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La quarta crisi: sciopero delle maestranze Mediaset, ma nessuno lo dice.

Mediaset in sciopero bella notizia (oscurata)-il manifesto.it

Udite udite. E diffondete. Forse è l’unico modo per permettere a questa notizia di raggiungere più orecchie possibile: i lavoratori di Mediaset sono in sciopero. Difendono i loro salari e chiedono che vengano ripristinate le “normali relazioni sindacali”. Ma oggi devono prima di tutto lottare contro il silenzio. La loro astensione dal lavoro, infatti, sembra non interessare a nessuno.

Di loro non parlano neanche le agenzie di stampa. Paradossale ma vero: accade “qualcosa” – qualcosa di inedito, c’è da dire – nella più grande azienda di comunicazione italiana, e i protagonisti faticano a bucare lo schermo. Ma tant’è, a Berluscolandia.
I fatti: Cgil, Cisl e Uil hanno indetto per oggi uno sciopero dei lavoratori della Videotime di Roma. La Videotime è la società licenziataria di Mediaset-Rti che lavora nei centri di produzione “Palatino” e “Elios”. Qui vengono registrati programmi molto seguiti: dal Tg5 a Matrix a Forum. I lavoratori della Videotime si occupano anche del programma “Uomini e Donne” di Maria De Filippi, che però viene registrato a Cinecittà. Si tratta dei tecnici, della parte di produzione, dei parrucchieri, dei truccatori, dei sarti. Insomma, di tutto il personale che serve per mettere in piedi un programma.

Ebbene, dall’anno scorso sono tempi di magra. Mediaset dice di essere in crisi (ricavi netti nell’anno 2008: +9%, utile netto: +14,3%) e per questo stringe la cinghia: niente più diaria per gli esterni, fermi i passaggi di livello, diminuzione dei premi di produzione, azzeramento della politica retributiva. Questo è quanto denunciano i sindacati: “Un esempio – spiega Roberto Crescentini, delegato fistel-Cisl della Rsu di Videotime – sabato registriamo Matrix. I lavoratori hanno chiesto di lavorare in straordinario. Ma l’azienda ha chiesto ai parrucchieri solo quattro ore di lavoro, e non sette. Alla domanda: perché? La risposta è stata: l’azienda è in crisi. Figurarsi – dice Crescentini – noi siamo i primi a non voler affossare l’azienda e a capire che è in corso una grave crisi economica e finanziaria. Ma Mediaset è in crisi?”. La domanda è pertinente, visto che, racconta Crescentini: “Alla puntata di Forum in cui era ospite Barbara D’Urso, Mediaset ha pagato un parrucchiere 1.300 euro. Come anche viene pagato tutti i giorni un parrucchiere per la conduttrice Rita Dalla Chiesa, ad un prezzo che ci pare esorbitante, visto il momento: 700 euro”. Insomma, dicono i lavoratori, se bisogna fare sacrifici che li facciano tutti.

Secondo il dato dei sidnacati lo sciopero è andato benissimo: l’adesione ha sfiorato il tetto del 95%. Ultima chicca: il Comitato di redazione del Tg5 ha inviato un comunicato di solidarietà ai lavoratori di Videotime. Il comunicato, a quanto pare, doveva essere letto durante l’edizione odierna. Ma è stato stoppato. Ci sono notizie più importanti. (Beh, buona giornata).

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La quarta crisi: il sistema televisivo italiano alla prese con vecchi problemi, ma di fronte a una crisi inedita.

Raiset* e il pluralismo. Una partita persa di Giuseppe Giulietti-blitzquotidiano.it

Esiste davvero un polo Raiset? Secondo alcuni commentatori no, anzi il conflitto di interessi è solo una invenzione di spiriti malevoli, accecati da un livore tardo comunista. Per convalidare questa tesi non si esita, ma guarda un po’, a rispolverare la teoria del complotto e a liquidare con disprezzo chiunque osi mettere in discussione un dogma che sembra essere più solido di quello trinitario che, almeno per i credenti, dovrebbe essere oggetto di culto e di venerazione.

Nella lista degli eretici che non vogliono inginocchiarsi di fronte al nuovo idolo sono così finiti il parlamento europeo, la commissione europea, la federazione internazionale degli editori e dei giornalisti, i costituzionalisti quasi tutti e da ultimo la grande agenzia americana Freedom house che ha retrocesso l’Italia tra i paesi semiliberi perché a quei signori sembra strano che un presidente del consiglio di un qualsiasi staterello del globo possa controllare in modo diretto o indiretto le principali reti televisive.
Quelli di Freedom House, per altro, sono talmente sinistrorsi che, giustamente, hanno cacciato all’inferno e agli ultimi posti della classifica i paesi a regime comunista a cominciare da Cuba e dalla Cina.

L’elenco degli infedeli si arricchisce da oggi di un inaspettato nuovo ospite: l’autorità di garanzia delle comunicazioni e il suo osservatorio incaricato di rilevare il pluralismo dei soggetti politici nei tg nazionali pubblici e privati.

Da qualche giorno sul sito dell’autorità sono comparsi i dati relativi al mese di aprile. La loro lettura è di difficile comprensione, ma non occorre essere un genio della statistica per rilevare come il presidente del consiglio da solo sbaragli il campo. Tutto effetto del terremoto che ha alterato i valori precedenti? Neppure per sogno, anzi l’osservatorio ha addirittura scorporato i dati relativi al sisma per non alterare la rilevazione. Nonostante questo il risultato non cambia, il mese di aprile conferma il trend del mese di marzo, per la prima volta non viene rispettata neppure la regola non scritta che prevedeva l’assegnazione di tempi paritari tra governo, maggioranza e opposizione.

