
All’altezza dei volti di Chiozza, vidi in lontananza il convoglio e mi parve persino di riconoscere la carrozza di un amico mandato al funerale per Ada.
Saltai col Nilini in una vettura di piazza, dando ordine al cocchiere di seguire il funerale. E in quella vettura il Nilini ed io continuammo a succhiellare.
Eravamo tanto lontani dal pensiero al povero defunto che ci lagnavamo dell’andatura lenta della vettura. Chissà quello che intanto avveniva alla Borsa non sorvegliata da noi?
Il Nilini, a un dato momento, mi guardò proprio con gli occhi e mi domandò perché non facessi alla Borsa qualche cosa per conto mio.
– Per il momento — dissi io, e non so perché arrossissi, — io non lavoro che per conto del mio povero amico.
Quindi, dopo una lieve esitazione, aggiunsi:
– Poi penserò a me stesso. — Volevo lasciargli la speranza di poter indurmi al giuoco sempre nello sforzo di conservarmelo interamente amico.
Ma fra me e me formulai proprio le parole che non osavo dirgli: «Non mi metterò mai in mano tua!» Egli si mise a predicare.
– Chissà se si può cogliere un’altra simile occasione! — Dimenticava d’avermi insegnato che alla Borsa v’era l’occasione ad ogni ora.
Quando si arrivò al posto dove di solito le vetture si fermano, il Nilini sporse la testa dalla finestra e diede un grido di sorpresa. La vettura continuava a procedere dietro al funerale che s’avviava al cimitero greco.
– Il signor Guido era greco? — domandò sorpreso.
Infatti il funerale passava oltre al cimitero cattolico e s’avviava a qualche altro cimitero, giudaico, greco, protestante o serbo.
– Può essere che sia stato protestante! — dissi io dapprima, ma subito mi ricordai d’aver assistito al suo matrimonio nella chiesa cattolica.
– Dev’essere un errore! — esclamai pensando dapprima che volessero seppellirlo fuori dal posto.
Il Nilini improvvisamente scoppiò a ridere di un riso irrefrenabile che lo gettò privo di forze in fondo alla vettura con la sua boccaccia spalancata nella piccola faccia.
– Ci siamo sbagliati! – esclamò. Quando arrivò a frenare lo scoppio della sua ilarità, mi colmò di rimproveri. Io avrei dovuto vedere dove si andava perché io avrei dovuto sapere l’ora e le persone ecc.
Era il funerale di un altro!
Irritato, io non avevo riso con lui ed ora m’era difficile da sopportare i suoi rimproveri. Perché non aveva guardato meglio anche lui? Frenai il mio malumore solo perché mi premeva più la Borsa, che il funerale. […] (“La coscienza di Zeno”, Italo Svevo, – courtesy by Roberta Marchetti).