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Ma è tempo che torni la politica.

A proposito del mio “Ben tornata Europa”, Martina mi ha scritto questo commento: Quante ruspe manderà l’Europa? Quanti sacchi di cemento? Quanti operai edili? Quanta carta per le scuole? Quante garze per i feriti? Quanti mezzi per la ricostruzione, e ancor prima per dipanare la matassa delle macerie? Israele non ha mica bombardato solo il […]

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A proposito del mio “Ben tornata Europa”, Martina mi ha scritto questo commento:

Quante ruspe manderà l’Europa? Quanti sacchi di cemento? Quanti operai edili? Quanta carta per le scuole? Quante garze per i feriti? Quanti mezzi per la ricostruzione, e ancor prima per dipanare la matassa delle macerie? Israele non ha mica bombardato solo il confine, ha distrutto ponti, ospedali, fabbriche. Siamo sicuri che vogliamo lasciare che sia hezbolla ad occuparsi di tutto questo? Chi si occuperà di ripulire il mare? E con i soldi di chi? Una volta si diceva “chi rompe paga e i cocci sono suoi”. Israele è pronta a smaltire centinaia di migliaia di sacchetti di calcinacci?
(Scritto da: martina | 25/08/06 a 14:44 )

Diciamo subito che non vedere la finestra che si è aperta con il parziale fallimento dell’azione militare israeliana in Libano è un errore, un errore piccolo, ma fatale, una sorta di estremismo infantile, come altri ce ne sono stati nella storia passata e recente.

La valutazione deve essere politica. Vanno individuate le contraddizioni, e scegliere la contraddizione principale. Le contraddizioni sono molte, e ognuna, messa in luce dal dibattito attorno al ruolo italiano di questi anni nello scenario della guerra preventiva al terrorismo, così come è stata imposta dagli Usa al mondo, e dal governo Berlusconi negli scorsi 5 anni, ha la sua valenza e dignità. Ma la domanda è: quale è stato il ruolo dell’Italia durante gli ultimi cinque anni? Cioè: qual è stata la contraddizione principale?

Essa è stata l’appoggio incondizionato alla politica estera Usa. Una politica imperiale e, dunque unilaterale: ha spaccato la politica estera della Ue, ha diffamato prima e messo all’angolo poi l’Onu. La politica estera Usa ha prodotto guerra, ha esportato il terrorismo islamico, ha coinvolto le politiche interne dei paesi europei, compreso il nostro, sul terreno della sicurezza nazionale.

Non sono state violate solo le costituzioni nazionale, come la nostra, per mandare in “guerra” soldati in Afghanistan prima e in Iraq poi. Sono state violate ripetutamente le stesse sovranità territoriali, come il sequestro, pianificato, di cittadini di nazionalità araba sui territori europei ha dimostrato.

Sono state assunte norme restrittive, in automatica applicazione delle direttive del Pentagono e dei servizi di sicurezza Usa, scavalcando i parlamenti e gli stessi ministeri europei degli affari interni, ridotti a rango di notai di decisioni prese a Washinton o a Londra. La situazione nei nostri cieli e nei nostri aeroporti valga come esempio eclatante.

In sostanza, si è applicato a man bassa l’antico principio, secondo il quale “un popolo spaventato si governa meglio”.

Il governo Berlusconi è stato nemico della pace e della legalità internazionale, ma soprattutto del lavoro, della cultura, della libertà d’informazione, dei migranti e, per il semplice fatto di essere rozzamente e smaccatamente neoliberista, è stato il nemico giurato di ogni forma di eguaglianza.

La politica estera dell’attuale governo di centro-sinistra si muove tra le macerie lasciateci dal berlusconismo. Sul caso specifico, però, ha riportato sulla scena la questione dell’autonomia delle cancellerie europee, ha rimesso in partita l’Onu. Questo è un fatto politico. E’ su questo fatto politico che va ricalibrato il dibattito. Non si tratta di dire mi piace o non mi piace, né di testimoniare distinguo o adesioni. Si tratta di valutare una fase nella quale il governo italiano non è più nemico, esso può essere considerato un avversario, bisogna calibrare una nuova dialettica, caso per caso, questione per questione: lavoro, cultura, libertà civili, libertà d’informazione, comando sui sistemi di informazione di massa, la tv in prima istanza, migranti.

E’ stato scritto che il movimento per la pace deve rivendicare autonomia di valutazioni sulle posizioni del governo in politica estera. Sacrosanto. Autonomia non significa, però non vedere il cambio di passo. Perché questo metodo sarebbe opportunismo: la pura ricerca di una identità di pezzi e spezzoni della sinistra, alla ricerca di suggestioni “autocelebrative” la propria ragion d’essere, e che oggi soffrono del nuovo ruolo dell’Italia in politica estera, come se gli asciugasse l’acqua in cui nuotare. Il piccolo cabotaggio è un male antico.

Autonomia significa capire la fase, agire di conseguenza. In altre parole, vuol dire tornare a fare politica. La politica ci dice oggi che il ritorno del protagonismo dell’Europa, accanto all’Onu sullo scenario mediorientale va registrato con attenzione. Ci sono tutte le incognite. Ma cosa sarebbe la politica senza incognite? Beh, buona giornata.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

Una risposta su “Ma è tempo che torni la politica.”

Non ho intenzione di trasformare il bolg in un forum, ma:
pur non sottovalutando il fenomenale cambio di rotta dell’Italia sul piano internazionale, in questa come in molte altre occasione, non posso ignorare la timidezza con cui si muove la sinistra italiana. Portare scarponi in giro per il mondo è probabilmente l’unico modo per avere un peso su questo pianeta. E avere un peso significa poter avere sufficiente voce, e modificare gli schemi imposti, ad esempio, dagli USA. Con estrema amarezza mi piego a questa logica delle armi. Porto il mio fucile, non tanto per usarlo, quanto per dimostrare che ne ho uno, e quindi ho l’autorevolezza per parlare (che peraltro ha un so che di maschilismo fallico, ma tant’è).
Ma siamo sicuri di avere qualcosa da dire? Ripeto, lasciare che sia Hezbolla il principale soggetto portatore di welfare è un grave errore politico. Politicamente è fondamentale dimostare che istituzioni laiche sono in grado di sostenere la popolazione civile nei suoi bisogni primari, non per propaganda, ma semplicemente perché è una cosa giusta.
Politicamente sono d’accordo che l’ONU invii truppe. Ma politicamente penso che non sia sufficiente. Disarmare Hezbolla significa togliere la terra sotto i piedi alle sue armi, e quella terra è l’assistenza reale che Hezbolla ha promesso e mantenuto alla popolazione libanese.
Un’ultima cosa: non si può, non si deve, è drammatico abbandonare ancora una volta il popolo palestinese (e so che suona come trita retorica di una sinistra infantile, ma quelle persone esistono veramente, non sono una semplice ragion d’essere di Bernocchi)

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