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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