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L’iniziazione del piccolo Cam.

Ripartono i festival dedicati al cinema. A Spello in Umbria è stato proiettato “La guerra di Cam” di Laura Muscardin. Il film uscì in pieno lockdown, e non potè, dunque, andare nelle sale. A febbraio del 2020 intervistai la regista, via Skype.

Laura Muscardin, sua sorella Anna, Flavia Mariani (per non parlar del cane) a Villa Pianciani, durante il Festival del Cinema Città di Spello.

Una conversazione di Marco Ferri sui temi di La guerra di Cam, con Laura Muscardin, regista, e Flavia Mariani, spettatrice ed esperta di comunicazione.

[pubblicato su grandimagazziniculturali.it]

La guerra di Cam è una favola contemporanea che racconta come un ragazzino sia riuscito a rompere il guscio dell’infanzia. L’impatto col mondo dei grandi è duro, faticoso, addirittura pericoloso. Il mondo di Cam è funestato dal disastro: il crollo della civiltà umana, le scorrerie di bande armate, villaggi abbandonati e carcasse di architettura incompiuta o abbandonata, la compravendita della salvezza per i superstiti, l’inganno e il tradimento come ostacoli alla sopravvivenza.  E la natura, lasciata a se stessa, che è tornata ostile e pericolosa per gli umani.

Ci sono diverse chiavi per interpretare il film e anche più di un tasto che si può toccare per accendere l’interesse sulla storia che viene raccontata. Vorrei provare a pigiarne qualcuno. Comincerei dall’atmosfera della narrazione.
Laura Muscardin: È stato detto che è un film distopico, termine che va di moda, ma che a me non piace. Non volevo fare fantascienza. È la storia di un bambino alle prese con una realtà ostile alla sua infanzia. Uscire dall’infanzia è fare i conti con il mondo degli adulti è sempre una lotta, a cominciare dal conflitto con se stessi.

Flavia Mariani: Questo è proprio il tema avvincente del film, in cui si capisce che il contesto “catastrofico” è un pretesto narrativo, ma che la vera trama è incentrata sulle “avventure” di un ragazzino alle prese con l’essere all’altezza del mondo dei grandi. In un mondo degli uomini che è in conflitto con il pianeta.

Tuttavia, non c’è dubbio che il contesto in cui si muovono i personaggi del film è, in prima battuta, apparentabile al filone catastrofico. A cominciare dai luoghi in cui si svolge la scena: archeologia industriale, villaggi abbandonati, opere pubbliche incompiute.
Laura Muscardin: In Italia, secondo un censimento, il 40% delle opere architettonica, sparse da nord a sud del paese, è in uno stato di abbandono e disfacimento, tra la natura che si riprende il suo spazio. D’altro canto, anche il cosiddetto dissesto idrogeologico, cioè la mancanza di cura ambientale, fa sì che spesso alcuni luoghi siano inospitali, per non dire non in sicurezza e dunque pericolosi.

L’uso cinematografico di questi luoghi dell’abbandono architettonico, tuttavia, sembra una sorta di economia circolare: dal momento che l’opera abbandonata diventa protagonista di un’opera creativa, ecco che rinasce nel suo riuso.
Laura Muscardin: In effetti, è così. Senza contare che le prime inquadrature del film si svolgono nel cretto di Burri, là dove, appunto, Alberto Burri creò questa famosa opera di “land art”, realizzata nel luogo in cui sorgeva la città di Gibellina, completamente distrutta dal terremoto del Belice del 1968. Ecco che le opere pubbliche, e soprattutto quelle artistiche, danno memoria ai luoghi.

Flavia Mariani: Quelle scene sono molto suggestive, fanno venire voglia di andare a vedere il cretto di Burri di persona, di venire abbacinati dal riflesso di quella pietra bianca, che riluce al sole della Sicilia.

D’altronde, è un fatto assodato che il cinema sia un potente vettore che stimola il viaggio. I luoghi visti nei film attirano i visitatori, come se le persone, più che andare per la prima volta, ritornassero in un luogo che l’emozione della macchina da presa ha stampato per sempre nelle loro fantasie. E la visita fosse la conferma di quelle fantasie. Ecco un altro aspetto, niente affatto trascurabile, che ci dice dell’importanza dell’economia circolare stimolata dalla creatività, utile al turismo. Tornando alla narrazione, mi pare che lo scenario in cui si muovono i personaggi richiami almeno due grandi emergenze: la prima è umanitaria, quella dell’immigrazione, che nel nostro caso è emigrazione cioè il tentativo di fuga attraverso il mare verso lidi accoglienti.
Flavia Mariani: Mi ha molto colpito quella sorta di perfetta similitudine tra la fuga dalle guerre dei popoli dei paesi della sponda africana del Mediterraneo e il disperato tentativo di raggiungere il mare per mettersi in salvo da parte dei protagonisti del film. Fa riflettere pensare che quei disperati potremmo essere noi.