Per non lasciarci prendere la mano dalla propaganda abbiamo chiesto ad un tecnico che ha collaborato alla elaborazione di dati di fornirci una scheda di lettura. Ve la proponiamo in esclusiva per Blitz:
Osservazioni sul monitoraggio politico aprile 2009
Premessa
Nel monitoraggio vengono rilevati:
Tempo di notizia: indica il tempo dedicato dal giornalista all’illustrazione di un argomento/evento in relazione ad un soggetto politico/istituzionale.
Tempo di parola: indica il tempo in cui il soggetto politico/istituzionale parla direttamente in voce.
Tempo di antenna: indica il tempo complessivamente dedicato al soggetto politico-istituzionale ed è dato dalla somma del “tempo di notizia” e del “tempo di parola” del soggetto.
Le analisi sono state dunque svolte sul tempo di antenna ritenuto maggiormente rappresentativo dello spazio dedicato alla forza politica.
Con riferimento alle rilevazioni di aprile l’avvenimento del sisma in Abruzzo (avvenuto in data 6 aprile 2009) ha determinato una polarizzazione dell’informazione televisiva sull’evento, di carattere eccezionale.
Il confronto con i dati di marzo dimostra però che tale evento non ha influenzato in modo significativo la distribuzione delle percentuali di tempo di antenna attribuite ai vari soggetti (che già nel mese di marzo risultavano particolarmente squilibrate), ma probabilmente ha inciso sul tempo complessivo dedicato dai tg ai soggetti politico/istituzionale (anche se tale aspetto non è colto dal monitoraggio).

Osservazioni
In generale emerge con chiarezza uno squilibrio a favore della maggioranza in tutte le reti (con l’eccezione del tg3) con l’evidenza di alcuni aspetti peculiari:

* il Tg4 nel mese di aprile ha dedicato alla maggioranza olte l’80% del tempo concentrandosi su governo e presidente del consiglio per oltre il 75%;
* il Tg5 nella seconda quindicina di aprile ha dedicato alla maggioranza oltre il 50% del tempo, ed all’opposizione il 30% rispetto ad uno storico del 15-20%. Emerge però che l’aumento a favore dell’opposizione è dovuto alla crescita dello spazio dedicato alle forze politiche minori;
* Studio aperto registra già dal mese di marzo rilevanti percentuali a favore della maggioranza/governo, riequilibrando un po’ solo nella seconda quindicina di aprile (da un tempo medio del 73% alla maggioranza si è passati al 56%);
* Il Tg2 e La7 anche nella seconda quindicina di aprile mantengono un forte squilibrio a favore del governo (45% nel tg2 e 47% nel tg di La7);
* Il Tg1 mantiene costantemente oltre il 50% alla maggioranza e circa il 25-30% all’opposizione.
* Il Tg3 appare la testata più equilibrata con il 40% per maggioranza/governo e 37% per l’opposizione.

Cosa altro aggiungere? Sarà una casualità ma il presidente vola nelle e sulle reti di sua proprietà, in taluni casi addirittura si configura una violazione persino della debolissima legge sul conflitto di interessi che configura come causa di infrazione grave un sostegno continuato e privilegiato ad una forza politica o a un singolo soggetto. In questo caso dovrebbe essere la medesima autorità a intervenire. Per ora nulla è accaduto.
La situazione non migliora neppure in casa Rai,con l’eccezione del Tg3, una situazione analoga si rileva anche La 7.
La scheda tecnica segnala che tale tendenza si sta consolidando e che i dati del terremoto l’hanno solo resa più evidente.
È del tutto evidente che, almeno dal punto di vista quantitativo, sia giusto ipotizzare il prossimo ulteriore consolidamento di un polo Raiset con tutte le conseguenze immaginabili sul piano del pluralismo politico ma anche su quello non meno delicato del pluralismo industriale e della libertà dei mercati di riferimento.

Quello che sorprende maggiormente, infine , è la quasi olimpica serenità, con la quale la pubblicazione dei dati è stata accolta dai diversi attori politici. La serenità di Berlusconi e dei suoi amici trova conforto nei dati, quella dei suoi avversari molto meno.
A proposito: il conflitto di interessi non esiste e comunque non incide minimamente sulle modalità della rappresentazione televisiva, chi osa dire il contrario sia messo al rogo come accadeva agli eretici e alle streghe ai bei tempi della santa inquisizione…(Beh buona giornata).

(* acronimo giornalistico che sta per Rai e Mediaset)

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La quarta crisi: che succede se Rai e Sky non trovano un accordo sul satellite.

TRA LA RAI E SKY NON METTERE MEDIASET di Giovanni Valentini-la Repubblica.

È una scelta strategica molto delicata e importante, per la Rai, per il mercato dell’ informazione e per tutti noi cittadini telespettatori, quella che il vertice di viale Mazzini si accinge a compiere nei suoi rapporti con Sky. Entro il prossimo luglio, la tv di Stato deve decidere se rinnovare o meno il contratto con l’ emittente satellitare di Rupert Murdoch che offre 474 milioni di euro per i prossimi sette anni, in cambio della trasmissione dei canali pubblici sulla propria piattaforma. E bene ha fatto il Consiglio di amministrazione ad accogliere la proposta del direttore generale, Mauro Masi, di avviare rapidamente una trattativa per cercare di spuntare le condizioni migliori, sulla linea indicata dal presidente Garimberti.

Un eventuale divorzio tra Rai e Sky è destinato ad avere effetti rilevanti sul sistema televisivo italiano, sulle quote di mercato – soprattutto pubblicitario – delle due emittenti, e infine sulle nostre abitudini di teleutenti. Ma fatalmente si ripercuoterebbe anche su Mediaset, la tv del presidente del Consiglio, che seguirebbe subito a ruota sulla stessa strada e ne trarrebbe verosimilmente i maggiori benefici per fronteggiare il crollo della pubblicità. Tanto che si può parafrasare nel caso specifico il motto popolare, particolarmente in voga negli ultimi tempi a proposito delle vicende coniugali di Silvio Berlusconi: tra mogliee marito, con quel che segue.

