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Elezioni Usa: Sbarack Obama?

di Pino Cabras – Megachip.

La sconfitta di Barack Obama a metà del suo mandato è nettissima e apre scenari inediti. La crisi economica ereditata dalla sua amministrazione sta mettendo in ginocchio la classe media di Main Street che – contrariamente alle promesse – ha dovuto comunque cedere il passo a Wall Street. L’inerzia del leader che urlava “Yes, we can” è stata punita fino a prefigurare una sua sconfitta certa fra due anni, se le cose rimarranno così e se una guerra non lo salverà (come gli suggeriscono dal «Washington Post»).

Il movimento del Tea Party che ha rivitalizzato il Partito Repubblicano è una galassia di opposizione variegata. Nel suo grembo contiene tante contraddizioni, essendo una vasta protesta anti-establishment che però viene accanitamente foraggiata da pezzi da novanta dell’establishment stesso, e incitata a far suo un programma demagogico e ultraliberista.

Eppure emergono candidati che sono espressione di tendenze ben distinte dal cappello che vogliono mettervi sopra i plutocrati come Murdoch o i fratelli Koch.

Su tutti appare squillante la vittoria di Rand Paul, neosenatore del Kentucky e figlio del parlamentare Ron Paul, un repubblicano che ha corso anche alle ultime primarie presidenziali, il quale sosteneva e sostiene che gli USA debbano immediatamente ritirarsi da tutti gli scenari di guerra nel globo e ridurre drasticamente le immani spese militari statunitensi. Non solo, Ron Paul attacca frontalmente da anni tutti i tabù del potere washingtoniano, a partire dalla Federal Reserve. Il figlio segue la stessa scia.

Saltano insomma gli schemi, sullo sfondo di un paese che in tantissime città sta ormai rinunciando all’asfalto perché non ci sono nemmeno più i soldi per la manutenzione delle strade. La presidenza Obama viene associata a un declino terminale dell’Impero.

I democratici tenteranno disperatamente una correzione che potrebbe persino portare a contrapporre un altro candidato a Obama nel 2012. Tra una sconfitta certa con Obama e la brutta figura di una sostanziale sconfessione di un presidente in carica – e senza un vero programma per invertire la tendenza al declino, mentre il peso demografico della Florida si riversa di nuovo sui repubblicani – le speranze dei democratici di tenere la Casa Bianca sono minime.

I repubblicani soffieranno implacabilmente sul fuoco della protesta, cercando di coalizzare una massa impaurita sempre più consistente. Sarah Palin ha sponsor facoltosi, ma continua a rimanere un personaggio imbarazzante. La sorpresa potrebbero perciò essere i Paul padre e figlio, che avevano predetto la crisi e propongono soluzioni insieme più solide e più rivoluzionarie, che potrebbero incontrare favori anche nell’agone nazionale. I giornali d’oltreoceano e anche i nostri li etichettano come ultraconservatori. Etichetta sbagliata e fuorviante. Assistiamo invece a una spinta potenzialmente in grado di rovesciare in profondità lo stile di governo delle istituzioni statunitensi. Di conservatore c’è un richiamo plurisecolare alla Costituzione, un’idea di Stato federale in ritirata, una riduzione isolazionista della presenza nel mondo. Ma le implicazioni di un simile programma vanno ben oltre la dicotomia progresso-conservazione (non parliamo di destra-sinistra). Molta sinistra europea, per dire, è per la guerra in Afghanistan ed è pronta per una guerra in Iran. Ron Paul vuole invece smantellare il complesso militare industriale. Come andrà a finire? Quali risorse metterà in campo il potere minacciato dalla tenuta del paese più potente?

Tutto può succedere, la portata della crisi rende lo scenario più imprevedibile. Nel pieno di una crisi così grave e con un presidente ridotto ad “anatra zoppa”, l’Impero non ha una guida solida. Lo sbando sta durando da anni, e le vere decisioni sono prese da poteri irresponsabili. (Beh, buona giornata).

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