Laura Muscardin: È il plot attraverso cui si svolge il racconto. Un bambino e sua sorella più grande, durante un tentativo di raggiungere la costa per imbarcarsi in un natante di fortuna, vengono separati da un atto violento dei trafficanti di esseri umani. È la storia del piccolo Cam che cercherà di ricongiungersi alla sorella.

Si capisce, fin dai primi fotogrammi, che il crollo della civiltà ha prodotto guerra, distruzione, povertà e ci sono stati molti morti. Dunque, per venire alla seconda grande emergenza, quella sanitaria, per altro ancora in atto, il tema delle vittime, della paura, ma anche della solidarietà, sembra aleggiare nel film.
Laura Muscardin: È strano. Dovevamo uscire lo scorso anno nelle sale, ma siamo stati bloccati, come tutti, dalla pandemia della prima ondata e la conseguente chiusura delle sale cinematografiche. Il film è stato collocato temporaneamente on line. Da principio, sembrava proprio che il lancio fosse destinato a soccombere per colpa della cattiva sorte. Ma poi è arrivato il successo al Giffoni Film Festival che ci ha dato il premio per le tematiche ambientaliste. Questo, oltre che l’ovvio piacere che un premio ti dà, ci ha fatto riflettere. È come se fossimo usciti nel momento giusto, nonostante tutto: tra le grandi mobilitazioni stimolate dall’attivismo di Greta Thunberg e dai ragazzi del “Friday For Future” e la riflessione collettiva – spinta dall’insorgenza e le conseguenze del CovId-19 -, su quell’infezione da virus, provocata dal cattivo rapporto che il nostro stile di vita ha con la natura, e l’ambiente in genere, che spinge i virus al salto di specie tra animali ed esseri umani.

Flavia Mariani: Comunque nella trama c’è la sotto storia di una ribellione allo strapotere dei trafficanti di esseri umani in fuga dalla catastrofe. Insomma, allo strapotere del denaro e dell’accumulazione di ricchezze l’antidoto è il coraggio della solidarietà. Come un vaccino.

È ora di tornare sull’iniziazione al mondo degli adulti di Cam, il protagonista. Nel suo tentativo di trovare la sorella, egli si imbatte in un adulto, che lo accompagnerà fino alla fine della storia, e fino al colpo di scena di cui non vogliamo parlare per non rovinare le emozioni di chi non lo ha ancora visto. È un adulto ambiguo, istrionico, forse un “cattivo maestro”, che tuttavia si prende cura di Cam.
Laura Muscardin: È in questo incontro che si svolge la storia che raccontiamo nel film. È quest’adulto che in un certo senso officia il rito dell’iniziazione alla vita dei grandi, che costringe Cam, come dici tu, a rompere il guscio dell’infanzia.

Ci sono forti suggestioni che richiamano le ottocentesche favole per bambini: la foresta paurosa, la caverna buia, gli scheletri di uomini morti ammazzati, il ritrovamento di armi arrugginite, la sensazione del pericolo, gli incubi.
Laura Muscardin: La chiave però è moderna, direi attuale. Tra le difficoltà che un bambino deve affrontare, per iniziare a capire qual è la strada migliore per affacciarsi al mondo adulto, ci sono ostacoli spesso incarnati proprio dagli adulti che gli sono più vicino. Edulcorare la realtà e le sue difficoltà non giova alla loro crescita interiore.

Flavia Mariani: Il protagonista adulto del film è, forse, fin troppo cinico, sfrontato nel raccontare come stanno le cose al suo piccolo partner nell’avventura.

Laura Muscardin: Il maestro è “cattivo”, ma alla fine, grazie a lui, Cam avrà ben chiaro come comportarsi e farà la cosa giusta al momento giusto.

La guerra di Cam è un “film a piedi”, tra natura impervia e architettura abbandonata, un film in cui i personaggi camminano sui sentieri delle difficoltà di essere bambini in un mondo in cui gli stessi adulti rischiano di perdere le loro sicurezze, fondate su stili di vita e di benessere sempre più precari, per via della crisi in cui abbiamo scaraventato  il rapporto tra esseri umani a l’ambiente.

Secondo Paul Ehrlich, “Quando una popolazione si avvicina al limite della capacità del suo ambiente di supportarla, la salute media dei suoi individui tende a diminuire, in modo da ridurre la crescita della popolazione. Il problema con l’Homo sapiens è che grazie al nostro ingegno siamo, per millenni, riusciti a sottrarci a questo meccanismo ri-equilibratore, e abbiamo trovato sempre nuovi modi per produrre più cibo, conquistare più aree, anche quelle in precedenza inabitabili, e sfruttare più risorse”.

“Il nostro pianeta, però, adesso ci presenta il conto”, conclude Ehrlich. Il conto è anche sotto forma di pandemie, aggiungo io.

La guerra di Cam, di Laura Muscardin ha vinto il Best Feature Film al Sweden Film Award; il premio come miglior lungometraggio italiano al 74° Festival Internazionale del Cinema di Salerno; il premio CIAL per l’ambiente al Giffoni Film Festival.  È visibile su: https://it.chili.com/content/la-guerra-di-cam/e6fdd0e2-e5b9-4180-9898-2b54663efa4b

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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