La valutazione sulla congruità del “quantum” è rimessa naturalmente alla discrezionalità e responsabilità del Cda di viale Mazzini. E tuttavia non si tratta soltanto di un valore economico. In forza del principio della “neutralità tecnologica”, infatti, al pari di tutte le altre televisioni pubbliche d’ Europa la Rai è tenuta a diffondere i suoi programmi sul maggior numero di piattaforme possibili: il nuovo sistema digitale terrestre, quello satellitare, Internet, i telefoni cellulari e quant’ altro.

Se l’ accordo con Sky non dovesse più risultare conveniente, dunque, l’ azienda di Stato dovrebbe comunque attrezzarsi per trasmettere via satellite, sostenendo altri costi e magari accoppiandosi proprio con Mediaset. Per la Rai, in realtà, il problema si pone in termini di danno emergente e lucro cessante, come si dice in linguaggio giuridico. Danno emergente, perché – in caso di fallimento della trattativa con Sky – da qui al 2016 l’ azienda pubblica perderebbe 474 milioni di euro. A cui vanno aggiunte, come già detto, le spese per un nuovo satellite. E per un’ azienda che prevede di chiudere il bilancio 2009 con un deficit di oltre cento milioni, non è evidentemente una bazzecola.

Poi, c’ è – per così dire – il lucro cessante: cioè l’ effetto negativo, sul piano degli ascolti e quindi della raccolta pubblicitaria, di una separazione dalla televisione di Murdoch. Non solo perché in molte regioni non arriva né il vecchio segnale analogico né il nuovo segnale digitale, a cominciare proprio dalla Sardegna dove è già scattato il fatidico switchoff, il passaggio o la transizione da un sistema all’ altro, per cui il satellite resta l’ unica piattaforma utilizzabile. Ma ancor più per il fatto che ormai una buona parte del pubblico, in Italia o dall’ estero, utilizza abitualmente la parabola di Sky per scegliere attraverso lo stesso telecomando i canali in chiaro della Rai, di Mediaset e della 7 oppure quelli criptati nel bouquet della tv a pagamento. È più che opportuno, allora, che il vertice della Rai compia un’ analisi approfondita dei costi e dei benefici: ci mancherebbe altro. Con un “buco” del genere, sarebbe un delitto rifiutare l’ offerta di Murdoch, sopportare i costi di un nuovo satellite e per di più rischiare di perdere audience e pubblicità. Per fortuna, c’ è ancora la Corte dei conti o magari la magistratura ordinaria a cui ricorrere.

Ma, a parte i compiti istituzionali della Rai, i suoi legittimi interessi e le sue scelte autonome, non vorremmo proprio che l’ azienda di Stato – come il marito che vuole fare un dispetto alla moglie – per indebolire Sky si privasse degli attributi o comunque si danneggiasse da sola, alla maniera di Tafazzi, il personaggio televisivo incline al masochismo. A differenza di Mediaset, la nostra tv pubblica – come ha giustamente rilevato l’ ex ministro Paolo Gentiloni – non ha un’ offerta di pay-tv. E perciò, al di là delle migliori intenzioni, un eventuale divorzio da Sky finirebbe per avvantaggiare principalmente il suo più diretto concorrente, l’ altro incumbent del vecchio duopolio analogico e del nuovo duopolio digitale. Nel libro di memorie citato all’ inizio, è l’ ex consigliere di amministrazione della Rai, Carlo Rognoni, a evocare lo spettro dell’ Alitalia. E non è affatto rassicurante per il futuro della televisione pubblica.

«È il mercato – predica ora Rognoni – che impone alla politica di fare un passo indietro e prendere atto dei suoi doveri: fissare con chiarezza la missione del servizio pubblico nell’ era della rivoluzione digitale; impedire che la Rai perda credibilità; non lasciare che una grande azienda finisca come l’ Alitalia, nel giro di qualche anno». Tutto ciò è vero oggi. Ma era vero anche nel 2005, quando il centrosinistra partecipò alla maxi-lottizzazione e insediò i suoi uomini al vertice di viale Mazzini. Ed era vero, purtroppo, anche prima. (Beh, buona giornata).

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La quarta crisi: Mediaset a -13% nel primo trimestre 2009, ovvero quando la tv commerciale perde i ricavi della comunicazione commerciale.

(fonte:advexpress.it)
Il Consiglio di Amministrazione di Mediaset, riunitosi il 12 maggio sotto la presidenza di Fedele Confalonieri (nella foto), ha approvato la relazione sul primo trimestre 2009. I risultati del Gruppo dei primi tre mesi dell’esercizio hanno risentito dell’accentuarsi, soprattutto in Spagna, della profonda fase recessiva che ha investito l’economia mondiale nel corso degli ultimi mesi del 2008, determinando una sensibile contrazione degli investimenti pubblicitari nei due mercati geografici di riferimento.

In tale contesto, il Gruppo ha comunque contenuto rispetto ai propri concorrenti la flessione della raccolta pubblicitaria, consolidando le proprie quote di mercato e mantenendo la leadership d’ascolto sui target commerciali di riferimento e conquistando con Canale 5 il primo posto assoluto su tutto il pubblico televisivo nel periodo di garanzia. La forte azione di controllo esercitata sui costi televisivi e l’ottimo andamento di Mediaset Premium hanno inoltre consentito di attenuare, soprattutto in Italia, l’impatto negativo sui margini economici indotto dai minori ricavi pubblicitari.

I ricavi netti consolidati del Gruppo Mediaset ammontano a 967,2 mln di euro in flessione del 12,0% rispetto ai 1.098,9 mln del primo trimestre 2008. L’ebit è pari a 139,3 mln di euro rispetto ai 255,8 mln dello stesso periodo dell’anno precedente. La redditività operativa si attesta al 14,4% rispetto al 23,3% del primo trimestre 2008. L’utile netto di competenza del Gruppo è pari a 60,0 mln di euro rispetto ai 121,0 mln di euro del primo trimestre dell’anno precedente. La posizione finanziaria netta di Gruppo passa da -1.371,7 mln di euro del 31 dicembre 2008 a -1.256,3 mln al 31 marzo 2009. Nei primi tre mesi dell’esercizio la generazione netta di cassa è stata pari a 122,5 mln di euro rispetto ai 279,9 mln dello stesso periodo dell’anno precedente.

Per quanto riguarda l’Italia , nel primo trimestre 2009 i ricavi netti consolidati hanno raggiunto gli 807,8 mln di euro in diminuzione del 5,0% rispetto agli 850,5 milioni dello stesso periodo dell’anno precedente. Ricavi pubblicitari televisivi lordi: raggiungono i 645,7 mln di euro con una flessione del 13,0% rispetto ai 742,1 mln del primo trimestre 2008. Sulla base dei dati Nielsen relativi ai primi due mesi dell’esercizio, la raccolta pubblicitaria delle reti Mediaset ha mostrato un rallentamento più contenuto sia rispetto a quello del mercato pubblicitario complessivo (-22,2%) sia a quello del mercato pubblicitario televisivo (-23,1%), escludendo in entrambi i casi il contributo di Mediaset .

Ricavi Mediaset Premium: i ricavi Pay Tv (vendita di carte, ricariche ed Easy Pay) hanno raggiunto i 72,2 mln di euro con una crescita del 63,7% rispetto ai 44,1 mln di euro dei primi tre mesi del 2008. Le carte attive al 31 marzo 2009 sono pari a circa 3,3 milioni rispetto ai 2,9 milioni del 31 dicembre 2008. L’ebit si è attestato a 95,6 mln di euro rispetto ai 137,9 mln del primo trimestre 2008. I costi televisivi totali registrano una diminuzione dell’1,8% rispetto al primo trimestre 2008 a conferma di una scrupolosa politica di efficienza che non ha effetti sulla ricchezza del palinsesto e sugli ascolti delle reti Mediaset. L’utile netto è stato pari a 47,4 mln di euro rispetto agli 80,5 mln di euro del primo trimestre 2008.

Ascolti televisivi: nei primi tre mesi dell’esercizio le reti Mediaset confermano la leadership nazionale in tutte le fasce orarie tra i telespettatori tra i 15 e i 64 anni (target commerciale). Mediaset registra il 42,0% in prima serata e il 42,1% nelle 24 ore. Canale 5 oltre a essere prima rete italiana in prime time su tutto il pubblico televisivo nel periodo di garanzia con il 22,9% (11 gennaio – 31 marzo) è la rete italiana più vista nel target commerciale con il 24,8% in prima serata e il 23,7% nelle 24 ore.

Per quanto riguarda invece il mercato spagnolo, nei primi tre mesi del 2009 i ricavi netti consolidati generati dal Gruppo Telecinco sono stati pari a 159,7 mln di euro rispetto ai 249,0 mln dello stesso periodo dell’anno precedente. Tale risultato ha ovviamente risentito della congiuntura economica e finanziaria negativa sia a livello nazionale che internazionale. L’Ebit, anche in virtù del forte controllo dei costi complessivi (-11,5%), è stato pari a 43,7 mln di euro rispetto ai 117,9 mln di euro del 2008. La redditività operativa è pari al 27,3% (47,4% nel primo trimestre del 2008). L’utile netto è stato pari a 29,3 mln di euro rispetto agli 81,5 mln dei primi tre mesi del 2008. Telecinco consolida il proprio ruolo di prima rete assoluta spagnola in prime time con il 17,5% in termini di ascolti televisivi. (Beh, buona giornata).

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La delibera dell’Autorithy per le comunicazioni sulla digitalizzazione delle tv italiane danneggia il mercato e il pluralismo. Perché Rai e Mediaset consolidano ulteriormente le loro posizioni.

di Tommaso Valletti da lavoce.info
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha approvato i criteri per la completa digitalizzazione delle reti televisive nazionali. Ma in Italia non esiste una politica coerente sulle frequenze. E mentre all’estero i governi mettono all’asta senza limitazioni quelle liberate dalla tecnologia digitale, da noi la competizione riguarda solo tre canali e sarà riservata agli operatori televisivi. Di sicuro, la delibera danneggia lo sviluppo economico e inficia il pluralismo. Perché Rai e Mediaset consolidano ulteriormente le loro posizioni.

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha approvato, l’8 aprile, i criteri per la completa digitalizzazione delle reti televisive nazionali. La delibera prevede ventuno reti nazionali e definisce le procedure per la messa a gara del dividendo digitale. Il presidente Corrado Calabrò ha aggiunto che “in linea con quanto avviene in tutta Europa, la procedura pubblica sarà del tipo beauty contest”. Il sottosegretario alle Comunicazioni, Paolo Romani, ha espresso la propria soddisfazione dopo l’emanazione della delibera che “rappresenta il primo passo formale di un percorso intrapreso in piena sintonia con la Commissione europea dopo mesi di intenso e costruttivo confronto. (…) Il percorso così delineato rappresenta un ulteriore stimolo all’azione lineare, coerente e costruttiva intrapresa da questo governo per lo sviluppo della comunicazione nel nostro paese, avviato con la progressiva digitalizzazione del comparto radiotelevisivo e con le misure favorevoli allo sviluppo della banda larga”. (1)

COS’È IL DIVIDENDO DIGITALE

Nulla di tutto ciò è vero. Non è vero che vi sia stato confronto. Non è vero che in tutta Europa si assegni il dividendo digitale con un beauty contest. Non è vero che queste misure favoriscano lo sviluppo della banda larga. Non è vero che nel nostro paese vi sia mai stata una linea coerente per lo sviluppo della comunicazione, in modo particolare, per quello che riguarda le frequenze elettromagnetiche.
Ma andiamo con ordine. Innanzi tutto, di cosa stiamo parlando? Il passaggio dalla tv analogica alla tv digitale permette di utilizzare meno banda grazie alla maggiore efficienza delle tecniche digitali rispetto a quelle analogiche. Dunque, gli attuali canali, quando trasmessi con tecniche digitali, hanno bisogno di minori frequenze, liberando le vecchie, che possono essere assegnate ad altri usi e utilizzatori: è questo il cosiddetto “dividendo digitale”.

COSA ACCADE ALL’ESTERO

Le norme comunitarie, in verità molto generiche, impongono trasparenza e neutralità tecnologica nell’uso dello spettro. In concreto, ciò consiste in procedure a evidenza pubblica e non sottoposte a discriminazione nell’assegnazione.
Il Regno Unito ha deciso di allocare due terzi delle frequenze legate al passaggio dall’analogico al digitale a servizi radiotelevisivi, ma le procedure di assegnazione non sono note. Il restante terzo, un blocco comunque assai sostanzioso di 112 MHz, sarà messo all’asta senza vincoli sulle tecnologie o sugli utilizzi. L’analisi del governo britannico ha infatti concluso che quelle frequenze sono molto preziose e potenzialmente appetibili anche agli operatori mobili, o ai operatori fissi per la banda larga, o ad altri ancora. In mancanza di informazioni precise sui singoli business plan dei vari operatori, il governo farà l’unica cosa che abbia un senso economico: un’asta, senza restrizioni, assicurando che i diritti di proprietà siano rispettati e non si abbiano interferenze.
Anche la Francia sicuramente consentirà agli operatori mobili di concorrere per il dividendo digitale: uno studio commissionato dal governo stima a 25 miliardi di euro il beneficio di non limitare l’allocazione ai soli servizi televisivi. Il governo tedesco ha da poco annunciato che parte del dividendo digitale sarà utilizzato per offrire servizi wireless a banda larga. Per entrambi i paesi, tuttavia, non sono ancora note le modalità di assegnazione.
Negli Stati Uniti, circa un anno fa, sono state vendute all’asta frequenze a 700 MHz, molto vicine a quelle di cui stiamo parlando ora in Italia. In quell’asta sono stati incassati 19 miliardi di dollari per licenze vinte soprattutto da Verizon e AT&T, ma anche da nuovi operatori. Si trattava comunque della settantatreesima asta tenuta dalla Fcc a partire dal 1994 e oggi siamo già arrivati a settantanove: ecco un esempio di politica seria e capillare sulle frequenze. (2)

IL CASO ITALIA

E l’Italia? Continuiamo con le solite critiche al nostro paese? Purtroppo sì, e a ragion veduta. In Italia non esiste una politica coerente sulle frequenze. Pur senza entrare nel merito del far west delle tv private e delle continue procedure di infrazione che la Comunità europea ci commina, non si è mai voluto comprendere il valore economico delle frequenze elettromagnetiche e il costo legato a una loro assegnazione inefficiente. Si sono effettuate due aste: una nel 2000 per l’Umts e una l’anno passato per il Wi-Max. Ma sono due casi che purtroppo non hanno fatto scuola. Il 40 per cento delle frequenze è in mano al ministero della Difesa che non paga nulla per il loro utilizzo. E potrebbe anche non utilizzarle affatto. Nel Regno Unito, per esempio, il ministero della Difesa paga per le frequenze, il che ha comportato risparmi e la restituzione di quelle inutilizzate. Eppure, seguendo alcuni passi elementari, lo Stato italiano potrebbe incassare 2 miliardi di euro all’anno, oltre a liberare risorse che favoriscono lo sviluppo economico. (3)
La delibera sul dividendo digitale prevede che quattro canali siano dati a Rai, quattro a Mediaset, tre a Telecom Italia, due a ReteA e uno a Europa TV. Quanto ai restanti cinque canali, alcuni dettagli portano a pensare che a Rai e Mediaset sarà assegnato un ulteriore canale a testa. Restano quindi solo tre canali su cui sarà effettuato un beauty contest limitato a operatori televisivi. Nulla di preciso si sa a proposito delle frequenze per le 500 tv private, anche se è facile prevedere che si troveranno anche quelle prima o poi, sempre gratis o quasi.
La delibera danneggia sicuramente lo Stato e dunque i cittadini: non porterà ad alcun incasso, salvo briciole. Danneggia lo sviluppo economico, perché non abbiamo alcuna idea di come sono stati selezionati gli operatori prescelti. Di sicuro, colpisce tutti gli operatori che non siano televisivi, perché gli operatori mobili, ad esempio, non potranno concorrere per ottenere frequenze di cui sono assetati. Di certo inficia il pluralismo, visto che Rai e Mediaset consolidano ulteriormente le loro posizioni. (Beh, buona giornata).

(1) Vedi anche Beauty contest per l’assegnazione delle frequenze in linea con gli altri Paesi Ue.
(2) http://wireless.fcc.gov/auctions/default.htm?job=auctions_home.
(3) C. Cambini, A. Sassano e T. Valletti (2007), Le concessioni sullo spettro delle frequenze, in U. Mattei, E. Reviglio e S. Rodotà (a cura di), “Invertire la rotta. Idee per una riforma della proprietà pubblica”, Il Mulino, Bologna.

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Togliere la pubblicità dalla tv pubblica non ha aiutato le televisioni francesi a resistere alla “quarta crisi”.

I 3 milioni in più di telespettatori che il 5 gennaio 2009 hanno assistito alla prima serata senza pubblicità sul principale canale pubblico francese, non hanno confermato nel tempo l’interesse verso l’esperimento voluto da Nicolas Sarkozy

La legge per togliere la pubblicità dalla Tv pubblica, fortemente voluta dal presidente francese un anno fa, sembrerebbe non aver giovato all’intero sistema televisivo. Promulgata il 7 marzo scorso, ha visto la sua applicazione con due mesi d’anticipo grazie all’adesione spontanea, suggerita da Sarkozy , delle due reti ammiraglie France2 e France3 che hanno tolto la pubblicità dai loro palinsesti.

Risultato: i dati d’ascolto di France Télévisions, almeno fino ad ora, confermano un’audience in leggero calo: France 3 passa dal 12,9% di dicembre 2008 al 12,1% del febbraio 2009, mentre quella delle reti private Tf1 e M6 è rimasta sostanzialmente invariata, intorno rispettivamente al 26% e all’11%.

Con lo ‘stop’ alla pubblicità sulla tv pubblica dalle ore 20.00 in poi, a guadagnarci è stata soprattutto la tv digitale terrestre, che offre passaggi pubblicitari a tariffe convenienti e vanta una buona fetta d’audience.

A quattro anni dal lancio oltralpe, che ha portato nelle case francesi ben 14 canali gratuiti in aggiunta a quelli analogici, oltre ai 14 a pagamento, l’audience dei canali digitali a febbraio ha toccato quota 14% e secondo NPA Conseil, arriverà al 25% nel 2012, mentre i canali tradizionali si attesteranno al 60% (contro l’attuale 73% e l’89,8% del 2004). Il resto sarà occupato dai canali pay del cavo e del satellite.

Nonostante le premesse, l’esperimento francese non ha prodotto l’ipotizzato dirottamento delle risorse pubblicitarie dal piccolo schermo pubblico a quello privato. Come riportato a firma di Edoardo Segantini sul Corriere della Sera di lunedì 20 aprile, a cambiare destinatario, secondo gli obiettivi del governo, dovevano essere 800 milioni di euro di spot: il grosso, circa 480 mln, sarebbe andato alle reti nazionali private Tf1 (di Martin Bouygues, amico personale del presidente) e M6, del gruppo tedesco Bertelsmann. 160 mln a radio, stampa e affissioni, 80 a Internet e 80 ai canali digitali terrestri .

Che cosa è avvenuto in realtà lo spiega Augusto Preta, di ITMedia Consulting: anziché trasferire su altri media la pubblicità prima pianificata sulle reti pubbliche, dice l’analista, gli inserzionisti hanno semplicemente soppresso gli investimenti. In buona parte per effetto della crisi economica. Particolarmente pesante il bilancio di Tf1, prima rete privata di Francia, che nei primi due mesi del 2009 ha visto i suoi ricavi pubblicitari lordi diminuire del 20,3% rispetto allo stesso periodo del 2008, con una caduta del titolo in Borsa del 50 per cento. Ma anche M6 ha perso il 10% degli incassi da spot.

Secondo Stefano Carli di Affari e Finanza, il problema sta nel fatto che Sarkozy aveva previsto di compensare la perdita dei mancati ricavi pubblicitari di France 2 e 3 con un contributo del 3% sul fatturato pubblicitario, calcolato sull’anno precedente, delle altre Tv e lo 0,9% dei ricavi da banda larga delle telecom. Il resto è a carico dello Stato. Un controsenso dal punto di vista economico: Tf1 ha registrato -20% di spot nel 2008 e M6 -10% e pagheranno per una pubblicità mai arrivata.

Per ora in Francia sono in corso accese polemiche, mentre in Italia la proposta di Bondi di creare un sistema analogo a quello francese ha trovato a commento un silenzio quasi assoluto. Soltanto i canali digitali terrestri possono brindare visti i ricavi pubblicitari in crescita dell’85%. Ma in ogni caso, dal punto di vista del sistema, si tratta di pochi milioni di euro guadagnati a fronte delle centinaia persi dai maggiori network nazionali. In un mercato depresso, ‘gli inserzionisti stanno tentando di ottimizzare i loro investimenti’, ha spiegato Philippe Nouchi di ZenithOptimédia, centro media affiliato alla holding francese Publicis.

Inizialmente, Tf1 aveva approfittato dell’oscuramento degli spot sulla Tv pubblica per aumentare le proprie tariffe serali. Cosa che chiaramente non è stata ben accolta dal mondo della pubblicità. C’è stato un vero e proprio braccio di ferro con i grossi advertiser, tra cui probabilmente Danone (assente dagli schermi di Tf1 dall’inizio dell’anno) e Colgate .

L’esperienza francese ha dunque trovato un grosso ostacolo proprio nella crisi economica che ha impattato sulla globale crisi del mondo dei media, quella che è stata definita la “quarta crisi”. A cui si vanno ad aggiungere forti resistenze da parte dei network televisivi commerciali, che proprio non si rassegnano all’idea del calo tendenziale della tv nella filiera della comunicazione commerciale. Ad esempio, la contrarietà di Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset alla diminuzione della pubblicità dalle reti pubbliche italiane si spiega nel forte timore che se anche in Italia prendesse il via l’esperimento francese, ciò potrebbe comportare un dirottamento degli investimenti pubblicitari Rai verso Sky, invece che nelle casse del Biscione. Beh, buona giornata.

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Il terremoto batte il Grande Fratello. Mediaset cambia la programmazione, come voleva Mentana per la morte di Eluana. E’ la campagna elettorale, bellezza.

In seguito al terremoto che ha sconvolto l’Abruzzo, stasera, 6 aprile, cambia la programmazione di Canale 5. Lo comunica Mediaset in una breve nota. Dopo il Tg5 delle 20, andrà in onda un’edizione speciale di ‘Striscia la notizia’ a cui seguirà una lunga diretta ‘Tg5-Matrix ‘.

Nello studio di ‘Matrix’, Cesara Buonamici e Alessio Vinci commenteranno l’evolversi degli eventi con vari osservatori, giornalisti ed esperti. I servizi in diretta dall’Aquila saranno a cura di Toni Capuozzo e degli altri inviati del Tg5 e di ‘Matrix’ accorsi sul posto fin dalle prime luci dell’alba.

La puntata di Grande Fratello prevista per questa sera è spostata a giovedì 9 aprile, salvo nuove esigenze informative legate ai tragici fatti in corso. (Beh, buona giornata).

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Sky vs Mediaset: se son gossip fioriranno.

da dagospia.com

CHE AFFARE! – 15 MILIONI € IN TASCA A FIORELLO E SKY RICEVE LE SUE PERFOMANCE ’CHIAVI IN MANO’ TUTTO COMPRESO – SKY NON RISCHIA COL ’RISCHIATUTTO’ DI MIKE (SARà PRESENTE SUL PALCO I PRIMI DUE GIORNI DI RECITE ROMANE) – E IL GIOVEDì TV VA IN TILT…

Fiorello1 – 15 MILIONI DI EURO TUTTO COMPRESO A FIORELLO E SKY RICEVE LE SUE PERFOMANCE DA MANDARE IN ONDA – SKY NON RISCHIA COL ‘RISCHIATUTTO’ DI MIKE (SARà PRESENTE SUL PALCO I PRIMI DUE GIORNI DI RECITE ROMANE)
L’indiscrezione di Carlito Rossella, presidente della Medusa berluscona, di un compenso Sky di 15 milioni di euro nelle tasche di Fiorello è vero, verissimo. Si tratta infatti di un ‘chiavi in mano’: per quella sommetta il comico siculo consegna la perfomance a Sky che deve solo mandarla in onda. Un’abile mossa d’affari: perché le recite di Fiorello sono pagate dal pubblico e quindi dei 15 milioni gran parte entreranno nei conti correnti delle sue società. Per ciò che concerne Bongiorno, l’indiscrezione del Corriere della Sera di una rinascita del “Rischiatutto” sulla piattaforma di Murdoch è smentita da Sky. C’è stato un solo abboccamento con la responsabile dei programmi: Mike ha finora trattato con Sky sempre attraverso Fiorello.

2 – TUTTI CONTRO FIORELLO, E IL GIOVEDì TV VA IN TILT…
Marco Molendini per “Il Messaggero”

Fiorello si scalda e Canale 5 prepara i bastoni da mettergli fra le ruote. Spiegazione: Rosario da stasera va in scena a piazzale Clodio. Un riscaldamento con il pubblico pagante (i biglietti sono abbondantemente volati) in vista del debutto ufficiale del primo.

Quanto all’esordio televisivo resta fissato per giovedì 2 alle 21,15 (sembra escluso che ci possa essere Mike Bongiorno come ospite) su Sky Uno con quattro appuntamenti settimanali (giovedì, venerdì, sabato e domenica con un meglio di…), due repliche al giorno sulla stessa rete e una finestra aperta su Sky Tg24.

Quanto all’ammiraglia Mediaset sta affilando i coltelli e così, per rovinare la festa di Sky, ha già varato un raddoppio del Grande fratello che andrà in onda la prossima settimana non solo al lunedì ma anche al giovedì con l’aggiunta di Mai dire Grande fratello della Gialappa’s che dopo aver sbancato su Italia 1 passa alla rete maggiore.

Dunque il varo televisivo di Fiorello (ha raccontato che la puntata dovrebbe durare circa 25 minuti ma con tendenza a dilagare) rende la serata televisiva del giovedì particolarmente densa visto che ci sono anche la fiction Butta la luna su Raiuno e Anno zero su Raidue. Una concentrazione paradossale tenendo conto della segmentazione che caratterizza gli ascolti dei canali satellitari.

Per quanto Fiorello possa andare bene, la sua platea sarà irrisoria rispetto ai milioni di spettatori del Gf. Ricordiamo che quando andava in onda su Raisat extra il record è stato di 280 mila spettatori (che resta il massimo ascolto di quella rete satellitare). Improbabile che Rosario possa fare subito di più (chissà, poi, con l’abitudine).
Insomma, si spara con il bazooka contro uno sciame di mosche, ma si sa che quando le mosche sono tante possono diventare fastidiose. E il clima polemico è indubitabile, come ha ribadito Piersilvio («Sky è un concorrente temibile»), come ha punzecchiato Carlo Rossella in tv (che l’altra sera ha parlato di un compenso di 15 milioni di euro per il buon Fiorello).

La verità è che quello che preoccupa è il progetto, un’alternativa di peso e di qualità alla programmazione dell’intrattenimento visto che Sky Uno punta a mettere in pista oltre a Fiorello (che avrà modo di convocare sul suo palco a piazzale Clodio un bel po’ di illustri ospiti), Panariello, la Cuccarini e chissà che un giorno non possa arrivare anche Celentano rendendo Sky1 una sorta di contraltare generalista satellitare. Per ora comunque il canale continuerà a dare peso alla sua programmazione sfruttando anche le finestre del Gf 9 made in Mediaset.

3 – TV: MIKE BONGIORNO MUOVE I PRIMI PASSI A SKY, REGISTRA UN PROMO PER LA NASCITA DEL NUOVO CANALE…
(Adnkronos) – ‘Come peraltro annunciato gia’ la scorsa settimana, Mike Bongiorno sara’ tra i protagonisti della partenza di Sky Uno, secondo il suo stile inconfondibile’. E’ quanto affermano a Sky riguardo al ‘caso Mike’. Ieri Bongiorno e’ stato negli studi a Santa Giulia non per discutere di un contratto, bensi’ per registrare un promo (intervento) sulla nascita del canale. E’ stata anche una prima occasione per parlare di possibili progetti futuri da realizzare assieme, secondo lo stile innovativo che caratterizza i programmi di Sky e caratterizzera’ quelli di Sky Uno. ‘Sky -si afferma negli ambienti della tv satellitare- sarebbe ovviamente ben lieta di collaborare con un protagonista assoluto della tv quale e’ Mike”. (Beh, buona giornata).

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La guerra continua: Mediaset licenzia Mike, Sky lo assume.

Dopo Fiorello, Lorella Cuccarini e Panariello, anche Mike Bongiorno migra Sky. Il re del quiz, dopo il mancato rinnovamento del suo contratto a Mediaset, sulla scia del suo amico Fiorello ha infatti firmato con Sky per la conduzione di 12 puntate di ‘Rischiatutto’, una delle sue trasmissioni più celebri.

Non senza una venatura di polemica: “Ho proposto a Mediaset una mezza dozzina di programmi, ne ho di idee, se penso che mi fanno fare solo le televendite ci rimango male”, avrebbe infatti affermato Mike.

Putroppo però, a quanto si apprende dalla stampa generalista, nella logica della tv commerciale non ci sarebbe più spazio per l’85enne re del quiz sui canali del Biscione. “E’ fuori target per Canale 5 e Italia 1 e Retequattro non può permettersi un quiz tradizionale, che ha costi troppo elevati”, hanno fatto sapere da Cologno Monzese.

Fatto sta che in attesa di far conoscere al giovane popolo del satellite uno dei programmi che ha contribuito a farlo entrare nella storia della televisione, Mike Bongiorno si è presentato ieri alla sede milanese della tv di Murdoch per registrare uno spot per il lancio del nuovo programma di Fiorello al debutto. Su Sky, naturalmente. (Beh, buona giornata).

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La crisi fa male anche al Biscione.

E’ stato Fedele Confalonieri presidente Mediaset, ad aprire i lavori all’incontro con gli analisti finanziari organizzato il 18 marzo, a Cologno Monzese, per presentare il bilancio 2008 del Gruppo.

Dopo una riflessione generale sulla crisi che ha investito il mercato nel corso del 2008, Confalonieri ha affermato: “Noi di Mediaset questo momento storico lo viviamo in quanto soggetto economico, ma anche come editori. Ciò significa che ci sentiamo responsabili di come viene vissuta e percepita la crisi dagli italiani. Le notizie vanno date. Ma il catastrofismo, che tanto attrae il mondo dell’informazione e che una cattiva politica usa strumentalmente senza tanti problemi, è un moltiplicatore di crisi. Noi abbiamo fiducia nelle imprese italiane. Viviamo di pubblicità e sappiamo che da una crisi si esce sempre e si esce più forti di prima. Per questo chiediamo ai nostri clienti di investire: farlo oggi significa difendere le quote di mercato e farsi trovare più competitivi al momento della ripresa. E noi abbiamo molta fiducia anche nel sistema Italia. Abbiamo investito ad oggi oltre 1 miliardo e 700 milioni di euro nel digitale terrestre. Abbiamo con questo enorme sforzo modernizzato il Paese nel settore strategico della comunicazione, facendo dell’Italia un esempio guida in Europa”.

In merito alla strategia del Gruppo per il futuro, il presidente l’ha sintetizzata in tre punti. Il primo è ‘continuare a investire nel core business’, rappresentato dalla televisione generalista. Il secondo è ‘continuare a investire in asset strategici per il futuro’, come ad esempio il digitale terrestre: “Mediaset Premium ci ha fatto entrare in un mercato molto interessante – ha spiegato Confalonieri – stimato a ritmi di crescita del 20% l’anno. La risposta alla nostra offerta pay è molto positiva e non sembra risentire della crisi economica”. Infine Mediaset si propone di ‘mantenere una solida struttura finanziaria’: “L’attuale esposizione finanziaria del Gruppo ci tiene al riparo dalla crisi finanziaria e l’indebitamento di Mediaset è fisiologico ed è significativamente minore rispetto all’indebitamento medio dei concorrenti europei. Non sottostimiamio la crisi – ha detto il presidente – Però non sottostimiamo neanche le nostre risorse”.

Interrogato dai giornalisti presenti in merito alla nuova piattaforma Tivù Sat, Confalonieri ha affermato: “Non nasce dalla volontà di fare la guerra a Sky ma semplicemente dall’incontro di due necessità: quella della Rai che, in quanto servizio pubblico, nel passaggio dall’analogico al digitale deve coprire tutto il territorio italiano; e quella di Mediaset che, in quanto servizio commerciale, ha il dovere di garantire a Publitalia e agli investitori il maggior numero di contatti possibile”.

Niente guerra, dunque, anche se sta di fatto che Sky continua a lanciare sfide ai canali generalisti attingendo a piene mani dal loro bacino di volti noti. Dopo Fiorello, il 9 aprile debutterà su Sky Vivo Lorella Cuccarini con lo show ‘Vuoi ballare con me?’ e pare siano in corso trattative anche con Panariello .

La concorrenza della tv di Murdoch però non sembra spaventare Mediaset: “Non basta certo il ‘trasferimento’ di Fiorello e della Cuccarini per dare vita a un’altra tv generalista!”, ha detto Confalonieri, che ha risposto in modo colorito anche a chi gli ha chiesto un parere sulla proposta del ministro per i Beni Culturali, Sandro Bondi, di dare vita a una rete Rai priva di spot pubblicitari: “A pelle direi che è una cavolata – ha dichiarato Confalonieri – In Francia è stato inutile, non ha portato nulla in più alle altre emittenti. Penso che succederebbe la stessa cosa anche in Italia”.

Dunque nessun cambiamento di strategia in vista per Mediaset. Il gruppo non smetterà di investire nel core business, la tv generalista, anche dopo lo switch-off al digitale terrestre. “La sfida – ha spiegato Confalonieri – è trasferire la nostra supremazia in termini di ascolti e raccolta pubblicitaria in un mondo popolato da centinaia di canali tv, free e pay. Per fare questo occorre controllare i contenuti tv. Ideare e realizzare contenuti e costruire palinsesti è un mestiere per pochi operatori, noi lo facciamo da sempre, con un certo successo”. (Beh, buona giornata).

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Una precisazione a proposito della guerra tra Sky e Mediaset.

Ieri Confalonieri e Adreani (ad di Publitalia) hanno dichiarato un calo della raccolta pubblicitaria del -12% nel primo bimestre 2009. Quindi è inesatto dire che tutte le concessionarie calano tranne Publitalia, come ho erroneamente scritto in “Sky contro Auditel. Tom Mockridge ha letto “L’arbitro è il venduto”?

Ringrazio Salvatore Sagone, direttore di advexpress.it per la cortese precisazione di cui mi ha fatto partecipe. Mi scuso con Publitalia per l’inesattezza. E, soprattutto con i lettori di “Beh, buona giornata”, i quali avrebbero potuto avere la sensazione di una posizione predominante sul mercato della pubblicità da parte di Mediaset.

Nonostante le buone intenzioni di chi sta al governo, anche la tv commerciale soffre della “quarta crisi,” quella che sta attraversando i media e la pubblicità. Coraggio, il meglio è passato. Beh, buona giornata.

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